XIV

da prevosto a leone
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21 dicembre, 2024

Gatti alla Scala con una nuova PMS.

La Petite Messe Solennelle è quindi tornata, dopo un’eternità, al Piermarini con la sua veste più ricca, quella che Rossini le regalò sotto forma di orchestrazione, completata negli ultimi anni di vita e che purtroppo il Maestro non ebbe nemmeno il piacere di ascoltare.

A proposito di strumentazione, Rossini ne aveva riduttivamente parlato come di un’aggiunta, alle 12 voci e alle tre tastiere della versione primigenia, di un modesto pacchetto di archi e di qualche fiato, proprio per dare all’opera quel minimo di robustezza, necessaria ad affrontare esecuzioni in… campo aperto. La partitura in realtà è quella tipica di un complesso non inferiore a quelli impiegati da Rossini, per dire, nel teatro musicale.

Da qui però i vessilliferi delle grandiosità romantiche (e poi tardo-) hanno preso lo spunto per… esagerare, impiegando organici strumentali e corali e approcci esecutivi enfatici e retorici, che Rossini non aveva mai perso l’occasione di criticare nelle produzioni musicali moderne (ai suoi tempi). E così ancor oggi la Petite messe rossiniana viene spesso eseguita neanche fosse la Grande symphonie funèbre et triomphale di Berlioz…

Ecco, questa interpretazione di Gatti forse non è stata così… esagerata, tuttavia si è mossa nel solco di questo tradizionale approccio piuttosto romantico: diciamo che forse non era proprio Berlioz, ma magari il Brahms del Requiem…

Ora però – anche per spiegare l’aggettivo che ho usato nel titolo del post - va detto qualcosa relativamente a quello che si potrebbe definire – con una battuta fin troppo… equivoca – la funzione dell’organo (!?!)

Ecco: Rossini prescrive lo strumento a canne nella partitura orchestrale con un duplice compito: il primo è accessorio – e come tale quasi sempre ignorato nelle moderne esecuzioni – perché di puro riempitivo (nella versione cameristica è riservato al pianoforte-2); il secondo invece è obbligato perché lo strumento è solista nel Preludio religioso (nella versione cameristica affidato al pianoforte-1).  

Gatti si misurò per la prima volta con la versione orchestrata della Messe al ROF del 1999 e vi impiegò necessariamente l’organo (qui a 54’25” l’introduzione dei fiati al Preludio e a 55’29” l’attacco dell’organo). Poi però il compianto Alberto Zedda produsse la sua (discutibile) orchestrazione del brano, che porterà in giro per il mondo (Russia, Spagna) e presenterà al ROF nel 2014; la quale di fatto esclude tout-court l’impiego dell’organo, affidando all’orchestra l’intera parte, che comprende il corpo, un ritornello e la ripetizione del ritornello dopo che i fiati hanno ripetuto l’introduzione. E così Gatti, nel 2013 con la sua ONF a Vienna (dove pure disponeva, al Musikverein, di una selva di canne di prim’ordine) fece eseguire il Preludio zeddiano all’orchestra (qui a 1h00’22” l’introduzione e a 1h01’33” l’attacco del clarinetto basso).

Orbene, come si è regolato il Direttore per questa esecuzione scaligera?

Ha inventato una nuova soluzione! Intanto ha tenuto in orchestra l’organo come riempitivo, rispettando fin troppo alla lettera Rossini, dato che con quel po’ po’ di orchestra e coro di riempitivo ulteriore si può fare anche a meno… Ma poi, al momento del Preludio, che ti fa? Fa suonare (come a Vienna 2013) quello orchestrato da Zedda! Ma con una sottile variante: il ritornello finale (9 battute) invece che all’orchestra come prevede Zedda, lo fa suonare all’organo, quasi a volergli dare un contentino!

Insomma, una scelta francamente assurda e persino offensiva: oltre che nei confronti dell’organista, anche in quelli di Zedda (che oggi non può nemmeno far valere il suo copyright) ma anche nei confronti del pubblico e persino di… Rossini! Sì, perché dell’impiego del lavoro di Zedda nulla viene scritto: locandina, sito web, programma di sala, rivista del teatro… mai viene citata questa scelta! [Almeno nel 2013, forse perché Zedda era ancora vivo e vegeto, il pubblico era informato di quella scelta, come dimostra anche la sovrimpressione nel citato video di ARTE all’attacco del Preludio.]

