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28 luglio, 2020

Time-out. Muti-Berlioz (1)


Purtroppo il Covid-19 ha abbastanza scombussolato anche la mia agenda, che di solito a giugno-luglio prevede qualche capatina al Ravenna-Festival: quest’anno, tra cambi di programma della manifestazione e contrattempi vari ho dovuto rinunciare alla trasferta a casa di Muti (però faccio un applauso alla Direzione del Festival, che ha deciso di trasmettere in streaming - diretto e on-demand - tutti gli eventi). E così, tanto per ingannare il tempo, ho rispolverato un paio di incontri che il Maeschtre ebbe con Berlioz al Ravenna-Festival ormai più di due lustri addietro (2007 e 2008).

Incontri che ebbero come oggetto quel particolare - e un po' velleitario, diciamolo pure - dittico berlioziano costituito dalla Fantastica (2007-8) e dal Lélio (2008) che recano lo stesso numero d’opera, 14. Oggi è assai raro che vengano eseguiti insieme, come aveva immaginato e prescritto il compositore (ci ha provato con successo laVerdi con Flor un paio di stagioni orsono) e Muti in quelle occasioni incise su DVD e CD rispettivamente le sessioni di prova (tenutesi al Teatro Alighieri) e l’esecuzione (al Pala DeAndrè).

Insieme ad altre sei (Verdi, Schubert, Cimarosa, Mozart, Paisiello, Dvořák) le due puntate su Berlioz sono state pubblicate nel 2009 (e vendute in edicola) sotto l’egida di Repubblica-L’Espresso e poi dalla RMM nella collana Prove d’Orchestra. Dato che sono già state trasmesse in TV un paio di volte (da RAI5 e RAI1) spero di non incorrere negli strali censori di RMM pubblicandole su questo blog (che non ha certo l’audience di youtube...)

Ecco quindi la prima delle due puntate, dedicata alla Symphonie Fantastique. Muti qui - come anche nel successivo Lélio - assembla ben due orchestre: la sua creatura (Orchestra Giovanile Luigi Cherubini) e quella del compianto (ma nel 2007-8 ancora vivo e vegeto) Piero Farulli (Orchestra Giovanile Italiana di Fiesole). Il che gli dà modo, ad esempio, di schierare quattro arpe per il secondo movimento.

Qui il video della prova. (Purtroppo i tools di conversione e join dei componenti originali del DVD hanno portato qualche scompenso... leggi una certa asincronia fra video e audio. Pazienza.)    

Muti non smentisce la sua fama di persona non proprio raffinata, quasi rimproverando e prendendosi gioco di uno spettatore (o spettatrice) che chiede di alzare il volume del microfono. Poi si produce in un autentico strafalcione musicale, quando sostiene che l’Idée fixe di Berlioz non c’entra per nulla con i Leitmotive di Wagner: perchè è vero esattamente il contrario, e lui stesso lo spiega involontariamente raccontando - anche con gli interventi degli strumentisti - di come quel tema torni più volte sempre variato, modificato, addirittura stravolto... precisamente come succede ai temi nel trattamento di Wagner.

Prima della prova, Muti non perde occasione per ripetere che la musica non si comprende (al massimo si può afferrare la struttura di un brano...) e che quindi ciascuno di noi la può e la deve interpretare secondo la propria sensibilità e il proprio gusto: beh, detto a proposito di musica a programma, ciò equivale a dequalificare assai il programma stesso, indicato dall’Autore! Va detto però che spesso furono proprio gli stessi Autori (dopo Berlioz, Mahler, uno per tutti) a creare confusione, presentando programmi espliciti per le loro sinfonie per poi disconoscerli e ritirarli, invitando l’ascoltatore semplicemente ad... ascoltare, per poi farsi un’idea personale dell’opera.

Emblematica la frecciata che il Maestro riserva (alla fine del primo movimento) a chi dovrebbe aver a cuore la cultura e la musica nel nostro Paese: se uno solo dei ragazzi che suonano qui, dopo anni e anni di studio non dovesse trovare posto in un’orchestra, per lo Stato italiano ciò sarebbe un delitto. (Beh, temo ahinoi che oggi ci siano in giro parecchi serial-killer...)

