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05 novembre, 2021

laVerdi 21-22. Concerto 6

Il rampante Robert Trevino (yankee trapiantato in Europa, come altri suoi colleghi) torna dopo 30 mesi in Auditorium per dirigere un concerto che appaia il giovane scapigliato Shostakovich al romantico Mendelssohn.

Del russo ascoltiamo (e non è la prima volta qui) quel singolare pezzo (l’Op.35) che vede protagonista il pianoforte del 33enne sollevantino Nobuyuki Tsujii con impertinenti interventi della tromba del redivivo Alex Caruana, tornato per una rimpatriata con i vecchi colleghi dalla sua natìa Torino, dove ha trovato impiego nientemeno che alla prestigiosa OSN-RAI.

Tsujii è la dimostrazione vivente dell’inutilità del senso della vista: pensate come sarebbe migliore (!) il mondo se all’essere umano mancasse questa prerogativa...  

Caruana è ormai uno specialista di questo pezzo, che suona qui in Auditorium per la quarta volta (l’ultima fu nel giugno 2016; la prima, da me commentata in dettaglio, nel 2011) e gli schiamazzi (in senso buono, ovviamente!) del suo strumento hanno ben caratterizzato lo spirito leggero del brano. Peccato che sia stato messo in ombra dall’accoglienza trionfale per Tsujii: per lui, che ha suonato seduto in mezzo all’orchestra, nemmeno un richiamo del Direttore, piccolo neo in una grande serata.

Come detto, tutto il trionfo è stato per Tsujii, che entrava e usciva di scena a... rimorchio di Trevino, che non ha mancato di descrivergli le ovazioni del pubblico e di invitarlo non ad uno, ma a due strepitosi bis: dapprima la parafrasi del Rigoletto di Liszt e poi questo incantevole Chopin.   
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Ecco poi la Scozzese di Mendelssohn, che Trevino ha già interpretato con l’Orchestra dei Paesi Baschi, di cui è stato Direttore Musicale per qualche anno, prima di trasferirsi a Malmoe.  

Devo dire che la sua mi è parsa un’interpretazione quasi perfetta. Soprattutto nel creare un suono proprio mendelssohniano, trasparente e sobrio negli archi, davvero gestiti con grande maestria (complimenti a Dellingshausen e soci, naturalmente); corposo ma mai sbracato nei fiati, corni in specie (guidati da Ceccarelli) perfetti nel conclusivo Allegro maestoso assai. A tutto ciò va aggiunta la signorilità e compostezza del gesto, sempre essenziale e mai inutilmente enfatico o plateale. Un piccolo dettaglio poi testimonia della grande cura e meticolosità con le quali Trevino affronta ogni aspetto della direzione: nel concerto solistico, dove lui si trova (a causa del pianoforte) le prime parti di violini I e viole (al proscenio) fuori sguardo, che fa?: scambia le sedie del primo violino e della prima viola con quelle dei rispettivi secondi, in modo da averli al proprio fianco...    

Insomma, una conferma delle grandi qualità del Direttore americano, cui il folto pubblico dell’Auditorium ha tributato lunghe e meritate ovazioni. 

10 giugno, 2016

LaVERDI 2016 – Concerto n°21


Nell’intervallo prima delle ultime 4 rappresentazioni della Traviata-Valentino romana Jader Bignamini ha trovato il tempo per un paio di capatine sul podio dell’Auditorium. La prima lo vede dirigervi un concerto tutto russo, aperto da Romeo&Giulietta, ultima versione del 1880, che torna spesso qui in Auditorium (l’abbiamo ascoltata da Grazioli, Ceccato e due volte da Xian negli ultimi 5 anni). Bignamini ne dà una lettura vibrante, dal misterioso corale di Lorenzo, alla scatenata gazzarra fra le fazioni, al sognante e strappalacrime tema dell’amore fra i due giovinetti, scaldando da subito l’entusiasmo del (pur non oceanico) pubblico.  
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Ecco poi Shostakovich con il suo strambo Concerto per pianoforte e orchestra d’archi e interventi della tromba. Lo interpreta Angela Hewitt (che va verso i 60, ma non li dimostra proprio!) supportata al meglio dall’impertinente trombetta di Alex Caruana, il quale è alla terza esecuzione di quest’opera con laVERDI, dopo quelle del 2011 e di meno di un anno fa.  

