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15 febbraio, 2025

Orchestra Sinfonica di Milano - 24-25.16 – Eun Sun Kim

Una giovane ma già affermata direttrice coreana (ha già diretto una Bohème alla Scala, ma l'Archivio scaligero non la nomina nemmeno...) sale per la prima volta sul podio dell’Auditorium di largo Mahler per dirigere un concerto che ci porta da Mozart (sub-judice…) a Korngold.

È infatti di un Mozart non propriamente genuino che si ascolta la Sinfonia concertante K297b per oboe, clarinetto, corno e fagotto con accompagnamento di archi, oboi e corni.

Quest'opera è tuttora oggetto di dispute e diatribe, quanto alla sua autenticità. Si sa che Mozart (in gita nel 1778 a Parigi con la mammina, che purtroppo di lì a poco vi morirà e vi verrà sepolta, dopo un misero funerale cui assistettero solo Wolfgang e un amico) si era impegnato a comporre una Concertante per quattro solisti di Mannheim (col flauto al posto del clarinetto). Ma né un originale, né copie autentiche o attendibili sono mai emersi e ciò che abbiamo a disposizione - e che ha dato il nome (francamente usurpato) all'opera - è soltanto un manoscritto di dubbia provenienza, scovato e fatto ricopiare a Berlino da tale Otto Jahn quasi un secolo dopo la presunta composizione e, guarda caso, proprio mentre costui si apprestava a pubblicare una sua biografia di Mozart!

C'è comunque chi sostiene sia musica troppo grande (escludendo magari il modesto accompagnamento orchestrale…) per non essere del Teofilo; chi invece ipotizza sia un pastiche (tre movimenti, tutti nello stesso MIb, orrore!) messo insieme da sconosciuti sulla base di ricordi di qualche concerto; chi pensa sia stata effettivamente scritta da Mozart a Parigi (col flauto al posto del clarinetto) ma poi andata davvero perduta, e quindi riscritta – a memoria – dal compositore per il nuovo organico di solisti; chi invece sospetta che a Parigi Mozart non abbia composto proprio un bel nulla di quel pezzo (tant'è che il concerto dei solisti di Mannheim per i quali era stato commissionato non ebbe luogo…) dopodichè si sarebbe inventato per papà Leopold la scusa del manoscritto non restituitogli dallo sbifido committente (Joseph LeGros) e solo successivamente avrebbe buttato giù qualcosa (la parte solistica) senza portarlo a termine; e così via immaginando.

Quanto alla pratica, la versione che si esegue normalmente è quella rinvenuta (?!) da Jahn e pubblicata nel 1886 da Breitkopf col titolo Concertantes Quartett, che è entrata ed uscita dal catalogo Köchel come in una porta girevole: dapprima inserita fra le opere perdute; poi nel 1936 (Einstein) immessa nel catalogo principale; poi, dalla sesta edizione del 1960, relegata nel limbo dei supplementi, dove si trova ancor oggi: la NMA (Neue-Mozart-Ausgabe) la inserisce nella Serie X/29/1: Opere di incerta paternità

[A proposito, perché non impiegare l’IA, invece dei musicologi, per questo tipo di ricerche? I risultati sono… ehm, proprio artificiali!] 

Insomma, una storia lunga, travagliata e certamente non ancora chiusa. Ad esempio, il solito (ultimo in ordine cronologico di una lunga serie) primo della classe (Robert D.Levin, nella fattispecie, autore del saggio Who Wrote the Mozart Four-Wind Concertante?) ha provato a ri-arrangiare il brano sulla base di complesse ricerche statistiche sulle tecniche compositive di Mozart. Intanto ha riesumato il flauto (in luogo dell'oboe, che prende a sua volta il posto dell'espunto clarinetto); poi ha fatto intervenire i solisti da subito, già sulla prima esposizione dei temi dell'Allegro (di cui ha riscritto completamente la cadenza); ha tagliato molta parte orchestrale (dove effettivamente si incontrano bizzarrìe formali assai poco mozartiane…) e anche qualche sezione di quella solistica, ugualmente ritenuta fuori-forma (sempre mozartianamente parlando); ha redistribuito qua e là le linee degli strumenti solisti; ha tagliato le 4 misure introduttive orchestrali dell'Adagio; nel conclusivo Andantino con variazioni ha espunto totalmente le 10 apparizioni dell'interludio orchestrale (che precede le altrettante variazioni al tema, trasformandosi effettivamente quasi nel tema principale di un rondò…) introducendo al loro posto la ripetizione di tutte le (22) linee melodiche dei solisti.

Ecco qui un'interessante esecuzione della ricostruzione di Levin dovuta alla Wiener Akademie con Martin Haselböckparte1(Allegro)parte 2(Adagio)parte3(Andantino con variazioni). Effettivamente va dato atto a Levin di aver messo in piedi un prodotto di tutto rispetto, di qualità e godibilità non certo inferiori a quelle del comunque spurio e apocrifo originale. Ma, diciamolo francamente, a questo punto qualunque Allevi di passaggio potrebbe inventarsi la sua propria variante della ricetta, con lo stesso grado di (in)credibilità.

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Qui invece (come nella precedente esecuzione di 13 anni fa, si rimane ancorati alla tradizione (quindi col clarinetto) e i solisti sono le quattro prime parti (quasi le stesse di allora) dell'Orchestra: Emiliano Greci all'oboe, Raffaella Ciapponi al clarinetto, Sandro Ceccarelli al corno e – subentrando al senior pari grado Andrea Magnani - Orsolya Juhasz al fagotto.

Quindi, dopo il Concerto per flauto e arpa di un paio di settimane fa, ecco un'altra occasione di mettersi in mostra per i bravi strumentisti de laVerdi. Che anche stavolta assaporano il loro momento di gloria, mettendosi in vista nei passaggi che di volta in volta li impegnano singolarmente, a coppie, in trio e tutti insieme. Da incorniciare l’Adagio con i mirabili dialoghi fra i quattro. E poi.nelle dieci variazioni finali, le volate dell’oboe, gli arabeschi del clarinetto, gli slanci eroici del corno e gli arpeggi agitati del fagotto. Insomma, una conferma che dietro questa musica non può non esserci lo zampino del Teofilo.

Così il quartetto è subissato da applausi di pubblico e colleghi e ci regala una moderna e indiavolata… comica serenata: la trascrizione dell’ultimo movimento del Quartetto per sax di Jean Françaix.

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Un altro ragazzo-prodigio, Erich Wolfgang Korngold, è l’autore del secondo brano in programma, la sua Sinfonia in Fa diesis, composta per la verità quando il ragazzo era cresciutello assai, avendo nel frattempo conquistato Hollywood, e soprattutto un bel mucchio di… bigliettoni verdi.

