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08 marzo, 2025

Orchestra Sinfonica di Milano - 24-25.19 – Claus Peter Flor

Dopo Xian Zhang, ecco il secondo Direttore Emerito dell’Orchestra Sinfonica di Milano fare la sua rimpatriata per proporci un concerto che accosta il maturo, ma ancora arzillo, Haydn londinese, al giovin di belle speranze DvořákPubblico… ehm… selezionato, ecco

Del capostipite riconosciuto della prima scuola di Vienna ascoltiamo una delle Sinfonie composte in terra albionica, catalogata come Hoboken 101 e nota come La Pendola, per il tipico ritmo da orologio che ne caratterizza l’Andante. [Qui una mia sommaria presentazione della Sinfonia.]

Flor ne aveva diretto la precedente apparizione qui in Auditorium nel luglio 2021, appena usciti dal Covid. E anche ieri, come allora, il quartetto delle prime parti degli archi è stato il protagonista dell’esecuzione. E Dellingshausen in particolare, avendo suonato da solista i diversi ritorni del tema della Pendola… Ma gli applausi sono andati poi a tutti i membri dell’orchestra, opportunamente smagrita per creare proprio l’atmosfera tutta settecentesca del brano.  

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La Quinta Sinfonia di Antonin Dvořák fu originariamente pubblicata dall’editore Simrock nel 1888 come Terza (dopo la 6 op. 60 e la 7 op.70) e con un numero d’opera (76) assai alto, per farla passare come fosse una primizia, mentre l’opera giaceva nei cassetti di Dvořàk da più di 13 anni ed era già stata anche eseguita a Praga quasi 10 anni prima!

La poca chiarezza sulla numerazione delle sinfonie del boemo fu anche colpa dell’autore medesimo, che trattava così maldestramente le sue composizioni da perderle per strada (come accadde alla prima sinfonia, il cui manoscritto, inviato ad un concorso, non gli fu mai restituito) o da vederle confiscate dal rilegatore (la seconda) che Dvořàk non aveva i soldi per pagare (!) Così per anni e anni circolarono solo alcune delle nove sinfonie, nell’ordine la 6-7-5-8-9 che erano numerate da 1 a 5. Si sospetta che Dvořàk giocasse anche un po’ con la cabala, inventando trucchi pur di non arrivare al fatidico nove

Questa Sinfonia era stata eseguita qui in Auditorium soltanto una volta, nel gennaio-febbraio 2013, all’interno di quello che avrebbe dovuto configurarsi come il ciclo completo – spalmato su tre stagioni - delle nove sinfonie dirette dal venerabile Aldo Ceccato. Il quale, forte della sua personale, lunga esperienza fatta in terra boema (come Direttore Artistico a Brno) aveva pensato di andare a ritroso, partendo dall’ultima (il Nuovo Mondo, ottobre 2011) per poi risalire fino alla prima (Le campane di Zlonice). [Di fatto il cammino si interruppe a ottobre 2013 con l’esecuzione della Terza…]

Ecco una mia presentazione dell’opera, scritta proprio in occasione della precedente esecuzione di Ceccato.

Flor ne ha dato un’interpretazione vibrante, impiegando modica ma sapiente quantità di rubato nel movimento iniziale, esaltando il carattere intimistico dell’Andante senza peraltro farne un pezzo decadente; trascinante lo Scherzo, dai tratti schubertiani e bruckneriani; travolgente poi il finale, con il suo tema spiritato e i poderosi, teatrali interventi dei corni.

Insomma, essendo difficile, anzi impossibile per chiunque, trasformare un’opera dignitosa in un capolavoro assoluto, dobbiamo ringraziare Flor e i ragazzi di avercela fatta digerire senza bisogno di… alkaselzer. Più che doverosi e meritati quindi gli applausi e le ovazioni di cui il pubblico li ha gratificati.


17 febbraio, 2024

L’Orchestra Sinfonica Giovanile di Milano con Tjeknavorian

Nel giorno libero fra le due esecuzioni del concerto della stagione principale, Emmanuel Tjeknavorian ha pensato bene di dare una mano anche alla crescita della Sinfonica Giovanile (già passata al vaglio lo scorso dicembre da Treviño) dirigendo un bel concerto di musiche boeme.

