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01 marzo, 2025

Orchestra Sinfonica di Milano - 24-25.18 – Xian Zhang

Atteso ritorno in Largo Mahler per la Direttrice Emerita dell’Orchestra Sinfonica di Milano, che trascorse qui alcuni anni (09-16) assai particolari della sua carriera: inclusa la nascita del suo secondo figlio, che lei si portò dietro dentro anche sul podio fino all’ultimo giorno!

Il brano di apertura serve precisamente per scaldare l’uditorio per ciò che verrà poi, due composizioni fra loro legate dalla stessa paternità russa: Stravinski e Ciajkovski.

Quindi, ascoltiamo dapprima lOuverture dalle musiche per Die Weihe des Hauses (op.124) che occupa una posizione assai scomoda nel catalogo beethoveniano, stretta com’è nella stritolante tenaglia di Missa (op.123) e Nona (op.125). E sono anche gli anni delle ultime tre sonate pianistiche e delle variazioni Diabelli!

Il titolo del lavoro è stato tradotto in italiano in modo letterale (La consacrazione della casa) il che porta francamente fuori strada chi non sia informato delle circostanze che ne determinarono la composizione. Chiunque infatti penserebbe subito alla casa nell’accezione di dimora e quindi, in senso lato, di famiglia: quindi immaginerebbe che si tratti della solennizzazione della classica benedizione delle famiglie (a pochi verrebbe in mente di pensare all’inaugurazione di una... ditta!)

Invece Haus in crucco (così come House in albionico) è un termine impiegato (anche) per definire i teatri (es.: Royal Opera House, Opernhaus Zürich); ed è proprio l’inaugurazione di un teatro viennese (Theater in der Josefstadt) che fece arrivare a Beethoven la commissione di musiche di scena per il lavoro teatrale che doveva celebrare l’avvenimento. Per risparmiare tempo e fatica Beethoven propose l’impiego de Le Rovine di Atene (altra musica di circostanza composta 11 anni prima per l’inaugurazione di un teatro tedesco a Pest).  

Alla fine Beethoven si risolse di comporre tre nuovi pezzi (da incastrare nelle Rovine) fra i quali la nuova Ouverture (ironia della sorte, non eseguita all’inaugurazione, perché… non pronta!) Per la quale si dice che l’ispirazione estetico-formale sia venuta a Beethoven da Händel, ed in effetti sentiamo atmosfere da pomposità tipiche delle musiche che il tedesco trapiantato in Albione componeva per i Reali di lassù, ma anche un complesso contrappunto che caratterizza il nucleo della composizione.

Dandole però anche un retrogusto di pedanteria fiamminga, tecnicamente ammirevole ma che, unita alla persistente staticità tonale (DO-SOL e nulla più…) e alle dinamiche fin troppo invadenti, rischia di rendercela, in tutta franchezza, un tantino pesantuccia da digerire.

Ovviamente nulla di cui incolpare l’Orchestra, che ha fatto interamente il suo dovere!   

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Il brano centrale della serata è targato Igor Stravinski: si tratta del suo Divertissement dal balletto (non proprio passato alla storia) Le baiser de la fée. Balletto commissionatogli nel 1928 da Ida Rubinstein, che prendeva spunto dalla fiaba di Andersen La vergine dei ghiacci

Per la composizione del quale Stravinski si ispirò apertamente all’Autore dell’opera che chiude la serata: Ciajkovski, al quale la partitura è dedicata:

Nel 1873, proprio lo stesso periodo di creazione della Seconda Sinfonia, Ciajkovski aveva composto, su richiesta del teatro Malyj di Mosca, le musiche di scena (19 numeri per il Prologo e i 4 atti) per la fiaba popolare (messa in versi da Alexander Ostrovski) intitolata La fanciulla di neve. E da queste musiche, e da altre opere giovanili di Ciajkovski, prese spunto Stravinski per il balletto.

Nel 1934 poi Stravinski derivò dall’intero balletto il Divertissement, una specie di Suite che riprende circa il 50% (anche come durata) della musica del balletto:


Balletto
Divertissement
1. Prologo – Ninna-nanna nella tempesta
I. Sinfonia (meno n. 27-39)
2. Una festa al villaggio
II. Danze svizzere (troncato al n. 96)
3. Al mulino –
Passo a due (Entrata-Adagio–Variazione–Coda) –
Scena
III. Scherzo (meno n. 122-130 e 154-155)
IV. Passo a due (Adagio–Variazione–Coda)
(più 14 battute)
4. Epilogo – Berceuse delle dimore eterne
 

Come si vede, c’è un taglio nel Prologo (Sinfonia); un altro al termine della Festa (Danze svizzere); due tagli nella scena Al mulino (Scherzo); il taglio dell’Entrata del Passo a due; un’aggiunta in chiusura del Passo a due per chiudere il Divertissement; omessi quindi la Scena finale del brano 3 e l’intero Epilogo.

Sono 25 minuti di musica accattivante, dello Stravinski che si suol catalogare come neo-classico, ma che qui – grazie ai riferimenti all’amato Ciajkovski – in realtà sconfina ampiamente nel romanticismo. 

Xian però di romantico lascia poco, sottolineando i connotati più jazzistici della partitura, e trascinando il pubblico all’entusiasmo. 

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In chiusura ecco Ciajkovski e la sua Sinfonia n. 2, detta Piccola Russia dal nomignolo (di significato bifronte…) con il quale veniva apostrofata ai suoi tempi l’Ukraina, dove il compositore passò diverse estati e compose proprio questa Sinfonia.

In questo articolo scritto in occasione della precedente esecuzione qui della Sinfonia (sempre con Xian, nel settembre 2014) avevo proposto qualche nota introduttiva di carattere geo-politico sull’Ukraina ai tempi di Ciajkovski, proprio nei giorni in cui il Paese viveva i postumi della crisi (EuroMaidan) che aveva scalzato il Presidente filo-russo Janukovich, sostituito da un governo filo-occidentale, e provocato così la reazione russa culminata nell’annessione della Crimea, dando inizio a 8 anni di guerra civile nel Donbass, culminati nell’invasione russa del febbraio ’22, cui il faro della Meloni – come si è visto proprio ieri sera in mondovisione - proclama di metter fine senza badare all’etichetta…

Per curiosità ho interpellato l’omnisciente Intelligenza Artificiale per sottoporle una bizzarra domanda: Se Ciajkovski fosse vivo oggi, sull'Ukraina starebbe con Putin o con Mattarella? Devo dire che la risposta dell’oracolo (che ci ha dedicato ben 87 secondi del suo preziosissimo tempo!) mi è sembrata interessante, pur se venata da un certo fastidio per la pretesa inconsistenza della domanda, che vorrebbe mettere in relazione fatti e idee di momenti e personaggi storici così lontani e inconfrontabili. Quindi, giustamente, l’oracolo rifiuta di sbilanciarsi, limitandosi a fare ipotesi più o meno generiche.

