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31 gennaio, 2015

Orchestraverdi 14-15 – Concerto n° 19


Riecco Jader Bignamini con laVERDI in un programma davvero corposo ed interessante, dove Strauss racchiude Hindemith e Goldmark.

Apre la serata Till Eulenspiegel (I tiri burloni di…) dove Strauss fa un regalino al padre (famoso cornista) scrivendo quel tremendo passaggio che l’interprete deve suonare a freddo (battuta 7) e che prevede, dopo tre scalate apparentemente facili, un precipitare sulla triade di FA di quasi tre ottave, dal RE acuto al FA grave:
Oltretutto la prima volta va suonato piano, il che non aiuta, mentre subito dopo, in mezzo-forte sfociante a fortissimo, già lo strumentista può rinfrancarsi assai.

Come in tutta la musica a programma, la pertinenza dei suoni con il programma è lasciata alla nostra capacità di giudizio, o alle nostre reazioni di fronte ai suoni, una volta che ci sia stato chiaramente spiegato da chi, cosa o quant’altro siano stati, quei suoni, ispirati al musicista.

Che l’assolo del corno, come quello più avanti del clarinetto in RE, ci sbozzino la personalità del burlone Till è concetto che arriviamo a condividere soltanto dopo che siamo stati informati dell’identità del citato burlone. Mai e poi mai – ignorando tale identità – avremmo potuto sbottare, ascoltando di primo acchito quei temi: ma certo, come no! è quel mattoide di Till, lo si riconosce da lontano!

Insomma, sulla natura della musica aveva mille ragioni il tanto vituperato Eduard Hanslick, e se la musica a programma ci può piacere è solo - ed esclusivamente – perché è grande musica di per se stessa, alla faccia del programma!

Sarà che non lo suonano spesso, ma mi è parso che i ragazzi avessero qualche problema di affiatamento, che peraltro non ci ha impedito di ascoltare un Till più che dignitoso, anche se non eccezionale. Bignamini da parte sua ha mostrato ancora una volta le sue doti e la sua personalità, fin dal vibrante attacco del corno (Allmählich lebhafter) che ha velocità tripla rispetto all’introduzione (Gemächlich) mentre troppo spesso viene eseguito (per far un favore al cornista…) con eccessiva sostenutezza. Tutto sommato una prova ben accolta dal pubblico (anche ieri sera non oceanico).
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Ecco poi il virtuoso di casa Radovan Vlatkovic interpretare il Concerto per corno di Paul Hindemith. Ne fu dedicatario Dennis Brain, che ne eseguì la prima giovedi 8 giugno 1950 a Baden-Baden con Hindemith sul podio della Südwestfunkorchester. Ecco qui i due in una successiva registrazione con la Philharmonia.

L’orchestra, assai leggera, presenta archi, legni (1-2-2-2, mentre il corno solista è l’unico degli ottoni) e timpani. La struttura del concerto è nei classici tre movimenti, ma assai sbilanciata sul fronte delle durate, con i primi due che insieme occupano circa 6’ (73+138 battute) e il terzo che da solo supera i 9’ (274 battute). In omaggio alla sua seconda patria americana, le indicazioni agogiche sono presentate da Hindemith in inglese e, a fianco, in tedesco.
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Seguiamo l’esecuzione ascoltando Hindemith e Brain. Il Moderately fast iniziale presenta un tema principale, esposto dall’orchestra e poi dal solista, tema che la fa da padrone, e un secondo motivo esposto dal solista. È l’orchestra ad aprire il movimento (4”) con l’esposizione del tema principale, caratterizzato da diversi salti di tempo e costituito da tre sezioni di cui le prime due insieme coprono il totale cromatico dei 12 suoni. Qui la parte dei violini, che il flauto doppia per la prima sezione:

Siamo quindi in presenza di un classico esempio di quella dodecafonia tonale che Hindemith teorizzò e praticò in opposizione alla dodecafonia atonale di Schönberg.

(19”) Il tema viene ripetuto a uguali altezze da violoncelli e fagotti, che però alla quinta battuta lo variano senza chiuderlo, mentre flauto e clarinetti (28”) entrano sul tema in contrappunto, ma partendo dal DO#. (41”) Ora violini e flauto riespongono la sola sezione iniziale del tema, ripetendola per tre volte in 5 battute di 5/4 ma traslando, rispetto all’inizio, la scansione di una semiminima in ritardo e l’altezza di un semitono in alto (si parte da FA#).