Un’altra tipica (pur se stucchevole) domanda riguarda il… carico di lavoro dei quattro solisti SATB: Rossini, nella versione cameristica, prescrive che cantino, oltre alle proprie parti solistiche, anche quelle delle otto voci del coro. Meno chiara e inoppugnabile è invece la medesima prescrizione apposta sulla partitura della versione orchestrata, e nel dubbio ormai tutti i solisti si risparmiano questo lavoro straordinario e anche poco… appariscente, visto che le loro voci rischiano facilmente di annegare nel fracasso di quelle dei pletorici cori oggi impiegati. E così è stato immancabilmente anche questa volta, ma qui senza che nessuno abbia troppo a che ridire.

Mariangela Sicilia ha ormai una consolidata esperienza in quest’opera: mirabile ed emozionante soprattutto è stato il suo O salutaris hostia, che invoca l’aiuto divino, mai così necessario come in questi tempi di guerre dilaganti… Ma eccellente anche il Crucifixus, come il Qui tollis con la Vasilisa Berzhanskaya, che da parte sua ha chiuso in bellezza con un accorato ed emozionante Agnus Dei.

Yijie Shi ha messo in mostra la sua bella voce squillante, distinguendosi con piglio marziale nel Domine Deus e dando un valido contributo al Gratias, con Berzhanskaya e Michele Pertusi. Il quale ha posto tutta l’autorevolezza del suo canto al servizio del lungo e nobile Quoniam.

Insieme ai quattro solisti, come non restare ammirati dal superbo Coro di Alberto Malazzi, sempre impeccabile e poi addirittura strepitoso nelle entusiasmanti fughe del Cum Sancto Spiritu e del Resurrexit.  

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Che dire, in conclusione? A parte l’affaire del Preludio, l’ascolto della versione orchestrata e con organici di questo tipo, almeno a chi conosce non superficialmente quella cameristica lascia sempre un retrogusto amarognolo (non dico sgradevole, per carità) come di qualcosa che richiama troppo smaccatamente qualcos’altro di più… intimo e coinvolgente. È un po’ la sensazione che si prova, che so, ascoltando l’inflazionata versione (orchestrata da Ravel) dei musorgskiani Quadri: la volgarizzazione di un nobilissimo cammeo.

Tuttavia è meglio non fare gli schizzinosi e rendere doverosamente merito, come ha fatto con calore ed entusiasmo il pubblico di un Piermarini letteralmente in stato d’assedio, a tutti coloro che a qualunque titolo hanno reso possibile e godibile questa serata pre-natalizia.     


19 dicembre, 2024

Alla Scala arriva un Daniele Gatti natalizio con Rossini.

Il tradizionale Concerto di Natale della Scala (sabato 21) quest’anno propone, affidandola a Daniele Gatti (e Alberto Malazzi) la monumentale (a dispetto dell’aggettivo Petite che la caratterizza) Messe solennelle di Gioachino Rossini.

Stando all’Archivio storico del Teatro, questa dovrebbe essere, quanto meno a partire dal dopoguerra, la prima volta che alla Scala si esegue la versione orchestrata da Rossini sulla base di quella originale, per sole 12 voci (4soli+8) e con il solo accompagnamento di due pianoforti e harmonium, che fu composta dal pensionato-baby Gioachino nella sua vieillesse dans le péché, per meritarsi il… Paradiso! Ed eseguita per la prima volta, nella sontuosa villa parigina del banchiere-mecenate Pillet-Will e della di lui moglie, la dedicataria Louise Rouline, proprio 160 anni orsono.

In effetti ancora oggi ci si divide su quale delle due versioni sia da preferire. Da un lato c’è chi, come Michele Campanella, considera – non senza buone ragioni - quella orchestrata (creata a Parigi, Théatre italien, nel 1869, a Rossini ormai trasferitosi in… Paradiso) un passo indietro rispetto all’altra, soprattutto quando viene eseguita da orchestre e cori con organici degni di… Berlioz o di Mahler.

