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06 febbraio, 2025

La prima giornata del Ring di McVicar alla Scala.

La marcia di avvicinamento al ciclo completo del Ring, affidato (per l’allestimento) a David McVicar, è iniziata lo scorso ottobre con la vigilia (Das Rheingold) e prosegue ora con la prima giornata (Die Walküre).

[Poi riprenderà con Siegfried (giugno) e Götterdämmerung (febbraio 2026) per approdare alla meta (due cicli completi nelle due prime settimane) a marzo 2026, con qualche mese di anticipo sulla (storica?) ricorrenza dei 150 anni dall’apertura del baraccone Festspielhaus di Bayreuth.]

Tutta (o quasi…) la produzione di Wagner è (o pretende di essere, nella immodesta concezione dell’Autore) portatrice di concetti estetici, ma anche etici, filosofici, politici e, soprattutto, psicologici. Ecco: Die Walküre è forse la punta di diamante di questa impostazione di fondo. E ciò spiega l’ingombrante presenza al suo interno di lunghi sproloqui infarciti di sofismi, di questioni a sfondo esistenziale o politico; di domande che tirano in ballo di volta in volta il libero arbitrio dell’Uomo, o i vincoli imposti dalle leggi allo stesso legislatore, e le contraddizioni in cui cade persino il potere costituito, macchiatosi di peccati originali che finiscono per minarne le fondamenta, con esiti addirittura autodistruttivi. E poi tirano in ballo questioni legate ai rapporti familiari: in particolare a quelli fra marito e moglie e fra padre e figlia. E all’evoluzione psicologica che ne deriva su tutti i principali personaggi della storia.

Purtroppo, il prezzo che lo spettatore deve pagare per apprezzare fino in fondo l’essenza di questi drammi (scongiurando rischi di reazioni di rigetto a fronte di un approccio passivo al loro fruimento) è lo sforzo necessario a sviscerarne, o almeno ad individuarne, il sostrato concettuale. La differenza fra i testi di questi, e in particolare di questo dramma wagneriano, e quelli di quasi tutti i libretti d’opera, anche i più raffinati, è che qui non basta leggerli e comprenderli, ma è necessario farci una preventiva esegesi approfondita (facendosi magari aiutare da che già l’ha compiuta…) e spesso collegandone i contenuti ad altri che sono venuti originariamente alla luce (anche musicalmente, tramite i cosiddetti Leit-Motive) addirittura in drammi precedenti!

In ciò sta, a seconda dell’approccio dello spettatore, la grandezza di queste opere o il loro limite più pesante: essere caratterizzate (per parafrasare una simpatica battuta di Rossini) da qualche sporadico momento di musica accattivante annegato in esasperanti mezz’ore di menata-di-torrone!

Capisaldi del dramma sono le parallele evoluzioni di Wotan e Brünnhilde: il primo passa dall’orgogliosa sicurezza (sul suo piano di consolidamento del potere) alla tragica realizzazione del suo fallimento. A beneficio di qualche regista, è curioso scoprire, in riferimento alla nostra attualità, come l’IA, tramite la sua ricerca profonda, risponda (in 56 secondi) alla domanda: Trump è come Wotan? Quanto alla figlia prediletta del dio supremo, assistiamo al suo passaggio dallo stato divino a quello umano, indotto proprio dall’incontro con i due umani che si ribellano al padre divino, provocandone la disfatta in forza dell’amore.

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David McVicar ha perseverato nel suo approccio, già palesatosi in Rheingold, di mantenersi su una posizione equidistante fra una frusta tradizione e una spinta modernità, sperando con ciò di accontentare tutti. Il risultato è stato quasi fallimentare, vista l’accoglienza ostile che ha accompagnato lui e il suo team all’uscita finale.

Scene quasi spoglie, con pochi oggetti simbolici: il frassino con la spada ivi conficcata; ambiente inospitale per i drammatici eventi del second’atto; un’enorme testa supina (di Wotan?) che alla fine si apre per mostrare una delle tre grandi mani già comparse all’inizio del Rheingold, sulla quale Wotan adagia la Valchiria addormentata.

Per il resto, qualche discutibile trovata: l’intera masnada di Hunding che irrompe nella di lui stamberga; i corvi di Wotan che svolazzano all’inizio del second’atto; gli arieti di Fricka, impersonati da due figuranti che trascinano faticosamente (in discesa!) la dea; Grane impersonato da un figurante che si muove a balzelloni su protesi agli arti inferiori (simili a quelle degli atleti paralimpici) così come gli otto cavalli delle Valchirie (un gruppo LGBTQ+, tutti maschi!); Hunding che dà un secondo colpo di grazia a un Siegmund che insiste a non morire sul primo colpo. Più plausibile il Wotan che, al momento di uscire di scena, si veste da Viandante, come lo vedremo… a giugno.

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Simone Young forse pensa di trovarsi ancora giù nell’Orchestergraben di Bayreuth, da dove i suoni faticano ad emergere fino alla sala: così tiene un volume mediamente più alto del dovuto, il che provoca qualche problema ai dettagli, e soprattutto rischia la copertura delle voci. Per lei, comunque, un’accoglienza tutto sommato positiva.

Come quella per l’intero cast delle voci. A partire dal navigato Michael Volle, che ci ha riproposto un solido Wotan, voce e presenza scenica autorevoli, grande efficacia nel proporci tutte le diverse, e opposte, sfaccettature della personalità del dio: una perla il suo Leb’wohl.  

Franco successo per Camilla Nylund, una convincente Brünnhilde, capace di emozionarci nella sua umanissima scoperta del valore e della vera natura dell’amore umano; e nel suo dignitoso porsi nei confronti del padre.  

Elza van den Heever è una solida Sieglinde, commovente nei suoi slanci amorosi, come nel senso di colpa e, infine, grande nel momento culminante di quell’O hehrstes Wunder, le cui note ritroveremo solo alla fine di Götterdämmerung!