Ma la cosa che mi sento di condividere totalmente è proprio l’ultimissima conclusione della risposta: Meglio concentrarsi sulla sua (di Ciajkovski, ndr) eredità artistica, che unisce Russia, Ucraina ed Europa.

Bene, non saprei dire se dall’interpretazione della Xian sia emersa precisamente questa eredità artistica, ma di sicuro se ne è potuta apprezzare la freschezza e l’assenza di retorica (rischio che si corre soprattutto nei due movimenti esterni). Come suo costume, la Direttrice sino-americana tende sempre all’essenziale, a prosciugare più che a rimpolpare (lei è nemica dei da-capo, per dire, e anche ieri ha omesso quello della seconda sezione dello Scherzo).

Risultato comunque elettrizzante, grazie ovviamente anche allo stato di grazia dell’Orchestra (mia menzione particolare per il corno di Amatulli nella lunga Introduzione con il tema del Volga). Pubblico folto prodigo di uragani di applausi per l'Orchestra e di ripetute chiamate per la rediviva Xian.


19 novembre, 2021

laVerdi 21-22. Concerto 8

Prima del concerto, un prologo con due dedicatari: Ruben Jais ha portato le felicitazioni di tutta laVerdi al Presidente Emerito Gianni Cervetti, insignito di fresco della massima onorificenza del Comune meneghino: l’Ambrogino d’Oro! Poi Franco Iacono (Presidente del Comitato che celebra i 100 anni dalla morte di Enrico Caruso) ha ringraziato la Fondazione per aver dedicato alla ricorrenza il concerto di ieri, affiancandosi all’iniziativa del Teatro alla Scala che il 17 aveva tenuto un convegno sul grande tenore napoletano.  

Il concerto di questa settimana vede il gradito ritorno sul podio di Zhang Xian, la cinesina-americana (oggi a capo della NewJersey Symphony) che guidò l’Orchestra per molti anni, dal 2009 al 2016, essendone quindi divenuta Direttore Emerito.

Programma di classica impaginazione, aperto da Mother and Child, per archi, di William Grant Still, prolifico compositore afroamericano del ‘900. Si tratta di una trascrizione per orchestra d’archi del secondo movimento della Suite per violino e pianoforte del 1943, ispirata a tre sculture moderne esposte in musei di NewYork, SanFrancisco e Washington rispettivamente.

Il breve brano, 7 minuti all’incirca, che la Xian ha già interpretato più volte in America, ha il sapore di una ninna-nanna sulla quale una madre culla il pargolo, una sognante melodia che dal MI maggiore d’impianto (tonalità quanto mai appropriata allo scenario) modula verso la sottodominante LA; poi ecco un motivo che dal MI minore modula alla relativa SOL e al DO, prima del ritorno a... nanna, con la chiusa sospesa sulla sopratonica FA#. Chissà se Xian ha scelto di proporre anche a Milano questo brano per ricordare le due maternità che lei portò felicemente (e un po’ anche... avventurosamente) a termine proprio qui sui Navigli.

La Xian mi è parsa piuttosto dimagrita e ancor più minuta rispetto ai tempi italiani (la cucina USA evidentemente non fa per lei...) ma ha se possibile potenziato la sua proverbiale verve, che si manifesta con il gesto secco e deciso e - a livello interpretativo - con quello che un tempo si definiva un approccio alla Toscanini.
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Ecco poi una vera primizia: il Concerto per violino (op.5, n°1) di Joseph Boulogne, compositore del ‘700 noto come il Mozart nero, essendo lui figlio di un latifondista-colonialista francese e di una senegalese deportata come schiava in Guadalupa. A Parigi fece fortuna come spadaccino e come musicista (dapprima al clavicembalo e al violino e poi sul podio di direttore, con tanto di sciabola brandita al posto della bacchetta!)  

Marc Bouchkov, trentenne franco-belga di origini russe (come lascia intendere il cognome) è l’interprete di questo brano che effettivamente poco ha da invidiare a quelli del Teofilo... giovane, al quale potrebbe benissimo essere attribuito. Lui per prudenza (evidentemente questo lavoro ancora non lo ha stabilmente in repertorio) si tiene davanti lo spartito, cui peraltro dedica solo qualche sporadica occhiata. Ne esce un’esecuzione di grande leggerezza, impreziosita da pregevoli virtuosismi e ben assecondata dal discreto accompagnamento dell’orchestra.

Marc ci lascia con un ispirato bis del suo amato Bach: l’Andante (in DO maggiore) dalla Seconda Sonata (BWV1003, in LA minore).  
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Chiude il concerto la Quarta di Beethoven. Immeritatamente relegata fra le minori (come le sue altre tre pari) nel panorama beethoveniano. Certo, dopo la terrificante novità dell’Eroica, con il suo precipitare in-medias-res fin dalla prima battuta, questa sinfonia pare retrocedere (come del resto la seconda e anche la prima) diciamo di un paio di lustri per uniformarsi all’imparruccato Josephus (Haydn) con quella lunga introduzione lenta all’Allegro di apertura.

In realtà non mancano le innovazioni, a partire dal Minuetto che (sulla scia dell’Allegro vivace dell’Eroica) anticipa già le fattezze dello Scherzo che diventerà da lì in avanti uno standard nella struttura della sinfonia.

La Xian - che già aveva diretto la Sinfonia qui un paio di volte, proprio all’inizio e alla fine del suo direttorato - ha confermato il suo approccio: massima concisione (ignorati i ritornelli nei due movimenti esterni) ed esaltazione dei chiaroscuri nelle dinamiche (cito ad esempio gli strappi dominante-tonica nell’Adagio). L’Orchestra ha risposto alla grande, con un’esecuzione che ha trascinato il pubblico all’entusiasmo.

03 maggio, 2019

laVerdi 18-19 - Concerto n°27


Il concerto di questa prima settimana di maggio vede il gradito (purtroppo unico nella stagione) ritorno sul podio dell’Auditorium del Direttore emerito de laVerdi, Zhang Xian.

