ricongiungimenti

Maurizio & Claudio

25 novembre, 2023

Orchestra Sinfonica di Milano – Stagione 23-24.4 (con sorpresa)


Dopo la lunga e fortunata parentesi del Mahler-Festival, l’Orchestra ha ripreso il cammino della stagione principale sotto l’effetto di una notizia cheha davvero del clamoroso: le dimissioni – ufficializzate 24 ore prima del concerto - del Direttore Generale ed Artistico della Fondazione, il Maestro Ruben Jais. Un vero e proprio fulmine a ciel sereno (Jais aveva diretto meno di due settimane fa - ma non con l’Orchestra principale - il penultimo concerto del Festival, da lui fortemente voluto) che ha colto quasi tutti di sorpresa, anche se alcuni ricorderanno la spiacevole vicenda del 19 marzo scorso, culminata con la minaccia di sciopero – poi rientrato - dell’Orchestra, proprio a fronte di una discutibile iniziativa dello stesso Direttore (che comunque ieri sera si aggirava sorridente in sala).  
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Per questo fine settimana in calendario c’è un concerto bifronte, diretto dal 28enne fiammingo Martijn Dendievel, che ha affiancato un’Opera e un Autore contemporanei ad una delle più eseguite sinfonie di Ciajkovski.

Del 42enne tulipano Joey Roukens è stato eseguito, in prima italiana, In Unison, un Concerto per due Pianoforti e Orchestra del 2017 (qui l’audio della prima) interpretato dai due connazionali dedicatari, i fratelli Lucas & Arthur Jussen, che sono attualmente Artisti in residenza presso laVerdi.

Ecco qui (Lucas a sinistra, al piano-1 e il fratello minore Arthur a destra, al piano-2) la registrazione video di una loro performance del 2021 con l’Orchestra olandese co-dedicataria dell’opera, presente anche l’Autore, festeggiato con loro dopo la brillante esecuzione. Verso la fine della quale arriva un’improvvisa e lunga cadenza con un virtuosismo di timpani, che sono percossi dal padre dei due pianisti, Paul, che in quest’altro video di presentazione del brano viene anche simpaticamente preso in giro dai suoi due enfants-terribles!

Il compositore ci dice di aver scelto il titolo del Concerto ascoltando i due fratelli suonare… e con tanto affiatamento da farglieli apparire come un unico super-pianista che suona un super-pianoforte. Oltre al titolo, anche i tre classici movimenti in cui il concerto si articola recano dei sottotitoli che ne evocano l’ispirazione (fra parentesi la mia personale interpretazione delle note esplicative dell’Autore):

1. Neon Toccata (luminosa, estroversa, orecchiabile: le luci psichedeliche di una discoteca?);

2. What If (struttura A-B-A’, improvvisi cambiamenti di atmosfera: calma, agitata, calma);

3. Dark Ride (una corsa all’impazzata, cupa e grottesca, con un finale a sorpresa).

Imponente la batteria di percussioni, con tre esecutori che devono gestire, rispettivamente, 10, 10 e 8 strumenti! Tutto sommato normale la compagine di fiati e archi; una celesta si aggiunge all’organico.

Il compositore raccomanda un rigoroso rispetto dei ritmi, così come indicati in partitura, che è ricchissima di minuziose indicazioni agogiche, ad esempio: ritmicamente quanto più preciso e stabile (assolutamente non rubato); oppure: un oscuro, sinistro tran-tran… In altri casi invece l’Autore si limita ad indicare, in secondi, il tempo di esecuzione di alcune battute!

Il primo movimento ha una struttura abbastanza aperta, tipo durchkomponiern, con alternanza di passaggi affidati ai soli solisti, o alla sola orchestra, o all’insieme. Difficile individuare temi ricorrenti, salvo forse alcune figurazioni ritmiche, che talvolta si ripropongono.

Ecco qui l’attacco dei due pianoforti, alla battuta 12 (24” nel filmato) dopo che l’orchestra – ora zittitasi - ha imposto il tempo Molto allegro, con fuoco:

Dopo nove battute di silenzio l’orchestra (41”) rientra per iniziare il suo dialogo con i solisti, che poi si limita all’intervento di percussioni, ma prende nuovo slancio (1’31”) con metronomo raddoppiato fino a che (2’15”) l’orchestra rimane sola a portare avanti il discorso. È un passaggio assai rigoroso ed energico, con gli ottoni in grande evidenza, fino al rientro dei solisti (2’44”) anticipati e poi accompagnati anche dalla celesta.