Siegmund è Klaus Florian Vogt, non proprio un Heldentenor (anche se ormai si cimenta anche in Siegfried…) ma che come Siegmund non sfigura proprio, restituendoci, con la sua voce di tenore lirico, il personaggio del giovane che il padre costringe ad una vita assai grama, per poi addirittura condannarlo a morte!   

Okka von der Damerau  è una solida Fricka, cui il regista forse toglie un poco della moglie petulante e noiosa, mostrandocela come una gattina morta che vuol convincere il marito con qualche moina. Il suo momento più forte (Deiner ev’gen Gattin heilige Hehre) mi è parso poco efficace (la Young forse ha qualche colpa…)

Lo Hunding di Günther Groissböck ha ben meritato, forse gli è mancata un poco più di… cattiveria musicale (in quella scenica invece il regista ha persino esagerato).

Le otto Valchirie, che tengono banco con il loro parapiglia nella prima scena dell’atto finale, hanno svolto più che bene il loro non facile compito.

Che dire, in conclusione? Nulla di storico, ma uno spettacolo che merita ampia sufficienza, che il pubblico (non proprio da tutto-esaurito…) ha accolto (regista a parte) con unanimi ma contenuti consensi. Resta da chiedersi se la Scala possa fare di più.

 

29 gennaio, 2025

La Scala e il Ring del 2026.

Il Teatro ha aperto oggi le vendite, in prelazione per gli abbonati, dei due cicli completi del Ring, in programma per Marzo 2026.

L’annuncio pare essere stato preparato con scarsa cura: all’inizio si comunicano i nomi dei due Direttori del Rheingold 2024, senza citare la sostituzione di Christian Thielemann, originariamente designato, e lasciando a comunicazioni future l’annuncio delle direzioni per il resto del programma (?!?)

Dopodichè, nel dettaglio relativo ai due cicli completi, si scopre che saranno diretti da Simone Young (1-3-5-7) e da Alexander Soddy (10-11-13-15), la coppia che dallo scorso ottobre ha appunto rimpiazzato Thielemann.

29 ottobre, 2024

Das Rheingold alla Scala.

Ieri sera alla Scala è andata in scena l’opera che contemporaneamente chiude la stagione 23-24 e apre una stagione virtuale, dedicata al Ring wagneriano, che si chiuderà a marzo 2026. Prima di allora i quattro drammi verranno rappresentati in solitaria: dopo il Rheingold di oggi, Walküre e Siegfried nella stagione entrante e Götterdämmerung a ridosso dei due cicli completi.

Abbiamo quindi vissuto la Vigilia, la cui preparazione è stata caratterizzata da uno degli incidenti che purtroppo accadono spesso nell’ambiente teatrale: il default improvviso (e improvvido?) del Direttore designato (Thielemann) che la Scala ha dovuto rimpiazzare con ben due sostituti (battutaccia: che valgono ciascuno la metà dello schizzinoso Christian?)

Ma insomma, la Young ieri non ha poi demeritato. Del resto quest’estate ha diretto l’intero Ring a Bayreuth ed è già ingaggiata (sempre in coppia con Soddy) anche per le prime due giornate del ciclo scaligero, previste nella prossima primavera.

Orchestra in discreta forma ma con qualche defaillance: l’attacco degli otto corni – di per sé sempre problematico – non è stato proprio entusiasmante (un informe ribollire) e anche le tubette hanno avuto qualche problema nella prima esposizione del Walhall. Da mettere a punto anche il grandioso finale.

Cast vocale bene assortito, con molti interpreti che in Wagner sono di casa.

A partire dai tre che hanno contribuito al recente successo dei Gurre Lieder: Michael Volle, un Wotan all’altezza del ruolo: gli anni si fanno sentire, ma i suoi problemi sembrano più di… deambulazione che non di voce, sempre rotonda, ben impostata e proiettata. Poi il Loge di Norbert Ernst, voce acuta e penetrante, come si addice al guizzante consigliere del re. E poi la convincente Fricka di Okka von der Damerau, la moglie volta a volta preoccupata, petulante, ansiosa, felice e pure un po’… ipocrita.

Degli altri, da promuovere il gineceo: la Freia di Olga Bezsmertna, la Erda di Christa Mayer (qui la parte è ristretta, anche se drammaturgicamente fondamentale, sarà ben più impegnata in Siegfried…) e le tre ondine in blocco (Virginie Verrez, Flosshilde, Svetlina Stoyanova, Wellgunde e Andrea Carroll, Woglinde) un po’ penalizzate dal regista nell’esternazione finale, che arrivava da dietro le quinte.

Così-così gli altri maschietti: Ólafur Sigurdarson è un Alberich piuttosto caricaturale, mentre dovrebbe far emergere la grandezza (pure in negativo) del ruolo. Così ho udito qualche dissenso per lui alla fine. Caricatura che invece si addice al Mime di Wolfgang Ablinger-Sperrhacke. I due giganti (Fasolt, Jongmin Park e Fafner, Ain Anger) nella onesta routine (forse i… trampoli li hanno messi in difficoltà…).

I due dèi residuali, Froh (Siyabonga Maqungo) e Donner (Andrè Schuen) meritano pure una larga sufficienza, in particolare il secondo, voce ben impostata e passante; un po’ meno il primo, non proprio brillante e poco penetrante nei suoi interventi (un Wie liebliche Luft piuttosto anonimo).
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Vengo a David McVicar. Dalla sua intervista con Mellace poco si era capito del suo Konzept e in effetti è difficile afferrarne (ammesso ci sia) un profondo significato. Mi pare che il regista albionico abbia furbescamente cercato di evitare sia l’attualizzazione del dramma ai giorni nostri, sia la sua pedestre rappresentazione letterale, optando per un’ambientazione astratta da spazio e tempo, supportata da scene spoglie (scimmiottando Wieland?) e da costumi abbastanza strampalati (lunghi e larghi variopinti vestaglioni, al posto dei cappottoni DDR). Il che potrebbe essere condivisibile, ma qui il regista ha un po’ troppo ecceduto in sovrastrutture francamente eccessive, caricando lo spettacolo di troppi aspetti da… avanspettacolo, magari realizzati con intelligenza e raffinatezza.