Abbiamo così ascoltato la famosissima Moldava, che Smetana incluse come secondo poema sinfonico nel ciclo dei sei che costituiscono La mia Patria. La Moldava è in effetti il fiume simbolo della Boemia, che attraversa da sud a nord, sfociando nella più piccola Elbe (poco sopra Praga) alla quale lascia però cavallerescamente il nome per i restanti 600 Km che ancora separano il fiume dalla foce presso Amburgo, dopo aver attraversato mezza Germania. In poco più di 150 Km in linea d’aria (fra sorgente e foce) la Moldava compie un percorso di ben 430 Km, il che rende bene l’idea della sua importanza per quei territori.

Dopo che flauti e clarinetti (Allegro commodo non agitato, 6/8) hanno evocato le due sorgenti del fiume, ecco negli archi il famoso tema principale in MI minore (che viene dall’Italia e compare anche nell’inno nazionale d’Israele) che poi ci porta in DO e FA maggiore attraverso una caccia nei boschi, poi (L’istesso tempo, ma moderato, 2/4, SOL maggiore) ad una festa di nozze di contadini; quindi, modulando a LAb maggiore ad una danza notturna di ninfe, in 4/4; dopo un passaggio in MI maggiore, ritorna in MI minore, 6/8, il tema principale del fiume, che poi si getta - con diverse modulazioni di tonalità - nei gorghi e nelle rapide di SanGiovanni; riecco (Più moto) la Moldava nel poderoso procedere delle acque (ritorno del tema principale in MI maggiore) e poi si sale su a nord fino a passare ai piedi del mitico castello di Vyšehrad, che riconosciamo musicalmente dalla comparsa del suo tema, protagonista dell’omonimo primo poema del ciclo, che ci accompagna... alla foce.

A proposito ribadisco un mio auspicio: che laVerdi metta in cantiere l’esecuzione integrale del ciclo, che merita un concerto tutto per sé… magari diretto da Tjeknavorian, visto come ha saputo interpretare questa partitura, che mescola visioni paesaggistiche e di bellezze naturali a nobili contenuti storici e patriottici.

L’Orchestra, grazie anche alla presenza di alcuni tutor che militano in quella principale (la spalla Dellingshausen in testa) ha risposto benissimo al gesto essenziale ma efficace del Direttore. Bravissime in particolare le quattro flautiste/clarinettiste ad evocare ora i gorgoglii, ora le rapide del grande fiume. Applausi per tutti.
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Ha poi chiuso il pomeriggio la penultima sinfonia di Dvořák, l’Ottava, che ha poco da invidiare alla celeberrima che venne dal nuovo mondo… (Qui alcune mie note scritte in occasione di una precedente esecuzione di Xian, e basate su una registrazione del venerabile Kubelik).

Pubblico assai folto (non proprio come ieri, ma fuori impazzava il carnevale…) che ha subito applaudito l’Allegro con brio, e poi ha premiato tutti alla fine con lunghi applausi e l’ormai consueto rituale dei battimani ritmati in onore del Direttore, che evidentemente sta entrando in piena sintonia con i musicisti (senior e junior) ma anche con il pubblico. E che, a questo punto, siamo ansiosi di rivedere e riascoltare (salvo sorprese estive…) a settembre!

07 giugno, 2023

Rusalka incanta la Scala

Ieri sera è quindi approdata finalmente al Piermarini (con vari buchi… ma peggio per gli assenti) la Rusalka di Antonín Dvořák, colmando così una imperdonabile lacuna nel curriculum scaligero. Dico subito che con questa produzione il Teatro si fa, almeno in parte, perdonare il ritardo, ecco!

Il merito va equamente distribuito fra tutte le componenti della squadra, a partire ovviamente da quella più importante, i suoni. La direzione impeccabile del 53enne di Brno, Tomáš Hanus, ha saputo valorizzare quanto di buono c’è in questa affascinante partitura: gli squarci idilliaci e sereni del mondo innocente della Natura; le pulsioni della protagonista, i suoi sogni, le sue speranze, poi le cocenti delusioni e infine la rassegnazione per l’esito della sua avventura, rassegnazione che tuttavia lascia aperto uno spiraglio di Mitleid a mitigare il nichilismo della conclusione; e infine il mondo degli umani, con tutte le sue classiche manifestazioni: superficialità, vanagloria, superbia e presunzione, credulità e superstizioni.

L’Orchestra da parte sua ha mostrato di trovarsi a suo agio con questo Dvořák tardoromantico, che sa coniugare la freschezza dell’ispirazione legata alle tradizioni della sua terra boema con il lascito wagneriano, senza mai cadere nel banale o nel melenso. Il coro di Alberto Malazzi ha dato il suo valido contributo, soprattutto nella parte femminile che impersona ninfe e ondine, così come nel breve passaggio della festa al castello.