Muti non si risparmia anche qualche auto-compiaciuta gigioneria, come all’attacco del finale...


(1. continua)

23 luglio, 2020

Da Bayreuth un festival virtuale


Già dallo scorso marzo, a fronte del dilagare del Covid-19, la Direzione del Festival aveva dovuto annunciare al mondo la ferale notizia della cancellazione dell’edizione 2020, rimandata per il momento al 2021 (ma quasi sicuramente senza la nuova produzione del Ring di Inkinen-Schwarz). Il glorioso Festspielhaus resterà quindi mestamente chiuso fino a... nuovo ordine.    

É la prima volta dal dopoguerra - esattamente dal 1951, anno di riapertura del Festival affidato alla guida dei fratelli Wieland (1917) e Wolfgang (1919) nipoti del compositore - che la kermesse wagneriana non si tiene. Come curiosità statistica, dall’inaugurazione del 1876 le annate buche di Bayreuth sono state (compresa quest’ultima) 37 e precisamente:

1877-1881
1885
1887
1890
1893
1895
1898
1900
1903
1905
1907
1910
1913
1915-1923
1926
1929
1932
1935
1945-1950
2020

Naturalmente a Bayreuth si son dati da fare per non apparire... morti ed hanno predisposto una nutritissima serie di appuntamenti culturali, compresa una simbolica inaugurazione del Festival nella data e ora tradizionale (25/7 ore 16) che il padrone di casa musicale Thielemann terrà in villa Wahnfried ed alla quale potranno assistere dal vivo (in giardino) 400 persone, ma che sarà irradiata in diretta dalla Radio bavarese. I proventi saranno destinati ad un fondo di solidarietà con gli artisti del Festival, che quest’anno rimangono senza lavoro.

In collaborazione con la Deutsche Grammophon - e per coprire almeno le spese -  verrà inoltre proposto a pagamento (€ 4,90 a rappresentazione) al vasto pubblico del web un festival virtuale, 16 appuntamenti, 14 dei quali sovrapposti come date ad altrettanti dei 32 mancati causa chiusura. Qui una tabella che mostra la corrispondenza - giorno per giorno - fra il programma originario 2020 (poi saltato) e il festival virtuale:


Interessanti le due produzioni del Ring: la più recente e quella rimasta famosa (anche per le contestazioni) del centenario.  

La Radio Bavarese e 3sat offrono da parte loro un nutrito programma di riproposte di spettacoli e registrazioni storiche del Festival.

Insomma, quest’anno è andata così e non ci restano che questi amarcord...    

22 luglio, 2020

BeethovenSummer tutta eroica


Il programma di questa settimana lascia un turno di riposo alla tastiera per dedicarsi al Beethoven eroico. Programma davvero impegnativo, se si pensa alla ristrettezza di organico strumentale imposta dalle regole di distanziamento sociale. Il che mette un po’ in crisi la nostra attitudine all’ascolto di queste opere, i cui suoni ormai da più di un secolo vengono portati alle nostre orecchie da orchestre di dimensioni normalmente doppie di ciò che oggi passa il convento.

Flor schiera la sua pattuglia ancora con i violini secondi al proscenio e i corni (come prescritto, 4 per l’ouverture ma solo 3 per la sinfonia) in alto a destra, proprio sopra i timpani.  

L’antipasto è costituito appunto dall’Ouverture dell’Egmont, che Flor aveva diretto qui poco più di due anni orsono: allora gli avevo giusto rimproverato un eccesso di volume e di magmatismo di suono e devo dire che - grazie al Covid - l’esecuzione di stasera mi è parsa più pulita e trasparente.  
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Ed eccoci al piatto forte della serata, l’OP.55, autentica pietra miliare non solo del sinfonismo, ma della musica tutta. Mi permetto di segnalare, nell’iniziale Allegro con brio, il mirabile passaggio in pianissimo che porta dallo sviluppo alla ripresa, quando entra a sorpresa il secondo corno; nella Marcia funebre il passaggio in Maggiore di flauto e oboe; nello Scherzo la performance del Trio degli ottoni e nel Finale l’esitante ripresa del tema (Poco Andante) nell’oboe.