Sul sipario che separa le quattro scene compare un gran cerchio dentro il quale campeggia una mano: che significa? La mano che accoglie – su un dito - l’anello? O la mano di chi vuol mettere le mani sull’anello? Nella prima scena di manone ne vediamo tre (quante le Figlie?): due destre e una sinistra (?) adagiate sul fondo (del Reno). Poi vediamo una manina protendersi in alto allorchè l’Oro, un danzatore, emerge dal pavimento con il capo coperto da un cappuccio dorato (che gli verrà strappato da Alberich) per poi tornare alla fine ai piedi dello scalone che porta al Walhall (?castello comprato con l’oro?) Poi, ciascuno dei due giganti, che camminano su trampoli (perché, appunto, sono giganti!) ha due manone enormi (come no!) Insomma, simboli di dubbia interpretazione.

Giù a Nibelheim campeggia un enorme teschio dorato, che si apre in due alla bisogna, e qui Alberich fa le sue tre magìe, indossando il Tarnhelm costituito da una maglia metallica (questa idea viene direttamente dalle saghe nordiche): efficace la prima, quando il nano scompare in un paff! con esplosione di lapilli; più banale il secondo (lo scheletro di un serpentone che si protende verso il proscenio e poi se ne torna via); fuori luogo il terzo, dove il rospetto è rimpiazzato da uno… scheletrino che se ne vola via mentre Wotan immobilizza Alberich, rimastosene sempre lì.

La scena della consegna dell’oro ai giganti è reinventata dal regista, facendo accucciare Freia all’interno di una enorme maschera, composta da pezzi del bottino, poi disfatta dai giganti quando Wotan rifiuta di consegnare l’anello. Forse ricorda (a rovescio) quanto narrato nelle saghe, dove il tesoro deve riempire completamente la carcassa di una lontra ammazzata da Loge…

Altra idea portante della messinscena: figuranti/danzatori che accompagnano alcuni personaggi e dei quali dispongono: l’Oro, come detto; poi i giganti (anche perché dai trampoli faticherebbero a interagire con oggetti/persone che stanno due metri al di sotto…); e soprattutto Loge, che è sempre accompagnato (alle terga) da due figure che ne imitano gli spiritati gesti, quando il dio del fuoco espone i suoi pretenziosi e filosofici racconti e concetti.

Insomma, tante idee che forse mascherano l’assenza di un’idea! E dal secondo loggione alla fine sono piovuti sonori e reiterati buh al team registico (che non sto a nominare uno per uno)!

Per tutti gli altri, applausi più o meno convinti e qualche bravo! In tutto sì e no cinque minuti.

Quindi, che dire? Un inizio così-così (c’è l’attenuante Thielemann, daccordo…) 

27 ottobre, 2024

Das Rheingold inaugura un nuovo Ring alla Scala.

Siamo ormai alla vigilia di una nuova, lunghissima avventura scaligera in terra wagneriana: la produzione del Ring (affidata a David McVicar) che spazierà su ben tre stagioni, con la seguente agenda:

Ottobre 2024: Das Rheingold
Febbraio 2025 Die Walküre 
Giugno 2025: Siegfried
Febbraio 2026: Götterdämmerung 
Marzo 2026 (150 anni dalla prima di Bayreuth): due interi cicli del Ring.

L’impresa è purtroppo iniziata con un intoppo non da poco: Christian Thielemann, somma autorità in merito e originariamente ingaggiato per il podio per l’intera impresa, ha dovuto dare forfait – causa degenza ospedaliera e successiva riabilitazione - per il primo passo, il Rheingold (in scena da domani, 28 ottobre).  

Subito il Teatro si è attivato di conseguenza, ingaggiando per la Vigilia l'esperta Simone Young (prime tre recite) e Alexander Soddy (le altre tre).

Ma nel frattempo, abbastanza discutibilmente, Thielemann ha deciso di rinunciare all’intero percorso!

Così le prime due giornate del dramma nibelungico (2025) sono state appaltate – con identiche modalità - alla stessa coppia Young-Soddy, mentre ancora non si conosce il nome di chi salirà sul podio per le successive, fondamentali tappe dell’avventura. 

E pazienza… auguriamoci almeno che la Scala sia abbastanza seducente da poter adescare il mitico Cirillo!  
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Venerdi scorso, nel foyer Toscanini del teatro, si è tenuto un convegno introduttivo a questa nuova produzione, moderato da Raffaele Mellace, che ha indirizzato l’evento su due filoni di indagine: la presenza del Ring alla Scala e i problemi legati alla messinscena di questo cosmico dramma.

Dapprima ha preso la parola Maurizio Giani per commentare e giudicare alcune interpretazioni di Maestri che dal dopoguerra alla fine del ‘900 hanno diretto l’intera Tetralogia alla Scala: Furtwängler (1950), Cluytens (1963) e Muti (1994-6-7-8). La prova d’esame consistendo per tutti nella celebre Siegfrieds Trauermarsch, dalla quale è uscito di gran lunga vincitore il sommo Wilhelm.

Poi Marco Targa ha elencato e commentato gli allestimenti succedutitisi alla Scala dall’inizio del secolo scorso, da quelli che – per contratto – replicavano Bayreuth, ai successivi. Fra questi un certo rilievo ha tuttora quello ideato nel 1975 da Luca Ronconi, assai innovativo, che fu però limitato a Walküre e Siegfried, perché contestato dallo stesso Kapellmeister (Sawallisch).