(54”) Adesso (battuta 21) entra il corno solista, che espone, tornando al FA e con scansione più regolare (4/4 in prevalenza) il tema ampliato e leggermente variato: la seconda sezione presenta due inversioni di note della serie e viene ripetuta altre due volte. La chiusa (SIb - SOLb - FA) è enarmonicamente identica a quella dell’esposizione orchestrale:
(1’15”) Ancora sul FA archi e flauto espongono la sola sezione iniziale del tema. Il corno (1’18”) ne riprende il frammento finale (4 note) reiterandolo variato, prima di esporre (1’37”) un secondo motivo più mosso, che parte dal SOL#:
(1’50”) Archi e flauto tornano ancora sul tema principale (prima sezione) questa volta dal SOL#; i violini espongono la seconda sezione, che il corno contrappunta e poi sviluppa ulteriormente per tornare (2’14”) ad esporre il tema, canonicamente dal FA, ma variandolo ulteriormente.

(2’41”) Riecco nel corno il secondo tema, questa volta dal FA# e variato, fino a condurre (2’52”) alla cadenza finale, basata sul primo tema e chiusa (3’09”) da un inciso esposto in forte dal solista e poi in fortissimo dall’orchestra, seguito da una mesta fanfara sul FA grave del corno.

Abbiamo ora il tempo centrale, Very fast, che è in forma di Rondo con struttura A-B-A-B-A-C-C’-A-A’ e una Coda conclusiva. È di norma il corno a prendere l’iniziativa, mentre l’orchestra risponde con gli strumenti acuti (ottavino e violini).

(3’24”) Il corno espone il ritornello A (che parte e chiude sul FA) con timpani e celli ad accompagnarlo in contrattempo:
Il ritornello (3’33”) è ripreso, semplicemente arricchito nell’armonia, dall’orchestra, poi (3’41”) il corno espone il primo episodio (B), avente sempre il FA come nota di riferimento:
L’ultimo FA diviene anche il primo della ripresentazione del ritornello (3’51”) sempre nel corno, ma con traslazione di una semiminima (timpani e celli sui tempi forti della battuta, corno in contrattempo).

(4’00”) L’orchestra imita il solista riproponendo il motivo B seguito (4’08”) dal ritornello in contrattempo. Rientra ora il corno (4’17”)  che espone il motivo C, assai mosso, stavolta centrato sul SOL:

(4’27”) Il motivo C viene ripreso ed arricchito (C’) dall’orchestra con il solista ad accompagnare con sporadici interventi di semicrome. (4’33”) Riecco il corno con il ritornello, sempre dal FA, ora in tempo giusto, compreso l’accompagnamento dei fagotti, mentre i violini si sbizzarriscono con volate di semicrome. Il ritornello è proseguito (4’42”) dall’orchestra (A’) mentre il corno accompagna con un motivo diatonico e poi dialoga con l’oboe fino all’arrivo (4’58”) della Coda, che ha la inizialmente la forma del ritornello A. Poi tutto si stempera fino ad un esilarante sussulto (5’07”) del corno, prima della chiusura sul FA.

Il terzo movimento è, come detto, il più robusto ed articolato dei tre: si suddivide in sei sezioni, caratterizzate da motivi e tempi diversi.

(5’21”) Il corno, con discreto accompagnamento, attacca in tempo Very slow esponendo un tema costituito da due sezioni, di cui la seconda formata dalla ripetizione anche variata di un breve motivo:
L’orchestra riprende negli archi (5’59”) con agitatissime biscrome dei fiati, l’elemento (a) e subito il corno (6’13”) espone un nuovo motivo (c) accompagnato dai soli archi con incisi nervosi:

Ora il tempo muta (6’56”) in Moderately fast, una vasta sezione caratterizzata dall’esposizione di nuovi motivi, magari imparentati perché ottenuti attraverso trasformazioni:
Corno e oboe ci giocano, poi (7’53”) è il flauto a presentare un nuovo motivo, sul quale subito risponde il corno:

(8’06”) È ancora il corno a dare inizio alla parte finale della sezione, esponendo un nuovo motivo (d) la cui conclusione:
è ripresa dai clarinetti che poi si aggiungono al corno per la chiusura.