Dopo una veloce ascesa del piano-1 (3’30”) i solisti tacciono per poco, lasciando spazio ancora ad un deciso intervento dei fiati, che porta ad uno schianto (3’40”) seguito da un’oasi più calma, dove abbiamo il ritorno dei due pianoforti, che a mano a mano riaccendono il ritmo, accompagnati e sostenuti soprattutto dalle percussioni. 

Si arriva quindi (4’25”) alla ripresa del tempo molto agitato, con i solisti a condurre la danza, trascinando i fiati fino ad un climax (5’19”) dopo il quale si tacciono, cedendo all’orchestra il centro della scena, caratterizzata da un’ampia e cantabile melodia nei fiati e poi negli archi, accompagnata sempre dal ritmo serrato imposto dalle percussioni.

Ecco ora rientrare i solisti (6’00”) per presentare una vera e propria cadenza:

Che è suddivisa in due parti: 14 battute dove il piano-1 suona un tremolo cangiante e il piano-2 si libra in svolazzi di semicrome e biscrome; e 10 battute dove i due solisti si scambiano i ruoli. Non è necessario che in ciascuna delle due sezioni ci sia un preciso sincronismo fra i due, che va rispettato solo nel momento (6’51”) in cui si danno il cambio.

La cadenza sfuma (7’14”) nella coda del movimento, caratterizzata da una progressiva entrata degli strumenti dell’orchestra (prima legni e archi bassi, poi celesta e percussioni, infine archi alti) e da una generale accelerazione, chiusa infine da una croma sforzata di archi e percussioni.  

Il movimento centrale (Molto tranquillo, ma ben misurato) è, come anticipato, in forma (spuria) A-B-A’. Inizia (8’26”) con ottavino (poi flauto) e violini che suonano una cullante melodia e i due solisti che dettano il ritmo lento con note ribattute (questa sarà una delle caratteristiche del movimento) supportati poi dal martellio delle percussioni.

Ora (10’20”) con leggero aumento del metronomo, sono i due pianoforti a prendere il centro della scena dando inizio ad un lungo e nobile passaggio, con archi e fiati a sostenere il dialogo con lunghe note tenute; il tempo accelera ancora impercettibilmente finchè (13’04, Con grandezza, largamente, nobilmente) i due pianoforti tacciono mentre oboi, corni e violini primi trascinano tutta l’orchestra verso un grandioso climax.

Che segna (14’15”) il brusco passaggio alla sezione B del movimento, dove il tempo aumenta del 50% (metronomo da 40 a 60 semiminime, Come improvvisamente in un'altra dimensione) e i due solisti tornano protagonisti, accompagnati prevalentemente da percussioni, riproponendo le loro figurazioni con note ribattute.

Il tempo accelera ancora in due riprese, passando da 60 a 66 e poi a 72 semiminime, fino ad arrivare (15’50”) ad un momentaneo rallentamento, con il ritorno in primo piano anche degli archi e successivamente dell’intera orchestra. Il tempo riprende ad accelerare progressivamente, tornando a 72 semiminime e quindi (17’10”, energico) a 84. I solisti tacciono ed è l’orchestra a scatenarsi ancora con un impressionante crescendo di note ribattute, crescendo che poi si spegne sul sommesso sussurro delle percussioni.

Siamo quindi arrivati (18’24”, tranquillo e religioso, il metronomo piomba a 42) all’ultima sezione del movimento (A’) dove i due solisti riprendono l’atmosfera iniziale, accompagnati in sottofondo da archi e percussioni, poi (19’59”) anche da flauti e tromboni. Eccoci quindi (20’48”) alla coda, con un impercettibile aumento del metronomo (45) e i due pianoforti (semplice, molto sereno e lirico) - accompagnati da ottavino, clarinetto e poi dalla celesta, con i primi violini chiamati ad emettere le note più acute possibili - che portano, in una progressiva rarefazione del suono, il movimento alla conclusione.

Dove troviamo una delle trovate della partitura che rasenta la bizzarria: nelle ultime tre battute del movimento (22’35”) i due solisti devono percuotere con le nocche della mano sinistra il legno sopra la tastiera del pianoforte:

Il movimento finale del Concerto (Presto, sempre molto ritmico) è aperto (23’15”) da uno schianto della sola orchestra, che introduce l’ingresso dei solisti (23’28) con 12 battute dal ritmo sincopato e sghembo (5/8, 3/4. 7/8) che caratterizzerà anche gran parte del seguito, chiuse da una rapida discesa in tutti gli ottoni.