Il programma comprende in apertura il quinto degli otto appuntamenti della Maratona Brahms (integrale delle sinfonie e dei concerti solistici) e propone il Primo Concerto per pianoforte, interpretato alla tastiera da Denis Kozhukhin, giovane virgulto (33 anni) della grande scuola russa ma ormai cittadino del mondo e già frequente ospite anche del nostro Paese.

Si tratta dell’opera di un Brahms (appena 22enne quando la sbozzò) ancora incerto sul terreno orchestrale, nata come sonata per due pianoforti, poi innalzata al rango di sinfonia e infine derubricata, per così dire, a concerto solistico. Dove peraltro il solista spicca abbastanza poco, quasi sempre annegato nella trama del tessuto orchestrale, il che ha reso il concerto poco attraente per i pianisti (già dover aspettare per più di 4 interminabili minuti che l’orchestra esaurisca ben 90 battute introduttive prima di dare la... parola al pianoforte dev’essere per loro piuttosto fastidioso). Poi, in compenso, il lavoro per il solista non manca di certo: forse mancano virtuosismi da baraccone, ma l’impegno richiesto - non fosse che per la durata del concerto - è di quelli davvero gravosi.

E in effetti questo Kozhukhin pare apprezzarlo assai, a giudicare dal cipiglio, dalla grinta e dalla passione che ha profuso nella sua interpretazione. Qualche sbavatura che mi è parso cogliere nei passaggi più ostici del primo movimento non inficia il giudizio del tutto positivo sulla sua performance, impreziosita dalla delicatezza e sensibilità con cui ha proposto il sognante Adagio centrale.

Bene anche l’Orchestra, dove si è distinto, fra gli altri, il corno di Amatulli, nei diversi passaggi solistici disseminati nella partitura. A tutti il pubblico abbastanza folto dell’Auditorium ha riservato un meritato successo. Così questo ragazzone biondo (con tanto di codino) ci offre un raro quanto gradevole Grieg (n°6 dell’op.43, Til Foraret).   
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A chiudere in bellezza la serata ecco l’Ottava Sinfonia di Antonin Dvořák, significativamente accostato nel programma al suo illustre mentore amburghese. Sinfonia composta nel 1889 e appellata pastorale, quindi apparentata alla seconda di Brahms, in specie per i due movimenti interni, ma che presenta un movimento iniziale piuttosto eterodosso (e quindi assai poco brahmsiano, nel senso di rispetto delle forme); il che ha spinto alcuni suoi detrattori a declassarlo a rapsodia su temi di danze slave... un campo nel quale a Dvořák è peraltro sempre stata riconosciuta un’indiscussa autorità.

Ma forse queste sono critiche ingenerose, e un’analisi meno prevenuta permette di apprezzare anche la struttura formale dell’opera, che del resto il compositore stesso aveva dichiarato contenere diversi caratteri innovativi.

Facciamone la conoscenza servendoci di un’interpretazione autorevolissima, quella di un boemo d.o.c.: Rafael Kubelik, alla guida dei Berliner.
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Apre un Allegro con brio, 4/4 in chiave di SOL maggiore, e già la tonalità rappresenta un unicum nella produzione sinfonica dell’intero ‘800: solo Ciajkovski l’aveva impiegata, ma in minore, nella sua prima (chiusa peraltro in maggiore) e si dovrà attendere il ‘900 e Mahler (quarta) per ritrovarla nuovamente come impianto di una sinfonia.

Ma le sorprese sono appena iniziate, poichè il motivo che introduce l’esposizione è - guarda un po’ - in SOL minore! Lo dobbiamo tener presente poichè tornerà altre due volte nel corso del movimento, e precisamente ad aprire lo sviluppo e poi la ricapitolazione, in questa che cominciamo quindi a riconoscere come una struttura di forma-sonata piuttosto disinvoltamente manipolata.

Questa introduzione in minore, una specie di corale nei violoncelli, clarinetti e fagotti, sfocia (33”) in un lungo RE, dominante del SOL la cui tonalità trascolora da minore a maggiore con l’innalzamento del SIb a SI naturale nell’accompagnamento orchestrale. (In realtà questa alternanza minore-maggiore è al centro dell’intera sinfonia). Ecco qui il flauto (42”) esporre il primo tema (anzi la prima parte del primo gruppo tematico): una chiara evocazione dei gorgheggi di uno dei tanti volatili di cui il compositore si circondava nella sua casa di campagna a Vysoká. Poi, invece di svilupparsi come ci si aspetterebbe, ecco che (1’02”) il motivo, in un travolgente crescendo orchestrale, pare trasformarsi in una nuova introduzione a qualcos’altro! Che è poi (1’20”) la seconda parte del primo gruppo tematico. La quale passa per ora come una meteora, per lasciare subito il posto al proseguimento del crescendo orchestrale, chiuso a 1’51” - dopo una cadenza degna in tutto e per tutto di un’aria di melodramma - da un’enfatica riproposizione della prima parte del tema.

Questa però sfocia arditamente (1’57”) nella tonalità di SI minore che poi - dopo un ponte modulante che attraversa LA e RE maggiore - supporta (2’32”) il secondo gruppo tematico (prima parte) dal sapore tipicamente boemo. La cui seconda parte (3’07”) è in SI maggiore, alle prime dal carattere religioso, ma subito sfacciatamente reiterata (3’14”) e sfociante sulla cadenza del primo tema, poi trascolorando (3’36”) nuovamente a SI minore. Un nuovo ponte modulante attraverso il RE ci riporta a SOL minore, preparando il ritorno del tema introduttivo che riudiamo (4’00”) proprio come aveva aperto l’esposizione. Ecco quindi tornare il passaggio a SOL maggiore ed il flauto esporre (4’43”) il motivo ornitologico.

A tutta prima sembrerebbe una pura e semplice ri-esposizione (quasi un da-capo di classica memoria) ma Dvořák non cessa di stupirci e ben presto ci rendiamo conto di essere già entrati nella sezione di sviluppo (esclusivamente occupata dalle due parti del primo gruppo tematico). La tonalità infatti comincia a modulare vorticosamente: dapprima (5’03”) a FA maggiore e poi (5’17”) ad un remoto FA# maggiore! Sul quale a 5’34” ecco comparire, quasi nascosta dalla mirabile melodia di contrappunto dei flauti, la seconda parte del primo gruppo tematico, poi esposta (5’47”) in LAb maggiore, ancora in RE minore (6’08”) e poi (6’15”) in FA maggiore e ancora (6’18”) in LAb. Adesso due schianti in MIb minore portano (6’27”) ad un colossale accordo di MI minore che prepara a sua volta l’arrivo (6’51”) del SOL minore.