E chi invece, come Davide Daolmi, responsabile per la Fondazione Rossini dell’edizione critica di entrambe le versioni, è convinto che quella orchestrata non sia stata decisa da Rossini di malavoglia e all’ultimo momento (prima di… togliere il disturbo) ma pensata quasi da subito, e poi lentamente messa a punto negli anni. E che un’esecuzione adeguatamente preparata, e che soprattutto eviti qualunque tipo di ipertrofia (strumenti, voci, pomposità) possa restituire anche alla versione orchestrata tutto il fascino che suscita quella cameristica.

Il Rossini Opera Festival, che può vantare una grande autorevolezza in merito, ha negli anni presentato entrambe le versioni, e ultimamente eseguito proprio quella orchestrata, alla quale ha dato un suo… ehm… contributo il compianto Alberto Zedda, che si permise (?!) con motivazioni francamente discutibili, di orchestrare anche il Preludio religioso lasciato da Rossini al solo organo (il pianoforte nell’originale cameristico).  

A proposito di ROF, tutti i quattro solisti ci sono passati (se non cresciuti) negli anni: a partire da Michele Pertusi, che cantò la Messa nel ’97 (camera) poi ’99 e ancora 07 (orchestra) e a Vasilisa Berzhanskaya, protagonista nel ’23 (orchestra): più Mariangela Sicilia e Yijie ShiContrariamente a quanto prescritto da Rossini, nella versione orchestrata di solito i quattro tacciono quando canta il coro… vedremo come andrà questa volta.

Dando per scontato che non potrà che essere un’esecuzione tecnicamente di gran livello (data la caratura di tutti gli interpreti) sarà però interessante giudicare il risultato complessivo dal punto di vista estetico. C’è al proposito un precedente – con luci ed ombre, Zedda incluso - di 11 anni orsono a Vienna, guarda caso con protagonista proprio Gatti  


24 agosto, 2023

ROF-44 in piazza – Petite Messe Solennelle

Confesso che l’idea di recarmi una quarta volta in pochi giorni alla decentrata quanto cacofonica (applico all’architettura alle vongole una categoria della musica…) Vitrifrigo Arena (arrivandoci e ripartendoci in auto da Rimini) senza invece fare almeno una volta quattro passi per la bella Pesaro (arrivandoci comodamente in treno) è stata la molla principale che mi ha convinto a rinunciare alla presenza dal vivo per la PMS e a godermi, oltretutto a-gratis (limitazioni incluse, ovviamente…) lo spettacolo dalla Piazza del Popolo, dove da anni viene regolarmente diffuso in streaming il concerto che chiude il Festival. Almeno 5-600 le persone che hanno seguito così l’evento.

Un paio di osservazioni, diciamo così, tecniche, sull'esecuzione: la prima riguarda il famoso Prélude Religieux che, dopo due esecuzioni nella versione spuria (quella orchestrata dal compianto Alberto Zedda) è tornato – opportunamente, direi proprio - all’originale nel solo organo, magistralmente suonato da Nicola Lamon. (Qui un mio post del 2014 sull’argomento.) L’altra riguarda l’associazione dei solisti alle parti cantate dal coro: Rossini l’aveva prevista in alcuni numeri, forse perché il coro delle prime esecuzioni era davvero ridotto all’osso; qui al ROF, come sempre, anche ieri i solisti non si sono aggregati.

Ovviamente (va sempre ripetuto) l’ascolto tecnologico non permette di formulare giudizi compiuti sui suoni, ma qualcosa si può comunque osservare, ad esempio le agogiche tenute dal Direttore. E qui devo dire che il profeta-in-patria Michele Mariotti, che tornava al ROF dopo 4 anni (Semiramide 2019) e debuttava nella PMS non mi ha del tutto convinto: avendo tenuto tempi (per me) troppo sostenuti e slentati, come del resto testimoniano i 90’ netti di durata dell’esecuzione (se confrontati ad esempio con i 78’ di questo impeccabile Chailly).    

Sui suoi standard di eccellenza l’OSN-RAI, che invece suonava per la seconda volta (al ROF, s’intende) la Messa, avendola già eseguita nella precedente apparizione del 2018. 

Il Coro del Ventidio Basso diretto da Giovanni Farina era al primo approccio di quest’opera, dopo aver cantato di recente in due Stabat Mater (2017-21) e non ha tradito le attese. Invero trascinanti, in particolare, i monumentali passaggi fugati del Cum Sancto Spiritus e del Credo (l’Allegro cristiano!) dove finalmente Mariotti ha allentato un po’ le briglie…

Tutti da elogiare i solisti, a partire da Vasilisa Berzhanskaya, di ritorno al ROF dopo due anni: nel 2021 aveva trionfato come Sinaide nel Moise e a seguire aveva cantato lo Stabat Mater nell’edizione in forma scenica diretta da Bignamini. Davvero rimarchevole la sua prestazione, culminata nell’accorata implorazione dell’Agnus Dei.