I due pianoforti conducono questa corsa ostinata, fatta di quartine e terzine di crome in tre delle quattro mani accompagnate da note lunghe nella quarta, mentre legni e archi scandiscono il ritmo; poi (23’55”) sono la tromba e la tuba a suonare le note lunghe, mentre la quarta mano del pianoforte passa al ritmo.

Si arriva così a 24’43”, molto energico e ben articolato, con mordente, dove i solisti tacciono ed è l’orchestra a riprendere il discorso, dando ulteriore corposità al suono, che poi improvvisamente si calma (24’55”) in vista del rientro dei solisti. I quali poco dopo (25’25”) si inoltrano in un’atmosfera più rarefatta, dominata dalle note lunghe: un passaggio lirico, liquido e sognante. Il brusco risveglio (25’54”) vede impegnati quasi esclusivamente i solisti in una specie di cadenza accompagnata da percussioni e archi, che poi si arricchisce dei suoni del resto dell’orchestra.

Il passaggio è chiuso da una veloce salita dei due pianoforti (con slancio) fino ad uno schianto, seguito (27’05”, Sostenuto) da una breve oasi di calma, protagonista solo l’orchestra e chiusa (27’24”) da un altro colpo secco di legni, ottoni, tamburo e archi bassi. Si torna al Tempo I, ma ancora più veloce, dove la cavalcata generale riprende e poco dopo (27’41”, grottesco e molto energico, come un pazzo) diventa davvero travolgente, fino a spegnersi (27’58”) seguita da 5 battute grevi di fiati e archi bassi.

Ora (28’20”, Poco meno) è l’ottavino (più tardi raggiunto dal clarinetto, quindi dal flauto e con svolazzi della celesta) ad esporre una lenta melodia, mentre i due pianoforti creano una specie di sottofondo liquido. Un lento crescendo porta ad un nuovo scossone (28’54”) che prelude al colpo di teatro finale, protagonista la famigliola Jussen: mentre Lucas e Arthur si scatenano in veloci (e barbare) figurazioni su terzine di crome e semicrome, papà Paul (29’01”) si deve sottoporre ad un minuto di sfrenato tour-de-force ai timpani, chiuso da un’autentica (brutale) gragnuola di colpi.

Inizia ora (29’57”) la coda del Concerto, con i solisti, inizialmente accompagnati dalla celesta, che stringono il tempo, poi momentaneamente lo rallentano come a prender la rincorsa per lo sprint finale: dopo tre glissando (30’16”, discesa, salita, discesa) i pianoforti tacciono momentaneamente ed è l’orchestra (30’26”) che attacca (Quasi presto) e poi (30’35”, Prestissimo) introducendo quindi i due solisti (30’46”) che sparano le ultime cartucce.

Un ultimo momento di stasi, con l’intera orchestra che tiene lunghissime note in un crescendo sonoro che si arresta prima delle due battute conclusive del concerto (31’05”) dove i due solisti, rimasti… soli, all’unisono suonano contemporaneamente (su due ottave) l’intera scala dei tasti bianchi: LA-FA-RE-SI / SOL-MI-DO-LA:

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Che dire? È un ennesimo esempio di musica contemporanea composta per divertire insieme pubblico ed esecutori, dopo che per decenni – nel secolo scorso – molta della musica (allora) contemporanea sembrava scritta per esasperare il pubblico e compiacere ristrette élite di penitenti dediti all’auto-flagellazione (!)  

Travolgente successo per i due fratelli, per il Direttore e per l’Orchestra, così Lucas&Arthur ci hanno regalato questo bel bis sognante.
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Ha chiuso la serata la tremenda Quarta di Ciajkovski. L’Orchestra la potrebbe ormai suonare a memoria e forse anche senza Direttore. Direttore che in ogni caso si è fatto valere, guidando i ragazzi con gesto misurato e mettendo nel dovuto risalto i passaggi più lirici dell’opera, per poi scatenare ottoni e grancassa quando e quanto dovuto.

Inutile dire dell’accoglienza frenetica, con ovazioni per le prime parti e le diverse sezioni dell’Orchestra e ripetuti battimani ritmati all’indirizzo del Direttore.