Per trattare dei problemi di messinscena, Anna Maria Monteverdi ha illustrato e magnificato quella del Metropolitan di 14 anni fa, inventata da Robert Lepage. Con la scena occupata e animata da un autentico mostro tecnologico del peso di 45 tonnellate (battezzato The Machine) che muove montagne, fiumi, caverne, arcobaleni e rocche, insieme ai poveri interpreti che spesso vengono sostituiti da controfigure per evitare spiacevoli incidenti. Una cosa proprio all’americana (o canadese se si preferisce) che lascia a bocca aperta. Ed ha però (ma questo non è stato sottolineato…) un trascurabile difetto: è costata al MET 16 milioni di dollari!

E a proposito di messinscena, ecco arrivare David McVicar, incaricato di questa nuova produzione scaligera. Intervistato da Mellace, ha raccontato molte cose interessanti (insieme a qualche ovvietà) sul Ring e non ha per la verità detto molto sul suo allestimento, salvo che non vedremo corna vichinghe o foreste di cartapesta.

Quindi con interesse aspettiamo domani l’inizio di quest’avventura con Das Rheingold.

01 agosto, 2014

Bayreuth: conclusa la settimana santa


Götterdämmerung ha chiuso la serie delle 7 prime del Festival 2014. In linea con le precedenti giornate e anche in linea (visto che il cast era lo stesso, tranne Alberich) con le precedenti edizioni: mediocrità abbastanza diffusa, con punte di piena insufficienza, prima fra le quali il protagonista. Lance Ryan – che è tutto sommato ancora giovane, 43 anni – sembra aver perso la capacità di cantare: 4-5 anni fa il suo Siegfried era più che promettente (sentito dal vivo a Firenze), adesso è praticamente inascoltabile, fra perenne carenza di intonazione, urla sguaiate e vibrato esasperante (oggi ha aggiunto anche la caricatura dell’Uccellino, una cosa invero lunatica).

Gli altri fan ciò che sanno, cioè il minimo sindacale. E non bastano orchestra e coro a sollevare il livello della recita: stasera persino il primo corno ha steccato l’assolo nel Rheinfahrt (!) Petrenko sempre abbastanza spedito (110-65-75 minuti) e pulito (per dire: nessuna cesura à-la-Thielemann prima delle fatidiche ultime 7 battute!) ma anche lui più di tanto non può (sarà un caso che si mormori che voglia abbandonare questo Ring a fine Festival?)
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A questo punto, date le circostanze, non so se ringraziare o… maledire Radio Clásica de España per aver diffuso in diretta tutte le serate inaugurali. Ad ogni buon conto segnalo - per chi si è perso qualcosa in questi giorni e per gli impenitenti masochisti (smile!) che ancora non ne hanno avuto abbastanza - che la Bayerischer Rundfunk metterà in onda in agosto (sempre alle ore 18:05) la registrazione delle 4 prime non diffuse in diretta:

martedi 5: Walküre (del 28/7)
martedi 12: Siegfried (del 30/7)
sabato 16: Götterdämmerung (del 1/8)
martedi 19: Lohengrin (del 31/7)

12 aprile, 2014

Orchestraverdi – Concerto n°29

 

Sappiamo che Zhang Xian è venuta su (musicalmente parlando) in casa di Lorin Maazel (a NewYork) e che dal Maestro e mentore ha mutuato approccio e stile direttoriale. Così deve aver deciso di festeggiare le sue (di lui!) recenti 84 primavere per metterne in programma il pastiche sul Ring

Solitamente questa trovata del simpatico Lorin viene condannata senza appello per i reati di vilipendio e scempio di capolavoro. Raro invece che gli stessi reati vengano imputati a registi che impiegano il Ring (o altri consimili capolavori) per farsi i cazzi loro i loro belli affari a buon mercato e a spese di tutti: opera, autore e pubblico. Amen.

Detto ciò bisognerà pur riconoscere a Maazel almeno l’onestà intellettuale di non pretendere di spiegarci in 75 minuti di soli suoni ciò che Wagner racconta in 15 ore di musica, canto, testi e didascalie (gli ultimi due sostantivi sono per i registi di cui sopra). Lui ha semplicemente messo insieme una suite del Ring pescando i brani di musica che più riteneva appropriati. E sulle sue scelte si può ovviamente discutere e dissentire, salvo il proporre di… vietarle!

Insomma, nessuna pretesa di surrogare l’originale, ma solo l’opportunità offerta al pubblico di ascoltare della musica che è grande di per se stessa e – perchè no! e per chi il Ring lo conosce almeno un filino – di vivere un piacevole amarcord, riandando mentalmente alle emozioni che si provano quando si ascolta un Ring vero. Immagino (potrei sbagliare) che proprio pensando a quest’ultima fascia di ascoltatori Maazel abbia voluto rispettare rigorosamente, nella sua antologia, la sequenza drammaturgica originale: considerandomi appartenente a quella fascia, gliene sono sommamente grato.

E allora vediamo cosa ha scelto per noi il maestro della Xian (lo specchietto sottostante riassume in modo sintetico le componenti principali del lavoro, con riferimento sonoro ad un’incisione dello stesso Maazel con i Wiener, ascoltabile sul tubo):



Intanto, un’occhiata alla distribuzione dei tempi (per quanto possa valere, intendiamoci): dei 75 minuti totali, Rheingold ne occupa meno di 12; Walküre meno di 17; Siegfried circa 7 e Götterdämmerung i restanti 40 minuti. Che dire? Che Maazel ha sfacciatamente privilegiato il Crepuscolo a scapito degli altri drammi, e soprattutto di Siegfried?  