Mamma mia, che ubriacatura di suoni! (É qui che probabilmente i critici della sinfonia perdevano il filo del discorso...) E questo SOL minore a cosa ci prepara? Ad un enfatico riapparire del tema dell’introduzione, tanto smaccato ora (nelle trombe, sulle folate degli archi) quanto sommesso e religioso era stato nelle prime due comparse... Tema che per la terza volta segnala l’inizio di una sezione del movimento iniziale: qui, la ricapitolazione.

Quasi timoroso, è il corno inglese (7’33”) ad aprirla, esponendo il motivo dell’uccellino, subito imitato da clarinetto e flauto. Ora non udiamo la seconda parte di questo primo gruppo tematico, ma ecco tornare il secondo tema (8’05”) accodatosi - in osservanza (per una volta quasi rigorosa) dei sacri canoni - alla tonalità di impianto (SOL, ma sempre in minore, nella sua prima parte). La seconda parte, in maggiore, compare a 8’40”, subito riproposta con enfasi a 8’47”. Essa sfocia (9’03”) nel primo tema, da cui si diparte la brillantissima coda, chiusa da 5 melodrammatici schianti di SOL maggiore.

Si passa ora all’Adagio, 2/4 tonalità in MIb maggiore e DO minore-maggiore (anche qui i due modi si alternano e si compenetrano). La struttura generale si presenta come una duplice alternanza di un gruppo tematico dimesso e quasi da marcia funebre (ma con impertinenti incisi in maggiore) e un secondo di spiccata serenità popolaresca.

A 9’55” gli archi espongono il primo gruppo tematico, che muove da MIb maggiore a DO minore e quindi (10’41”) ecco flauto e clarinetto interloquire in DO e poi FA maggiore con i clarinetti. A 12’11”, preceduta da un rullo di timpani, la prima sezione del tema viene ripetuta in fortissimo e porta alla prima esposizione (13’10”) del secondo gruppo tematico, in DO maggiore, dal sapore squisitamente popolare, con una sezione (14’06”) assai enfatica e mossa dalle scale degli archi, che sfocia (14’43”) in una marziale perorazione delle trombe.

A 14’58” ritorna il primo gruppo tematico variato che sembra svanire nel nulla per poi sfociare (16’32”) in un’altra sezione enfatica, prima che (17’47”) faccia la sua ricomparsa il secondo gruppo tematico, esposto dagli archi con contrappunto grazioso dei flauti. Una coda (18’38”) basata sul primo tema, chiude il movimento in un’atmosfera che si schiarisce dopo un cupo intervallo.

Ecco quindi l’Allegretto grazioso, 3/8 in SOL minore. Non è il classico Scherzo, anche se ha una struttura (A-B-A) che contempla (B) un Trio. Inizia (A) con un languido walzer (20’16”) esposto dagli archi, un tema arcuato, che sale e poi ridiscende. Gli fa eco (20’42”) un controsoggetto prima della riproposizione (21’08”) del tema completo nei legni, poi ancora negli archi.

Si passa ora (22’04”) al Trio (B) nella relativa SOL maggiore (altro esempio di alternanza minore-maggiore) un motivo ripreso dall’opera Tvrdé palice (Teste dure) a sua volta integrato (22’29”) da un controsoggetto. Il tutto ripetuto (22’49”) e ancora seguito (23’35”) dal soggetto B chiuso da una delicata cadenza dell’oboe.

Con il classico da-capo torna (24’24”) il primo tema (soggetto e controsoggetto) poi ripetuto (25’16”), e infine si arriva (26’12”) ad una coda spigliata (Molto vivace, tempo 2/4) basata sul secondo tema e chiusa da un accordo maggiore (SOL-SI) assai dimesso negli archi. 

Chiude la Sinfonia l’Allegro ma non troppo, 2/4 in SOL maggiore, che presenta una struttura a metà tra il rondò e il tema-con-variazioni (queste ultime non sono esplicitamente indicate, ma si desumono chiaramente dalla partitura, oltre che dal contenuto musicale). A mo’ di introduzione lo apre (26’53”) il RE di una smaccata fanfara di trombe. Qui viene sempre ricordato dai commentatori un appello che la nostra guida Kubelik pare abbia indirizzato agli orchestrali durante una sessione di prove della sinfonia: Signori, in Boemia le trombe chiamano alla danza, non alla battaglia! 

Esposizione del Tema (27’21”). Dopo una pausa di riflessione, scandita dai timpani sul ritmo della fanfara, ecco il tema principale, affidato ai violoncelli, che mostra subito la sua chiara derivazione dall’incipit (SOL-SI-RE) del canto dell’uccellino che aveva aperto nel flauto l’esposizione dell’iniziale Allegro con brio. Sono 8 battute (reiterate) chiuse sulla dominante RE. Il controsoggetto (27’41”) - sempre di 8 battute con da-capo - risponde partendo dalla dominante e ritornando a casa, sul SOL.

Variazione 1 (28’03”). È in effetti una riesposizione variata del tema completo (soggetto e controsoggetto con i rispettivi da-capo) ma assai arricchito di suono, per l’intervento di viole e violini in fortissimo, ad accompagnare celli e bassi.       

Variazione 2 (28’39”). É abbastanza articolata, con una struttura A-B-A. Inizia con l’intera orchestra che espone l’incipit del tema, poi sviluppato in due frasi di 8 battute. Segue (28’53”) la sezione B, un po’ più mossa nel tempo, costituita da due parti (sempre di 8 battute, ripetute) affidata agli svolazzi del flauto. Riprende (29’22”) la sezione A con la prima parte di 8 battute e la seconda di 13, chiusa sul SOL. Seguono (29’38”) 10 battute di ponte, che conducono la tonalità verso il DO minore, in cui è incardinata la successiva...  

Variazione 3 (29’46”). É la più lunga e complessa delle sette (130 battute) ed apre come detto in DO minore con un tema aspro e martellante esposto da oboi e clarinetti, poi ripreso (29’58”) dai flauti. Che ne propongono una variante, come controsoggetto, con modulazioni a SI e SIb minore. Segue un lungo sviluppo del tema, con interventi successivi di tutte le sezioni dell’orchestra, chiuso da un ritorno (31’09”) del RE della fanfara di trombe che si trascina faticosamente fino a chiudere la variazione.

Variazione 4 (31’40”). Riecco il SOL maggiore del tema principale (due parti entrambe ripetute) che nella prima parte ricalca l’apparizione iniziale, ma nella seconda (32’03”) viene stranamente allungato di 2 battute (10 invece di 8).  
  