14 novembre, 2023

Orchestra Sinfonica di Milano – Mahler-Festival#14


Ieri si è chiuso il Mahler-Festival con l’ultima Sinfonia (completata) del compositore boemo: la Nona, con il Direttore Emerito Claus Peter Flor sul podio di un Auditorium affollatissimo. Un degno suggello per questa manifestazione che ha tenuto banco – nel mondo culturale milanese e non – per più di tre settimane piene di suoni prodotti dalle migliori orchestre italiane: un evento davvero degno di passare alla storia!
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La Nona, insieme al Lied von der Erde (che a settembre in Scala aveva significativamente inaugurato allo stesso tempo la stagione 23-24 e il Festival) e al torso della Decima, forma quella trilogia della morte con cui si usa catalogare quest’ultima parte della produzione mahleriana, a partire da quell’infausto 1907 che calò sul capo di Mahler (e della moglie Alma) le micidiali martellate del finale della Sesta. Sinfonia peraltro composta quasi 4 anni prima, quando Mahler toccava letteralmente il cielo con un dito: moglie invidiata dal mondo intero, famigliola felice, gloria professionale e benessere economico.

E infatti quella Sinfonia tragica rimase un unicum (conclusione in tonalità minore) in tutta la produzione mahleriana, anche in quella posteriore: immediatamente, anni 1905-1906, che videro nascere la Settima, chiusa da un esilarante DO maggiore, e l’Ottava, dove il MIb maggiore abbonda fino alla nausea; ma anche successivamente all’annus horribilis, con quella trilogia (1908-1910) che ostinatamente continua ad evitare conclusioni funeree: il Lied chiude in DO maggiore, la Nona in REb maggiore e la Decima (abbozzo) in FA# maggiore.

Insomma, si può dire che la dimensione tragica in Mahler fino al 1907 fu sempre e solo osservata dall’esterno, tutt’al più fatta propria con un sentimento di pietas per tutti i mali del mondo, di cui il compositore era stato ed era direttamente testimone. Ecco, dopo quel disgraziato 1907 tutto cambiò poiché Mahler sperimentò – inaspettatamente e a ripetizione - il tragico sulla propria persona, sia in termini materiali (la fine dell’avventura viennese, la diagnosi preoccupante del suo stato di salute) che spirituali (la scomparsa della figlioletta e il deteriorarsi del rapporto con Alma).

Possiamo quindi immaginare lOttava sinfonia (1906) come quella che chiude il ciclo della produzione del Mahler testimone del mondo; da lì in avanti, la sua musica sarà quella del testimone di se stesso, naturalmente in rapporto al mondo e all’aldilà. 

Ed è proprio la trilogia della morte che in qualche modo sconfessa, come insincero, il pessimismo, quasi-nichilismo della Sesta: la quale, alla luce delle ultime opere, ci appare come una deviazione intellettualistica da quella strada che da sempre Mahler aveva percorso: l’amore sconfinato e una specie di fede laica nella Natura, di cui sono testimonianza i versi aggiunti di suo pugno alla fine del testo cinese dell’Abschied, che muta da fatalistico sconforto a rassegnazione serena, come gli orizzonti che si tingono d’azzurro…

In sostanza: in quell’estate del 1907 Mahler di certo aveva preso coscienza che la fine avrebbe potuto ormai bussare alla sua porta in qualunque momento, ma non era affatto un uomo sfiduciato, era anzi un artista che si manteneva in buona efficienza e piena attività. Caso mai la sua Nona – così come il Lied e i frammenti della Decima – ci mostrano la sua intima convinzione che, pur sulle macerie lasciate da quei terremoti, ci fosse ancora la prospettiva di una terza età che certo escludeva per lui il ritorno ai trionfi (pubblici e privati) della gioventù, ma che era pronto ad affrontare con il piglio di sempre (non per nulla, appena completata la Nona, metterà subito in cantiere e comincerà a lavorare alacremente alla sua Decima!)

Quindi: nessun sentimento di terrore di fronte allo spettro di una morte imminente (che arriverà – e prematuramente, possiamo ben dirlo date le circostanze - ben due anni dopo la Nona e tre dopo il Lied, e a causa di una infezione virale, un’endocardite, incurabile perchè non c’erano ancora in giro gli antibiotici…); ma l’esposizione del suo programma, non scritto, di consapevolezza nella caducità delle terrene cose e quindi anche della vita, alla di cui fine prepararsi nel modo musicalmente più appropriato.