Quanto alle voci, Olga Bezsmertna ha convinto nell’interpretazione della sfortunata ninfa, nei suoi mutamenti di… genere e quindi di umore; la voce ha forse qualche debolezza nelle note gravi, mentre al centro e sugli acuti ha dato il meglio di sé. Per lei un franco successo, premiato da una prima uscita singola nella quale si è presentata alzando e poi avvolgendosi nella bandiera giallo-blu della sua martoriata terra. Ma a proposito di politica e di guerra, davvero evocativa (e chissà se beneaugurante) la scena su cui cala il sipario: un russo (non importa se filo-putiniano o meno) che muore fra le braccia di un’ukraina che ha cercato la libertà, pentito per i torti che le ha inflitto in vita!

Il russo è Dmitry Korchak, che ormai si sdoppia fra canto e direzione d’orchestra: la voce è sempre chiara e squillante (viene da… Pesaro, non dimentichiamolo) e il suo Principe ne è stato ampiamente beneficiato.    

La Principessa passa come una meteora solo nel second’atto: Elena Guseva ha fatto del suo meglio, mostrando bella voce e sufficiente grinta nell’impersonare questa donna sfacciata e presuntuosa.   

Da elogiare la Strega di Okka von der Damerau, che non si è fatta trascinare dalla parte in inutili sguaiatezze, ma anzi ha caricato di drammaticità i suoi interventi; perfetta nella messa-nera del primo atto!        

Jongmin Park ha impersonato un Vodnik un po’ monocorde, mentre dovrebbe almeno differenziare il suo canto fra la disperazione per la sorte della figlia e gli anatemi verso Principe, Principessa e… lo sguattero portavoce. Voce potente ma un po’ troppo cavernosa: chissà se per questo ha avuto gli unici due buh piovuti dal secondo loggione.

Onorevoli la parti di contorno: il guardiacaccia Jiří Rajniš ha mostrato una solida voce baritonale, più adatta - secondo me - al ruolo rispetto a quella di tenore, cui pure viene spesso affidato, addirittura fin dalla prima; Svetlina Stoyanova, lo sguattero en-travesti, soprattutto nella prima scena del second’atto; e il cacciatore di Ilya Silchukou, che ha una parte davvero minuscola, ma l’ha svolta con diligenza.  

Assai bene le tre Ninfe del bosco, Hila Fahima, Juliana Grigoryan e Valentina Pluzhnikova, sia nelle parti singole (atto III) che in quelle a trio.

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Vengo ora allo spettacolo di Emma Dante. L’ambientazione esteriore è proprio da fiaba, come testimoniano le scene di Carmine Maringola e anche i bellissimi costumi di Vanessa Sannino. Efficaci le luci di Cristian Zucaro e appropriate e mai invadenti le coreografie di Sandro Maria Campagna.

La regista ha coniugato con grande efficacia l’aspetto favolistico del soggetto con i risvolti di natura sociologica, riservando per questi ultimi il secondo atto dell’opera.

La scenografia del primo atto ci mostra la facciata stilizzata di un palazzo davanti al quale si trova una piscinetta che simbolizza l’acqua del lago. Già durante il Preludio vediamo il Principe aggirarsi presso lo… stagno in cerca forse di qualcosa di… esotico, e Rusalka arrivare e contemplarlo spinta su una gran sedia a rotelle, con tentacoli che le escono da sotto la gonna: chiara e didascalica, ma efficace, evocazione della sua natura non-umana ma attirata dall’umanità.

Il suo passaggio a essere umano avviene nel corso di una vera e propria messa nera (con presenza di diavoletto scodinzolante) che la Strega celebra su una specie di altarino, con tanto di calici e ampolline: una parodia dissacrante che la Dante fa delle liturgie ecclesiastiche e, in generale, della religione (dico per inciso che qui ci sta tutta, quanto invece era gratuita nella sua Carmen…)

Il cambiamento di… genere avviene rimuovendo a Rusalka i tentacoli e poi, per metterla in verticale, facendola aggrappare ad un enorme amo da pesca calato dall’alto: immagine eloquentissima a spiegare il fenomeno (amo-re) che ha spinto l’ondina all’avventura impossibile!

 

Il secondo atto si apre davanti ad una parete (un sipario, in effetti) fatta di foltissimo fogliame, che fa da sfondo al siparietto di guardacaccia e sguattero. Ma il fogliame maschera la presenza di esseri mostruosi che poi si palesano come strani animali, simili ad orsi: il tutto supporta assai bene il racconto del guardiacaccia a proposito delle presenze del bosco. Poi il sipario-foresta si alza (lasciando anche cadere qualche rametto…) per mostrarci la sala del palazzo del Principe, dove ritroviamo la piscinetta nella quale è immerso un tavolo dove mangiano gli invitati.

