intime gioje

chiuder la prigione e buttar la chiave

14 novembre, 2023

Orchestra Sinfonica di Milano – Mahler-Festival#14


Ieri si è chiuso il Mahler-Festival con l’ultima Sinfonia (completata) del compositore boemo: la Nona, con il Direttore Emerito Claus Peter Flor sul podio di un Auditorium affollatissimo. Un degno suggello per questa manifestazione che ha tenuto banco – nel mondo culturale milanese e non – per più di tre settimane piene di suoni prodotti dalle migliori orchestre italiane: un evento davvero degno di passare alla storia!
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La Nona, insieme al Lied von der Erde (che a settembre in Scala aveva significativamente inaugurato allo stesso tempo la stagione 23-24 e il Festival) e al torso della Decima, forma quella trilogia della morte con cui si usa catalogare quest’ultima parte della produzione mahleriana, a partire da quell’infausto 1907 che calò sul capo di Mahler (e della moglie Alma) le micidiali martellate del finale della Sesta. Sinfonia peraltro composta quasi 4 anni prima, quando Mahler toccava letteralmente il cielo con un dito: moglie invidiata dal mondo intero, famigliola felice, gloria professionale e benessere economico.

E infatti quella Sinfonia tragica rimase un unicum (conclusione in tonalità minore) in tutta la produzione mahleriana, anche in quella posteriore: immediatamente, anni 1905-1906, che videro nascere la Settima, chiusa da un esilarante DO maggiore, e l’Ottava, dove il MIb maggiore abbonda fino alla nausea; ma anche successivamente all’annus horribilis, con quella trilogia (1908-1910) che ostinatamente continua ad evitare conclusioni funeree: il Lied chiude in DO maggiore, la Nona in REb maggiore e la Decima (abbozzo) in FA# maggiore.

Insomma, si può dire che la dimensione tragica in Mahler fino al 1907 fu sempre e solo osservata dall’esterno, tutt’al più fatta propria con un sentimento di pietas per tutti i mali del mondo, di cui il compositore era stato ed era direttamente testimone. Ecco, dopo quel disgraziato 1907 tutto cambiò poiché Mahler sperimentò – inaspettatamente e a ripetizione - il tragico sulla propria persona, sia in termini materiali (la fine dell’avventura viennese, la diagnosi preoccupante del suo stato di salute) che spirituali (la scomparsa della figlioletta e il deteriorarsi del rapporto con Alma).

Possiamo quindi immaginare lOttava sinfonia (1906) come quella che chiude il ciclo della produzione del Mahler testimone del mondo; da lì in avanti, la sua musica sarà quella del testimone di se stesso, naturalmente in rapporto al mondo e all’aldilà. 

Ed è proprio la trilogia della morte che in qualche modo sconfessa, come insincero, il pessimismo, quasi-nichilismo della Sesta: la quale, alla luce delle ultime opere, ci appare come una deviazione intellettualistica da quella strada che da sempre Mahler aveva percorso: l’amore sconfinato e una specie di fede laica nella Natura, di cui sono testimonianza i versi aggiunti di suo pugno alla fine del testo cinese dell’Abschied, che muta da fatalistico sconforto a rassegnazione serena, come gli orizzonti che si tingono d’azzurro…

In sostanza: in quell’estate del 1907 Mahler di certo aveva preso coscienza che la fine avrebbe potuto ormai bussare alla sua porta in qualunque momento, ma non era affatto un uomo sfiduciato, era anzi un artista che si manteneva in buona efficienza e piena attività. Caso mai la sua Nona – così come il Lied e i frammenti della Decima – ci mostrano la sua intima convinzione che, pur sulle macerie lasciate da quei terremoti, ci fosse ancora la prospettiva di una terza età che certo escludeva per lui il ritorno ai trionfi (pubblici e privati) della gioventù, ma che era pronto ad affrontare con il piglio di sempre (non per nulla, appena completata la Nona, metterà subito in cantiere e comincerà a lavorare alacremente alla sua Decima!)

