XIV

da prevosto a leone
Visualizzazione post con etichetta beltrami. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta beltrami. Mostra tutti i post

02 febbraio, 2015

A Firenze suona la tromba di Einstein

 

Ieri pomeriggio il nuovo - e tuttora incompiuto, manca solo qualche decina di milioni… pinzillacchere – Teatro dell’OF ha ospitato la terza dei Puritani, cantata da quello che in gergo si definisce secondo cast.

Ma parlo subito della regìa, anche per spiegare il titolo del post. Partendo da una definizione, diciamo così, casereccia, scovata in rete, delle onde gravitazionali:

Le onde gravitazionali, previste dalla relatività generale del solito Albert Einstein, sarebbero un’increspatura che si propaga nello spazio-tempo, come uno squillo di tromba è un’onda che si propaga nell’aria.

Ecco, nei Puritani (finale atto II) c’è il celebre suoni la tromba, che quindi richiama la relatività generale del buon Einstein. Direte: ma che minchia(*) c’entra tutto ciò con la cronaca di un pomeriggio all’opera? (*) doveroso omaggio alla terra del nuovo Presidente.

Ecco, la risposta ce la dà il regista Fabio Ceresa, che per i Puritani si è inventato una drammaturgia tutta sua, prendendo sul serio e alla lettera un’innocente battuta di Elvira che nel terzo atto, re-incontrando Arturo dopo la di lui fuga con Enrichetta, gli dice: questi tre mesi mi son parsi tre secoli: in pratica, un’espressione che ciascuno di noi usa almeno un paio di volte la settimana, quando aspetta (avendo una fretta blu) un autobus che ritarda, o quando non vede l’ora che l’arbitro fischi la fine della partita che la sua squadra sta conducendo per 1-0 ma giocando in 9 contro 11, o in mille altri casi analoghi dove anche un minuto ci pare un’eternità.

Ceresa tira in ballo proprio Einstein e la teoria della relatività, compreso il famoso paradosso dei due gemelli (uno che dopo aver vagato nello spazio alla velocità della luce per due anni rientra a casa e trova l’altro invecchiato di ottanta…) per poi imbarcarsi in teorie sulla sfericità del tempo (passato=presente=futuro) e sulla curvatura dello spazio. Ne trae come conseguenza una sua personale versione del libretto dell’opera, dove Riccardo all’inizio (Per sempre, per sempre io ti perdei) piange sulla tomba di Elvira (presente=futuro) e tutti i suoi guerrieri sono disperati per la dipartita della giovane. Poi si passa al presente=passato, rivivendo le vicende della fuga di Arturo e della pazzia di Elvira. Infine si arriva al futuro=futuro (terzo atto) dove sono appunto passati secoli, come dimostrano alcune rovine di edifici visti nel primo atto e una specie di nuvola da esplosione atomica; futuro che però sarà diverso da come lo si era visto nel… passato, grazie al perdono di Riccardo per Arturo, che cambia (curvandolo, come spiega Einstein) il corso del tempo e provocando il miracoloso lieto-fine.

Apperò… Intanto dico subito che la drammaturgia di cui sopra la comprende solo chi legga le note di regìa sul programma di sala: sfido chiunque a dedurla da ciò che si vede in scena e ovviamente meno ancora da ciò che si ode (che sarebbe poi il libretto originale di Pepoli, sul quale Bellini ha composto la sua mirabile musica). Comunque il danno non è poi così grave, perché per fortuna sulla scena non c’è e non succede praticamente nulla; i personaggi (singoli e masse) entrano, cantano le loro meravigliose parti e se ne vanno. Si dirà: quasi come fosse un’esecuzione in forma di concerto. Esatto, solo che questa costa qualcosina in più, a partire dalla parcella del fisico-teorico regista (stra-smile!)
___
Il cast, come detto, era il secondo: quindi niente Pratt, tanto per cominciare, che alla radio mercoledi scorso mi aveva fatto (ancora una volta) una grande impressione.

I due protagonisti (Maria Aleida e Jésus Léon) si son prodigati al meglio delle loro possibilità, sfoderando anche gli acuti e sovracuti previsti (non il FA da baraccone del tenore nel terz’atto) ma le loro voci sono proprio piccole di natura, ergo secondo me non proprio adattissime a due ruoli che non saranno (rispettivamente) di soprano drammatico e di Heldentenor, ma neanche di Adine e Nemorini.