Variazione 5 (32’33”). In sostanza arricchisce tematicamente la precedente ed è riservata ai soli archi. La prima sezione è di 8 battute, ripetuta; la seconda (32’55”) pure di 8 battute, ma con ripetizione di 10.   

Variazione 6 (33’20”). Ora è il clarinetto a tenere banco, presentando la prima sezione del tema principale con l’accompagnamento degli archi in tremolo. Nella seconda (33’44”) si fa più corposa la presenza dei fiati (entrambe le sezioni, ripetute, sono di 8 battute).

Variazione 7 (34’07”). Ancora il tema principale (esposto dai violini contrappuntati dai fagotti) che lentamente sembra disgregarsi, poi si riprende (34’29”) nei violini con accompagnamento in tempi dilatati di flauti e oboi.

Coda (34’55”). Furiosamente l’intera orchestra ripercorre la seconda variazione fino ad arrivare (Più animato, 35’09”) alla stretta finale. Chiusura in bellezza, con due schianti di SOL maggiore. 
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Beh, magari non sarà proprio un capolavoro assoluto, tuttavia non si può negare che la sinfonia abbia un certo fascino, legato indubbiamente alla cantabilità dei tanti motivi di ispirazione popolare boema che la percorrono da cima a fondo, che mette in secondo piano le sue arditezze (ma si potrebbe dire... stranezze) formali. 

Abbiamo conosciuto ed apprezzato la Xian durante gli anni della sua direzione musicale e anche ieri la piccola cinesina ha mostrato le sue qualità: esaltando tutti i contrasti di questo brano, che alterna la leggerezza dei motivi di danza (vedi l’Allegretto) a squarci di alta drammaticità (quali sono emersi mirabilmente nell’Adagio). Travolgente poi l’Allegro finale, con l’Orchestra (ieri guidata da Dellingshausen) che ha davvero tirato fuori le unghie! 

Accoglienza trionfale e applausi ritmati hanno chiuso questa bellissima serata.

01 giugno, 2017

2017 con laVerdi – 22


Ancora Xian e ancora Mahler per il concerto settimanale de laVerdi. Chissà se c’entra qualcosa l’inopinato cambiamento di date (mercoledi-giovedi in luogo di giovedi-domenica) fatto sta che l’Auditorium era desolatamente semideserto... E del resto già il programma non è certo di quelli da attirare folle assatanate, proponendo l’incompresa del boemo, la sua Settima. Perchè incompresa? Ce lo spiega assai bene Ugo Duse, nel suo fondamentale testo su Mahler del 1973 (purtroppo non più ristampato):

Il giudizio di Duse, che inquadra la sinfonia nella prospettiva di un riscatto dalle deplorevoli deviazioni soggettivistiche della Sesta, si può leggere in una mia nota, redatta in occasione della precedente esecuzione in Auditorium e corredata di una succinta guida all’ascolto. Invece, una mia interpretazione in chiave semiseria della Settima all’interno del corpus sinfonico mahleriano si può trovare in questo commento ad una proposta della Scala con Chailly
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Che dire di ieri sera? Mah, di fracasso se n’è sentito abbastanza, solo che (mi) è parso un filino fine a se stesso, ecco. Così i due movimenti esterni avranno pure eccitato gli animi (infatti alla fine i pochi intimi hanno applaudito anche per gli assenti) ma questo non mi sembra basti a dare all’esecuzione un voto più alto di un 6--. E per fortuna le due serenate e il walzeraccio centrale sono stati almeno su un livello dignitoso.

Insomma, una serata che mi ha lasciato un po’ di amaro in bocca.

26 maggio, 2017

2017 con laVerdi – 21


In attesa di conoscere (accadrà il prossimo 30/5) il nome del suo successore, ritroviamo sul podio dell’Auditorium Zhang Xian per riproporci uno dei monumenti del tardoromanticismo.  

L’ex-Direttora (adesso nominata emerita, come capita a molti ex-) è alla sua terza lettura del mahleriano Das Lied von der Erde con laVerdi: l’ultima volta fu quasi esattamente 5 anni orsono; la prima a gennaio del 2011 (in quell’occasione scrissi qualche nota sull’opera). E come per il primo incontro, anche questa volta l’antipasto è di stampo mozartiano: là la Haffner, qui la Piccola in Sol minore, di quasi 10 anni più giovane.

La K183, prima e penultima sinfonia mozartiana in tonalità minore (lo stesso SOL della celeberrima K550) apre un mini-ciclo (fino alla K202) che rappresenta un po’ la transizione dal Mozart fanciullo e italiano (nello stile di Johann Christian Bach) e il Mozart della maturità, che comincia a subire l’influsso di Haydn e delle sue sinfonie ispirate al movimento Sturm-und-Drang.
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Già l’attacco dell’Allegro con brio è emblematico di questa evoluzione, con la sua sincopata sequenza discendente SOL-RE/MIb-FA# (quest’ultimo intervallo è una drammatica settima diminuita) che fa da breve introduzione al primo tema, caratterizzato dall’incipit in arpeggio di SOL minore (sarà ripreso nell’ultimo movimento della K550, poi da Beethoven nella sua prima sonata per pianoforte):


Interessante l’articolazione del secondo tema, nella relativa SIb maggiore, tema in realtà costituito da due componenti, un motivo ancora nervoso e caratterizzato da ampi intervalli, l’altro inizialmente più statico, ma increspato dalle ripetute acciaccature:


Dopo il da-capo dell’esposizione, ecco il (relativamente) breve sviluppo, che appare quasi un semplice ponte verso la ricapitolazione. Qui, secondo i canoni della forma-sonata, dopo la riesposizione del primo tema, le due componenti del secondo ritornano, abbrunate,  in SOL minore. Altra particolarità da notare: l’intera sezione sviluppo-ripresa prevede(rebbe) un ulteriore da-capo. Segue quindi una coda, basata sulle battute dell’introduzione.   

Il successivo Andante è in MIb maggiore, tonalità sottodominante della relativa maggiore (SIb) del SOL minore d’impianto della sinfonia. É costituito da due sezioni, entrambe (teoricamente) da ripetersi. La prima è a sua volta strutturata come un’esposizione di due temi, il primo in MIb, con controsoggetto che porta al secondo, nella dominante SIb:

   
La seconda sezione è una specie di ripresa della prima, con il secondo tema che si accoda alla tonalità del primo (MIb).