Possiamo intanto notare come l’inizio e la fine dell’universo wagneriano vengano presentati praticamente nella loro completezza; così come il Rheinfahrt e la Trauermarsch, che sono classici pezzi da antologia.

Dal punto di vista strettamente musicale, Maazel ha cercato di cucire i pezzi nel modo più… indolore possibile: qua e là peraltro emergono inevitabilmente delle soluzioni di continuità, avvertibili anche da un non-esperto-wagneriano.

In definitiva, un lavoro che non ha pretese stratosferiche e che va – secondo me – apprezzato per quel che è e non disprezzato per ciò che non è e non avrebbe mai potuto essere.
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In questa occasione, chissà, forse per non… esagerare, Xian ha pensato bene di proporre un bigino-del-bigino! Rispetto ai contenuti elencati più sopra, ha cassato tutta la parte del primo atto della Walküre e le ultime battute (tema del Patto) dopo l’addio di Wotan. Poi ha anche eliminato tutta la parte derivata dall’Atto I del Siegfried. Infine, del terz’atto di Götterdämmerung, niente Rheintöchter e niente ultimo accorato saluto di Siegfried a Brünnhilde, si è in pratica partiti dalla Trauermarsch. Il tutto è quindi durato meno di un’ora. 

Quanto ai ragazzi, loro si sono impegnati al massimo e il risultato è stato più che dignitoso… date le circostanze. Del resto il gene wagneriano non è qualcosa che si possa acquisire dall’oggi al domani: una interessante esperienza per loro e una serata tutto sommato rilassante per noi che li siamo stati ad ascoltare.

31 luglio, 2013

Bayreuth 2013: un Ring al tramonto


Anche la giornata conclusiva di questo Ring ha confermato il livello medio-basso (ad esser generosi) della prestazione musicale, in particolare delle voci.

Orchestra, coro e Kapellmeister per me non hanno affatto demeritato, ma certo nulla possono per dar voce a chi non l’ha o ne ha una da osteria…

Così un Götterdämmerung più che passabile per ciò che usciva dalla buca si è trasformato in una pagliacciata per ciò che è uscito dalle bocche (coro escluso, natürlisch).

Lance Ryan pare abbia conservato solo il fiato, ma abbia perso tutto il resto che serve per cantare Siegfried. Catherine Foster non poteva miracolosamente e in un sol giorno farsi una voce ad-hoc per Brünnhilde, così abbiamo avuto il comico risultato di una Gutrune (Allison Oakes) che quasi la sovrastava dall’alto della sua… vocina!

Alejandro Marco-Buhrmester è stato un mediocre Gunther: timbro con vibrato sgradevolissimo e intonazione precaria. Attila Jun del personaggio di Hagen ha solo il… nome (smile!)

Così l’unico a cavarsela in qualche modo è stato ancora Martin Winkler, che però canta solo per dieci minuti sì e no, quindi mica poteva sollevare la media. Senza infamia e senza lode la ex-Fricka (qui Waltraute + seconda Norna) Claudia Mahnke. Sufficienti le altre due menagrame e le tre nuotatrici nel petrolio.

A proposito del Ring all’oro nero, eccone l’inventore, recordman da ieri di buh a Bayreuth:


29 luglio, 2013

Bayreuth 2013: Siegfrid…icolo


Davvero modesto questo Siegfried del bicentenario. Si salvano a fatica dal naufragio Petrenko, che stasera ha fatto appena dignitosamente il suo compitino, Martin Winkler che non ha rovinato la… reputazione di Alberich, la Erda di Nadine Weissmann e Burkhard Ulrich, un Mime passabile anche se eccessivamente macchiettistico.  

Lance Ryan è largamente peggiorato rispetto alle recenti esibizioni scaligere, quindi è sceso abbondantemente sotto la sufficienza. Catherine Foster è una Brünnhilde al limite della caricatura e Wolfgang Koch un Wotan in sedicesimo.

Fafner (Sorin Coliban) e l’Uccellino (Mirella Hagen) da minimo sindacale.

Castorf – a sentire i testimoni oculari – ha fatto un po’ di propaganda al vecchio e decrepito socialismo reale, dove lui è felicemente cresciuto: i quattro di Mount Rushmore erano tipicamente effigiati nei rossi distintivi che si vendevano durante la guerra fredda in tutti i Beriozka di oltrecortina.

Mercoledi brucia Wall Street, con dentro tutto questo caravanserraglio.  

28 luglio, 2013

Bayreuth 2013: le Valchirie volano su Baku


Tutti i commentatori sono concordi: per capire l’essenza intima del Konzept di Castorf bisognerà attendere l’ultima nota del Crepuscolo… dopo aver preso diligenti quanto dettagliati appunti durante i tre precedenti drammi. E solo allora (anzi almeno un paio d’ore dopo, per dar tempo al pubblico di riguardarsi gli appunti e finalmente scoprire il significato profondo di questo Ring) il genio ex-DDR nonché ex-stalinista si degnerà di presentarsi al proscenio per raccogliere l’omaggio del pubblico, finalmente edotto ed estasiato.

Intanto ci raccontano che, dopo la vigilia trascorsa in una GasStation con annesso Motel sulla Chicago-SantaMonica, la prima giornata ci ha teletrasportato sul MarCaspio, dove si estrae il petrolio che poi, opportunamente raffinato, diventa il diesel venduto lungo la gloriosa Route66.

Beh, sono indizi già interessanti, prendiamone accuratamente nota. Castorf ha copiato quasi alla lettera un vecchio pozzo di petrolio azero, per farci gli ambienti in cui collocare i Wälsi e le volanti Valchirie:


 










Quanto alla scritta che compare su una parete del pozzo, ci sarà da stabilire se Castorf sia il copiatore o il copiato:




















Scritta che ricorda una particolare ricorrenza azera, oggi festa nazionale: il 20 settembre 1994, giorno in cui il giovane Stato, sgattaiolato via dal disfatto impero sovietico (di cui Castorf era sfegatato ammiratore, si noti bene…) aprì i suoi pozzi al capitalismo occidentale e a tutti i famelici Wotan, Alberich e Fafner che popolano i nostri mercati finanziari!

