Ieri
pomeriggio il nuovo - e tuttora incompiuto, manca solo qualche decina di
milioni… pinzillacchere – Teatro dell’OF
ha ospitato la terza dei Puritani, cantata da quello che in gergo si definisce secondo cast.
Ma parlo
subito della regìa, anche per spiegare il titolo del post. Partendo da una
definizione, diciamo così, casereccia, scovata in rete, delle onde
gravitazionali:
Le
onde gravitazionali, previste dalla relatività generale del solito Albert
Einstein, sarebbero un’increspatura che si propaga nello spazio-tempo, come uno
squillo di tromba è un’onda che si propaga
nell’aria.
Ecco, nei Puritani (finale atto II) c’è il celebre suoni la tromba,
che quindi richiama la relatività generale del buon Einstein. Direte: ma che
minchia(*) c’entra tutto ciò con la cronaca di un pomeriggio all’opera?
(*) doveroso omaggio alla terra del nuovo Presidente.
Ecco, la risposta ce la dà il regista Fabio Ceresa, che per i Puritani si è
inventato una drammaturgia tutta sua, prendendo sul serio e alla lettera
un’innocente battuta di Elvira che nel terzo atto, re-incontrando Arturo dopo
la di lui fuga con Enrichetta, gli dice: questi tre mesi mi son parsi tre
secoli: in pratica, un’espressione che ciascuno di noi usa almeno un paio di
volte la settimana, quando aspetta (avendo una fretta blu) un autobus che
ritarda, o quando non vede l’ora che l’arbitro fischi la fine della partita che
la sua squadra sta conducendo per 1-0 ma giocando in 9 contro 11, o in mille
altri casi analoghi dove anche un minuto ci pare un’eternità.
Ceresa tira in ballo proprio Einstein e la teoria della
relatività, compreso il famoso paradosso dei due gemelli (uno che dopo aver vagato
nello spazio alla velocità della luce per due anni rientra a casa e trova
l’altro invecchiato di ottanta…) per poi imbarcarsi in teorie sulla sfericità
del tempo (passato=presente=futuro) e sulla curvatura dello spazio. Ne trae
come conseguenza una sua personale versione del libretto dell’opera, dove
Riccardo all’inizio (Per sempre, per sempre io ti perdei) piange sulla
tomba di Elvira (presente=futuro) e tutti i suoi guerrieri sono disperati per
la dipartita della giovane. Poi si passa al presente=passato, rivivendo le
vicende della fuga di Arturo e della pazzia di Elvira. Infine si arriva al
futuro=futuro (terzo atto) dove sono appunto passati secoli, come dimostrano
alcune rovine di edifici visti nel primo atto e una specie di nuvola da esplosione
atomica; futuro che però sarà diverso da come lo si era visto nel… passato,
grazie al perdono di Riccardo per Arturo, che cambia (curvandolo, come spiega Einstein) il corso del tempo e provocando
il miracoloso lieto-fine.
Apperò… Intanto dico subito che la drammaturgia di cui
sopra la comprende solo chi legga le note di regìa sul programma di sala: sfido
chiunque a dedurla da ciò che si vede
in scena e ovviamente meno ancora da ciò che si ode (che sarebbe poi il libretto originale di Pepoli, sul quale
Bellini ha composto la sua mirabile musica). Comunque il danno non è poi così
grave, perché per fortuna sulla scena non c’è e non succede praticamente nulla;
i personaggi (singoli e masse) entrano, cantano le loro meravigliose parti e se
ne vanno. Si dirà: quasi come fosse un’esecuzione in forma di concerto. Esatto,
solo che questa costa qualcosina in più, a partire dalla parcella del fisico-teorico
regista (stra-smile!)
___
Il cast, come
detto, era il secondo: quindi niente Pratt,
tanto per cominciare, che alla radio mercoledi scorso mi aveva fatto (ancora
una volta) una grande impressione.
I due
protagonisti (Maria Aleida e Jésus Léon) si son prodigati al meglio
delle loro possibilità, sfoderando anche gli acuti e sovracuti previsti (non il
FA da baraccone del tenore nel terz’atto) ma le loro voci sono proprio piccole di natura, ergo secondo me non
proprio adattissime a due ruoli che non saranno (rispettivamente) di soprano
drammatico e di Heldentenor, ma
neanche di Adine e Nemorini.
Il più
efficace della compagnia mi è parso il veterano Riccardo Zanellato (Giorgio) mentre Julian Kim (Riccardo) e Martina
Belli (Enrichetta) non mi hanno proprio entusiasmato. Lascio senza voto
(per non dare insufficienze) Gianluca
Margheri (Valton) e Saverio Fiore
(Bruno).
Bene il coro
di Lorenzo Fratini, a cui Einstein
il regista non ha chiesto molto di più che… cantare, entrando da sinistra per
uscire a destra, e viceversa.
Matteo (ormai non solo a Firenze
è un nome vincente!) Beltrami era sul
podio dell’Orchestra del Maggio. Ha impiegato la partitura, diciamo così, tradizionale
(senza seguire quindi le novità presentate dall’ultima edizione critica di Fabrizio Della Seta) alla quale ha apportato
pochi e abbastanza soliti tagli. In generale devo dire che mi ha abbastanza
convinto, compensando con un bel-suono
qualche carenza di bel-canto presente
in palcoscenico: lui è un (relativamente) giovane che merita di fare strada.
Applausi per tutti
(a scena aperta dopo le principali arie e poi all’uscita finale) in un teatro piacevolmente
affollato. Spettacolo che in Aprile si trasferirà a Torino, protagonisti Mariotti&consorte.
4 commenti:
Tanto per restare in tema, le regie ormai sono come il paradosso del gatto di Schrödinger: il pubblico/gatto uscirà vivo dalla scatola del teatro?
Ciao :-)
@Amfortas
Un'altra possibilità è che la Mariastella Gelmini, forte della sua preparazione in... particelle vaganti, invece di darsi all'ippica adesso che rimarrà disoccupata, si dedichi alle regìe d'opera. Così finalmente la crisi della lirica verrà definitivamente scongiurata.
Ciao!
Credo di farti cosa gradita segnalandoti questo link, io ci ho lasciato il cuore e sono sicura che un po' di nostalgia ce l'hai anche tu.
Un caro saluto.
http://video.repubblica.it/edizione/firenze/viaggio-nel-teatro-comunale-abbandonato/190603/189556?ref=fb&fb_ref=Default
@Marisa
Ciao, mi fa molto piacere ritrovarti e ti ringrazio per la "reliquia": proprio ieri, andando verso l'OF sono passato davanti al vecchio Comunale, che ha le vetrate tutte impolverate come un cimelio abbandonato: che tristezza!
Chi ha scelto la colonna sonora della parte finale del filmato ha esattamente interpretato i sentimenti di tutti coloro che al Comunale hanno messo piede almeno una volta: la nona di Mahler richiama ricordi di ciò che è passato e più non tornerà... però in essa non c'è pessimismo, solo serena rassegnazione verso l'implacabile scorrere della vita.
Ti spero sempre bene nella tua Puglia, ciao!
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