Ecco poi il Menuetto, dalla classica struttura in due sezioni più il Trio. La tonalità è SOL minore, il piglio assai solenne e serioso:


La seconda sezione presenta semplicemente un contosoggetto che riporta al tema fondamentale. Il Trio è nella relativa SOL maggiore, affidato ai soli fiati (anche questa una scelta tradizionale, in origine si tratta di un genere per soli corni):


Vi si riconoscono le classiche due sezioni, da ripetersi prima della ripresa del Menuetto.

Chiude la Sinfonia un Allegro in SOL minore, che richiama nella struttura e nell’atmosfera sonora il primo movimento. Anche qui abbiamo un primo tema severo in SOL minore, esposto dapprima dai soli archi e quindi ripreso anche dai fiati:

Lo segue una coppia di motivi nella relativa SIb maggiore, assegnati agli archi e separati da un ponte a piena orchestra:


Il secondo motivo sfocia in una ripresa, in maggiore, del primo tema, che chiude la sezione, da ripetersi. Ecco la seconda, che inizia con un fugato in SOL minore, prima del ritorno del primo tema, seguito, canonicamente in SOL minore, dalle due componenti del secondo. La sezione sarebbe da ripetersi, prima della coda conclusiva.

Insomma, una Sinfonia cui il 17enne Teofilo deve aver dato molta importanza, del tutto... meritata!
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Xian, contrariamente alle sue abitudini, questa volta accorcia abbastanza poco, cassando i da-capo delle seconde sezioni dei due movimenti esterni e dell’Andante. Orchestra con organico proprio... dei tempi di Mozart, il che richiede a tutti di mettere in mostra le migliori qualità.
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Mahler battezzò il Lied come Sinfonia per una voce di contralto e una di tenore, pur lasciando aperta la possibilità di impiegare un baritono al posto della voce femminile. Dato che l’Autore non fece in tempo ad ascoltare la sua opera, per tradizione ci si è per molti anni attenuti alla sua prima indicazione. In ciò quasi... obbligati dalla ferma posizione di Bruno Walter, che diresse la prima a Monaco con un contralto, pochi mesi dopo la scomparsa dell’Autore e che, dopo aver provato a Vienna con un baritono, si convinse a sentenziare - senza possibilità di appello - in favore della voce femminile.   

In realtà, come hanno dimostrato recenti esecuzioni (il primo ad aprire la strada fu Fischer-Dieskau più di mezzo secolo fa) la voce di baritono non sembra per nulla far rimpiangere quella di contralto (o mezzosoprano). Anzi, da un punto di vista dei contenuti letterari dei testi cinesi, si può dire che sia la più appropriata ad interpretare le tre canzoni pari del ciclo: la seconda ha un titolo chiaramente maschile (Il solitario in autunno); la quarta descrive l’ammirazione di giovani fanciulle (una in particolare) per baldi cavalieri che scorrazzano lungo una riva; la sesta è ispirata alle vicende esistenziali di notabili cinesi che, lontani da casa e famiglia, trovavano conforto nella reciproca amicizia, con conseguenti attese e congedi dell’amico (sono i titoli delle due liriche che Mahler utilizzò per l’Abschied). 

Qui ascoltiamo ancora un contralto, quella stessa Carina Vinke che cantò anche nel 2012, e con lei il tenore Lorenzo Decaro. Auditorium assai poco affollato, il che sembra proprio una costante per il Lied, evidentemente un Mahler ancora poco apprezzato.

Grande prova dell’Orchestra, cui ha corrisposto solo a metà la parte vocale: mentre la Vinke se l’è cavata dignitosamente, altrettanto non si può purtroppo dire di Decaro, in evidente difficoltà: intonazione precaria, spelling discutibile e un clamoroso strafalcione (ritardo abbondante di entrata) nel primo Lied. 

Ma anche così, ascoltare questa musica è sempre (almeno per me) un’esperienza unica.

03 marzo, 2017

2017 con laVerdi – 10


Riecco Zhang Xian sul podio de laVerdi per un concerto tutto russo, con una quasi primizia (per l’Orchestra) seguita da un autentico cavallo di battaglia.

Ecco quindi l’apertura con il Prokofiev della difficile, ostica e poco eseguita Sesta Sinfonia. Composta poco dopo la splendida Quinta, alla fine della WW2, e presentata a Leningrado dal fido Mravinsky nel 1947, godette un immediato quanto effimero successo di pubblico e critica, presto annullato dall’inappellabile e sommaria sentenza di Zhdanov&C: formalismo antisovietico!

Per gli ottusi censori di Stalin tutto ciò che tovarisch Stakanov non riusciva a canticchiare e fischiettare dopo il primo ascolto era musica degenerata e chi l’aveva composta meritava il disprezzo e magari il gulag... E guarda caso la Sesta è musica non orecchiabile, in gran parte cupa, tetra, sofferta.

La stessa struttura formale è piuttosto indecifrabile: a parte i tre soli movimenti (e questo sarebbe il meno) l’iniziale Allegro moderato appare di difficile inquadramento, a prima vista sembra la pura giustapposizione di tre temi che vengono presentati in successione, e poi riproposti ancora: molto labilmente vi si può riconoscere un simulacro di forma-sonata, oltretutto assai eterodossa dal punto di vista dei rapporti tonali. Il secondo tema tornerà poi ciclicamente, ma apparentemente avulso dal contesto, proprio nelle battute finali della sinfonia.   

Ecco come ce la propone Evgeny Mravinsky in una registrazione fatta precisamente a 20 anni di distanza dalla prima, sempre con la sua Filarmonica di Leningrado.
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L’iniziale Allegro moderato (6/8 – 9/8 – 4/4 in MIb minore) è introdotto da 10 battute di lugubri rintocchi di ottoni e archi bassi, che creano uno scenario a dir poco spettrale. Come detto, si può assai vagamente parlare di forma-sonata: esposizione dei tre temi (A, B, C), quindi sviluppo (praticamente del solo tema A) e ricapitolazione dei temi B-C-A, più una coda.

Il primo (16”) è un cupo tema in MIb minore, in violini primi e viole, che sale alla tonica partendo, contrariamente al normale, invece che dalla dominante, dalla sottodominante: LAb-SIb-DOb-MIb. Da qui la melodia si dipana con metro trocaico (semiminima-croma) alternato a terzine di crome, che le conferisce un senso di inquietudine e di instabilità. Dopo un primo intervento dei legni, che riprendono il tema in forma variata, esso viene esposto da oboe e fagotto (41”) in tonalità di LA minore, quindi a distanza di un tritono (cosa di per sè sinistra!) dal MIb di impianto.