Bene anche Rosa Feola, debuttante al ROF, che ha illustrato con calore il Crocifixus e l’O Salutaris. Le due si sono anche distinte insieme nel Qui Tollis.

Dmitry Korchak faceva parte del quartetto protagonista della penultima apparizione della PMS, nel 2014, sotto la direzione di Zedda. Efficace, stentoreo e cesellato il suo Domine deus.

Giorgi Manoshvili era al suo primo impegno importante al ROF. Più che buono il suo Quoniam, per profondità e portamento. Voce potente, ma magari qualche decibel in più non guasterebbe, proprio sulle note più… basse.

Grandi applausi per tutti e conclusione in… gloria. 
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Bene, archiviato anche il 44, ci si prepara al 45, che dovrà essere proprio speciale, essendo naturalmente la colonna portante dell’evento Pesaro: capitale italiana della cultura 2024… E l’annuncio divulgato già la sera dell’11 lo conferma, almeno sotto l’aspetto quantitativo: 4 titoli (e non 3 come uso ormai consolidato) e cioè Ermione (terza produzione, dopo 1987 e 2008); Bianca&Falliero (quarta apparizione, dopo 1986, 1989 e 2005); Barbiere di Siviglia (diventerà recordman di apparizioni, 7, dopo 1992, 1997, 2005, 2011©, 2014 e 2018); e infine L’Equivoco stravagante (quarta presenza dopo 2002, 2008 e 2019).

Uno sforzo davvero notevole, cui si aggiungerà la chiusura del Festival con Il Viaggio a Reims che celebrerà i 40 anni da quella produzione del 1984 entrata nella storia grazie alla stratosferica coppia Abbado-Ronconi.

Ora non resta da fare che un’implorazione… no, che dico, un’intimazione ai politici locali (e non):

riportate il Festival in città, cazzo!

24 agosto, 2018

ROF-XXXIX live - Petite Messe Solennelle


L’onore di chiudere il ROF-39 è quest’anno toccato alla grandiosa (!) Petite Messe Solennelle. Piazza del Popolo (ci ripasso dopo aver circumnavigato, laggiù in riva al mare, il fontanone - acqua dolce - con la sfera sventrata di Gio’ Pomodoro) alle 20 è già gremita di pubblico in attesa (per nulla religiosa, hahaha) della diffusione su maxi-schermo del concerto conclusivo del Festival, il cui inizio è stato spostato quest’anno dalle 20:30 alle 21. La piccola bomboniera del Teatro Rossini ribolle invece di preziose toilette e rumoreggia negli idiomi più svariati, compreso (ma è quasi un’eccezione) quello italico. Nal palco del sovrintendente prende posto anche un JDF con anulare e mignolo della mano sinistra strettamente imprigionati in una fasciatura rigida: forse un postumo dell’ultimo duello con Ircano (?!)  

La Messa è tornata al ROF dopo l’ultima comparsa nel 2014, allorquando fu diretta dal compianto Alberto Zedda, che con l’occasione presentò anche la sua orchestrazione del Preludio Religioso, che Rossini ha affidato al solo organo. Commentando quell’evento, mi ero permesso di avanzare seri dubbi sull’opportumità di presentare tale orchestrazione: non certo dal punto di vista della fattura, davvero eccellente, ma innanzitutto da quello del rispetto della volontà dell’Autore (visto che qui siamo nella fabbrica delle edizioni critiche...) ma anche da quello della concezione estetica. Per non parlare poi delle stesse argomentazioni addotte dal Maestro per la sua iniziativa, che reputavo e continuo a reputare del tutto inconsistenti e pretestuose. In qualche modo accettabile (secondo me) era stata la proposta di allora, un evento eccezionale nell’ambito di un festival, ma la ritenevo da escludersi come prassi da seguire. 