Ripropongo qui un mio precedente commento all’opera, che effettivamente non si merita le critiche e l’oblio di cui è caduta vittima. E devo dire che anche ieri Eun Sun Kim ha saputo far risaltare gli aspetti apprezzabili di questo lavoro, accentuandone tutti i contrasti che lo pervadono, fino alla nobile e ottimistica conclusione. 

Il suo gesto è quasi fatto di carezze, mai eccessivo, ricorda un suo celebrato connazionale, Myung-Whun Chung, del quale si avvia a raccogliere il testimone nel mondo musicale. E l’Orchestra l’ha coadiuvata dando il meglio per tensione emotiva e compattezza di suono.

Sala con molte poltrone vuote, complici anche lo sciopero dei mezzi pubblici e un temporale abbattutosi su Milano proprio nel pomeriggio: ma i presenti non hanno mancato di far sentire il calore del loro supporto a musicisti e Direttrice!


25 marzo, 2023

laVerdi 22-23. 21

Dedicato interamente a Vienna il 21° concerto della stagione principale dell’Orchestra Sinfonica di Milano. Sul podio il sempre brillante Giuseppe Grazioli. Vienna sinfonica, come recita il titolo del concerto, che coniuga tre celeberrime Ouverture di operette con due brani (uno ancora leggero e l’altro più… impegnato) di un viennese che trovò fortuna in America.

Nel programma della stagione la locandina prevedeva una sequenza di brani che aveva la prima parte occupata da quelli, diciamo… leggeri e la seconda dalla Sinfonia di Korngold. Grazioli ha poi deciso di invertire quest’ordine, e non senza qualche buona ragione.

Si è quindi aperta la serata con il pezzo forte (in tutti i sensi) del programma, la Sinfonia in Fa diesis maggiore, che Eric Wolfgang Korngold compose (1947-52) dopo essersi di fatto congedato dal mondo della musica-da-film, che aveva contraddistinto la sua lunga e fortunata parentesi hollywoodiana. 

E forse proprio la sua compromissione con la musica (considerata dai puristi) poco seria fece sì che la critica accogliesse la Sinfonia con indifferenza, se non con disprezzo. Solo molti anni più tardi Rudolf Kempe la riportò alla luce, ma anche successivamente è rimasta parecchio in ombra, giudicata un tardivo e anacronistico ritorno alla Vienna di inizio secolo, o al massimo un maldestro tentativo di seguire strade già ampiamente battute nel ‘900 da altri (Shostakovich, ad esempio).
Recentemente il famoso Alex Ross (a beneficio dei benpensanti: è felicemente sposato da 17 anni con un maschio, il regista Jonathan Lisecki) dopo averla ascoltata a NY dai Berliner di Kirill Petrenkone ha dato invece - in un fulminante articolo comparso sul NewYorker - un giudizio lusinghiero. Sostenendo che i numerosi richiami (almeno sette, sparsi nei movimenti della Sinfonia) a musiche da film non solo non sono un segno di passatismo o di banalizzazione della musica seria, ma anzi mostrano come possano arricchirne i contenuti di spunti innovativi, pur mantenendosi prudentemente all’interno del sistema tonale.    

La Sinfonia – significativamente dedicata da Korngold al Presidente Roosevelt e con lui a quell’America che lo aveva accolto a braccia aperte e fatto… ricco - ha la struttura classica in quattro tempi ed un organico tardoromantico, irrobustito da percussioni moderne, pianoforte e celesta.

Il movimento iniziale è di difficile decifrazione, sul piano formale. Personalmente sono propenso a distinguervi tre macro-sezioni, legate alla presenza-assenza di accidenti in chiave: abbiamo una prima parte (con relativo gruppo tematico) che presenta in chiave i 6 diesis (FA#); seguita da una che non presenta alcun accidente; e poi da un’ultima che alterna i sei diesis al nessun accidente.

Apre in tempo Moderato, ma energico. Il metro muta spesso da 4/4 a 3/4, saltuariamente a 2/4, a testimoniare un procedere quasi ansiogeno. Siamo in FA#, sul cui terreno si muove la prima sezione del movimento, caratterizzata da frequenti schianti (marimba e pianoforte) ad intercalare una frase irregolare del clarinetto, cui subentra poi l’orchestra che risponde creando un’atmosfera di grande concitazione, animata ulteriormente da interventi dei corni.

Spariscono ora i 6 diesis in chiave: un significativo salto di tritono, che sottolinea il passaggio ad una sezione cantabile che si anima poco a poco fino ad un nuovo spettacolare, cinematografico ingresso dei corni, che lasciano poi spazio ad una nuova oasi di relativa serenità, protagonista il flauto.

Subentra una sezione in tempo Allegro, 4/4 con ritmo assai marcato dalle semiminime di quasi tutta l’orchestra (i celli invece percorrono ondeggianti e veloci semicrome) dove spiccano ancora perentori interventi dei corni. Abbiamo ora un progressivo ed eroico crescendo con agitati interventi di archi e fiati, culminante in un passaggio feroce dove tornano ripetuti schianti dell’orchestra.

Improvvisa calma e il clarinetto propone una lunga melodia che conduce al prepotente ritorno dell’atmosfera che aveva aperto il movimento. Atmosfera che si consolida con il ritorno ai 6 diesis in chiave: questa ripresa si carica di vitalità (ancora possenti entrate dei corni) abbandonando ancora i diesis.

Che ritornano per la coda conclusiva, protagonista ancora il clarinetto, in un’atmosfera progressivamente rasserenata, FA# maggiore.

Segue lo Scherzo (in seconda posizione come era diventato d’uso dopo la Nona). Forma abbastanza tradizionale: Scherzo-Trio-Scherzo-Coda. Lo Scherzo (Allegro molto) non ha accidenti in chiave (quindi è vagamente in DO) ed è in tempo pari (12/8): sono le terzine a dargli il caratteristico ritmo ternario; al suo interno c’è una parentesi in MI (3/2) dove spicca un’eroica – e proprio cinematografica – perorazione dei corni, poi ripresa anche dai violini. Il Trio (6/4) è canonicamente più tranquillo, la celesta ne impreziosisce la cullante melodia discendente. Ha una conclusione in LAb, che porta al ritorno dello Scherzo (incluso l’intermezzo dei corni, in MI). Dopo il quale inizia la sezione di coda conclusiva, culminante in un generale, fortissimo accordo di DO maggiore.  

Il lungo Adagio che segue evoca atmosfere lugubri e funeree, forse legate agli anni della guerra, che al tempo della composizione ancora lasciava i suoi strascichi di dolore e pietà. E non a caso in chiave c’è un bemolle: RE minore, è la tonalità del dolore sgorgante dalla nobile melodia che si dipana in orchestra, imperniata su un semplice motivo (discesa di quarta RE-LA e risalita di seconda LA-SI) che la farà da padrone fino alla fine, anche trasposta di grado. Il caldo suono del corno dà inizio allo sviluppo del tema, che poi esplode enfaticamente, quindi percorre un cammino dolente, dove udiamo due lamenti del corno che conducono al progressivo arenarsi della melodia.

