Il programma di
questa settimana lascia un turno di riposo alla tastiera per
dedicarsi al Beethoven eroico.
Programma davvero impegnativo, se si pensa alla ristrettezza di organico
strumentale imposta dalle regole di distanziamento
sociale. Il che mette un po’ in crisi la nostra attitudine all’ascolto di
queste opere, i cui suoni ormai da più di un secolo vengono portati alle nostre
orecchie da orchestre di dimensioni normalmente doppie di ciò che oggi passa il
convento.
Flor schiera
la sua pattuglia ancora con i violini secondi al proscenio e i corni (come
prescritto, 4 per l’ouverture ma solo 3 per la sinfonia) in alto a destra, proprio
sopra i timpani.
L’antipasto
è costituito appunto dall’Ouverture
dell’Egmont,
che Flor aveva diretto qui poco
più di due anni orsono: allora gli avevo giusto rimproverato un eccesso
di volume e di magmatismo di suono e
devo dire che - grazie al Covid - l’esecuzione di stasera mi è parsa più pulita
e trasparente.
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Ed eccoci
al piatto forte della serata, l’OP.55, autentica pietra miliare non
solo del sinfonismo, ma della musica tutta. Mi permetto di segnalare, nell’iniziale
Allegro con brio, il mirabile
passaggio in pianissimo che porta
dallo sviluppo alla ripresa, quando entra a sorpresa il secondo corno; nella Marcia funebre il passaggio in Maggiore di flauto e oboe; nello Scherzo la performance del Trio degli ottoni e nel Finale l’esitante
ripresa del tema (Poco Andante) nell’oboe.
Alla fine
pubblico entusiasta e Flor che risponde con applausi a quelli provenienti dalla
sala, dove si è notata la significativa presenza di Filippo Del Corno, assessore alla cultura del Comune di Milano, un’attestazione
di vicinanza delle pubbliche Istituzioni cittadine a chi opera, nonostante
tutte le avversità, per tenere aperte le porte della cultura.
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