La Hewitt ci dà per ora un antipasto di quella che sarà la portata principale del suo soggiorno milanese: il monumentale Primo di Brahms che lei affronterà in Auditorium il 28 p.v. Nell’attesa, dopo aver ricevuto con Caruana i meritati applausi, ci propina anche il suo Ravel. Arrivederci quindi a fra qualche settimana, dopodichè lei se ne andrà, trascinandosi via l’intera orchestra, in Umbria per accudire una sua creatura che compie 10 anni
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Chiusura con un pezzo davvero forte, la Patetica per eccellenza. Bignamini ce ne ha mostrato tutte le meraviglie e i ragazzi lo hanno assecondato alla grande. Personalmente ho avvertito solo un eccesso di foga nella rincorsa finale dell’Allegro molto vivace, dove il fracasso ha finito per coprire i dettagli (ma ha provocato uno spontaneo applauso anticipato, dopo il perentorio ta-ta-ta/tà della chiusa). Da incorniciare le ultime 8 battute del finale di celli e bassi, che esalano in pppp, fino proprio a morire, la triade di SI minore.

Dopo questo trionfo e come prologo al suo prossimo esordio al ROF, Bignamini si cimenterà fra pochi giorni in una specie di kermesse rossiniana.   

30 maggio, 2015

Orchestraverdi 14-15 – Concerto n° 36


Ancora Zhang Xian sul podio dell’Auditorium per un concerto questa volta monopolizzato da Shostakovich.

Curiosamente la proposta è costituita da due componenti estratte da altrettanti programmi di stagioni passate: si tratta dell’Op.35 (Concerto per pianoforte e tromba) che fu presentata nell’ottobre 2011, con lo stesso solista alla tromba, il mitico Alessandro Caruana; e della Decima sinfonia, eseguita da D’Espinosa nel settembre 2012, guarda caso insieme ad un altro concerto per tromba, ancora con Caruana.

Dapprima è la bravissima – e pure bella, il che non guasta mai… - Mariangela Vacatello a proporci (con l’impertinente supporto di Caruana) il Primo concerto, che lei interpreta in modo convincente, sia nelle pagine più esilaranti e parodistiche, che in quelle (vedasi il Lento) più introverse ed elegiache. 

Calorosissima l’accoglienza di un Auditorium ancora assai affollato, e così lei non ci concede un bis ma un… tris! Dapprima con la campanella, poi con Chopin; infine ci saluta con un brano che, di questi tempi, sa di nobile messaggio ecumenico: il celeberrimo Von fremden Ländern und Menschen, che apre le schumanniane Kinderszenen.
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Zhang Xian può finalmente porre riparo alla sua (giustificabilissima, causa fiocco-azzurro) defezione del 2012 dirigendo la Decima, passata alla storia come la sinfonia di Stalin (smile!)

L’Orchestra è una delle più titolate al mondo in questo repertorio e non si smentisce, con una spettacolare dimostrazione di potenza e precisione al contempo, in tutte le sezioni, dagli ottoni alle percussioni, dagli strumentini ai fagotti e ovviamente al pacchetto degli archi: Xian credo non faccia altro che assecondarla al meglio, e il risultato è davvero eccellente, salutato da lunghi e ritmati applausi.   