Qui inizia un lungo percorso, aperto da ottavino e celesta con liquidi rintocchi, che poi si intensificano per velocità e forza, passando da semiminime a crome, poi sempre più veloci. L’atmosfera si fa incandescente, poi torna dolente, con la ricomparsa del tema principale e momenti di calma alternati ad altri strazianti sfoghi dell’orchestra (corni imploranti e salite all’acuto dei violini) chiusi da due lamenti del corno, ripresi dai violini e dall’ottavino.   

Verso la fine ecco uno squarcio dove il motivo principale si emancipa temporaneamente (passando per LA e SOL) a RE maggiore, prima di esplodere dolorosamente e ripiegarsi ineluttabilmente al minore, sul quale il movimento si chiude. 

Il Finale, come quello di tante sinfonie ottocentesche ispirate ad un programma per-aspera-ad-astra, è in Allegro e in tonalità maggiore, quasi Korngold volesse mettersi alle spalle gli orrori degli anni bui succeduti all’Anschluss (quelli forse evocati nell’Adagio): del resto proprio i 5 anni in cui si protrasse la composizione furono quelli della ripresa generale dopo la WWII, quando tutto il mondo provava a dimenticare il passato e a guardare con ottimismo al futuro.

Il movimento inizia curiosamente in SOL maggiore, per poi proseguire in RE maggiore, ancora in SOL per raggiungere il FA# d’impianto della Sinfonia soltanto per le ultimissime 28 battute!

La prima sezione, dopo una brusca e dissonante introduzione, proprio da musica-da-film, presenta un motivo in SOL maggiore che parrebbe… Shostakovich, pimpante e giocoso; segue poi un rumoroso passaggio con note ribattute, che conduce alla seconda sezione.

Qui siamo in RE maggiore e ascoltiamo inizialmente una melodia più distesa, che però poi si anima, ancora con note ribattute, e sfocia in un ritorno del primo tema, enfatico, nei corni, il che riporta anche la tonalità a SOL maggiore.

Inizia qui un corposo sviluppo, dove i temi delle due sezioni si confrontano e scontrano, fino ad arrivare ad un’oasi di calma, dove il flauto fa scivolare la tonalità di un semitono, da SOL a FA# maggiore. Il primo tema si incarica di portare la Sinfonia alla sua brillante conclusione. 
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Che dire? Propenderei per dar ragione ad Alex Ross: siamo di fronte ad un lavoro tutt’altro che velleitario e retrogrado: qualcosa che non sfigura affatto nei confronti dei Prokofiev o degli Shostakovich, che a quell’epoca difendevano strenuamente, contro gli assalti di Darmstadt, tutto ciò che di buono esisteva del vecchio mondo… E oggi molta musica si schiera con loro.

L’esecuzione (penso sia il primo incontro dell’Orchestra con la Sinfonia) è stata di gran livello e Grazioli ha mostrato di padroneggiare da par suo un oggetto assai ostico per gli esecutori e di non facile digestione per il pubblico, soprattutto per la gran parte di esso che probabilmente era al suo primo incontro con l’opera, come testimoniano gli applausi scrosciati alla conclusione di ciascun movimento, cosa invece inusuale per una Sinfonia di repertorio.

Applausi comunque assolutamente meritati.        
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Ecco quindi la seconda parte del Concerto, quella evidentemente più accattivante per il pubblico. Aperta ancora da Korngold, del quale viene eseguita Straussiana, in pratica la sua ultima opera (1953), un chiaro omaggio alla grande famiglia che a fine ‘800 aveva portato walzer, polke e mazurke in paradiso. Si tratta di un godibilissimo pot-pourri di motivi che echeggiano - nei tre generi musicali – stilemi ed atmosfere degli Strauss. La presentazione dell’editore Schott ci informa che il brano contiene riferimenti ad opere poco conosciute di Johann Strauss jr, come Fürstin NinettaCagliostro in Wien e Ritter Pasman.
 
Il breve brano (circa 7 minuti) si apre a ritmo di Polka, con gli archi che richiamano la famosa Pizzicato Polka, che i fiati poi arricchiscono di una gaia e saltellante melodia in FA maggiore. Ecco poi il turno della Mazurka, nella dominante DO maggiore, tempo grazioso, che poi si anima provvisoriamente, prima di portarci – tornando a FA maggiore - al Walzer. Che è costituito da due sezioni, la prima più pomposa (dove un attacco ricorda Frühlingstimmen), la seconda più distesa (cantabile). La sola prima sezione viene ripetuta per passare poi direttamente ad una coda sfrenata di 20 battute che chiude brillantemente il brano, accolto co gran calore.
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Franz von Suppé è il secondo autore della serata, con l’Ouverture da Dichter und Bauer (Poeta e Contadino). Che si apre con una solenne e perentoria fanfara in RE maggiore che chiude la frase sulla dominante LA:
…per poi riprenderla e siglarla in gran pompa. A questo punto si fa silenzio e il violoncello solo canta la sua famosa melodia, vagamente ricordando nientemeno che l’analogo passaggio della rossiniana Ouverture del Tell!


La melodia del violoncello è intercalata e impreziosita da graziosi interventi dei legni; poi, proprio come in Rossini, ecco esplodere l’Allegro strepitoso in Sib maggiore, che si apre con l’anticipazione della ripida discesa del successivo climax. Per ora abbiamo due rumorosi passaggi (in RE e FA minore) in Allegro, che fanno crescere la tensione fino al trionfale climax in Sib:


L’atmosfera si fa più rarefatta e subentra ora una sezione in Allegretto, occupata da una serena melodia di walzer esposta da clarinetti e primi violini:


Melodia che si sviluppa in un controsoggetto in RE maggiore che ricade subito sul Sib. Si torna in Allegro e l’atmosfera ridiventa mossa, con un crescendo orchestrale che culmina nella riproposizione di questa intera sezione, cioè la melodia cantabile dell’Allegretto e il successivo crescendo in Allegro. Il quale ora sfocia però nella riproposizione dell’esuberante tema discendente del climax. Di qui si apre una frenetica coda che porta alla fragorosa conclusione.

Ora gli applausi scrosciano copiosi e rumorosi e Grazioli fa alzare alcuni protagonisti dell’esecuzione, commettendo però un’imperdonabile dimenticanza, ahilui: il violoncello di Mario Shirai Grigolato!
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Tocca poi all’Ouverture di Die lustige Witwe (La vedova allegra) di Franz Lehár. In realtà l’operetta – un successo straordinario, amata e citata anche da Mahlernacque senza un’Ouverture, ma con la semplice Introduzione dell’Atto I. Dopo la replica n°400 il compositore ne raccolse i motivi principali in questo travolgente pot-pourri che viene di norma eseguito solo in concerto.    
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Chiude in bellezza la serata l’Ouverture dal Pipistrello (Die Fledermaus) di Johann Strauss Jr. Che, a differenza della precedente, ha una struttura sinfonica di prim’ordine, come ho cercato di riassumere in queste note sull’intera opera. 