Insomma, forse siamo sulla buona… autostrada per capire e quindi apprezzare il capolavoro.  
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Dall’etere sono arrivate notizie… confortanti, anche se non proprio strepitose. 

Su tutti Kirill Petrenko, a cui se si perdonano le solite pisciatine di cane (leggi: scarti indebiti di tempi qua e là…) bisogna riconoscere buone qualità di direttore wagneriano.

Bene i due gemelli, Johan Botha e Anja Kampe, e non solo nel grandioso duetto del primo atto, ma anche nelle drammatiche scene del secondo e (per lei) del terzo.

Wolfgang Koch e Catherine Foster magari le note le cantano anche, ma accipicchia, hanno voci più adatte per impersonare i ruoli di Don Wotanni e Zerlhilda (smile!)

Anche Claudia Mahnke ha confermato gli alti e bassi del Rheingold: il suo trionfo sul marito mi è parso piuttosto palliduccio. Come Waltraute… aspettiamola al Crepuscolo.

Franz-Josef Selig sta meglio nei panni di Hunding che non in quelli del Daland di qualche giorno fa: ieri sera ha quasi cantato bene…

Le otto Valchirie (fra cui si è intrufolata… Wellgunde!) han fatto la loro dignitosa caciara e le loro belle risatine ammiccanti agli accoppiamenti dei loro destrieri.
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Prossima tappa di questo Ring unto e bisunto? Si vocifera sia la Berlino post-DDR: mancando il servizio rapido delle Valchirie (tutte licenziate in tronco dai nuovi sfruttatori calati su Baku come locuste) il trasloco richiede precisamente un giorno di tempo…

26 luglio, 2013

Bayreuth 2013: l’Oro del benzinaio


Indovinello: qual è il primo suono che è risuonato nel Festspielhaus mezzo secondo dopo lo spirare dell’ultimo accordo di RE bemolle del Rheingold che ha inaugurato il Ring del bicentenario?

Ecco, c’è chi difende la regìa, e con argomenti inconfutabili. Ad esempio, il testimone oculare Marco Mauceri, di Radio3, dixit: i buh vengono dal pubblico che non capisce (o che non vuol far la fatica di capire) le genialità del regista; è quel pubblico che vorrebbe i soliti luoghi comuni, che si capiscono al volo, come le corna e le pelli. Capirai… Castorf gli ha propinato cose lunari e luoghi davvero fuori dal comune: pompe di benzina e piscinette da cortile!

Ma a noi interessa la musica, poiché lo stesso Wagner ebbe finalmente a scoprire che, senza i suoi suoni, i suoi drammi non sarebbero usciti nemmeno dal suo salotto.

E della musica il principale responsabile è il Kapellmeister. Certo, lui non può rifare la voce ai cantanti, anche perché non è quasi mai lui a sceglierli, però insomma è pagato anche per questo….

Kirill Petrenko
ci ha proposto un Rheingold dignitoso, riuscendo a far suonare tutte le note di Wagner agli strumentisti; avendo un po’ meno successo nel farle cantare ai cantanti (smile!) A lui personalmente rimprovero eccessive libertà nello stacco di tempi (un paio, imperdonabili, proprio nel finale) che gli abbassano il mio voto da discreto a sufficiente.

Il migliore (sempre parlando al relativo, chè di assoluto non ricordo proprio nulla…) è stato alle mie orecchie l’Alberich di Martin Winkler: nella quarta scena si è un poco fatto prendere dall’incazzatura (e ‘tte credo, smile!) sparando un paio di imprecazioni sul rauco, ma per il resto ha tirato fuori in modo dignitoso tutta la complessità di questo personaggio, che a torto è  considerato l’incarnazione del male (mentre, per dire, Wotan su questo terreno lo batte di gran lunga…)

E infatti il Wotan di Wolfgang Koch non mi è per nulla piaciuto, a partire dalla natura della voce  (che, nel teatro musicale, è quasi tutto): che più che caratteristica di un dio, anzi del capo degli dei, pare adatta ad un simpatico Figaro. La sua sortita sul Vollendet das ewige Werk è stata proprio da operetta.

Degna sua emula la moglie Fricka, Claudia Mahnke (prestazione del tutto anonima) che evidentemente ha equivocato sulla natura un po’ rompiscatole e petulante del personaggio. Sua sorella Freia (al secolo: Elisabet Strid) ha fatto un pochino meglio di lei. Sopra la media generale (bassa) anche il gigante buono, Günther Groissböck, mentre il fratello manesco (Sorin Coliban) cantava proprio come un vero… drago (stra-smile!)

Fra Donner (Oleksandr Pushniak) e Froh (Lothar Odinius) faccio fatica a scegliere chi mandare per primo a zappare. Norbert Ernst (che impersona Loge) lo assegnerò ad una mansione meno pesante: la raccolta di pomodori nella piana di Benevento.

Mime, che nel Siegfried avrà qualche difficile gatta da pelare, è Burkhard Ulrich, al quale mi par giusto concedere, appunto, di provarci nella seconda giornata.

Positiva sorpresa la Erda di Nadine Weissmann, cui auguro ugual successo nel più impegnativo confronto col padre delle sue figlie (sempre nel Siegfried).

Le tre Figlie del… pozzo (ultra-smile!) erano Mirella Hagen, Julia Rutigliano e Okka von der Damerau. Se la sono cavata egregiamente, in particolare nel loro accorato appello finale a quel disgraziato di Wotan e al suo sbifido tirapiedi.