A puro titolo di curiosità, se osserviamo che il Lied chiude su una sopratonica (RE) e la Nona su una dominante (LA) potremmo spiegare queste cadenze imperfette come una sfida del superstizioso Mahler alla morte, lasciando sempre aperto uno spiraglio per la… prossima Sinfonia, cosa che effettivamente accadde! 
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Come in quei film (o quei racconti) che si aprono calando direttamente (in medias res) ad un passo dalla conclusione per poi presentarci un lungo flash-back che ci informa in dettaglio sui fatti pregressi e infine ci riporta là da dove il film era cominciato, così questo Festival aveva avuto la sua ideale anteprima domenica 10 settembre alla Scala, quando si era spento il Lied con la reiterata esposizione di un motivo (mediante>sopratonica, MI-RE) che aveva accompagnato le ultime parole del canto: ewig… ewig… ewig… Poi il Festival ci ha condotto per mano ad esplorare tutte le vicende musicali che avevano portato a quel punto: quattro cicli di Lieder e otto Sinfonie!

Ecco perché è stata opportunamente chiamata proprio la Nona a chiudere il Festival: racconta della Sinfonia (come genere di opera musicale) che musicalmente interpreta il suo proprio tramonto in modo sereno, non traumatico, restando fedele al suo passato nella struttura complessiva (quella risalente a Mozart, all’ultimo Haydn e a Beethoven, i tre mostri sacri della prima scuola di Vienna…), nella forma-sonata del movimento iniziale e nella natura dei movimenti interni (uno comodo e l’altro vivace); ma essendosi spogliata dei tratti più eroici e sognatori - e magari velleitari - dei bei tempi andati (i due movimenti esterni, non più Allegro, ma Andante e Adagio).

E la Nona riprende precisamente il discorso lasciato in sospeso da quel MI-RE (ewig…) dell’Abschied: poiché dopo sei battute introduttive (piene di simboli e allusioni) i secondi violini si lanciano nell’esposizione del primo tema che inizia proprio con l’inciso mediante>sopratonica (ma qui FA#-MI, poiché siamo in RE maggiore…) che aveva chiuso il Lied!

Flor, che già aveva diretto qui la Sinfonia pochi anni fa, ne ha dato una lettura che definirei laica, asciutta (come testimonia il tempo spedito con cui ha condotto il gemächliche Ländler); accentuando i contrasti del primo movimento (grandi impennate eroiche seguite da catastrofiche cadute); poi scatenando tutta la furia del Rondo.Burleske, nel quale compare, quasi un miraggio, quell’oasi improvvisa dove la tromba anticipa il gruppetto, elemento fondante dell’Adagio conclusivo. Adagio la cui tonalità degrada di un semitono rispetto al RE maggiore iniziale, anche questo un chiaro riferimento all’ineluttabile scorrere del tempo e all'avvicinarsi della...

Del quale Adagio è da ricordare il culmine caratterizzato dalla straziante perorazione dei quattro corni (ieri guidati da Giuseppe Amatulli, meritatamente ovazionato alla fine) per arrivare alla conclusione che, dopo il girotondo delle viole attorno alla dominante di REb, non ha contemplato minuti di raccoglimento come si fosse in una camera ardente dinanzi ad un feretro, ma qualche doveroso secondo di silenzio per far semplicemente decantare l’emozione che si prova sempre ascoltando questa musica. (Sì, perché qui anche il silenzio è… musica, che proprio sembra non volersi spegnere, ma continuare a vivere in eterno.)

Più di cinque minuti di liberatori applausi hanno salutato l’epilogo di questa grande e indimenticabile avventura.

12 novembre, 2023

Orchestra Sinfonica di Milano – Mahler-Festival#13

Il penultimo concerto del Festival ha avuto come protagonisti l’Orchestra Sinfonica Giovanile di Milano (una delle tante facce artistiche de laVerdi, formata solo da under-25) e Ruben Jais (che riunisce in sé le cariche di Direttore Generale e Artistico della Fondazione).

Mahler qui era presente come ri-orchestratore di Bach, e incapsulato fra due opere di Beethoven: insomma, una gran bella compagnia!

Si è aperto con l’Ouverture Coriolano, che Beethoven compose per la tragedia di vonCollins. A proposito di tragedie, in questa vecchia pubblicità - che si conclude proprio con le note di apertura del Coriolano - compare a più riprese il teatro di una recente tragedia che ancora grida vendetta…

L’Ouverture poggia classicamente su due temi contrastanti, che evocano la vicenda di Coriolano:

Il primo, DO minore, introdotto da poderosi schianti dell’intera orchestra, è davvero drammatico, come l’intera esistenza del condottiero romano, conclusa - almeno stando a Cicerone - con tanto di suicidio.