Inutile dire dello strepitoso successo, ricambiato con il bis della sezione finale.

18 febbraio, 2022

laVerdi 21-22. Concerto 17

Il 34enne israeliano Yoel Gamzou ha fatto ieri il suo (brillante, devo dire) esordio sul podio de laVerdi proponendoci un programma che va dal tardissimo- al tardo-romantico: Korngold e Mahler.

É stata la 46enne Caroline Widmann (che ha rimpiazzato l’annunciata Veronika Eberle) ad aprire la serata con il Concerto per violino di Erich Wolfgang Korngold, già ascoltato qui più di sette anni fa (sulla struttura del quale rimando a qualche succinta nota scritta in tale circostanza). 

Non so se sia la prima volta che la Widman interpreta questo concerto (direi non sia nel suo abituale repertorio, visto che ha prudentemente tenuto lo spartito sotto gli occhi): una come lei che predilige i moderni e ha inciso il concerto di Berg, dedicato a Manon, la giovane figlia scomparsa di Alma Mahler-Gropius, adesso è passata ad un tardo-romantico, che 10 anni dopo Berg dedicò il concerto alla... mamma di Manon, rimaritatasi Werfel.

Come che sia, lei suona tutto divinamente, moderni e romantici. Così viene accolta da ovazioni e ci regala come bis un celebre Ysaye, l’ultimo movimento (Les furies) della celebre Obsession (Seconda Sonata in LA minore). 
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La serata si è chiusa con la Prima Sinfonia di Mahler, che il programma di sala annunciava in una versione per orchestra da camera predisposta proprio dal Direttore Gamzou, che oltre a dirigere ha anche un’infinità di altri interessi nell’ambito musicale (ha fondato un’orchestra sinfonica intitolata a Mahler, del quale ha personalmente completato anche la Decima). A ottobre 2020 era già in programma questa sinfonia smagrita nell’organico (sempre causa-Covid) ma nell’edizione di Klaus Simon, poi tutto andò a... meretrici per l’arrivo, proprio poche ore prima del concerto, del nuovo blocco dovuto alla seconda ondata.

L’edizione di Simon (del quale laVerdi ha già eseguito di recente la Quarta, la Nona e la Sesta) è ascoltabile in rete, eseguita dall’ensemble minimo, mentre Gamzou ha in realtà previsto l’impiego di un organico assai ampio (5 corni, 3 trombe e 3 tromboni, tuba e timpani, tanto per dire...) apparentemente limitandosi a sottrarre qualche elemento non proprio... essenziale.

Lui fu allievo di Giulini, ma la sua mi è parsa una direzione più improntata (magari nel bene e nel male...) all’indimenticabile Lenny Bernstein: dal quale ha mutuato personalissime interpretazioni agogiche che lasciano sempre a bocca aperta, anche se magari non sono propriamente prescritte in partitura.

Come sempre, eccellente la prova dell’orchestra (pareva davvero di sentire un’esecuzione a ranghi completi) cui il pubblico (di questi tempi ancora non siamo ai pienoni) ha tributato meritatissimi applausi.

26 gennaio, 2020

La Violanta torinese


Ieri pomeriggio al Regio (ahinoi non proprio semivuoto, ma c’è mancato poco...) è andata in scena la terza delle cinque recite di Violanta, che il teatro torinese ha meritoriamente portato per la prima volta in Italia dopo un secolo abbondante dalla comparsa a Monaco di Baviera (martedi 28 marzo, 1916).

Dico e affermo trattarsi di un’opera che dovrebbe avere almeno (se non più...) la stessa considerazione (parlo di cartelloni e pubblico) di una Cavalleria o di una Fedora, per dire. E il merito va soprattutto alla musica di questo ragazzo diciassettenne che rivaleggia con i mostri sacri Strauss e Puccini, e sovrasta di quache spanna musicisti (nostrani e non) che pure trovano frequente ospitalità sulle nostre scene.

Musica che è stata assai bene illustrata dalla direzione dell’ispirato Pinchas Steinberg, che ha guidato un’Orchestra in ottima forma, capace di rendere al meglio le atmosfere ora liriche, ora drammatiche che la partitura ci propone. Di ottimo livello la prestazione del Coro di Andrea Secchi, chiamato ad un compito più arduo a livello di qualità che di quantità, ma assolto con grande profitto.

Le voci con luci ed ombre: Annemarie Kremer è una Violanta invidiabile sul piano scenico (chi non sarebbe soggiogato dal suo fascino di femme-fatale?) e a corrente alternata su quello strettamente vocale: acuti da autentico soprano drammatico, ma centri debolucci... Michael Kupfer-Radecky assai efficace come Simone: voce ben impostata e potente, atteggiamenti appropriati al personaggio di militare-tutto-d’un-pezzo cui casca addosso il mondo senza che lui se ne dia una ragione.

Il principe-illegittimo, nonchè dongiovanni, Alfonso è Norman Reinhardt, che per la verità dovrebbe avere caratteristiche vocali quasi da Heldentenor, e invece ha una voce da tenorino lirico, con scarsa proiezione: la sua è una prestazione non più che discreta. Come quella del pittore gaudente Giovanni Bracca, interpretato da Peter Sonn.

Efficace e convincente Anna Maria Chiuri, una Barbara amorevole e dolcissima nella sua ninna-nanna a Violanta. Gli altri comprimari (vedi locandina) tutti all’altezza dei rispettivi compiti.
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Il venerabile PierLuigi Pizzi firma un’allestimento (regìa, scene e costumi, più le luci di Andrea Anfossi) davvero degno della sua fama: scena fissa, come pretende il libretto (la sala del palazzo di Simone sulla Giudecca) arredata solo con un paio di sofà e un tavolino, con un’enorme apertura circolare sul fondo, che dà sull’... infinito (la laguna dove transitano gondole e dalla quale arrivano le voci del carnevale). Costumi di inizio ‘900 (uniformi miitari di Simone e sottoposti) e di mascherine; un abito lungo, sberluscicante e attillatissimo-scollato di Violanta a valorizzarne il prorompente sex-appeal; Alfonso vestito (ma è in maschera anche lui!) da Papageno (metafora del galletto che si fa tutte le gallinelle?) Recitazione assai curata in ogni dettaglio.

Insomma, uno spettacolo di alto livello che il pubblico degli affezionati ha salutato con gran calore. Chi appena può non trovi scuse per mancare una delle ultime due recite!

(Ora però devo partire per Bologna dove, oltre a Salvini, incombe... Tristan!)