Inizia ora (8’53”) la sezione Very fast, dove il corno tacet (è il classico momento di pausa che il solista impiega per… svuotare lo strumento). Gli archi, poi raggiunti dai fiati, curiosamente ripropongono il motivo iniziale (a) con valori aumentati, equilibrando quindi l’effetto della diversa agogica. Si tratta di una serie di varianti del tema che viene magistralmente esposto e contrappuntato alternativamente da archi e fiati.

(9’43”) A questo punto sulla pagina della partitura Hindemith scrisse alcuni versi (in tedesco antico) sotto il titolo Declamation, in cui esalta i suoni del corno (che nelle successive 41 battute propone un motivo dal sapore arcano, quasi declamasse proprio quei versi) invitando l’ascoltatore a lasciarsi da essi trasportare nel passato, di cui onorare le vestigia:

“Mein Rufen wandelt
In herbstgetönten Hain den Saal,
Das Erben in Verschollnes,
Dich in Gewand und Brauch der Ahnen,
In ihr Verlangen und Empfahn dein Glück.
Gönn teuren Schemen Urständ,
Dir Halbvergessener Gemeinschaft,
Und mir mein tongestaltnes Sehnen.“
“Il mio richiamo trasforma
l’auditorium in un bosco di suoni autunnali,
l’erede nello scomparso,
te nelle vesti e nei costumi degli antenati,
la tua felicità nella loro nostalgia e accoglienza.
Concedi la resurrezione alle care ombre,
a te la comunione con loro, semidimenticati,
e a me la mia nostalgia plasmata nei suoni.”

È una specie di compendio poetico dell’estetica di Hindemith, che propugnava una rivalutazione dell’antico (non un ritorno tout-court all’antico) come motore per il progresso della musica. Insomma, lui vestiva un po’ i panni di Hans Sachs!

I primi tre versi, liberamente tradotti in inglese, sono incisi sulla lapide che allo Hampstead Cemetery di Londra ricorda Dennis Brain, prematuramente scomparso a soli 36 anni nel 1957, schiantandosi contro un albero con la sua Triumph TR2, mentre tornava a casa da Edinburgo, dove aveva suonato la Patetica con Ormandy:


Dopo la chiusura (11’30”) inizia ora una sezione in tempo Lively, che negli archi e poi (12’11”) nel corno e quindi nell’ottavino ripropone i motivi della precedente Moderately fast, sottoposti a sottili manipolazioni. Anche il motivo (d) ricompare (13’09”) nel corno, subito imitato dal clarinetto.

(13’57”) Nell’ultima sezione (Very slow) il corno, accompagnato discretamente dagli archi e alla fine anche da clarinetti e fagotti, riprende il motivo (c) e conduce serenamente alla conclusione, sul DO che si unisce al LA dei clarinetti, al DO dei fagotti, al FA dei contrabbassi e a due discese dei violini (DO-SIb-LA e poi LA-SOL-FA). Insomma, si chiude su un perfetto… FA maggiore!
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Il grande Radovan non si smentisce e cava dal suo corno magico bellissimi suoni – compresi quelli a campana chiusa alla fine della Declamation - che danno piena ragione ai versi di Hindemith! Per lui trionfo assicurato e quindi un bis che – come ha già fatto altre volte – non esegue da solo ma insieme a colleghi dell’orchestra: così con Ceccarelli, Amatulli e Buldrini ci porge il primo tempo della Sonata per 4 corni (1952) di… Hindemith!
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Ora è la volta del poco conosciuto Karl Goldmark e della sua ouverture Im Frühling. Che spiega perché questo compositore sia… poco conosciuto (smile!) Questo pezzo che sta, diciamo, fra Dvorak e Rimski, a me dà l’idea del tipico vorrei, non posso. Francamente mi sfugge il razionale di averlo proposto – vaso non di coccio, ma di cartavelina – fra tre vasi d’acciao. Come sempre in casi simili, va lodata l’abnegazione dei ragazzi che se lo sono studiato per proporcelo facendo del loro meglio.
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Ha chiuso la serata l’inflazionato Zarathustra, che a differenza del Till l’orchestra padroneggia ormai disinvoltamente e di cui anche Bignamini ha fornito un’interpretazione davvero pregevole, salutata da ovazioni per tutti e ripetute chiamate per il Maestro, che fra una settimana ci farà un’anteprima della Butterfly che lui dirigerà prossimamente alla Fenice

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