Domani la perla delle quattro: qual è il petrolio di miglior qualità?

23 luglio, 2013

Bayreuth 2013: che anello si fabbrica Alberich?


Già affidare la regìa del Ring a un tale Castorf è come far recitare la Divina Commedia a Borghezio… E queste foto e questi resoconti sommari non lasciano dubbi in proposito.

Anche un bambino riesce a capire al volo il Konzept che si nasconde dietro questa genialissima interpretazione di quella cosuccia da teatrino underground che ha nome Der Ring des Nibelungen: stazioni di servizio con annesso motel, pozzi di trivellazione e, naturalmente, Wall Street. Come no! L’oro di Castorf è quello nero!  

Domanda stupida: dal petrolio, che anello si può ricavare?

Solo di plastica. Insomma: una patacca

(beati noi che per radio ascolteremo solo i suoni…)

09 luglio, 2013

Bayreuth 2013, anelli a gogò


Il Festival musicale per antonomasia apre – wie immer – giovedi 25 luglio. Questa è un’edizione storica, festeggiandosi i 200 anni dalla nascita del fondatore-padre-padrone del baraccone che si erge sulla verde collina. Il quale ha bisogno di qualche restauro, che costerà al contribuente francone dai 30 milioni di Euri in su… Anche Villa Wahnfried è in fase di ristrutturazione, per adibirla a Museo wagneriano, e i costi stanno già praticamente raddoppiando, rispetto al preventivo: insomma, proprio come accade in Italia, quindi ha ragione Berlusconi, la culona Angela la deve smettere di darci lezioni.

Per l’occasione si inaugura una nuova produzione del Ring, diretta da Frank Castorf, che non mancherà di stupire chi si annoia quando non si stupisce… Intanto si viene a sapere che l’Anello del Nibelungo non sarà d’oro, ma di ottone, guarnito con pietra-Strass. E per evitare che, ad esempio, un esemplare gettato da Wotan nel mucchio del tesoro si perda chissà dove, e si debba continuare la recita senza l’oggetto principale, ecco che ogni personaggio che deve venire in possesso dell’anello ne avrà sempre in tasca uno di riserva, da estrarre furtivamente in caso di necessità. Così solo per il Rheingold, dove il manufatto maledetto passa in quattro mani, saranno in circolazione almeno otto anelli! Il che pare nientemeno collegarsi alle antiche saghe nordiche, dove si narra di un anello chiamato Draupnir, che i fabbri-orafi Sindre e Brok regalano a Odin (Wotan): un anello-ermafrodita che, ogni nove notti, si riproduce in otto esemplari!

Sul podio per il Ring salirà Kirill Petrenko, dal quale ci si aspettano grandi cose. Ad aprire il Festival sarà però il suo Direttore musicale de-facto: Christian Thielemann, che anche quest’anno proporrà il Fliegende Holländer. E con le sei recite si porterà a quota 129 podi a Bayreuth, consolidando il quarto posto dopo Daniel Barenboim (161) Peter Schneider (142) e Horst Stein (138).

Completano il palinsesto Lohengrin (quello dei topi di Neuenfels) diretto come sempre da Andris Nelsons e il puzzolente Tannhäuser di Baumgarten, diretto ora dal neofita Axel Kober.

Quanto alla diffusione-radio, il cartellone di Radio3 prevede (ad oggi) collegamenti per la giornata inaugurale e per le prime due opere del Ring. Chi non manca mai un colpo è Radio Clásica. Come pure i bavaresi.


30 giugno, 2013

Un po’ di Bayreuth a Milano (4)


L’ultimo atto del Ring scaligero – introdotto come gli altri dalla sempre interessante presentazione di Elisabetta Fava – vedeva all’opera due nuovi interpreti, rispetto a quelli della recentissima rappresentazione nella stagione 2012-13 (che aveva anche registrato la defezione di Barenboim alle prime recite). Precisamente un nuovo Siegfried (Andreas Schager a rimpiazzare Ryan) e (in questo secondo ciclo) una nuova Waltraute+Norna2 (Marina Prudenskaya, al posto della Meier).

Dirò che mentre la seconda si è discretamente difesa, mostrando una voce solida e un passabile portamento, il primo è riuscito a far rimpiangere il pur non eccelso Ryan: vibrato sgradevole e difficoltà di intonazione, con calate evidenti, che sono progressivamente emerse con l’andar del tempo, fino al silenzio (almeno alle mie orecchie) sul LA dell’ultimo verso del suo racconto (der schönen Brünnhilde Arm!)

Dagli altri interpreti solo conferme positive: in particolare la Theorin, che ha retto bene, senza ricorrere ad urli, ma anche Grochowski e, nella limitatezza della parte, Kränzle. Pure Petrenko e Samuil, che certo stanno un gradino sotto, non hanno del tutto demeritato, così come la Nekrasova (più una regina-vittoria che una Norna, smile!) e le tre ninfe acquatiche.

Orchestra forse un poco stanca, soprattutto nella sezione critica (ottoni) dove in mezzo a splendide ondate sonore sono emersi qua e là fastidiosi spernacchiamenti. Il coro di Casoni (i maschi ovviamente) ha fatto la dovuta caciara in quel second’atto che è una chiara parodia del GrandOpéra.

Barenboim non ci ha risparmiato qualche elastico nei tempi e qualche eccessivo fracasso a danno delle voci, ma la sua consuetudine con la… materia garantisce sempre prestazioni di rilievo.