Il secondo, nella relativa MIb maggiore, di carattere elegiaco, femminile, contemplativo, vuol evocare la figura della madre che scongiura Coriolano di non attaccare la sua città.

I ragazzi della Giovanile, guidati dal Konzertmeister (fuori-quota…) Dellingshausen hanno fatto così il loro esordio ufficiale in Auditorium, accolti da applausi di simpatia e incoraggiamento. 
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Ecco poi la Suite bachiana, che Mahler approntò a NewYork nel 1909 per una serie di concerti storici della NYPO, di cui era Direttore Musicale; la prima fu eseguita mercoledi 10 novembre, cui seguirono numerose esecuzioni in USA in quella stagione e nella successiva, fino a quel fatale febbraio 1911 quando a Mahler fu diagnosticata la nuova e letale malattia cardiaca che lo portò alla tomba nel giro di tre mesi.

La tabella seguente rappresenta la struttura delle due Suite bachiane originali e le corrispondenti sezioni di quella mahleriana, che principalmente consta nell’aggiunta della parte al clavicembalo, dove sedeva lo stesso Mahler:

Bach
Mahler
Suite 2 (BVW 1067)
Suite aus den Orchesterwerken von J.S. Bach
            1. Ouverture  
      1. Ouverture  
            2. Rondeau
      2. Rondeau
 
 
 
 
 
 
           Badinerie
   
            3. Sarabande
            4. Bourrée I
            5. Bourrée II
            6. Polonaise
            7. Double
            8. Menuet
            9. Badinerie
Suite 3 (BVW 1068)
            1. Ouverture  
            2. Air
      3. Air     
            3. Gavotte I
      4. Gavotte I
          Gavotte II
   
   
            4. Gavotte II
            5. Bourrée  
            6. Gigue

Qui una pregevole esecuzione di Riccardo Chailly ai tempi della sua lunga permanenza al Concertgebouw.

A proposito di questa Suite, va ricordato che essa – insieme alla Quarta di Schumann-Mahler, diretta con la NYPO - fu l’unica opera (e pure non originale…) dell’antico rivale diretta da Arturo Toscanini, precisamente alla Scala mercoledi 12 ottobre del 1927!  

Jais, in considerazione del ruolo di spicco che ha nella Suite (soprattutto nei primi due numeri), ha portato Alessia Scilipoti e il suo flauto al proscenio, alla sua sinistra. Per lei e per tutto il complesso ancora convinti applausi.
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Ha chiuso il programma l’inflazionata Quinta, che ha messo a dura prova la compagine dei giovani, che hanno risposto con entusiasmo e dedizione, nuovamente ricambiati da lunghi applausi. Per loro un felice battesimo: così nel prossimo futuro avranno l’opportunità e l’onore di suonare con Direttori del calibro di Robert Treviño (2/12), Emmanuel Tjeknavorian (17/2) e Claus Peter Flor (11/5).

Orchestra Sinfonica di Milano – Mahler-Festival#12

L’ultima Orchestra Ospite del Festival è la Toscanini di Parma, guidata da Omer Meir Wellber (al suo esordio in Auditorium) che ci ha presentato un concerto già dato nei giorni scorsi a Como e a Parma (quindi ormai… collaudato).

Vi troviamo le tre principali componenti della produzione mahleriana esplorate dal Festival: Sinfonia, Lieder e orchestrazioni di musica altrui (Schumann, nella fattispecie).

Si è quindi aperto con l’Andante-Adagio, unico movimento portato (quasi) a compimento della Decima, che Mahler mise sulla carta nell’estate del 1910 a Toblach, la sua ultima estate e per di più quella più dolorosa (almeno quanto quella del 1907 a Maiernigg): perché vi arrivò la terza martellata che il superstizioso Mahler aveva cancellato dal finale della sua Sesta (anzi, potremmo dire fosse in realtà la quarta martellata): il tradimento di Alma! Un colpo che peraltro il compositore, riavutosi dallo choc della sorpresa, incassò con grande dignità, ammettendo le sue colpe (inadempienze ai doveri del letto matrimoniale, per essere precisi) nei riguardi della moglie e correndo fino a Leiden per farsi aiutare da Freud a rimediare alla catastrofe. 