 

E cosa mangiano? I tentacoli che erano stati rimossi a Rusalka! Ecco, è l’indizio che qui si comincia anche a fare un po’ di sociologia: non per nulla Rusalka ne rimane allibita. La scena è carica di simboli che rimandano alla non accettazione o all’irrisione del diverso, cosa che fa la Principessa nel reclamare dal Principe l’accoglienza che le spetta per diritto di… etnia (!?)

 

Alle danze si aggiunge agli invitati la stessa Rusalka, che però comincia pericolosamente a barcollare… chiaro indizio che la sua posizione nel mondo degli umani è ormai messa in pericolo. E addirittura la danza e la successiva marcia nuziale (à-la-Lohengrin) degli invitati si trasforma invece in un autentico funerale, dove una Rusalka imbalsamata viene deposta sul tavolo immerso nell’acqua (come dire: questa è la fine che farai, tornatene da dove sei venuta!)

 

A questo punto ridiscende provvisoriamente il sipario… boschivo per accogliere al proscenio l’incontro decisivo fra Principe e Principessa. La quale dapprima sembra convinta di aver ormai raggiunto il suo obiettivo, ma poi, di fronte alle perplessità e ai rimorsi del Principe dopo le minacce di Vodnik, lo manda al diavolo e se ne va, mentre il bosco si ritira in alto per mostrare una Rusalka troneggiante su un’imponente massa di tentacoli!

 

L’atto conclusivo rispecchia con fedeltà quasi assoluta il libretto: siamo tornati allo scenario iniziale, ma assai invecchiato e sfiorito. Rusalka è tuttora umana, ma fatica a reggersi in piedi e ancora ha bisogno dell’amo cui aggrapparsi.

 

Dopo l’intermezzo di guardiacaccia, sguattero e strega, e il nuovo incontro delle ninfe con Vodnik, ecco il poeticissimo finale, con il Principe che muore (proprio come Tristan) fra le braccia di Rusalka.

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Insomma, uno spettacolo di altissimo livello che il pubblico (almeno quello rimasto fino alla fine…) ha accolto con una decina di minuti di applausi per tutti. Certo è una delle migliori produzioni di questo 22-23 scaligero.

02 giugno, 2023

A 122 anni suonati Rusalka emerge alla Scala

Della serie: non è mai troppo tardi, ecco in arrivo alla Scala Rusalka di Antonín Dvořák, opera nata all’inizio dello scorso secolo (la prima ebbe luogo a Praga, domenica 31 marzo, 1901).

Rusalka è una delle rappresentanti di creature femminili semi- o ultra- o para-umane: arriva da noi in coda ad una lunga dinastia che – per non retrocedere fino all’antica Grecia - pare iniziare in Europa con la medievale Melusine (quella che musicherà Mendelssohn…) alla quale si ispirarono poi, nella prima metà dell’800, la Undine di De la Motte e Den lille Havfrue (la Sirenetta) di Andersen.

Ma anche le Figlie del Reno di wagneriana memoria discendono da lì (le loro evoluzioni nel Rheingold sono musicalmente parenti di quelle di Mendelssohn). E a proposito di Reno, che dire poi della Loreley messa in musica da Catalani.

Dietro a tutte le storie di questa lunga serie ovviamente si nascondono (più o meno) simbolismi di varie fatte, e Rusalka non ne è certo sfornita. Nel libretto di Jaroslav Kvapil troviamo due mondi che sembrano inconciliabili (e qui l’odierno assetto del nostro Pianeta e i problemi e contrasti che vi nascono possono essere impiegati dal regista per dare attualizzazione al soggetto): quello della Natura incontaminata (boschi, laghi e creature che li abitano) e quello della società umana, i cui rappresentanti portano valori quasi esclusivamente negativi. Più il personaggio di Ježibaba, la strega, un rifiuto della società da cui vive separata e temuta. Al di sopra, lontana ma sempre presente, la luna, che esercita sotto varie forme la sua perenne attrazione.

Dvořák impiega i collaudati strumenti del tardo-romanticismo per evidenziare – alle nostre orecchie – i due mondi che si contrappongono: melodie sognanti ed elegiache per la Natura, musica secolare e melodrammatica quella del mondo degli umani. 