Orbene, la locandina dell’odierna esecuzione si è premurata di annunciare che il Preludio Religioso sarebbe stato eseguito anche questa volta proprio nella versione orchestrata da Zedda (il che esclude anche l’impiego dell’organo tout-court). Ecco quindi un bell’esempio di perseveranza nell’errore: errore che si può scusare una volta, come omaggio al grande paladino rossiniano, ma che rischia di diventare una colpa (diabolicum, come dice il vecchio adagio...) se reiterato.
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Esecuzione pregevole da parte dell’OSN-RAI, che Giacomo Sagripanti ritovava dopo il Ricciardo&Zoraide, e del Coro del Teatro della Fortuna (Mirca Rosciani) che replicava qui la Petite Messe dopo averla cantata a Roma poco tempo fa: picchi di merito per le colossali fughe di Gloria e Credo.

Alti e bassi per le quattro voci soliste. Sulle quali è spiccata ancora una volta quella di Daniela Barcellona, 22 anni di ROF e alla terza Messa (dopo 2004 e 2007): l’imponente contralto triestino si è presentata sfoggiando un décolleté alla... Jane Mansfield (!) forse come contrappasso a tutti i petti appiattiti cui l’hanno costretta negli anni i suoi personaggi en-travesti. Ma la voce è sempre solidissima e l’espressione (vedasi l’accorato Agnus Dei conclusivo) è davvero impeccabile.

Carmela Remigio, che tornava qui dopo 20 anni e 21 dal suo esordio al ROF proprio nella Messa, ha un po’ stentato all’inizio (non proprio da incorniciare i suoi acuti nel Qui Tollis e nel Crucifixus). Si è però riscattata ampiamente con un O salutaris hostia davvero convincente per purezza di canto ed espressività.

Celso Albelo non ha (alle mie orecchie, perlomeno) particolarmente brillato: il suo Domine Deus ha un po’ mancato di slancio e di profondità.

Senza infamia e senza lode l’esordiente al ROF Nicolas Courjal, forse ancora freddo nell’iniziale Et in terra, ma che ha fatto meglio nell’impegnativo Quoniam tu solus sanctus.
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Alla fine gran trionfo per tutti, con ripetute chiamate per i quattro solisti e i due direttori. Fuori, Piazza del Popolo è ormai... spopolata, e sul grande schermo campeggia già l’arrivederci al ROF-XL (il cui piatto forte sarà una nuova Semiramide della premiata coppia Mariotti-Vick).

22 agosto, 2014

ROF XXXV live: Petite Messe Solennelle

 

Dopo alcuni anni di attesa (era in programma, poi sfumata, nel 2011 con na Patalung) ma ancora in tempo per festeggiarne il 150° anniversario della prima esecuzione nella villa Pillet-Will a Parigi, è tornata finalmente al ROF (dopo l’87 e il ‘99) la Petite Messe Solennelle nella versione con orchestra, secondo la recente edizione critica targata Davide Daolmi.

Ieri sera al Teatro Rossini, con video-diffusione in Piazza del Popolo e pure in streaming, è stato il venerabile Alberto Zedda a dirigere l’Orchestra e il Coro di Bologna (maestro del coro Andrea Faidutti) in questo autentico gioiello del tardo-Rossini. Il quale portò a termine la versione per orchestra praticamente allo scadere della sua esistenza terrena, dopo aver lavorato sulla sua piccola Messa per quasi 7 anni. In effetti Rossini aveva intrapreso l’opera nel 1862, componendo un Kyrie forse in ricordo dell’amico musicista Louis Niedermeyer, di 10 anni più giovane di lui, ma scomparso l’anno precedente e proprio il 14 marzo, giorno in cui si terrà, nel 1864, la prima della PMS. Della Messe solennelle in SI minore di Niedermeyer (1849) Rossini citò – nel suo Christe (Andantino moderato) – l’Et incarnatus, guarda caso anch’esso un brano a cappella.