Ed in effetti Alma decise di rimanere stoicamente al suo fianco, mentre il marito arricchiva gli schizzi della nascente Sinfonia costellandoli non già di note, ma di sfoghi, invocazioni, imprecazioni e lamenti. Mahler si dovette poi occupare della trionfale prima dell’Ottava a Monaco e infine partì per NewYork, dove imperterrito continuò a lavorare alacremente con la NYPO, dirigendo un concerto dietro l’altro, fino a che… il cuore già da sempre malmesso fu attaccato dallo sbifido virus che provocò la fatale endocardite. 

E della Sinfonia Mahler lasciò quindi solo lo scheletro (ma una specie di Frankenstein, senza una chiara indicazione di quali fossero le braccia, le gambe, il torso e il bacino, tanto per dire…) Lo stesso movimento completato doveva essere presumibilmente il secondo dei cinque sbozzati in Particell (1-2-3-4-5 righi musicali al massimo) e arrivati a noi dalla moglie Alma che li rese pubblici nel 1924.

E persino su questo movimento giuntoci in manoscritto nella sua interezza (orizzontale e… verticale) possiamo star tutt’altro che certi che sarebbe rimasto proprio così se l’Autore avesse avuto il tempo materiale per ulteriormente rivisitarlo e rifinirlo, come fece per tutte le sue Sinfonie precedenti.

Ne è prova che persino curatori diversi della pubblicazione di questo Adagio non hanno concordato fra loro. Ad esempio, nell'ormai lontano 1964, proprio nel periodo in cui Deryck Cooke – Alma permettendo - stava facendo eseguire la sua prima versione dell'intera sinfonia, Erwin Ratz, nella sua prefazione all'edizione Universal del solo Adagio, scriveva papale-papale: 

Ciò che sta scritto su questi fogli (i manoscritti mahleriani, ndr) era completamente intellegibile dal solo Mahler, e nemmeno un genio sarebbe capace, da questo stadio di sviluppo del lavoro, di divinare l'approccio alla sua forma definitiva. 

Ma questa sentenza - un grosso siluro a Cooke - veniva pubblicata proprio nella prefazione all’Adagio, che Ratz aveva a sua volta editato (come risulta dal corposo Revisionsbericht…) in quanto incompleto la sua parte, e in base alla considerazione che ormai quel movimento era entrato nel repertorio di tutte le orchestre, e tanto valeva dargli una veste, per così dire, ufficiale, con la benedizione della Internationale Mahler Gesellschaft di Vienna.  

Se si confrontano le due partiture dell’Adagio – di Ratz e Cooke – si possono rilevare differenze di varia natura: alcune sono bizzarrìe belle e buone, come notare un FA bequadro (Cooke) invece di un MI diesis (che Ratz non si accontenta di indicare in chiave, ma scrive esplicitamente davanti alle note); in altri casi troviamo indicazioni agogico-dinamiche divergenti (dove Cooke è assai più ricco ed esplicito di Ratz); infine abbiamo differenze non da poco nell'orchestrazione, dove ad esempio Cooke impiega flauti, oboi, clarinetti e tromboni a4 (mentre Ratz li limita a3), prevede clarinetto basso e controfagotti (assenti nella versione Ratz) e a volte ispessisce il suono aggiungendo oboi e flauti sopra gli ottoni (peraltro sempre in modo distinguibile rispetto al contenuto del manoscritto).

Certo, ad un ascolto superficiale son differenze magari impercettibili, che non cambiano poi di molto la sostanza, ma che testimoniano dell'incompletezza del lavoro mahleriano, che dobbiamo accontentarci di immaginare, più che di assaporare compiutamente.

Meir Wellber – a giudicare dagli strumenti messi in scena – deve aver dato ragione a Ratz. Comunque, Ratz o Cooke, sempre Mahler é… e il Direttore israeliano e la Toscanini lo hanno valorizzato al massimo, facendo emergere i tratti più espressionisti della partitura (che si muove ormai ben oltre i confini della tonalità) insieme alla nobile cantabilità del tema principale. 
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Ancora Mahler con i cinque Rückert-Lieder (qui alcune mie brevi note sui contenuti) interpretati da quel Christoph Pohl che avevamo giorni fa ammirato ed applaudito, con la SantaCecilia, nei Lieder dal Wunderhorn.

Dato che Mahler non indicò alcuna tassativa sequenza di esecuzione, Pohl ha comprensibilmente posto in coda alla sua performance i due Lieder più corposi e di maggior effetto: Um Mitternacht e Ich bin der Welt. Per lui scroscianti applausi, ovazioni e ripetute chiamate.
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Ha chiuso la parte ufficiale del concerto la Quarta di Schumann rivisitata da Mahler. Le differenze rispetto all’originale che anche un non esperto può individuare sono: la mancanza del da-capo dell’esposizione nel movimento iniziale (ma questo è ciò che può fare chiunque…) e i rinforzi dei corni a dare splendore ad alcuni passaggi topici.