I personaggi principali sono cinque: oltre alla protagonista Rusalka (indecifrabile creatura acquatica) abbiamo Vodník, che come lascia intuire la radice del nome (Voda=Acqua) è il Signore delle acque, nonché genitore (qualunque cosa significhi, nella fattispecie) di Rusalka e custode della purezza di ciò che vive nelle liquide profondità (Traulich und treu ist's nur in der Tiefe, cantano le wagneriane abitatrici del Reno); poi il Principe, classico esempio di figlio-di-papà, viziato, incostante e inconsistente, che trascinerà Rusalka alla perdizione, perdendo se stesso; quindi la Principessa straniera, che impersona la superbia e la presunzione di una che pensa che tutto le sia dovuto; e infine la strega Ježibaba, onnipotente nell’esaudire i desideri più improbabili, quanto nel porre ai beneficiari micidiali e quasi impossibili condizioni da rispettare, pena la totale perdizione.

Attorno a loro si muovono poi ninfe abitatrici del bosco, le sorelle di Rusalka e caratteri umani più o meno prosaici, se non insignificanti (invitati alla festa, cacciatore, guardia forestale e sguattero). 

Prima di passare ad una sommaria esegesi, ecco i riferimenti ad esecuzioni integrali rintracciabili in web:

1961: Chalabala-Šubrtová, Teatro Nazionale Praga (solo audio)

1986: Elder-Hannan, English National Opera

1996: Belohavek-Jenisova, Teatro Nazionale Praga 

2002: Conlon-Fleming, Opéra National de Paris

2008: WelserMöst-Nylund, Cleveland

2011: Anguélov-Strid, Teatro de Bellas Artes, Mexico

2017: Elder-Opolais, MET (solo audio)

2019: Ticciati-Matthews, Glyndebourne
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Il breve Preludio inizia in DO minore, con una veloce figurazione dei celli, sostenuti dai timpani, che introduce un languido motivo di violini e legni (motivo che, portato in modo maggiore, riudiremo più di una volta nel seguito, soprattutto associato a Rusalka):
Anche qui la tonalità vira presto al MIb maggiore che evoca tradizionalmente la Natura, con i corni che classicamente rappresentano le voci del bosco. Verso la conclusione fa la sua comparsa una figura di 4 note cromaticamente ascendenti, nei legni, che capiremo evocare l’acqua e il suo Signore:

Il primo dei tre atti dell’opera (di struttura tripartita, pur senza soluzione di continuità) si apre con una scenetta che ricorda l’inizio del Rheingold, ma totalmente depurata di ogni carattere drammatico: mentre la luna riflette la sua luce sulla superficie del lago, ecco le (tre!) ninfe del bosco esibirsi in canti e balli (Zvědavě se hloubku dívá, LA maggiore):

Incuriosito, ecco Vodník emergere con il busto dall’acqua e cercare, con modi bonari e goffe movenze, di acchiappare ora l’una ora l’altra delle ninfe che gli sfuggono divertite, dopo averlo innocentemente adescato.

Un lungo arpeggio ci annuncia la presenza di Rusalka, che è fuori dall’acqua (e questo è già indice della sua attitudine ribelle) e confessa al padre (in orchestra si ode il languido tema di apertura del Preludio) il suo desiderio di abbandonare il suo habitat naturale per assumere fattezze umane e soprattutto avere un’anima, che gli umani conservano anche dopo la morte, nell’aldilà. Vodník ne è colpito, avverte la figlia che avere un’anima è un peccato (filosofia di Anassimandro…) 

Lei ora fa la sua confessione (Sem často přichází, in FA maggiore):

Racconta di provare amore per un essere umano (il Principe che lei vede – e… avvolge - ogni giorno, quando lui si bagna nel lago) al che il padre si dispera per l’imminente perdita di una figlia, ma allo stesso tempo non si oppone alla sua volontà, anzi è lui stesso a suggerire a Rusalka di rivolgersi alla strega perché la aiuti ad esaudire il suo desiderio.

Měsíčku ne nebi hlubokém, l’aria (o romanza, o ballata, o canzone, come la si voglia definire, in SOLb maggiore, 3/8) più famosa dell’opera è la preghiera che Rusalka rivolge al chiaro di luna, implorando di poter essere vista e amata dal Principe:

Al termine delle due strofe fa capolino la figurazione cromatica udita nel Preludio, a ricordarci che è l’acqua che alla fine si riprenderà la sfortunata ondina.

Che adesso, mentre il padre ancora si dispera, chiama la strega, che appare sulla soglia della sua stamberga. In questa seconda parte dell’atto facciamo la conoscenza di Ježibaba, che rappresenta più o meno l’anello di congiunzione fra il naturale e il soprannaturale: lei è umana ma conosce segreti ignoti agli umani e sfrutta queste conoscenze per accontentare (e ricattare!) chiunque le si rivolga per ottenere da lei ciò che non può procurarsi con le proprie capacità.