Le ricerche e gli studi effettuati negli ultimi decenni (Angelo Coan, Klaus Döge, Nancy P. Fleming e Philip Gossett) culminati nel recente lavoro editoriale di Daolmi, hanno portato a chiarire in modo abbastanza preciso quello che fu il percorso compositivo della PMS: contrariamente a quanto si è per lungo tempo ritenuto, di essa non venne dapprima completata la versione da camera (con accompagnamento di pianoforti ed armonium) per poi essere meramente, e quasi svogliatamente e in tutta fretta, trascritta per accompagnamento orchestrale. Viceversa Rossini, dopo l’iniziale stesura della versione da camera, che fu eseguita due volte a distanza di un anno (1864 e 1865) nella cappella di casa Pillet-Will e di cui è sopravvissuta una copia donata da Rossini alla Contessa (versione eseguita per la prima volta in tempi moderni al ROF nel 1997, grazie all'intercessione di Gossett presso i discendenti Pillet-Will) continuò a lavorarci sopra e contemporaneamente a pensare ad una versione orchestrale. Quindi anche la definitiva veste della versione da camera (il cui manoscritto è oggi conservato con quello della versione orchestrale presso la Fondazione Rossini) si è arricchita di tante piccole o grandi modifiche e aggiunte che il compositore apportò al testo in previsione, se non proprio in funzione, della realizzazione della versione orchestrale. La quale fu quindi il risultato finale di un lungo e meticoloso lavoro e non un sottoprodotto da prendere sottogamba, come si è spesso fatto, soprattutto all’inizio del ‘900. Così Daolmi elenca le sommarie fasi della composizione:

1862 Composizione di un Kyrie
1863 Aggiunta di Gloria e Credo («Piccola messa»)
1864 Aggiunta di Prélude, Sanctus e Agnus Dei e prima esecuzione in casa Pillet-Will
1866-68 Aggiunta di O salutaris e orchestrazione della Messa   

Daolmi enumera poi in ulteriore dettaglio ben 8 stadi di lavorazione dell’opera, gli ultimi due dei quali (post-1865) includono importanti interventi sulle sezioni: Gloria, Gratias, Domine, Qui tollis, Quoniam, Cum Sancto, Sanctus; oltre all’inserimento dell’O salutaris e all’orchestrazione. Come si vede, un processo lungo e… tormentato.
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Ai contenuti dell’edizione critica si deve aggiungere in questa esecuzione al ROF una quasi-primizia  – siamo in un Festival, e tutto è permesso! – dovuta allo zampino di Zedda, il quale anni addietro (qui una performance in Russia nel 2012) si è preso la libertà nientemeno che di strumentare il Prélude religieux! Questo brano, aggiunto da Rossini a ridosso della prima del 1864, era stato preso pari-pari da un pezzo per pianoforte dei Péchés de vieillesse (N°2 dell’Album de chaumière) e nella versione da camera viene quindi eseguito su quello strumento. Nella versione per orchestra, che esclude il pianoforte (sostituito in partitura da due arpe) Rossini, avendo deciso comunque di non strumentare il brano, ne assegnò l’esecuzione all’organo, che aveva lasciato in orchestra al posto dell’armonium, pur con funzioni di puro riempitivo. Orbene, Zedda, che evidentemente è così immedesimato in Rossini da conoscere anche ciò che il genio avrebbe fatto se non fosse… morto (smile!) come ragiona?

1. L’organo usato come solo riempitivo in orchestra non ha alcun senso: poiché ne viene ridotta la funzione a un pleonastico collante armonico fautore di un discutibile aumento di sonorità…;
2. Otto minuti di Prélude all’organo più quattro minuti di Sanctus (a cappella) costringono gli orchestrali a starsene con le mani in mano per un’eternità, lasciando nell’interprete e nell’ascoltatore un vago senso di incompiutezza…;
3. Quindi: via l’organo e strumentiamo il Prélude!

Ohibò, come rispetto per l’Autore da parte di un luminare delle edizioni critiche non c’è davvero male. E per nostra fortuna Zedda per la sua strumentazione non ha impiegato i sax, altrimenti si sarebbe materializzata proprio la nera profezia di Rossini riguardo al futuro della sua povera Messa! Scherzi a parte, non si può non dare atto all’ottuagenario Maestro di aver messo nell’impresa tutta la cura e la professionalità di cui è capace, scegliendo accuratamente gli strumenti cui affidare le diverse sezioni del Prélude (aperto dal recitativo del clarinetto basso) e dosando con cura le sonorità, dai pianissimi ai tutti. Prendiamolo come un interessante esperimento, ma il risultato estetico per me è discutibile, poiché priva l’opera di quel particolare momento di respiro e di raccoglimento (dopo le colossali fughe di Gloria e Credo) che ne è uno dei principali pregi.  
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Orchestra e coro erano quelli di Bologna, che da anni e anni al ROF la fanno da padroni (non a caso adesso c’è un… Mariotti in entrambi gli ambienti, e proprio il patron del ROF, prima dell’inizio, ha voluto festeggiare il sodalizio consegnando un enorme bouquet di fiori al decano dell’orchestra, la prima viola Harry Burton Wathen). In tutto 40 coristi e poco meno di 60 strumentisti (in disposizione moderna, con le viole al proscenio): un organico quasi tardo-romantico, che finisce per trasformare la Petite in qualcosa che assomiglia più a Berlioz o a Mendelssohn o a Brahms (non dico a Mahler!)   

