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17 marzo, 2023

laVerdi 22-23. 20

Accostamento testa-coda (anzi coda-testa) per il concerto di questa settimana, diretto da Vincenzo Milletarì, il giovane Direttore pugliese che torna sul podio dell’Auditorium dopo poco più di un anno dal suo esordio con l’Orchestra Sinfonica di Milano. Auditorium ieri sera al centro di una zona praticamente in stato d’assedio, con ingenti forze di Polizia e Carabinieri a controllare una, peraltro incruenta, manifestazione di gruppi antifascisti: il che può spiegare almeno in parte la scarsa affluenza di pubblico.  

Nella prima parte un brano quasi nuovo di zecca (è in prima esecuzione in Italia) di Fazil Say, intitolato Anka Kuşu (una specie di Fenice persiana) per pianoforte a 4 mani e orchestra. Ad interpretarlo i dedicatari fratelli olandesi Lucas e Arthur Jussen, da quest’anno Artisti in Residenza qui a laVerdi.
Il Concerto, commissionato dai Münchener Philharmoniker, dalla Sinfonietta Amsterdam, dal Mozarteum e dalla BSO, che i due fratelli eseguirono in prima assoluta a Monaco di Baviera venerdi 14 gennaio dello scorso anno (52° compleanno del compositore) prevede un organico orchestrale assai ridotto (solo quattro fiati…) dove prevalgono le percussioni, ed è strutturato nei classici tre movimenti:

1. Adagio misterioso – Andante tranquillo – Allegro drammatico:

Le note acute del pianoforte si stagliano sullo sfondo degli archi, poi il pianoforte attacca una cullante melodia, sempre caratterizzata da sonorità liquide, che progressivamente acquista spessore e – appunto – drammaticità. Il ritmo si fa incalzante, sincopato, si odono pesanti interventi delle percussioni. Ancora folate del pianoforte contrappuntate da larghe risposte dell’orchestra, poi ecco l’improvviso silenzio e il rallentamento che porta alla secca chiusura con un unico colpo di timpano.           

2. Scherzo: Allegro assai:

Le quattro mani dei pianisti attaccano un sincopato dal sapore jazzistico, nel quale si inserisce un impertinente  intervento dell’ottavino; si fa viva l’orchestra con interventi degli archi e dei flauti; poi l’atmosfera si fa progressivamente più sfumata, fino a sfociare, come accaduto al movimento iniziale, in una brusca chiusura.

3. Introduzione - Allegro assai – Adagio – Allegro ma non troppo:   

Ancora un’atmosfera jazzistica, con spettrali rintocchi del pianoforte e interventi più distesi e ritmati dei fiati. Una serie di singole note ascendenti crea un momento di pausa di riflessione, dove gli archi preparano il terreno per la sezione conclusiva del concerto. Aperta dal pianoforte che progressivamente anima il tempo e aizza le risposte dell’orchestra. Nuovo diradarsi del suono e quindi la ripresa con il pianoforte che trascina l’orchestra in una repentina e inopinata chiusura.

Ecco, un brano di indubbio fascino, che il pubblico ha lungamente applaudito con i due vulcanici interpreti, che ci lasciano non con uno, ma con due encore.
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Seconda parte con uno dei pezzi forti dell’Orchestra, che lo conosce come le proprie tasche, la Sinfonia dal Nuovo Mondo. E magari potrebbe anche suonarlo innestando il… pilota automatico. Ma in realtà il pilota ieri c’era e come: Milletarì ha confermato tutto ciò che di buono si dice di lui, con una direzione che ha messo in luce tutte le perle di questa partitura (un vero gioiello il Largo, con il corno inglese della bravissima Paola Scotti).

Gran trionfo per lui e per tutti, con chiamate ripetute e meritati applausi alle prime parti e alle sezioni dell’orchestra. Fuori, ancora camionette e blocchi stradali delle Forze dell'Ordine… così va il mondo. 