Presto però (51”) una velocissima scala discendente dei primi violini ci riporta al MIb per un ponte dove il tema A viene rielaborato dalle diverse sezioni orchestrali sfociando (1’16”) in un insistito inciso trocaico che prelude (1’26”) al ritorno del tema A in violini primi e viole. Gli segue un nuovo ed esteso sviluppo, chiuso (2’51”, tempo Poco più sostenuto) da un’ennesima variante che rallenta il tempo fino ad introdurre (3’09”, Moderato) il secondo tema (B) in SI minore, altra tonalità piuttosto distante dal MIb d’impianto: come si vede si tratta di concatenazioni tonali che creano un’atmosfera tutt’altro che serena e rassicurante.

Questo secondo tema – esposto inizialmente per due volte dagli oboi in ottava, mutua dal primo l’andamento ondeggiante dovuto alle terzine di crome (in 6/8) che si susseguono alternate a momenti di relativa calma (battute in 9/8). Alla seconda esposizione degli oboi (3’21”) è preceduto da una scala ascendente (dalla sensibile LA alla dominante FA#) che richiama l’attacco del primo tema, con il quale questo secondo è quindi visibilmente apparentato. Un controsoggetto (3’35”) lo completa, prima che venga esposto (3’48”) da violini primi e viole e ancora (4’03”) ripreso liricamente dal corno.

Dopo un trillo sul LA grave del clarinetto, ecco (4’32”) un improvviso Allegro moderato aperto dai primi violini con veloci semicrome che salgono per quasi tre ottave dal LA grave fino al FA# acuto, dove una variante del tema A (quasi si trattasse di rondò) esplode nell’intera orchestra, per poi spegnersi a poco a poco, finchè (5’05”) gli archi bassi tornano allo stesso tema A (MIb ottenuto per enarmonia come RE#) subito reiterato con decisione e quindi ancora (5’22”) in LA# (=SOLb) fino a perdersi su una quinta vuota (MIb-SIb) di oboe, corno inglese, fagotto e archi bassi.

Ora si presenta (5’44”, Andante molto) il terzo tema (C) in 4/4, introdotto da una scansione ritmica affidata a fagotti e pianoforte. È il corno inglese (6’02”) ad esporlo insieme alle viole. Poi (6’42”) questi lo reiterano anche con l’aiuto dei primi violini, mentre l’orchestra li acccompagna con pesanti accordi. La melodia è tanto nobile quanto carica di accenti dolorosi, completando così il quadro di questo movimento che sembra parlarci di sofferenze e lutti. La tonalità è dapprima indistinta, poi il RE minore si fa avanti ed infatti ecco che (7’22”, Allegro, 6/8) in questa tonalità (ancora un’apparente bizzarria se misurata sui canoni della forma-sonata) torna il primo tema (A) negli archi.

La lunga sezione che segue è considerabile come un sviluppo di forma-sonata, poichè il tema A vi viene sottoposto a poderose manipolazioni e tutta l’orchestra ha modo di sbizzarrirsi in grandi galoppate, interrotte da squarci più lirici, ma caratterizzate da proterve scansioni ritmiche e reiterate esplosioni di rumore. Il tutto poi si placa e conduce, dopo un’oasi di calma, al ritorno (potremmo chiamarlo l’inizio della ricapitolazione?) del tema B, che riudiamo (9’58”, Moderato) nella tonalità di impianto (MIb minore, questa volta secondo i canoni della forma-sonata) esposto prima dal corno poi dal corno inglese quindi da oboi violini primi e viole, ancora da corno, ottavino e flauto.

Dopo una breve transizione si arriva quindi (11’17”, Andante molto, 4/4) alla riproposizione del tema C, nel corno inglese e nelle viole, cui poi si aggiungono violini e oboi. La tonalità vira al SIb minore e vi rimane in vista dell’arrivo (12’09”, Allegro moderato, 6/8) del tema A, che sembra prendere la rincorsa fino ad esplodere (12’21”) su un MIb armonizzato come terza di DOb maggiore! Il quale MIb si va spegnendo (12’27”) in tempo Andante verso una coda, che porta alla sommessa chiusura, nel grave, sull’accordo (inaspettato?) di MIb maggiore.

Il centrale Largo (4/4 – 3/4) reca 4 bemolli in chiave, ma certo il LAb maggiore (e meno ancora la relativa FA minore) si faticano a distinguere con chiarezza. La tonalità è sempre aspra, a causa dei cromatismi a volte esasperati e solo in un paio di occasioni si ritrovano squarci di un certo lirismo.     

Il movimento è aperto (13’16”) e sarà poi chiuso da un motivo ancora una volta piuttosto lugubre, nei legni, che scende dal MIb con saltelli cromatici e si ferma dapprima sul DO e poi su LAb. Viene ripreso (13’42”) dai violini a partire dal LAb per chiudere dapprima sul FA e ancora (14’05”) sul LAb. I temi principali sono fondamentalmente due (A e B):



Il primo (14’13”) è in carico a violini primi e tromba e si muove sempre sulla tonalità di LAb. Ancora una volta è un motivo assai poco rassicurante, intriso di cromatismi e dissonanze, che sfocia (14’40”) in un inciso dal sapore parsifaliano (Amfortas) e poi modula verso SOL minore e ripresenta (15’32”) quello stesso inciso. Poco dopo l’atmosfera si fa rarefatta e corno inglese e corni preparano l’arrivo di un secondo tema (B) anch’esso di carattere piuttosto dimesso, nobile ed austero, esposto (16’20”) da fagotto e violoncelli, in MIb e sviluppato (16’59”) dai legni fino a spegnersi su veloci figurazioni di corno inglese, fagotto e degli archi.

Un motivo apparentemente nuovo, in realtà mutuato dal tema A, compare adesso (17’32”) negli archi, in tonalità di MI maggiore, chiaro indizio di uno squarcio di lirismo e pace, dove ritroviamo (18’07”) l’inciso parsifaliano. Qui inizia però una sezione assai animata e turbolenta, caratterizzata da pesanti interventi (18’18”) di crome in fortissimo dei legni, accompagnati dal pizzicato degli archi e da secchi colpi del legno (percussione). Subito dopo toccherà ai timpani esplodere micidiali scariche di colpi, alternate ad altri secchi interventi di legni e archi, finchè (19’03”) i fagotti intervengono a calmare l’atmosfera, preparando una nuova sezione lirica di sapore mahleriano (primo tempo della settima) dominata (19’16”) dai corni in DO maggiore.

