trallalalera, trallalalà!

droni di qua, razzi di là, bombe di su, spari di giù...
Visualizzazione post con etichetta buchbinder. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta buchbinder. Mostra tutti i post

15 settembre, 2025

Orchestra Sinfonica di Milano – 25-26 – Tjeknavorian – Buchbinder

Eccoci quindi alla Scala, come ogni metà settembre, per commentare l’apertura della nuova stagione dell’Orchestra Sinfonica di Milano. In un Piermarini affollato come non mai è naturalmente il Direttore musicale a salire sul podio per offrirci un austero quanto classico programma.

Ma è il blasonato Rudolf Buchbinder (quasi 79 ben portati) a presentarsi per primo per proporci alla tastiera la sua visione del monumentale Primo Concerto di Johannes Brahms. Concerto faticosamente e lentamente sfornato dal giovane amburghese come piano-B (Op.15) di quella che avrebbe dovuto essere la sua prima sinfonia, che invece dovrà attendere qualche lustro (Op.68) per vedere finalmente la luce.

In effetti Brahms ideò a 19 anni (1852) una Sonata per due (!) pianoforti, che poi pensò di trasformare in Sinfonia, la qual cosa gli parve ancor più velleitaria, e così più di 7 anni dopo potè a fatica presentare nella sostanziale indifferenza del pubblico il suo Concerto ad Hannover, poi a Lipsia dove ricevette addirittura una sonora disapprovazione. Erano tempi in cui spopolava il puro virtuosismo, di cui era campione un tale Liszt, il cui primo concerto, del 1855, sta proprio agli antipodi di quello di Brahms. Anche per durata: 25 minuti contro 50!

Né più entusiastica fu l’accoglienza degli interpreti alla tastiera: il solista vi spicca abbastanza poco, quasi sempre annegato nella trama del tessuto orchestrale, per di più dovendosene stare per parecchi interminabili minuti fermo ad ascoltare l’orchestra esaurire ben 90 battute introduttive prima di dare la... parola al pianoforte!

Dopodichè il lavoro per il solista non manca di certo: non perché chiamato a virtuosismi da baraccone, ma ad un impegno fisico - non fosse che per la durata del concerto - di quelli davvero gravosi.

Ebbene, questa ben assortita coppia di viennesi sembra aver trovato la quadra per coniugare la seriosa e quasi pedante prosopopea del burbero amburghese con la leggerezza tipica della città degli Strauss! E, come premio per i trionfali applausi, Buchbinder ci ha regalato, per l’appunto, questo suo abituale bis viennese.

___
La seconda parte del Concerto – con Buchbinder a godersela, accomodatosi, in borghese, a metà platea - era occupata da un'altra opera che è da sempre nei repertori di ogni orchestra che si rispetti (quindi, ovviamente, anche de laVerdi!): l’esagerata Quinta di Ciajkovski. Che già nel 2014 aveva aperto la stagione qui alla Scala (con Xian Zhang).

Sinfonia che lo stesso Autore ebbe a definire insincera, e infatti retorica, enfasi e affettazione vi abbondano, soprattutto nei due movimenti esterni. Il che finisce per attirare spesso i Direttori nel tranello di interpretazioni sopra le righe, ad operare scelte che sfiorano o cadono nella gigioneria e nel facile esibizionismo, finendo proprio per esaltare l’insincerità di questa partitura.

Il Tjek ha dimostrato ancora una volta la sua grande maturità, evitando quel tranello con una direzione rigorosa e senza cedimenti al Kitsch; un esempio per tutti, una vera cartina di tornasole: le ultime due battute dell’opera, quel protervo ta-ta-ta/tà, che molti suoi colleghi eseguono dilatandolo a dismisura; lui lo ha suonato perfettamente e asciuttamente in tempo…

Ma poi come non restare ammirati dall’espressività che il giovane direttore ha saputo dare ai momenti più ispirati dell’opera. Anche qui mi limito ad un solo esempio, l’attacco dell’Andante cantabile con alcuna licenza, dove il Tiek ha guidato il corno magico di Giuseppe Amatulli, contrappuntato dal clarinetto del grande Fausto Ghiazza, attraverso quella pagina di assoluta poesia.

Un tifo da stadio ha accolto l’ultimo gesto del Direttore, con interminabili ovazioni e applausi ritmati a josa. Insomma, era difficile immaginare miglior preludio alla stagione, che a ottobre entrerà nel vivo in Auditorium, sempre sotto il segno del Tjek!


23 febbraio, 2016

Prêtre saluta la Scala dopo 10 lustri

 

Era il 1966 quando Georges Prêtre debuttò alla Scala con Faust, titolo quanto mai drammatico e straziante. Sapete come l’ha salutata ieri sera, la sua Scala, a 50 anni di distanza e a quasi 92 anni? Con un forsennato can-can!

 

Ecco una persona che, vedendo ormai lo striscione del traguardo – quello dell’ultima corsa - mostra ancora un amore fanciullesco per la vita più spensierata!

 

Fa tenerezza, il vecchio Georges: maschera sorridente, ma come paiono sorridere i teschi (eh sì!); camminata incerta, come le sue autentiche, impertinenti invenzioni in Barcarolle e Boléro, per andare (senza bastone, abbandonato prima di scenderli) dai gradini di uscita al proscenio e viceversa; uno sgabello foderato di rosso ai margini del palco dove sostare per qualche attimo fra una chiamata e l’altra, fra un brano e l’altro; niente leggio (le partiture evidentemente zampillano dai suoi occhi...); niente podio, ma soltanto una sedia, pudicamente schermata al pubblico, dove si accuccia ma dalla quale si alza a scatti (come fa subito per l’imperiosa Egmont) per sottolineare con l’energia di un ventenne i passaggi salienti di ciò che si suona; la bacchetta lasciata in consegna alla Eriko dopo la sinfonia della Forza (protervia e dolcezza mirabilmente coniugate) e poi rifiutata quasi sdegnosamente per dirigere a mani nude la sua adorata Barcarolle.  

 

Recensire un concerto come quello di ieri non avrebbe senso (o forse sì, ma solo per la quota Buchbinder, solidissima prestazione nel terzo beethoveniano e funambolica parafrasi del lisztiano Rigoletto, una specie di bis fatto dopo l’intervallo, a palcoscenico deserto) poichè non di concerto trattavasi, ma di un reciproco abbraccio (l’ultimo, diciamolo pure senza infingimenti) fra questo venerabile personaggio e un pubblico e un’orchestra che gli devono moltissimo. Tenerissima l’immagine del vegliardo che alla fine, scalati con l’aiuto di Buchbinder i due gradini dell’ingresso in scena, si è girato verso la sala per salutare ancora una volta il suo pubblico in delirio.  


Mille fois merci, Georges!