Il più efficace della compagnia mi è parso il veterano Riccardo Zanellato (Giorgio) mentre Julian Kim (Riccardo) e Martina Belli (Enrichetta) non mi hanno proprio entusiasmato. Lascio senza voto (per non dare insufficienze) Gianluca Margheri (Valton) e Saverio Fiore (Bruno).

Bene il coro di Lorenzo Fratini, a cui Einstein il regista non ha chiesto molto di più che… cantare, entrando da sinistra per uscire a destra, e viceversa.

Matteo (ormai non solo a Firenze è un nome vincente!) Beltrami era sul podio dell’Orchestra del Maggio. Ha impiegato la partitura, diciamo così, tradizionale (senza seguire quindi le novità presentate dall’ultima edizione critica di Fabrizio Della Seta) alla quale ha apportato pochi e abbastanza soliti tagli. In generale devo dire che mi ha abbastanza convinto, compensando con un bel-suono qualche carenza di bel-canto presente in palcoscenico: lui è un (relativamente) giovane che merita di fare strada. 

Applausi per tutti (a scena aperta dopo le principali arie e poi all’uscita finale) in un teatro piacevolmente affollato. Spettacolo che in Aprile si trasferirà a Torino, protagonisti Mariotti&consorte.  

19 dicembre, 2012

La Lucia del circuito chiude la corsa a Pavia


Dopo essere passata da Como, Brescia e Cremona, la Lucia donizettiana chiude il suo percorso lombardo al Fraschini (oggi la seconda e ultima rappresentazione).

La locandina online (così come il programma cartaceo della stagione del teatro pavese) annuncia un finale a sorpresa: Nel cimitero dei Ravenswood, Edgardo, non potendo sopportare di continuare a vivere senza Lucia, verrà ucciso da Enrico. Ecco, mi ero detto, un’altra invenzione di qualche regista troppo amico dell’alcool (perché nemmeno l’originale di Scott la racconta così…) Invece l’invenzione è evidentemente del redattore del programma, quindi tranquilli, Edgardo si suicida, proprio come da copione, nell’apprendere della fine dell’amata.

E la regìa di Henning Brockhaus è in effetti assai rispettosa dell’originale di Cammarano, limitandosi ad una delle consuete (in questo caso innocue) deviazioni: ambientazione (ma lo si desume solo dai costumi di Patricia Toffolutti, chè altro in scena quasi non v’è) spostata di qualche secolo in avanti nel tempo. Per il resto l’allestimento è dominato dalle immaginifiche scene del compianto Josef Svoboda, che si riducono ad un velario mobile e semitrasparente - sul quale appaiono immagini che rimandano di volta in volta ai contenuti psicologici (o psichiatrici…) del dramma – ad uno scalone che occupa in larghezza l’intero palco e su cui si muove prevalentemente il coro, oltre ad ospitare l’arpa solista nella terza scena; e a qualche semplicissimo piece-of-furniture (un tavolo, una cassa, le bare degli avi miei…)    

Sul piano musicale, il giovane e bravo Matteo Beltrami – che ascoltavo dal vivo per la prima volta e mi ha fatto un’eccellente impressione alla guida dei ragazzi dei Pomeriggi - propone per la pazzia una variante alla tradizionale cadenza Marchesi-Melba, che dà modo a Ekaterina Bakanova di mettere in mostra le sue ottime qualità.

Il sestetto del second’atto è, con la suddetta scena della pazzia, uno dei piatti forti dell’opera: personalmente fatico sempre a liberarmi, ascoltandolo, dal truce ricordo della famosa Balena disneyana (da 25”) che per prima mi portò quella musica alle orecchie, quando ancora portavo le braghe corte (smile!) Un po’ come il rossiniano finale del Tell, cui non mi riesce di non associare quella specie di catena-del-dna che chiudeva le prime trasmissioni TV. Peccato, perché è grande musica, che sembra fare da cerniera fra Bellini e Verdi, incastonata com’è fra il Per te d’immenso giubilo, che richiama il belliniano Suoni la tromba, e il finale Esci, fuggi il furor, di cui Verdi si ricorderà nel Nabucco.

A fianco della Bakanova, dignitosi tutti gli altri (vedi locandina, compreso il sostituto di Giovanni Battista Parodi) che hanno dato vita, con il coro di Antonino Greco, ad un’esecuzione più che accettabile, accolta con (contenuto) entusiasmo dal non proprio oceanico e piuttosto infreddolito pubblico del Fraschini.

Al ritorno a casa, accendo la TV è chi ti trovo? Lord Enrico Asthon che proclama l’abolizione dell’IMU per Ravenswood!