08 marzo, 2019

laVerdi 18-19 - Concerto n°20


Il versatile Fazil Say fa il suo ritorno dopo due anni in Auditorium nella triplice veste di compositore, solista e direttore per proporci ben due concerti per pianoforte che incastonano una sua composizione. Per la verità lui deve fidarsi così ciecamente della bravura dei ragazzi de laVerdi che lascia in pratica il ruolo di direttore alla spalla Santaniello, limitandosi a indicargli quando è ponto per attaccare... e a pochi e sobri gesti.  

Di Mozart viene inizialmente eseguito il Concerto n°1 K37, che ricade nella categoria dei cosiddetti concerti-pasticcio, poichè non sono tutta farina del sacco del Teofilo, ma riprese e rimaneggiamenti di musiche di altri compositori (si tratta sempre di tempi di sonate per tastiera). Così i tre movimenti del concerto in FA maggiore hanno tre diversi padri: Hermann Friedrich Raupach (Allegro); sconosciuto (Andante) e Leontzi Honauer (Rondò). Per di più i ricercatori hanno stabilito che anche papà Leopold ci deve aver messo le mani, per correggere e migliorare il lavoro del figlioletto undicenne. Insomma, un lavoro di... gruppo! Che peraltro mostra già le spiccate qualità del ragazzino, che Say mette in luce con grande delicatezza, dando ogni tanto una sbirciatina allo spartito... (proprio come fa qui il sommo Richter!)
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Poi Fazil ci offre una sua creazione, Yürüyen Köşk (Il palazzo semovente) un omaggio al grande Kemal Atatürk, fondatore della moderna Turchia, che purtroppo oggi un tale Erdogan sta cercando in tutti i modi di smodernizzare (ma fra i due proprio di recente c’è stato un riavvicinamento...)

Il brano, ispirato da un aneddoto riguardante un... platano che Atatürk risparmiò al taglio facendo spostare su rotaie un edificio attiguo, si suddivide in quattro parti che si succedono senza soluzione di continuità:

1- Enlightenment (Illuminismo)
2- Struggle against Darkness (Lotta contro l’Oscurantismo)
3- Believing in Life (Credere nella Vita)
4- Plane Tree (Il Platano)

Vi si alternano momenti di grande lirismo e atmosfere cariche di concitazione, richiami orientaleggianti e ritmi sincopati e di jazz; sembra far capolino - nella terza parte - anche Rachmaninov; l’ultima parte riassume la vicenda del platano, con momenti di serenità rotti da altri ancora agitati o cupi e pesanti (chissà, forse lo sforzo di uomini e mezzi per spostare l’edificio...) fino alla conclusione con le note acutissime del pianoforte che evocano il cinguettare degli uccellini sul platano salvato.  

Accoglienza calorosa dal pubblico che affollava piacevolmente l’Auditorium.
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Chiusura in grande stile con il Concerto in DO minore di Beethoven. Anche qui Fazil mostra la sua vena di compositore, presentando una sua stupefacente (e per la verità anche un po’ dissacrante) cadenza del primo tempo. Ma tutta la sua lettura è personalissima e trascinante e qualche piccola sbavatura nulla toglie all’eccellenza dell’esecuzione, ben supportata dall’Orchestra, specie dalla sezione dei legni. Trionfo assicurato e ricambiato ancora con un personale bis.

31 marzo, 2017

2017 con laVerdi – 14


Tutto Mozart e tutto Fazil Say nel concerto di questa settimana. Approda quindi in Auditorium (discretamente affollato direi) questo 47enne turco emigrato (di fatto) in Germania come tre milioni di suoi connazionali. Purtroppo (o per fortuna) – essendo lui ateo e abbastanza critico delle posizioni dell’AKP – non può essere usato dal sultano Erdogan per far pubblicità alla Turchia neo-islamica e de-Atatürk-izzata: al contrario, in patria passa da una denuncia all’altra per vilipendio della religione o del regime, così parrebbe ormai intenzionato a stabilirsi definitivamente in Giappone...   