I solisti erano Olga Senderskaya (S) Veronica Simeoni (A) Dmitry Korchak (T) e Mirco Palazzi (B) che, come prassi di tradizione, ma contrariamente alle indicazioni esplicite dell’Autore, cantano solo le parti loro specificamente assegnate, e non, aggiungendosi al coro, l’intera messa. Benissimo Palazzi e la Simeoni, bene Korchak e benino Senderskaya, almeno alle mie orecchie. 

Dopo aver assistito in… religioso silenzio ai quasi 90 minuti dell’esecuzione, il pubblico del Rossini (non proprio esaurito, devo dire) ha tributato a tutti un autentico trionfo, con innumerevoli chiamate per solisti e direttori.

02 marzo, 2014

La monumentale Piccola Messa del Coro de laVerdi

 

Per festeggiare degnamente i 15 anni dalla fondazione del Coro de laVerdi, ma (essendo ieri il… 29 febbraio) anche i 55 anni e 6 mesi, benissimo portati, di tale Gioachino Rossini, eccezionale appuntamento straordinario in Auditorium per un’esecuzione della Petite messe solennelle, in precedenza eseguita solo una volta, nel 2004, sotto la direzione del leggendario fondatore del Coro, Romano Gandolfi. In tema di anniversari, siamo anche molto prossimi (14 marzo 1864) ai 150 anni dalla prima esecuzione assoluta di questo ennesimo peccatuccio di vecchiaia del sommo pesarese.

Quasi un’ora e mezza di durata non giustificano certo il titolo di petite, che Rossini aveva dato al suo lavoro nel 1863, un anno dopo averne iniziato la composizione con i primi tre numeri: Kyrie, Gloria e Credo (infatti si chiamava Piccola Messa di Gloria). Aggettivo poi sopravvissuto, per quanto alcune edizioni dell’opera (orchestrata anni dopo, poco prima della scomparsa) rechino il semplice (e più appropriato) titolo Messe solennelle.

L‘originale – quello proposto ieri in Auditorium – è scritto per quattro solisti, coro (SATB) e accompagnamento di sole tastiere: due pianoforti (uno solo in questa esecuzione) e armonium.

Erina Gambarini ha schierato complessivamente 35 elementi del suo coro (9-8-9-9): un numero penso adeguato alle dimensioni dell’Auditorium, assai più vaste di quelle della cappella di villa Pillet-Will dove si tennero le prime esecuzioni, con soli 8 coristi. Per la stessa ragione credo abbia deciso di derogare dalle indicazioni di Rossini, che vorrebbe i solisti cantare sempre insieme al coro: qui invece hanno cantato esclusivamente le parti loro esplicitamente riservate.

Al pianoforte era Luigi Ripamonti, Maestro collaboratore del Coro (in pratica il vice della Erina) che si è distinto particolarmente nel bachiano Prélude religieux che precede il Sanctus. Eugenio Maria Fagiani sedeva all’armonium.

Convincenti i quattro solisti (Daniela Bruera, Jose Maria Lo Monaco, Francesco Marsiglia e il casalingo Christian Senn): il tenore in particolare ha ben figurato nell’impegnativo Domine.

Ma grandi onori vanno al Coro, che ha sfoderato dei pianissimo davvero emozionanti, oltre che distinguersi negli a cappella e nelle difficili fughe cui Rossini lo chiama.

E infatti, dopo la trionfale accoglienza, è stata proprio una fuga (la sezione conclusiva del Cum Sancto) a chiudere come bis - e proprio in Gloria! - una serata davvero memorabile.
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La Petite (versione con orchestra) già annunciata qualche stagione fa (con na Patalung) e poi cancellata, chiuderà quest’anno – con Zedda - l’edizione 35 del ROF.