18 gennaio, 2020

Rarità in arrivo a Torino: Violanta


Dopo la Risurrezione fiorentina (ieri sera la prima trasmessa da Radio3 mi ha lasciato una discreta impressione...) ecco profilarsi all’orizzonte sabaudo una nuova - e gradita, personalmente - rarità: la Violanta di Erich Wolfgang Korngold. Il bambino-prodigio di Brno - che poco dopo la WWI sfornerà, a 23 anni, il suo capolavoro (Die tote Stadt) - allo scoppiare della medesima guerra stupì il mondo musicale con questo atto unico a soggetto noir, che anticipa di poco lo scenario di Eine florentinische Tragödie del suo maestro Zemlinsky (andata in scena al Regio torinese poco meno di 5 anni fa). Due soggetti ambientati nell’Italia del 1400-1500, rispettivamente, e caratterizzati dal classico triangolo: moglie e marito - soprano-baritono, lui di nome Simone - la cui (più o meno) felice unione è minacciata dal tenore, un amante altolocato.

Così, in Zemlinsky (testo tratto da Oscar Wilde) Simone è un borghese fiorentino (commerciante) che torna a casa da un viaggio d’affari e vi trova la moglie Bianca in piacevole compagnia del Principe Guido Bardi. Come nulla fosse, Simone cerca di piazzare la sua mercanzia all’intruso, che sfacciatamente se la fa con la moglie; allora lo sfida quasi per scherzo a duello, ma poi lo ammazza per davvero. La tragedia qui si volge in... farsa, chè Simone e Bianca - eliminato l’amante - si scoprono innamorati come mai prima, in un improbabile e tutti (meno uno) vissero felici e contenti (!?)

Invece in Korngold (testo di Hans Müller, suo compaesano) Simone è un capitano della Repubblica veneziana, sposato con la bella e virtuosa Violanta, la cui sorella Nerina - novizia al Convento del Deserto - è stata sedotta da Alfonso, Principe napoletano e che per il disonore si è suicidata gettandosi in laguna. Violanta ha giurato vendetta e così, quando Alfonso arriva a Venezia per godersi il carnevale (in realtà siamo alla Festa del Redentore, fine luglio, che però nel 1400 era ancora di là da venire) e le belle donne... lei in incognito lo adesca e lo attira in casa sua, dopo aver convinto il marito a farlo secco. Solo che, una volta dinanzi ad Alfonso, Violanta cade a sua volta innamorata come un pera cotta, ed è addirittura il Principe, preso dal senso di colpa, a provocare l’intervento di Simone per subire da lui la giusta punizione. Invece è proprio Violanta a ricevere il mortale colpo di spada del marito e a morire, espiando così la sua colpa.

Beh, anche nella scelta del libretto l’allievo ha superato il maestro!
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Chi vuol fare i cosiddetti compiti-a-casa, per non arrivare totalmente sprovveduto all’appuntamento, incontra effettivamente qualche difficoltà a documentarsi. L’unica incisione disponibile sul mercato ufficiale - ma per fortuna rintracciabile nel mare-magnum di youtube - è quella, ormai storica perchè risalente al 1980, diretta in studio da Janowski e interpretata, nei tre ruoli principali, dal trio Marton-Jerusalem-Berry.

Alcune riproduzioni semi-piratesche ma comunque preziose (registrazioni da trasmissioni radio, streaming e simili o carpite direttamente in teatro con strumenti più o meno di fortuna) non mancano, basta ordinarle (CD) o scaricarle (MP3) a buon mercato, dai posti giusti, come questo. Così come si può scaricare (ad esempio dalla libreria-Petrucci) lo spartito canto-pianoforte (oltre alla partitura del solo Preludio).

Più arduo è accedere al libretto dell’opera, quasi introvabile, salvo ascquistare la citata registrazione (Sony e/o CBS) di Janowski su CD (o vinile!) oggi reperibile - a quanto sembra - solo negli USA; oppure acquistare il testo prodotto dalla Columbia, a prezzo proibitivo. Anche qui, con un po’ di pazienza, si riesce a scovare in rete una precaria ma preziosa scannerizzazione del booklet dell’incisione CBS (con commento e traduzione in inglese e francese, ma è già grasso che cola...) messa benemeritamente a disposizione dalla Radio canadese, evidentemente in occasione di una diffusione via etere dell’opera. Oppure questa edizione casereccia del libretto (tedesco-francese).

E quindi, libretto e spartito alla mano vista possiamo esplorare - seguendo la citata registrazione di Janowski - questo lavoro assai interessante, se si pensa che fu un non ancora diciottenne a comporlo.

L’atto unico (sette scene) inizia con un Vorspiel (Preludio) strumentale, che ci presenta alcuni dei temi e motivi che caratterizzano ambiente e personaggi (almeno due dei tre protagonisti).


Val la pena soffermarvisi poichè è un vero concentrato di idee e riferimenti.

Così gli accordi iniziali, piuttosto indecifrabili e con retrogusto un po’ sinistro - una triade aumentata di SIb su pedale di MI, sulla quale si innesta un marcato DO# - ci introducono alla psiche abbastanza instabile della protagonista (più che vendicare la sorella, lei è alle prese con la sua propria dissociazione fra morale e libido, che esploderà alla fine). A 22” il pianoforte, il glockenspiel, oboi, arpa e viola scolpiscono un breve inciso che anticipa l’incipit del canto (quasi blasfemo) del Carnevale veneziano (lo sentiremo fra poco). A 58” ecco affacciarsi ancora sinistramente il tema di Violanta, che poi (1’16”) si dispiega in una melodia dal ritmo cullante (sembra preludere al Via-col-vento di Max Steiner, altro bambino-prodigio viennese che aveva anticipato di 15 anni Korngold nell’avventura cinematografica in USA). Guarda caso nella stessa tonalità di Violanta (DO maggiore) ecco a 2’00” il primo corno esporre il tema di Alfonso, dal piglio ascendente e appassionato, che subito dopo (2’20”) si ripete in MI maggiore, tonalità quanto mai idilliaca. Un continuo crescendo della tensione porta, con il ritorno a DO maggiore, al culmine del Preludio (3’42”) con la ricomparsa imperiosa del tema di Violanta, che poi sfuma gradatamente riportandoci (4’23”) all’atmosfera ambigua dell’inizio, nella quale ritroviamo (4’36”) l’inciso del Carnevale veneziano, poi (4’53”) reiterate, velocissime scale ascendenti delle due arpe e degli strumentini sembrano evocare i colpi di remo dei gondolieri (che apriranno la prima scena dell’opera). A 5’13” l’incipit del Carnevale accompagna il levarsi del sipario, che ci mostra una sala della casa di Simone, sulla Giudecca, affollata da soldati e domestiche.