Una sommessa dissonanza (DO-SI) nei violini (20’11”) sfociante in un RE tenuto introduce isolate e rapide figurazioni (20’24”) nei legni rotte da due secchi interventi di piano-arpa e ottoni; la cosa si ripete (20’44”) per portare però (21’08”) ad una nuova oasi romantica con i corni (tonalità SIb maggiore e poi DO maggiore). E il DO supporta la ripresa (21’48”) nei violini del tema A, che è protagonista di un’autentica perorazione, culminante (22’21”) in un’esplosione di fortissimo generale, mentre i violini sviluppano la melodia passando ancora (22’55”) per la citazione parsifaliana. 

Ancora fortissimo per un passaggio a FA minore (23’01”) che poi via via si modera per riportarci (23’31”) al motivo dell’introduzione, ripreso praticamente pari-pari, nelle due sezioni, e quindi seguito da una lenta cadenza (illuminata da un rapido recitativo dell’oboe) che si spegne sul LAb.

Vivace (2/4, MIb maggiore) è il tempo conclusivo, che contrasta in modo smaccato con ciò che lo ha preceduto, tale è il brio e l’entusiasmo che lo muovono... ma vedremo che il finale ci riserverà un’amara sorpresa. Due sono i temi principali:

  
Il primo tema viene subito esposto dai primi violini (25’31”) sopra un ritmo sghembo degli altri archi. Dopo una proterva interruzione dell’orchestra, che modula plagalmente a LAb, esso viene ripreso (25’42”) in questa tonalità dal clarinetto, che gli conferisce un carattere esilarante. Un controsoggetto meno brillante (25’53”) gli subentra momentaneamente, in attesa (26’07”) di una riesposizione del tema nei violini (MIb) e (26’15”) nel clarinetto (LAb). Ora troviamo un’ulteriore modulazione a SOLb e da qui passiamo ad uno sviluppo del tema, che impegna ancora l’orchestra in ripetuti sussulti, poi torna il controsoggetto e infine somno i fagotti (26’40”) ad attaccare una melopea che fa da transizione verso il secondo tema.    

Tema B che appare (27’03”) in DO maggiore nei legni, un tema assai lungo e cantabile, che in seguito (27’37”) viene ripreso anche con il supporto dei violini primi. Un suo controsoggetto (28’06”) viene esposto da flauto e corni e ci porta alla ripresa (28’28”) del tema A in MIb nei violini e quindi (28’37”) in LAb nel clarinetto. Inizia qui uno sviluppo del tema A di notevoli proporzioni, in un’atmosfera che si è fatta più cupa e inospitale, con frequenti irruzioni di bordate di ottoni e pianoforte e ripetute apparizioni dell’inciso iniziale del tema.

A conclusione di questo sviluppo (30’36”) ecco riapparire nei legni il tema B, adesso in SIb maggiore (in luogo del precedente DO). Altra modulazione (30’55”) del tema B a SOLb maggiore e poi ecco una vera e propria scena-madre: a 31’19” si torna a SIb maggiore, dove il tema A nei violini si contrappunta mirabilmente con il tema B in tromba e corni! Poi, mentre i violini insistono con le veloci semicrome del tema A e i corni si limitano a brevi e sporadici interventi, i legni sparano alcune rapide discese in staccato, fino a chiudere questa sezione con il ritorno al MIb maggiore di impianto.

Il tema A (31’54”) è ora esposto dall’intera orchestra, con grande corposità di suono e poi ripetuto (32’03”) nella sottodominante LAb. Ancora i corni (32’14”) ad esporre un controsoggetto assai ampio, contrappuntato poi (32’25”) di violini. Il tema A (32’39”) viene poi a lungo sviluppato, con irruzioni dei legni e velocissime discese degli stessi supportati dal pianoforte. Ancora una pesante transizione (32’58”) affidata agli ottoni, poi (33’23”) sono i fagotti, cui si aggiunge il clarinetto basso, a guidare una lenta cadenza che porta ad un allargando dove il suono si spegne su un FA in corona puntata.

Adesso (33’57”) ecco ciò che il cipiglio del Vivace non lasciava presagire: gli oboi  (Andante tenero) raggiunti poi dal corno inglese e ancora dopo dai flauti, ripropongono mestamente, in MIb minore, il tema B del movimento iniziale! Su un tremolo di SIb minore (34’52”) di violini secondi e viole si stagliano ancora due incisi di oboi e corno inglese, poi (35’09”) altro tremolo (SOLb) e i legni scagliano un nuovo lancinante urlo, virando a MI naturale, il tutto ripetuto dopo una pausa.

Torna (35’43”) il tempo Vivace, come prima, ma come prima per nulla allegro e sereno: dopo una carica crescente di archi bassi, legni, poi ottoni e quindi archi, ottoni e pianoforte, ecco (35’59”) un’autentica esplosione di tutta l’orchestra, un caduta inarrestabile che sfocia su secche semiminime di ottoni, pianoforte e archi, seguite (36’12”) da autentiche martellate e infine da una velocissima rincorsa di legni e archi in semicrome che chiude la sinfonia su un incredibile schianto di MIb maggiore!
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Che dire? Pessimismo mescolato a pazzia? Dolore invano esorcizzato con risate isteriche? Schizofrenia galoppante? Tutte spiegazioni extramusicali, ovviamente, buone per un poema sinfonico, forse. I suoni, se ascoltati senza pregiudizi o aspettative socio-filosofico-letterarie, lasciano francamente (parlo per me, natürlisch) una sensazione di incompiutezza e forse di impotenza creativa, ben mascherate dalla proverbiale maestria dell’Autore nell’impiego della tavolozza sonora.

La Sinfonia non è fra i cavalli di battaglia de laVerdi (un paio di isolate esecuzioni in tutta la sua storia ulraventennale) e anche la Xian non deve averla diretta molto. Tuttavia mi è sembrata un’esecuzione assolutamente apprezzabile, che il pubblico ha accolto con sufficiente calore, anche se senza entusiasmi da stadio, ecco...
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Ben diverso il discorso su Shéhérazade (qui alcune mie vecchie note in merito) che i ragazzi conoscono a meraviglia, a partire dal protagonista (en-travesti...) Luca Santaniello, che ogni volta aggiunge qualche particolare tocco di espressività ai suoi... racconti volti ad imbonire lo sbifido sultano. E poi, diciamolo pure, questo Rimski non pone certo all’ascoltatore problemi di decifrazione dei contenuti musicali! Così ecco un’altra grande prestazione di tutti e il ritorno... dell’entusiasmo in platea.