Rusalka, preceduta dal motivo di apertura del preludio, le spiega la sua condizione, il suo insopprimibile desiderio e la fiducia che lei nutre nei suoi poteri magici (Staletá moudrost tvá všechno ví, FA# minore e relativa LA maggiore):

Ma anche per Rusalka – che pure umana non è, ma chiede di diventarlo - non fa eccezioni o favoritismi: se proprio ci tiene, potrà diventare umana e soddisfare così quei desideri (anima e/o eros?) che le sono negati dalla sua condizione. Ma, attenzione, in cambio dovrà accettare clausole contrattuali assai pesanti: oltre a cedere alla strega il suo abito di ondina (un sistema che Ježibaba evidentemente impiega per arricchire il suo patrimonio di conoscenze e prerogative) Rusalka dovrà rassegnarsi a perdere la sua voce (curiosa assurdità: un essere acquatico che non dovrebbe proprio averla per natura!) ma soprattutto ad essere punita con il ritorno alle liquide profondità nel caso in cui la sua storia d’amore finisca male; e finirebbe male anche per il suo innamorato, destinato a morte certa! 

Rusalka si dice pronta a tutto, così la strega prepara la sua infernale pozione (Čury mury fuk, SI minore) elencandone i magici ingredienti:

Poi ingiunge all'ondina di bersi d’un sol fiato tutta la brodaglia, mentre dalle profondità del lago salgono i lamenti di Vodnik per la perdita della figlia…

Eccoci quindi alla terza e conclusiva sezione dell’Atto I: è ormai mattino ed arrivano i cacciatori (uno canta anche pochi versi, in due riprese) che precedono il loro Principe. Il quale, già in preda a suggestioni fiabesche, li congeda per rimanere da solo ad aspettare… Rusalka, che guarda caso in quel momento esce – ormai umanizzata, ma pure muta – dalla dimora della strega. L’innamoramento è ovviamente a prima vista, ma ad una sola voce (Vidino divná, přesladká, in RE maggiore) preceduta dal dolce motivo che aveva aperto il Preludio: 

È una classica aria da tenore lirico ma, come per l’aria alla luna di Rusalka, anche qui, fra le due strofe, si fa risentire il motivo acquatico, freddo presentimento per ciò che accadrà nel seguito. Mentre le sorelle si chiedono addolorate dove se ne andrà e il padre risponde che vagherà per monti, prati e valli, la muta Rusalka è accompagnata verso il castello dal Principe, che chiude l’atto con un’ultima aria (Vím že jsi kouzlo, in LAb maggiore) che riprende anche un passaggio del Preludio:

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L’Atto secondo comprende quattro sezioni, separate da un ballo. Siamo nei pressi del castello del Principe e la guardia forestale si intrattiene con un giovane sguattero che lo ragguaglia di ciò che sta per accadere quella sera: il Principe dà una festa per annunciare il suo matrimonio con una creatura misteriosa, di cui si è innamorato. Questo gradevole siparietto – dove fa capolino una citazione, forse non involontaria dato il contesto, del Finale della Renana - dà modo a baritono e soprano-en-travesti di godere di uno dei due momenti di gloria a loro riservati.

La seconda scena ci porta dentro al castello, dove troviamo il Principe che cerca di riscaldare la fredda e muta Rusalka. Mirabile l’introduzione orchestrale alla sua aria in LAb maggiore (Již týden dliš mi poboku):

E questa lunga aria la riprende e la amplia:

Il Principe manifesta con passione e trasporto il suo stato d’animo combattuto fra il desiderio di Rusalka e le perplessità sollevate dal comportamento della giovane, sempre muta e apparentemente fredda. Si lamenta di non poter penetrare i suoi segreti e si domanda se il matrimonio porterà loro la completa felicità…  

Arriva la Principessa straniera, furiosa alla vista del Principe con Rusalka: dapprima sovrappone le sue imprecazioni all’ultima implorazione del Principe all'ondina, poi si intromette sfacciatamente fra i due, accusando il Principe di inosservanza dei suoi doveri. E il Principe mostra tutta l’inconsistenza e l’incostanza dei suoi sentimenti con un’esternazione in LA minore (Leč oči její říci zapomněly):

…con la quale si scusa con la trionfante Principessa per poi, dopo aver ingiunto a Rusalka di ritirarsi, cominciare addirittura a corteggiarla!   