Quindi: nessun sentimento di terrore di fronte allo spettro di una morte imminente (che arriverà – e prematuramente, possiamo ben dirlo date le circostanze - ben due anni dopo la Nona e tre dopo il Lied, e a causa di una infezione virale, un’endocardite, incurabile perchè non c’erano ancora in giro gli antibiotici…); ma l’esposizione del suo programma, non scritto, di consapevolezza nella caducità delle terrene cose e quindi anche della vita, alla di cui fine prepararsi nel modo musicalmente più appropriato.

A puro titolo di curiosità, se osserviamo che il Lied chiude su una sopratonica (RE) e la Nona su una dominante (LA) potremmo spiegare queste cadenze imperfette come una sfida del superstizioso Mahler alla morte, lasciando sempre aperto uno spiraglio per la… prossima Sinfonia, cosa che effettivamente accadde! 
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Come in quei film (o quei racconti) che si aprono calando direttamente (in medias res) ad un passo dalla conclusione per poi presentarci un lungo flash-back che ci informa in dettaglio sui fatti pregressi e infine ci riporta là da dove il film era cominciato, così questo Festival aveva avuto la sua ideale anteprima domenica 10 settembre alla Scala, quando si era spento il Lied con la reiterata esposizione di un motivo (mediante>sopratonica, MI-RE) che aveva accompagnato le ultime parole del canto: ewig… ewig… ewig… Poi il Festival ci ha condotto per mano ad esplorare tutte le vicende musicali che avevano portato a quel punto: quattro cicli di Lieder e otto Sinfonie!

Ecco perché è stata opportunamente chiamata proprio la Nona a chiudere il Festival: racconta della Sinfonia (come genere di opera musicale) che musicalmente interpreta il suo proprio tramonto in modo sereno, non traumatico, restando fedele al suo passato nella struttura complessiva (quella risalente a Mozart, all’ultimo Haydn e a Beethoven, i tre mostri sacri della prima scuola di Vienna…), nella forma-sonata del movimento iniziale e nella natura dei movimenti interni (uno comodo e l’altro vivace); ma essendosi spogliata dei tratti più eroici e sognatori - e magari velleitari - dei bei tempi andati (i due movimenti esterni, non più Allegro, ma Andante e Adagio).

E la Nona riprende precisamente il discorso lasciato in sospeso da quel MI-RE (ewig…) dell’Abschied: poiché dopo sei battute introduttive (piene di simboli e allusioni) i secondi violini si lanciano nell’esposizione del primo tema che inizia proprio con l’inciso mediante>sopratonica (ma qui FA#-MI, poiché siamo in RE maggiore…) che aveva chiuso il Lied!

Flor, che già aveva diretto qui la Sinfonia pochi anni fa, ne ha dato una lettura che definirei laica, asciutta (come testimonia il tempo spedito con cui ha condotto il gemächliche Ländler); accentuando i contrasti del primo movimento (grandi impennate eroiche seguite da catastrofiche cadute); poi scatenando tutta la furia del Rondo.Burleske, nel quale compare, quasi un miraggio, quell’oasi improvvisa dove la tromba anticipa il gruppetto, elemento fondante dell’Adagio conclusivo. Adagio la cui tonalità degrada di un semitono rispetto al RE maggiore iniziale, anche questo un chiaro riferimento all’ineluttabile scorrere del tempo e all'avvicinarsi della...

Del quale Adagio è da ricordare il culmine caratterizzato dalla straziante perorazione dei quattro corni (ieri guidati da Giuseppe Amatulli, meritatamente ovazionato alla fine) per arrivare alla conclusione che, dopo il girotondo delle viole attorno alla dominante di REb, non ha contemplato minuti di raccoglimento come si fosse in una camera ardente dinanzi ad un feretro, ma qualche doveroso secondo di silenzio per far semplicemente decantare l’emozione che si prova sempre ascoltando questa musica. (Sì, perché qui anche il silenzio è… musica, che proprio sembra non volersi spegnere, ma continuare a vivere in eterno.)

Più di cinque minuti di liberatori applausi hanno salutato l’epilogo di questa grande e indimenticabile avventura.

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