Alla fine pubblico entusiasta e Flor che risponde con applausi a quelli provenienti dalla sala, dove si è notata la significativa presenza di Filippo Del Corno, assessore alla cultura del Comune di Milano, un’attestazione di vicinanza delle pubbliche Istituzioni cittadine a chi opera, nonostante tutte le avversità, per tenere aperte le porte della cultura.

16 luglio, 2020

Lupo con Flor alla BeethovenSummer


Dopo due concerti animati da direttori-solisti, si torna alla normalità: Claus Peter Flor sul podio de laVerdi e Benedetto Lupo alla tastiera. Compagine come sempre fra i 30 e i 40 strumentisti. Flor mette tutti i violini al proscenio (cosa frequente) ma (cosa singolare) inverte le sedie di prime parti (Dellingshausen e Viganò) e concertino (Giust e Rosato).

É la Prima Sinfonia ad aprire il programma: Berlioz non ne aveva grande stima, ma bisogna ricordare che Mozart e Haydn avevano alzato assai l’asticella per chiunque provasse ad avventurarsi in quel genere di composizione. Ma partendo da qui, Beethoven porterà quell’asticella ad altezze vertiginose, ponendo un termine di paragone con il quale si dovranno confrontare tutti per almeno un secolo!

Così, grazie all’orchestrina, noi possiamo apprezzare questo lavoro con il quale timidamente e rispettosamente il genio di Bonn si affaccia all’orizzonte del nuovo secolo.
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Ecco infine il Lupo redivivo cimentarsi con quello che si può definire il primo vero concerto ottocentesco di Beethoven: il Terzo. Temi eroici e languidi si alternano nel due movimenti esterni, mentre il centrale e cantabile Largo si stacca per la tonalità remota (MI naturale) rispetto al DO di impianto del concerto, per poi degradare di un semitono per l’attacco del Rondò; uno schema che tornerà quasi identico nell’Imperatore: SI-SIb).

Lupo si conferma interprete di grande sensibilità: a Valentina Trovato, che lo ha intervistato per il programma di sala, si dice ammirato dalla rivoluzionaria cadenza del primo movimento, che lui davvero ci porge in tutta la sua potenza espressiva.

Applausi animati da calore inversamente proporzionale al... numero delle mani, e così Lupo ringrazia ricordando il ventennale del suo esordio in Auditorium (col Quarto beethoveniano diretto da Peter Maag) e dicendosi felice di dare il suo primo concerto post-lockdown con laVerdi. Infine si congeda con il primo degli otto Fantasiestücke op.12 (Des Abends, in REb maggiore) di Robert Schumann (che pare a prima vista... Chopin).

09 luglio, 2020

Lonquich alla BeethovenSummer


Dopo Romanovsky ecco un altro Alexander, Lonquich, proseguire la rassegna beethoveniana de laVerdi presentando due opere e cimentandosi (come già l’ukraino una settimana fa) come direttore e solista. Proprio come aveva fatto 18 mesi orsono in occasione della sua precedente apparizione in Auditorium (Schumann e Schubert allora).

Sul palco, ben distanziati, 38 elementi dell’organico, solo 5 dei quali avevano suonato mercoledi scorso: in pratica, laVerdi può vantare due orchestre di calibro settecentesco...

Confesso di faticare assai ad abituarmi a questo forzato regime di semi-lockdown: gli ampi spazi vuoti determinati dalle inflessibili regole di distanziamento finiscono quasi per snaturare l’essenza stessa della fruizione di queste opere d’arte. Le quali si rivolgono sì all’individuo (che oggi, grazie alla tecnologia, ne può fruire privatamente a suo totale piacimento) ma come parte di una comunità, il che suppone vicinanza, contatto, comunione di sensazioni... Evabbè, speriamo che il vaccino-toccasana arrivi presto!

Lonquich ci presenta la Seconda del genio di Bonn quasi in punta di piedi: una visione piuttosto settecentesca, che non fa emergere del tutto i prodromi dell’Eroica, che si nascondono qua e là in questa partitura per nulla facile (il pubblico che la udì per la prima volta rimase colpito dalle sue arditezze). In effetti può darsi che il nostro giudizio su questa sinfonia possa essere influenzato dal fatto che la udiamo sempre suonata da compagini di 70-80 elementi come minimo e che quindi, ascoltandola oggi da un ensemble ridotto ci appaia come una sinfonietta dello Haydn di Esterhaza...