Lui non è certamente il primo a concentrare su di sè entrambi i ruoli (di solista e direttore) nei concerti mozartiani: fece storia nella seconda metà del ‘900 Geza Anda, che li eseguì e incise con la Camerata salisburghese. Più recentemente anche Pollini ne ha seguito le orme (qui lo ascoltiamo appunto con i bostoniani nel n°12).

Ma Say di ruoli ne riveste addirittura tre, essendo anche autore del suo Silk road, del 1994: che è una specie di concerto per piano e orchestra d’archi (più un gong) che ripercorre in quattro tappe la mitica via della seta: dalla cina Nord-occidentale (1. Colomba bianca e nuvole nere) all’India (2. Danze Hindu) alla Mesopotamia (3. Massacro) e infine alla sua Ankara (4. Ballata della Terra). Eccone qui un estratto preceduto da una sua presentazione in crucco, nella quale spiega la presenza del gong, del contrabbasso posto in fondo alla sala, e le caratteristiche della strumentazione, dove agli archi (e allo stesso pianoforte, opportunamente... manomesso) viene chiesto di imitare strumenti caratteristici delle regioni orientali attraversate nel suo brano.

Qui il contrabbasso remoto è piazzato in fondo alla scena, sulla destra, e tiene quasi continuamente un pedale grave, oltre (saltuariamente) ad arricchirlo con tamburellamenti della mano sinistra sulla cassa. Il gong in pratica separa i quattro episodi del cammino, mentre gli altri contrabbassi schioccano autentiche frustate. Ma è il pianoforte a trasformarsi (opportunamente... maneggiato da Fazil con la mano appoggiata sul piano delle corde) in qualche strumento orientale, dal suono chiuso, opaco, come di corda pizzicata violentemente.

Insomma, un brano godibile, che Fazil propone con grande partecipazione emotiva e che il pubblico ha accolto con altrettanto calore.
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Dopo l’Ouverture delle Nozze dove l’Orchestra, guidata ieri da Dellingshausen, smentisce alla grande la teoria di Fellini, eseguendola senza Direttore (non è la prima volta che ciò accade) il corpo del programma, ad incastonare il lavoro di Say, è occupato dai due concerti per pianoforte in LA maggiore del Teofilo. Oltre a questi, i 21 concerti hanno tonalità DO (4 M+1m); RE (3M+1m); MIb (4M); FA (3M); SOL (1M) e SIb (4M). Il K414 e il K488 sono separati da meno di 4 anni (1782-1786): il 414 (con il 413 e il 415) fu proprio il primo dei tre composti a Vienna, dove Mozart si era trasferito dalla natia Salisburgo, affrancandosi (pena un... calcio in culo) dall’asfissiante tutela dello sbifido arcivescovo Colloredo, per intraprendere la libera professione di musicista e concertista.

Hanno struttura ovviamente classica, tre movimenti di cui il primo in tempo Allegro, il secondo in tempo lento (Andante e Adagio) e il terzo in forma di Rondo (Allegretto e Allegro assai). Molto interessante notare l’evoluzione dei contenuti, evidenziata dal rapporto tonale fra i movimenti: il 414 è assolutamente tradizionale (movimento interno sulla sottodominante RE maggiore) mentre il 488 presenta per la terza (ed ultima) volta l’Adagio centrale nella tonalità relativa minore (FA#), un’innovazione che Mozart aveva già sperimentato nei precedenti 456 (SIbM-SOLm) e 482 (MIbM-DOm).

A parte queste analogie e differenze, balza evidente all’orecchio il grande salto di qualità fatto da Mozart in quei pochi anni, e del resto il 488 è praticamente contemporaneo delle Nozze, sommo capolavoro operistico.

Fazil lascia praticamente la massima libertà all’orchestra, limitandosi a pochi e semplici segni di attacco, per concentrarsi sulla tastiera, dalla quale estrae tutta la magia delle melodie mozartiane con passione e partecipazione emotiva. Sarà pure un Mozart visto... dall’Anatolia, ma è di livello eccezionale e trascina il pubblico all’entusiasmo. Così, pur dopo tutto questo tour-de-force, il nostro ci regala ancora un altro suo capolavoro!