Un delizioso interludio orchestrale, che riprende il motivo di apertura del Preludio, sottolinea la tristezza di Rusalka, ormai rassegnata a perdere il Principe, che vede allontanarsi al braccio della nuova arrivata. La luna torna ad affacciarsi, mentre si odono la prime note della festa danzante che sta per cominciare.

Dato l’ambiente, la festa non può aprirsi che con una polacca in MIb maggiore (in effetti richiama vagamente quella ciajkovskiana dell’Onegin):

La musica della danza ha una struttura a Rondo: Polacca – Prima danza – Polacca – Seconda danza – Polacca – Coda, con le due danze che tendenzialmente modulano alla sottodominante LAb maggiore.

Ma improvvisamente (preceduto dal motivo cromatico dell’acqua) appare Vodnik, arrivando dal lago, che ancora non si dà pace per la sorte della figlia, di cui intuisce il dramma. E lo fa con un’accorata aria bipartita (Celý svět nedá ti, nedá) che principia in MI minore per poi sfociare in una stupefacente coda in REb maggiore:

Vodnik chiude la sua aria con un nuovo, disperato rimpianto per l’errore commesso dalla figlia, mentre il coro degli invitati canta (Květiny bílé po cestě) i suoi voti augurali per gli sposi (Lohengrin…) È una graziosa melodia in SI maggiore, al termine della quale ancora Vodnik sovrappone la sua voce - ma con lunghezze di note più ampie - a quelle del coro che riprende la melodia nuziale: è il suo accorato vaticinio (Na vodách bílý leknín sní) per la sorte che attende la figlia:

 

Un drammatico sfogo dell’orchestra introduce l’incontro del padre con la figlia che – riacquistata miracolosamente la voce - gli confessa tutta la sua delusione e l’amarezza per l’avventura umana che - purtroppo per lei, e a causa della sua natura non-umana - sta prendendo una brutta piega. Il motivo introduttivo del Preludio anticipa l'aria Ó marno, marno, marno il suo amaro sfogo, espresso con un agitato passaggio in SOL minore:

Poi, mentre si odono le salite cromatiche che ricordano l’acqua, con una straziante invocazione, implora il padre di aiutarla ad uscire da quella insopportabile situazione.

Tornano il Principe e la Principessa per la scena madre che chiude l’atto: in un melodrammatico duetto fatto di botte-e-risposte lei constata il cambiamento di atteggiamento del Principe nei suoi confronti, lui le esterna tutto il suo amore, nemmeno sa come spiegare, se non definendolo un capriccio, il suo improvviso cambio di atteggiamento nei confronti di Rusalka. A questo punto lei lo mette perfidamente alla prova con un passaggio in LA minore (Až požár můj vás popálí) che poi sfocia in un romantico e ammaliante LA maggiore (Až obejmou vás lokty slíčné):

Lui ormai ha ceduto e le dichiara di voler dimenticare Rusalka per lei, così cantano a due voci (per la prima volta) la loro passione, stringendosi in un abbraccio appassionato. Ma Rusalka irrompe sulla scena, frapponendosi tra i due; ed anche Vodnik interviene, manifestando il suo disprezzo per il Principe fedifrago, che supplica la Principessa di aiutarlo ad uscire da questo lacerante dilemma.

Per tutta risposta, la Principessa lo pianta in asso, mandandolo proprio all’inferno, giù negli abissi, insieme alla creatura dalla quale si era fatto ammaliare (V hlubinu pekla bezejmennou):

12 battute orchestrali chiudono precipitosamente l’atto, con un finale FA# all’unisono.
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L’Introduzione all’Atto terzo ci riporta alla scena con la quale l’opera si era aperta: le rive del lago, la notte incombente, l'immancabile presenza della luna. Ma accanto alle dolci sonorità della Natura compaiono passaggi assai concitati: è Rusalka, palesemente sfiorita, che non si dà pace per essersi cacciata in quest’avventura che l’ha gettata in un vicolo cieco: non può più vivere tra gli umani né tornare alla sua vita pre-umana. Lo canta con una lunga e appassionata aria In FA maggiore ma con diverse modulazioni (Mladosti své pozbavenache accosta a sua volta passaggi languidi ad altri che sottolineano il suo strazio e il desiderio di morte:

È la strega Ježibaba che, dopo averla irrisa per il fallimento della sua velleitaria iniziativa, ne raccoglie il pentimento e le promette di risolvere i suoi problemi a patto che lei uccida – le porge un coltello – quell’uomo che l’ha tradita (Lidskou krví musíš smýti, in SI minore):

È la stessa natura umana che reclama sangue! proclama la strega.