In ogni caso i fedelissimi dell’Auditorium non hanno fatto mancare convinti applausi.

Non è previsto in questi concerti un intervallo in piena regola (bar chiuso e toilette solo su... prenotazione) per cui si ha giusto il tempo di portare il pianoforte al proscenio: a differenza di Romanovsky e similmente a quanto fatto l’anno scorso, Lonquich fa sistemare lo strumento nella posizione canonica, tenendosi vicino la spalla Dellingshausen. Il quale (a testimonianza della certosina osservanza delle regole anti-virus) avvicinandosi alla tastiera per suonarvi il LA, prima di ordinare al primo oboe (Emiliano Greci) di fare lo stesso, si munisce di mascherina d’ordinanza e pure calza la mano destra con un guanto di cotone!

Il Quarto concerto è da molti considerato il più difficile dei cinque. Lonquich approfitta del suo doppio ruolo di solista e Direttore per superare senza patemi quel minuto o giù di lì che trascorre fra le prime 5 battute, a carico del solo solista che poi si tace, e la battuta 74, dove il solista torna in campo: lui può impiegare il tempo (anzichè a domandarsi se abbia attaccato bene o no) alzandosi dallo sgabello e dirigendo l’orchestra!

Ne esce un’interpretazione di alto livello: anche qui, pur essendo nel 1806, si sente ancora l’eredità mozartiana, sulla quale si innestano innovazioni straordinarie (vedi la conclusione del centrale Andante con moto, roba espressionista nientemeno). Lonquich resta sempre in punta di piedi, tiene l’orchestra a briglie strette e impiega sapientemente il rubato: ne esce un risultato allineato, direi, alle circostanze.

Primo bis con Brahms (Intermezzo Op.118 n°2 in LA) e, dopo applausi ritmati, un secondo con Mozart (Minuetto K355 in RE).

02 luglio, 2020

Romanovsky apre la BeethovenSummer


Alexander Romanovsky ha dato il via ieri sera a questa stagione estiva del tutto particolare per laVerdi. Auditorium di Largo Mahler sottoposto a smagrimento per ottemperare alle normative anti-Covid19: file di platea addirittura rimosse e rispettoso distanziamento fra gli spettatori; un ambiente davvero insolito, che di primo acchito ti dà l’impressione piuttosto sgradevole di un luogo semideserto...

Ma ecco che, banditi i discorsi di circostanza (che la Presidente Redaelli e il DG Jais hanno affidato alle pagine del programma di sala) la serata ha vissuto subito il suo momento più emozionante, all’ingresso sul palco dei 36 ragazzi dell’Orchestra: quando, dai rari-nantes sparsi qua e là è partito un applauso interminabile, direi proprio accorato, come a testimoniare un senso di liberazione, dopo l’altrettanto interminabile (4 mesi!) attesa di potersi nuovamente incontrare, attesa che ormai sembrava doversi prolungare all’infinito.

La prima giornata della serie - si replica questa sera a Milano e poi domani a Lecco - poggia interamente sul monumentale Quinto Concerto. Che oggi ascoltiamo come probabilmente lo ascoltavano i viennesi più di due secoli fa, quanto meno dal punto di vista dell’organico strumentale, ridotto a dimensioni... settecentesche.

Suonando con le spalle rivolte al pubblico (pianoforte disposto ortogonalmente rispetto al proscenio) l’ormai italiano Romanovski (36 anni fra poche settimane, ben più della metà trascorsi qui da noi...) ha sciorinato la sua grande tecnica, ma ha anche dato a questo Beethoven eroico una vena quasi... russa. E non per nulla, dopo aver ringraziato laVerdi ricordando che la cultura, e la musica, non sono un privilegio, ma un bisogno per ciascuno di noi, ha onorato l’Orchestra dirigendola nel Vocalise di Rachmaninov. Infine si è congedato con il suo amato Scriabin.