Scena 1. Nella serata di fine luglio Venezia e la laguna sono illuminate da fuochi d’artificio e la Festa del Redentore è in pieno svolgimento. Dai canali (5’32”) arriva una cantilena di barcaioli, il cui motivo richiama l’incipit del Carnevale; una servetta (6’23”) descrive un gentiluomo col mantello da Doge, un’altra un damerino mascherato da boia, con mani insanguinate. Un soldato (6’43”) ammira danzatori del Teatro Felice (sic... a parte il nome simpaticamente storpiato, teatri nel ‘400?) Poi (7’00”) ecco udirsi in lontananza la Canzone del Carnevale (morti che risuscitano e danzano con gioia sfrenata). Ancora (7’30”) i barcaioli ripetono il loro ritornello, ma adesso rientriamo nella sala e troviamo (8’06”) Matteo, un giovane militare (un sottoposto di Simone, quindi) che si dà pena per il suo impossibile amore per la bella moglie del suo Capitano. Un commilitone lo prende in giro, scimiottandone l’atteggiamento, così Matteo si innervosisce ed anche una servetta rincara la dose, sbeffeggiandolo. Arriva adesso (8’49”) una certa Bice (dama di compagnia di Violanta) tutta eccitata perchè inseguita da frotte di ammiratori. Dopo un robusto ritorno (9’05”) dell’incipit del Carnevale, anche Barbara (anziana nutrice di Violanta) entra in scena chiedendo se qualcuno ha visto la padrona. Matteo (9’45”) immagina che lei sia alla festa in San Marco, Barbara lo ammonisce che Violanta è praticamente in lutto dopo il suicidio della sorella, e allora Matteo sospetta che lei sia fra le braccia di qualcuno per consolarsi. Barbara lo apostrofa come bugiardo, ricordandogli la purezza e castità della padrona. Un militare (11’23”) mette in guardia Matteo dalla furia del Capitano, e qui abbiamo la prima apparizione del tema di Simone, una violenta salita chiusa da un gesto perentorio, tipico di chi dà ordini irrevocabili... Bice (11’35”) propone al giovane in pena di accontentarsi di lei, che non è proprio male! Soldati e cameriere si mettono a cantare giubilanti, mentre dalla laguna torna a farsi udire la Canzone del Carnevale, che ora contagia tutto l’ambiente.

Scena 2. L’atmosfera cambia drasticamente (13’04”) poichè in casa (e in scena) è arrivato Simone, annunciato e poi spalleggiato dal suo tema imperioso. Ordina di cessare quei canti immorali e ai soldati di tornare ai loro posti di guardia: i suoi interventi sono sottolineati da un accompagnamento rude e marziale. Domanda a Barbara (13’57”) di Violanta, ricevendone risposta negativa. Matteo (14’39”) gli chiede di essere trasferito lontano da Venezia (beh, sempre meglio che il suicidio, per questo Narraboth-de-l’ostregheta...) e per tutta risposta viene minacciato di impiccagione all’albero della nave più vicina. Simone ora (15’07”) chiede della moglie anche a Bice, ma senza aver risposta: allora spedisce le donne a cercarla a casa della suocera...

Scena 3. Arriva proprio ora (15’51”) un nuovo personaggio, un eccentrico pittore, Giovanni Bracca, amante della bella vita, venuto a prendere Simone per portarlo alla Festa del Redentore, cantandone le lodi e intonando inni all’amore, sulla base musicale del tema del CarnevaleSimone (16’40”) si schermisce, mostrando di disprezzare i costumi della società che nasconde il peccato dietro l’arte e la musica. Giovanni lo tenta, annunciando (16’55”) che in giro per Venezia c’è Alfonso (e il suo tema serpeggia in orchestra!) lo sciupafemmine napoletano, arrivato su una nave trainata da quattro sacerdotesse dell’amore. Simone ne è sorpreso, e così rivela all’amico (17’36”) l’odio - qui compare proprio il tema dell’odio di Violanta, dal sapore acido e velenoso, una serie di terze minori ascendenti - che la moglie porta ad Alfonso, colpevole del suicidio della sorella buttatasi in mare (si noti a 17’57” il tema di Alfonso, storpiato in SOL minore).  Da allora (18’55”) lei non parla e non tollera rapporti con i maschi, marito incluso! E così Simone (19’44”) si convince a seguire Giovanni, per poter finalmente guardare in faccia quell’individuo. Giovanni riprende (20’33”) i suoi canti goderecci e si prepara ad uscire con l’amico. Ma proprio in quel momento, preannunciata dal suo tema nobile (20’55”) che si concatena al canto di Giovanni, ecco arrivare Violanta! Che dice (21’19”) di venire precisamente dalla festa, e chiede al marito di rimanere lì con lei. Giovanni (21’38”) quasi si dispera, per dover svolazzare da solo come un farfalla, ma Simone lo congeda con un gesto imperioso, e così il gaudente se ne va, ricominciando a canticchiare allegramente, con l’orchestra che chiude la scena con una classica cadenza da melodramma.

Scena 4. Eccoci quindi (22’28”) al drammatico confronto Simone-Violanta. L’atmosfera è creata dagli accordi che caratterizzano la protagonista, la quale annuncia l’imminente arrivo di... chi? (domanda ansioso Simone). Lo sai benissimo, risponde lei (23’40”): gli ho dato la caccia come a una volpe, l’ho seguito nella piazza, circondato da mille luci e da mille sorrisi di donna. Il suo sguardo trasmetteva un sorriso indefinibile, di quelli che ti fanno ribollire il sangue nelle vene. (24’54”) Alfonso! Mi son fatta largo fra tutte quelle ragazze che gli ronzavano attorno come api all’alveare, e sono giunta davanti a lui, danzando e sospirando, fremendo e languendo, così ho adescato il seduttore, gli ho cantato ciò che oggi è sulla bocca di tutti i giovani. Violanta (25’27”) intona il primo verso della Canzone del Carnevale, al quale risponde da fuori la folla delle maschere. Simone (25’39”) non lo può sopportare, ma Violanta prosegue: l’ho condotto dietro l’Orologio, al buio; lui si è chinato su di me, con i suoi occhi fiammeggianti e le labbra frementi. Lì ho capito che Nerina oggi sorriderà nella sua tomba! Simone (26’35”) ancora non comprende. E lei incalza: fra dieci minuti sarà qui, lui pensa che io sia un’artista del Teatro Felice e mi devo preparare a riceverlo, aspetterò al buio l’avvicinarsi del desiderio di questo peccatore. Ancora Simone incredulo (27’34”). E lei risponde che migliaia di donne pure attendono questo momento! Ora fra i due c’è un drammatico scambio di battute smozzicate, finchè lei gli spiega (28’45”): tu lo ammazzerai! Simone è sconvolto e lei continua (29’11”): finchè i suoi occhi e la sua bocca saranno vivi, io non potrò guardare nè baciare alcun uomo; (29’32”) provo per lui un odio indescrivibile! Ma è figlio di Re (29’50”) obietta Simone. Sì, ma desidera la bocca delle popolane! Ma domani potrebbe essere il tuo Sovrano! E mi ha già fatta schiava oggi! Arriva senza sospettare nulla... Viene per sedurre tua moglie! E potrebbe anche riuscirci (30’19”): fra odio e amore il passo è breve! Simone ora si convince (30’39”): farò come tu vuoi, e i due hanno un moto di tripudio, con lei che pregusta il ritorno alle gioie del rapporto matrimoniale! Simone intende aspettare Alfonso proprio lì, invece lei (31’22”) ha altro in mente: prima vuol lasciarlo illudere, per meglio castigarlo. Simone comprende (31’37”) e propone il segnale per il suo intervento: la canzone proibita! Qui Violanta (32’10”) intonando il tema di Simone (!) immagina la scena: lo guarderò negli occhi, lo sedurrò fino a farlo inginocchiare davanti a me, disarmato, e allora canterò la Canzone del Carnevale, e tu arriverai per trafiggerlo! I due insieme (33’09”) accennano il motivo del Carnevale, poi Simone, accompagnato dal suo stentoreo tema, si congeda dalla moglie e si allontana, mentre l’orchestra lo segue con un breve postludio.    