Meir Wellber l’ha diretta a memoria, non negandosi/negandoci suoi personali tocchi interpretativi, soprattutto a livello agogico, che hanno impreziosito la Sinfonia ben al di là del valore aggiunto mahleriano.

Alla fine il trionfo (applausi ritmati, urla) non è mancato, cosicchè è stato ricambiato dal mascagniano Intermezzo dalla Cavalleria.    

09 novembre, 2023

Orchestra Sinfonica di Milano – Mahler-Festival#11

Ieri sera il Duomo di Milano ha ospitato quello che certamente era il concerto-clou del Mahler-Festival: l’esagerata Ottava, che l’Orchestra Sinfonica di Milano eseguiva per la seconda volta nella sua storia, dopo quella prima esperienza del novembre 2013 (20° anniversario) alla vecchia Fiera, con Chailly.

Pubblico che neanche a Natale o Pasqua… lunghissime code in piazza attendendo l’apertura del giganteschi portoni della Cattedrale in durissima pietra sotto le cui navate sono poi risuonate le note di tutt’altro tipo di Cattedrale!

Impressionante lo spettacolo dei Musikanten schierati nell’abside (con la banda isolata - che nei finali di ciascuna delle due parti suona i temi principali della parte susseguente / antecedente - sul pulpito di sinistra): oltre agli strumentisti, ecco sul fondo, al centro, i Pueri Cantores del Duomo (preparati e guidati da Marta Guassardo e Massimo Palombella); più sotto le piccole del Coro di Voci Bianche di Milano (emanazione de laVerdi, dirette da Maria Teresa Tramontin); sopra, ad avvolgere i… minorenni, i due cori misti associatisi per l’occasione: quello di casa e quello AsLiCo  (Massimo Fiocchi Malaspina).

I solisti di canto erano davanti all’orchestra, ai lati del podio: soprani Flurina Stucki, Eleanor Lyons e Elisabeth Breuer; mezzosoprani Bettina Ranch (già protagonista della Auferstehung) e Annely Peebo; tenore Tuomas Katajala (ha cantato nell’inaugurazione alla Scala Das Lied von der Erde); Jochen Kupfer, baritono e Samuel Youn, basso.

Sul podio Claus Peter Flor, che ha già inciso con l’Orchestra di cui è Direttore Emerito le sinfonie dispari di Mahler, ed ora ha fatto il battesimo della più complicata (almeno materialmente) sinfonia pari!

Che dire? È una musica che allo stesso tempo ti stordisce e ti emoziona. Dall’inno medievale di Hrabanus (da infarto l’Ac---cende Lumen) al finale metafisico di Goethe (dove si sale dalla solitudine di valli rocciose su su verso l’ineffabile ed eterno Weibliche) è un viaggio davvero unico in tutta la storia della musica! Oratorio? Cantata? Messa? Forse un insieme di tutto ciò, che molti hanno giudicato e giudicano velleitario, tacciando il suo Autore di megalomania ma che, ascoltato dal vivo come capita (e tutto sommato è forse un bene) così di rado, non può non prenderti per la gola.

Ieri, in un ambiente che, quanto ad acustica, non è certo dei migliori, la prestazione complessiva è stata più che soddisfacente e mi sento di assegnarle un voto più che positivo. 

Claus Peter Flor ha come minimo il merito di aver saputo tenere insieme con grande autorevolezza quello sterminato esercito che si trovava a dover guidare (piccole imperfezioni o sbavature in questi casi sono all’ordine del giorno); i solisti, specie in Goethe dove devono emergere al di sopra dell’oceano dei cori, si sono onorevolmente portati; e i tre cori, appunto, che hanno un ruolo immane in quest’opera, lo hanno interpretato con grande efficacia, negli stentorei passaggi dell’Inno, come negli oscuri sussurri degli anacoreti, nel misterioso e straordinario attacco dell’Alles Vergängliche, e nella finale esplosione dello zieht uns hinan!        

Un’ultima osservazione: nel giro di soli sei mesi l’Ottava è risuonata per ben quattro volte nel cuore di Milano: tre esecuzioni a maggio, con Chailly, nel tempio della musica; e questa nel tempio della religione. Un vero record, per una città che evidentemente non sa offrire solo shopping