Rusalka rifiuta inorridita quell’oscena proposta, così, mentre la strega rincara la dose su di lei, liquidandola come una totale nullità e se ne torna a casa sua, lei, accompagnandosi con la languida melodia che aveva aperto il Preludio, canta la sua rassegnazione (Vyrvána životu) invocando infine su di sé anche la maledizione:

Maledizione che puntualmente le arriva dalle sorelle che intonano, dapprima a cappella, un coro (Odešla jsi do světa) apparentemente sereno:

Ma le parole delle ondine suonano come inappellabile condanna: Rusalka non potrà più trovar posto fra loro, dopo il peccato commesso con il desiderio di umanizzarsi.

Un secondo siparietto – dopo quello dell’inizio del second’atto – vede ora tornare in scena la guardia forestale e lo sguattero, piuttosto recalcitrante a sbrigare l’incarico avuto dalla badante del principe: chiedere alla strega consigli su come guarire la malattia psicologica del protetto, vittima delle arti magiche di Rusalka.

Ma mentre il ragazzo porta tutto tremante la sua ambasciata alla strega, Vodnik emerge dalle acque per difendere la figlia, vittima del tradimento del Principe, e mette in fuga lui e la guardia, mentre la strega se ne va sghignazzando selvaggiamente.

Tornano ora le tre ninfe del bosco, ciascuna vantando immodestamente le proprie prerogative di bellezza e, come all’inizio dell’opera, cominciando ad adulare Vodnik. Ma lui le ragguaglia sulla tragica vicenda di Rusalka, al che le tre fuggono spaventate e addolorate.

Siamo finalmente all’epilogo: il Principe arriva sul posto, alla ricerca spasmodica di Rusalka (Ode dne ke dni touhou štván, in FA minore, agitato):

Poi ancora, mentre l’orchestra ricrea un’atmosfera idilliaca, appassionatamente la invoca, facendo appello alle voci della foresta, fino a stramazzare esausto. E proprio allora, preceduta da dolci arpeggi e poi accompagnata dall’incantevole motivo che aveva aperto il Preludio, Rusalka gli appare dinanzi.  

Il principe la guarda stupito e interdetto, le chiede se sia viva o morta; lei gli risponde che è divenuta uno spirito maledetto, che ormai potrà solo recargli la morte (Živa ni mrtva, žena ni víla):

Lui continua a chiederle perdono per il suo comportamento e ad implorarla di tornare con lui. Con la tonalità che modula ad un dolcissimo quanto rassegnato MI maggiore, lei rimpiange i brevi momenti del loro primo incontro, ma gli conferma che ciò comporterebbe per lui la perdita della vita (Proč volal jsi mne v náruč svou):

Il canto di Rusalka si chiude sul DO# minore, enarmonicamente trasportato in REb maggiore, nella quale tonalità il Principe decide comunque di abbandonarsi al suo bacio (Líbej mne, líbej, mír mi přej):

Ancora un ultimo scambio di battute fra i due, sempre in REb maggiore: lei che rinnova l’annuncio della tragica fine per lui, che invece la invoca, pur di morire avvolto dal suo abbraccio e dai suoi baci (Všechno chci ti, všechno chci ti dát):

Una nuova enarmonia ci porta a DO# minore: è Vodnik che, dal profondo, su un motivo di marcia funebre dell’orchestra, manifesta il suo rammarico e la sua disperazione per l’irreparabilità di ciò che è accaduto.

Rusalka, prima di immergersi per l’eternità, e mentre si torna a REb, chiede misericordia a Dio per il Principe (Za tvou lásku, za tu krásu tvou):

Seguono dieci battute di Grandioso, appassionato, e infine tre sull’accordo perfetto di REb maggiore (un simbolo anche questo!) chiudono l‘opera in Adagio, pianissimo. 
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Bene, martedi 6 giugno staremo a vedere e sentire. Qualche settimana fa è comparsa sul NYT un’interessante anticipazione di questa produzione, con commenti e interviste alla Dante e al Maestro Hanus. In particolare la regista ha anticipato il suo Konzept (come dicono i crucchi) incentrato sulle tematiche di grande attualità: flussi migratori, problemi di integrazione (o di sostituzione etnica???) e fenomeni di intolleranza.

Vanessa Sannino ha da parte sua anticipato bozzetti dei costumi dei principali personaggi:

Sul fronte musicale, Hanus e Bezsmertna hanno già sufficiente esperienza di quest’opera, ergo ci dovremmo aspettare uno spettacolo di buon livello.