Scena 5. É un momento di transizione, per lasciar decantare la tensione creatasi in precedenza, e che ancora attanaglia il petto di Violanta, e preparare adeguatamente la scena-madre successiva, l’incontro di lei con Alfonso. É lei (34’16”) che chiama Barbara per farsi portare dei candelabri. L’anziana nutrice entra recando le luci, L’atmosfera è ora ovattata e tranquilla: Violanta le chiede (34’50”) di scioglierle i capelli: non andrà a dormire subito, ma lo farà presto. La nutrice (35’50”) ammira il collo e il petto della giovane, poi le sembra di sentire una barca attraccare lì sotto, ma Violanta la smentisce e invece (36’55”) si fa ripetere una favola che Barbara le raccontava da bambina, con una morale filosofica (37’59”): stare in pace con se stessi è avere il cielo in terra! È una specie di ninna-nanna (in RE maggiore) quella che Barbara canta alla giovane donna, conclusa subito dopo (39’10”) in DO maggiore con l’augurio di una buona notte. Barbara si allontana e Violanta resta sola in attesa. Qui (39’55”) abbiamo un mirabile interludio orchestrale, una specie di agitato Notturno, che evoca contemporaneamente la calma notte veneziana, illuminata dalla luna piena che si specchia nei canali, e lo stato d’animo di Violanta, sconvolto dall’ansia per ciò che sta per accadere: lei è uscita sul balcone e respira profondamente, mentre uno sciacquio di remi annuncia l’arrivo di una barca. Rientra quindi all’interno e chiude i tendaggi, restando immobile. Da lontano (42’11”) si ode la voce di Alfonso, accompagnata da un liuto e da un coretto a bocca chiusa, che canta una serenata (una meravigliosa romanza da operetta nobile, in LA maggiore) inneggiante all’amore e alla bella vita. Violanta (43’35”) la contrappunta con la predizione della fine della pacchia, e di tutto quel mondo peccaminoso. Ora assistiamo (43’58”) ad un duetto a distanza (e all’insaputa dei duettanti!): Violanta che ribadisce le sue minacciose predizioni, Alfonso che inneggia all’amore e alle donne, che si augura coprano di baci anche la sua tomba! Adesso (44’43”) si ode lo struscio e il cigolio dell’attracco di una barca alle palafitte del palazzo: Alfonso ne scende ed entra, con portamento vivace e principesco, bell’aspetto e capelli mossi... e  arriva al cospetto di Violanta.

Scena 6. É il momento della verità per Violanta: qui le sue certezze verranno messe seriamente alla prova e - alla fine - lei stessa si scoprirà totalmente diversa da ciò che credeva di essere. Per certi versi ricorda l’Isolde che - fulminata dal solo sguardo di Tristan - lascia cadere la spada con la quale era pronta ad ucciderlo. Così Violanta, partita per (far) uccidere Alfonso, ne verrà invece stregata, mostrando e rendendosi conto di essere, dopo tutto, solo una donna, normale e vulnerabile a quell’arcano mistero che si chiama... amore. Dunque, Alfonso (45’15”) si presenta facendole sperticati (e sinceri?) attestati di ammirazione: più che una regina, che si aspettava di incontrare, lui ha trovato addirittura il Paradiso! E per sottolinearlo, Korngold chiama in aiuto Wagner e quello sbudellante motivo dei Meistersinger (Sachs: Lenzes gebot, die süße Not) qui impiegato per sorreggere il Wie schön seid Ihr, wie herrlich schön di Alfonso. Alla sprezzante risposta di Violanta (chissà a quante altre devi aver riservato lo stesso trattamento...) Alfonso si dice offeso e rincara la dose di complimenti, inginocchiandosi ai suoi piedi. Poi (47’40”) le chiede di cantargli ancora quella canzone (il Carnevale) con la quale lo aveva stregato poche ore prima, ma Violanta gli risponde che non è ancora il momento, prima lo invita a togliersi mantello e cinturone e a sfilarsi la spada. Alfonso decide allora di cantare lui stesso la canzone proibita e (48’40”) si appresta a farlo, ma viene subito zittito bruscamente da Violanta (che evidentemente pensa ancora di mortificarlo per bene, prima di lanciare essa stessa il segnale convenuto con il marito). Alfonso non capisce, e allora Violanta (49’28”) gli spiega che quella è l’ultima canzone che lui ascolterà: non uscirà vivo di lì! Allo stupore di Alfonso, lei finalmente (49’56”) si rivela per la moglie di Simone Trovai, che arriverà lì per ammazzarlo quando ascolterà le note del Carnevale; e per la sorella di quella povera Nerina che, sedotta e abbandonata da lui, si gettò in laguna, suscitando i suoi sghignazzi! Alfonso (50’29”) è tentato di andarsene via, ma lei lo informa che tutte le uscite sono bloccate e lo sfida a chimare tutte le donnine cui ha strappato il cuore perchè vengano ora a difenderlo. Alfonso, a questo punto (51’06”) e con grande passione (sembrerebbe proprio sincero... visto che impiega il suo nobilissimo tema) si imbarca (51’33”) in una lunga autodifesa, accusandosi di tutte le sue malefatte, ma incolpando (52’34”) di ciò il destino-cinico-e-baro, che lo lasciò orfano della madre (proprio come quella di Tristan, morta partorendo lui) e lo portò a vivere sì in una Reggia, ma da sbandato e spinto quindi (53’30”) a vagare invano in cerca di felicità e di un amore sincero. Ora lui (54’35”) non chiede compassione, nè pietà: si accontenta di non essere trattato da vile, e poi... morirà. Quindi (55’20”) le chiede di cantare! Violanta (55’50”) corre verso una porta come per chiamare aiuto, ma emette solo un rantolo e poi abbassa il capo: la musica che sostiene questi suoi movimenti ci ricorda quella udita nel Preludio. Per Alfonso (57’02”) è il segno che Violanta sta per cedere e così le si avvicina e le chiede con una frase appassionata (57’37”) se lei per caso non lo ami! Lei si schermisce, arrossisce di vergogna, ma lui ormai è certo (58’01”): lei voleva la sua morte per difendere la propria pretesa castità, non per vendicare la sorella! E insiste (58’28”): tu non mi hai mai odiato! E ancora (59’03”): temevi solo per la tua purezza, e per questo io dovevo morire! Violanta (59’21”) deve ammettere di essersi innamorata di lui al primo sguardo (Isolde?...) e impreca contro la Madre Maria, che permette agli umani simili bassezze! Alfonso (59’52”) la invita a credere nell’innocente giovinezza, lei ribatte di aver cercato di resistere alla passione, ma invano. Così l’unica via d’uscita era la sua morte, che poteva liberarla dal peccato, e mantenerla casta e pura. Alfonso è sempre più eccitato dalla conquista e chiede (1h00’50”) a Violanta di non pensare ad altro che a godere di quest’attimo fuggente. Lei (1h01’22”) ammette di non avere mai avuto un vero amore: sempre oppressa dai doveri familiari, non ha mai potuto vivere per se stessa. E allora Alfonso (1h02’32”, pare Siegfried con Brünnhilde!) le chiede di farlo adesso: quanto a lui, il solo poterla abbracciare sarà la più grande conquista della sua vita! E qui (1h04’32”) sboccia il duetto in SI maggiore che suggella l’unione di questi due cuori, in un delirante desiderio di amore-e-morte. Spalleggiato dal tema di Alfonso, un lunghissimo bacio (1h06’55”) sottolinea la loro passione, proprio mentre Simone (1h07’35”) si fa vivo, chiamando ripetutamente la moglie. Che ormai sente avvicinarsi il redde-rationem, mentre Alfonso (1h08’16”) le chiede di confessare tutto al marito, invitandola a cantare la canzone! E così Violanta fa (1h08’38”) estasiata, fra le sue braccia, e contrappuntata da voci che arrivano da fuori.