Alla fine (pur essendo passata mezzanotte) un interminabile trionfo, non solo alla serata singola ma, credo proprio, a tutto il ciclo. 
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A proposito di bilanci, lascio ora agli esperti di prassi  interpretativa di spiegarci come e quantunque Barenboim abbia seguito un approccio tradizionalista o moderno, se abbia fatto riferimento piuttosto a Knappertsbusch che a Boulez, se abbia cercato di germanizzare il suono degli scaligeri o di italianizzare Wagner; e se questo Ring nel suo complesso sia da incorniciare fra le reliquie più sacre o da archiviare in solaio con altre suppellettili dismesse… Personalmente ascoltare l’intero ciclo in tempi adeguati – anche a dispetto di regìe insignificanti e di cast non più che dignitosi – mi ha gratificato a sufficienza; perciò, almeno una-tantum, dirò: grazie Scala!

29 giugno, 2013

Un po’ di Bayreuth a Milano (seconda pausa)


Per occupare il tempo fra la seconda e l’ultima giornata del Ring, la Scala si è nuovamente trasformata in sala cinematografica, dove è stato proiettato il monumentale (8 ore!) Wagner di Tony Palmer. Il regista in persona si è scomodato per introdurlo, più che altro raccontando aneddoti sulla produzione, in puro british humor. I dieci episodi in cui si suddivide il film sono stati raggruppati in tre tempi, con due intervalli.  

Un’opera assai pretenziosa che impegna un cast (soprattutto ) britannico di prim’ordine, con Burton-Redgrave (Richard-Cosima) e il trio di sir (Laurence Olivier, John Gielgud e Ralph Richardson): quindi recitazione a dir poco superlativa.

Film quasi esclusivamente incentrato sulle vicende biografiche di Wagner, mostrate in dettaglio a partire dagli anni di Dresda, con qualche flash-back sulla fuga dalla Russia, fino alla morte a Venezia, e con largo spazio ovviamente dedicato a Ludwig di Baviera.

Abbastanza poco invece sugli aspetti relativi all’estetica wagneriana e ai contenuti delle sue opere. Molta sua musica, ovviamente, a far da colonna sonora.

Una ricostruzione, mi pare, abbastanza fedele delle controverse attitudini del musicista: fondamentalmente un mangia-pane-a-tradimento, oltre che incallito antisemita, ma che si sentiva (e non a torto) investito di una nobile missione, quella di servire l’Arte con la A maiuscola e in definitiva di fare del bene all’umanità, che perciò non poteva negarli nulla…   
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In attesa di Götterdämmerung ci si può divertire al gioco di prendere Wagner in castagna… con qualche domanda impertinente.

Perché le Norne ci raccontano di Wotan che cede un occhio per bere alla fonte della sapienza (sotto l’Yggdrasil) mentre abbiamo sempre saputo che Wotan cedette un occhio per avere in moglie Fricka?

Perché Brünnhilde, che conosce alla perfezione la natura dell’Anello, la maledizione che matematicamente colpisce chi lo possiede o lo desidera e la vitale importanza che avrebbe (per l’universo intero) la sua restituzione alle acque, non invita l’ignaro Siegfried a liberarsene, e invece lo accetta in dono e poi se lo tiene testardamente per sé, invece di riconsegnarlo alle Figlie del Reno (cosa che farà solo quando sarà troppo tardi…)? 

Perché Hagen afferma che Siegfried ha sottomesso i Nibelunghi, quando il ragazzo non sa nemmeno chi siano?

Qual è il potere farmacologico del filtro preparato da Hagen (e che Gutrune fa bere a Siegfried)? Come mai Siegfried a volte ricorda bene e altre volte ricorda male (oppure dimentica) fatti e persone senza alcuna logica, che non sia quella funzionale all’Autore per portare avanti il suo dramma?

Visto che il Tarnhelm di Alberich è già stato utilizzato con successo da Fafner, perché mai non potrebbe esserlo ugualmente da parte di Gunther (ad esempio per aiutarlo ad attraversare il fuoco senza problemi)? Ciò consentirebbe di evitare tutta la pericolosa manfrina della sostituzione con Siegfried, e tutte le conseguenze che ne derivano.   

Perchè mai Siegfried, arrivando sulla rupe di Brünnhilde per sequestrarla, sotto le mentite spoglie di Gunther, suona col corno il suo proprio inconfondibile tema? E subito dopo, come mai, pur ricordando benissimo di aver preso l’Anello dalla caverna di Fafner, non lo riconosce quando Brünnhilde glielo oppone per difendersi e non si domanda come mai sia al dito della donna?  E ancora: come mai Siegfried, che opera sotto le spoglie di Gunther, dopo aver sequestrato per lui Brünnhilde ed averle strappato l’Anello, affermando che appartiene di diritto al ghibicungo, invece di consegnarlo al sodale insieme alla preda, se lo tiene al dito, innescando così tutto il putiferio che porterà alla drammatica conclusione del Ring?

Brünnhilde è stata derubata dell’anello da Siegfried travestito da Gunther e la mattina dopo passa diverso tempo in barca (per tornare a Gibichheim) con il vero Gunther: perché mai non si accorge che costui non ha più l’anello strappatole la sera prima?

E altre piccole contraddizioni si potrebbero elencare. Quali le cause possibili? Certamente la bizzarra genesi del Ring, con i testi scritti quasi a ritroso, e i conseguenti problemi di coerenza fra essi; poi, l’impresa non facile di dover correttamente riannodare nell’ultima giornata l’enorme numero di fili pendenti che le precedenti opere hanno generato; oltre al fondamentale problema derivante dalla necessità (per Wagner) di quasi stravolgere il significato della Siegfrieds Tod al momento di farne una cosa sostanzialmente e profondamente diversa (dal punto di vista estetico, ma non solo) da ciò che era stato originariamente concepito a partire dal farraginoso Nibelungenlied.

Insomma, tutto ciò ha comportato fatalmente l’emergere di piccole o grandi sfasature e/o incongruenze, che solo la straordinaria qualità della musica fa passare in secondo piano. Perciò meglio dimenticarsi di quelle, e prepararsi a godere di questa…