Ieri
sera il Duomo di Milano ha ospitato quello che certamente era il
concerto-clou del Mahler-Festival: l’esagerata Ottava, che l’Orchestra
Sinfonica di Milano eseguiva per la seconda volta nella sua storia, dopo
quella prima esperienza del novembre 2013
(20° anniversario) alla vecchia Fiera, con Chailly.
Pubblico che neanche a Natale o Pasqua… lunghissime code in piazza attendendo l’apertura del giganteschi portoni della Cattedrale in durissima pietra sotto le cui navate sono poi risuonate le note di tutt’altro tipo di Cattedrale!
Impressionante lo spettacolo dei Musikanten schierati nell’abside (con la banda isolata - che nei finali di ciascuna delle due parti suona i temi principali della parte susseguente / antecedente - sul pulpito di sinistra): oltre agli strumentisti, ecco sul fondo, al centro, i Pueri Cantores del Duomo (preparati e guidati da Marta Guassardo e Massimo Palombella); più sotto le piccole del Coro di Voci Bianche di Milano (emanazione de laVerdi, dirette da Maria Teresa Tramontin); sopra, ad avvolgere i… minorenni, i due cori misti associatisi per l’occasione: quello di casa e quello AsLiCo (Massimo Fiocchi Malaspina).
I solisti di canto erano davanti all’orchestra, ai lati del podio: soprani Flurina Stucki, Eleanor Lyons e Elisabeth Breuer; mezzosoprani Bettina Ranch (già protagonista della Auferstehung) e Annely Peebo; tenore Tuomas Katajala (ha cantato nell’inaugurazione alla Scala Das Lied von der Erde); Jochen Kupfer, baritono e Samuel Youn, basso.
Sul podio Claus Peter Flor, che ha già inciso con l’Orchestra di cui è Direttore Emerito le sinfonie dispari di Mahler, ed ora ha fatto il battesimo della più complicata (almeno materialmente) sinfonia pari!
Che dire? È una musica che allo stesso tempo ti stordisce e ti emoziona. Dall’inno medievale di Hrabanus (da infarto l’Ac---cende Lumen) al finale metafisico di Goethe (dove si sale dalla solitudine di valli rocciose su su verso l’ineffabile ed eterno Weibliche) è un viaggio davvero unico in tutta la storia della musica! Oratorio? Cantata? Messa? Forse un insieme di tutto ciò, che molti hanno giudicato e giudicano velleitario, tacciando il suo Autore di megalomania ma che, ascoltato dal vivo come capita (e tutto sommato è forse un bene) così di rado, non può non prenderti per la gola.
Ieri, in un ambiente che, quanto ad acustica, non è certo dei migliori, la prestazione complessiva è stata più che soddisfacente e mi sento di assegnarle un voto più che positivo.
Claus Peter Flor ha come minimo il merito di aver saputo tenere insieme con grande autorevolezza quello sterminato esercito che si trovava a dover guidare (piccole imperfezioni o sbavature in questi casi sono all’ordine del giorno); i solisti, specie in Goethe dove devono emergere al di sopra dell’oceano dei cori, si sono onorevolmente portati; e i tre cori, appunto, che hanno un ruolo immane in quest’opera, lo hanno interpretato con grande efficacia, negli stentorei passaggi dell’Inno, come negli oscuri sussurri degli anacoreti, nel misterioso e straordinario attacco dell’Alles Vergängliche, e nella finale esplosione dello zieht uns hinan!
Un’ultima osservazione: nel giro di soli sei mesi l’Ottava è risuonata per ben quattro volte nel cuore di Milano: tre esecuzioni a maggio, con Chailly, nel tempio della musica; e questa nel tempio della religione. Un vero record, per una città che evidentemente non sa offrire solo shopping!
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