Scena 7. Annunciato dal suo tracotante tema (1h09’24”) ecco Simone precipitarsi nella sala. Dove trova la moglie e il di lei amante in atteggiamento inequivoco. Violanta lo implora di non ucciere Alfonso: lei ne è innamorata, fin dal primo momento. Simone resta sgomento: tutto il mondo gli sta cascando addosso. E Alfonso (1h10’04”) rincara la dose: Violanta non è mai stata tua, lei ha sempre sognato me (!) Simone, fuor di sè, estrae la spada e si avventa sul rivale per trafiggerlo. Ma Violanta lo anticipa (1h10’27”) frapponendosi fra Alfonso e la punta della spada, che le trapassa il cuore! Mentre Alfonso chiede aiuto e Simone la depone a terra, Violanta lo ringrazia per averla restituita... a lui! Perchè adesso lei è stata salvata dal suo peccato. E benedice la Canzone del Carnevale, mentre Giovanni Bracca (1h11’54”) con altre maschere, irrompe nella sala, inneggiando alla festa. Ma subito lui e tutti quanti restano letteralmente paralizzati dalla scena che si presenta ai loro occhi. Mentre ancora arrivano voci del Carnevale (1h12’26”) Violanta spira (1h12’48”) felice per essere stata liberata da peccato e vergogna. Il sipario cala sulla scena rosseggiante invasa da una pioggia di fiori, mentre l’Orchestra chiude su spezzoni del Carnevale e poi, pesantemente, sulle prime due note (SOL-DO) del tema di Alfonso
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Adesso che ne sappiamo di più, soprattutto dalla musica, possiamo fare qualche considerazione sul soggetto e sui personaggi che lo animano, in particolare sui due protagonisti principali. Partiamo da Violanta. 

Che ci appare come una donna forte (oltre che bella e... arrivata): le sue doti hanno conquistato anche un soldatino del marito, ma soprattutto lei si è ritagliata il ruolo di giustiziera divina contro colui che aveva adescato con il suo fascino la sua ingenua sorellina, per poi scaricarla e portarla così al suicidio. E siccome il ruolo prevede che lei diventi a sua volta un’irresistibile adescatrice, c’è chi ha definito la sua come una figura di femme-fatale. Per citare quache esempio: Carmen, o Salome, o magari Lola: tutte femmine (plebee o nobili) che in qualche modo infrangono consuetudini, pregiudizi e ipocrisie della società per far valere le loro prerogative e vivere - anche pericolosamente -  la loro libertà. 

Ma è davvero questa la vera Violanta? O invece non è proprio tal-quale la sorella? Non appena lei viene a contatto con quella che dovrebbe essere la sua vittima, lei ne rimane subito soggiogata; poi prova comunque a portare a termine il compito che si è assunta, ma da giustiziera si ritrova anche lei vittima della libidine che avrebbe voluto punire. E il suo gesto estremo è perfettamente speculare a quello della sorella: morire per non subire umiliazioni e vergogna. E la musica che Korngold le affibbia conferma proprio l’instabilità e la fragilità del carattere di questa donna, schiava (lo ammette lei stessa) delle convenzioni e delle ipocrisie della società. 

E Alfonso? Un Dongiovanni impenitente? O davvero una vittima, come racconta a Violanta, di tragici casi del destino (perdita della madre)? Qualche indizio ce lo dà il libretto: alla morte per suicidio di una sua conquista vittima (Nerina) lui pare si sia fatto una risata! E confessa di aver sciupato torme di donne inebriate dalle sue qualità amatorie. Attenzione a questo dettaglio (presente in didascalia): dopo che Violanta gli si è rivelata e gli ha preannunciato la morte imminente, Alfonso, come reazione immediata, cerca di fuggire! E soltanto dopo che Violanta gli ha tolto ogni speranza di salvezza lui si inventa (?) quella storia strappalacrime di una condizione miserevole, che lo ha indotto a condurre quella vita scostumata e priva di valori. In altre parole: non avendo ottenuto immediatamente la vittoria sulla donna impiegando il suo irresistibile fascino naturale, lui ricorre allo stratagemma del vittimismo, per suscitare la pietà e, come diretta conseguenza, data la psiche non proprio in equilibrio della donna, addirittura l’amore di Violanta! 

Korngold? Beh, la sua musica pare non lasciare dubbi: lui sta con Alfonso! Qualche anno dopo peraltro (diventato... maggiorenne!) ribalterà i ruoli, ridicolizzando il povero Paul e riscattando l’intero genere femminile con lo strepitoso personaggio di Marietta. 
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A Torino lo spettacolo è affidato alla solida bacchetta di Pinchas Steinberg e alla regìa del venerabile PierLuigi Pizzi. Martedi prossimo la prima. Radio3 trasmetterà invece l’ultima recita, martedi 28/1, ore 20. Da quella data lo streaming-video sarà disponibile per un mese su Operavision.