28 settembre, 2012

Orchestraverdi – concerto n.3


Gaetano D'Espinosa sale sul podio de laVerdi (il podio basso, non quello doppio riservato alla piccola Xian, in maternità…) per il terzo concerto della stagione principale, in un Auditorium purtroppo assai poco… popolato

Serata che inizia con Alexander Arutjunjan – compositore armeno scomparso solo sei mesi fa, a 92 anni - e il suo Concerto per tromba (1950) interpretato da un altro Alessandro, il bravissimo Caruana, che in Auditorium è di casa, occupando da anni la seggiola di prima parte dell'Orchestra.
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Il Concerto in realtà ha una struttura assai aperta, che poco ha a che fare con quella classica; macroscopicamente vi si possono distinguere: un'introduzione lenta seguita dal tema principale, assai vivace, e poi da un secondo tema più lento; quindi da una specie di sviluppo dei due temi; poi subentra un nuovo tema lento, cui segue la ripresa del tema principale; una cadenza porta infine alla conclusione. In partitura non esistono quindi indicazioni specifiche di movimenti, ma solo alcune notazioni agogiche, e precisamente:

a) Largo, solenne (23 battute in 4/4): costituisce in pratica l'Introduzione del brano, in LAb, dove la tromba (l'Autore prescrive l'impiego di quella in SIb, che secondo lui sarebbe la più comoda per eseguire il brano, che prevalentemente si muove sulla tonalità di LAb) suona un motivo dal sapore tipicamente gitano (l'Armenia fu attraversata ed abitata da Rom nei secoli passati):
b) Veloce ed energico (55 battute): vi troviamo le due sezioni dello spigliato tema principale (4/4) in LAb maggiore, anche questo richiamante atmosfere zingaresche, presentato dalla tromba dopo essere stato introdotto, su un tempo di 5/4 e poi di 3/4, in modo per l'appunto… energico, dall'orchestra:
La prima sezione viene esposta due volte, seguita poi dalla seconda; quindi l'orchestra ripete due volte la prima e la tromba segue con la seconda, che si sviluppa fino al successivo…

c) Adagio (48 battute in 4/4): dapprima il clarinetto espone il secondo tema, in LA, caratterizzato da una salita cromatica seguita da un ripiegamento (assomiglia vagamente a quello che entra all'improvviso nell'Intermezzo interrotto del Concerto per orchestra di Bartok, di pochi anni anteriore); poi è la tromba a riprenderlo e a svilupparlo:
d) Tempo I (107 battute in 4/4): qui abbiamo una specie di sviluppo, dove i due temi esposti in precedenza si incontrano; è il clarinetto ad entrare sul primo, in LA maggiore, ma poi diversi strumenti intervengono in primo piano a riproporre entrambi i temi; il tutto sfocia in una perorazione del secondo tema in tonalità diverse (DO e MIb), poi su un intervento del clarinetto il tutto si acqueta su un DO#, che prepara il successivo…

e) Più Adagio (47 battute in 4/4 e 6/4): la tromba, innestata la sordina, riprende enarmonicamente in REb il DO# precedente ed espone una lunga e struggente melopea:

chiusa da sette gorgheggi del clarinetto, su una impertinente cantilena;

f) Tempo I (87 battute): per ben 38 battute - invece di 9 come era accaduto in b) – l'orchestra, alternando continuamente tempi di 4/4, 3/4 e 2/4, re-introduce il primo tema, ancora esposto dalla tromba e sempre in LAb; prima sezione ripetuta, seconda sezione, poi la prima ripresa due volte dall'orchestra e infine la seconda nella tromba, che adesso la sviluppa per condurla verso la…

g) Cadenza (di Timofei Dokschitzer, 27 battute in 4/4): è piuttosto breve, ma riprende i motivi principali, in chiave virtuosistica, per poi cedere il passo al conclusivo…

h) Allegro con brio, 28 battute, di cui le prime 20 ancora suonate dalla sola tromba (sono probabilmente la cadenza originale dell'Autore) con tempo continuamente ondeggiante fra 4/4, 3/4 e 2/4; poi la chiusa, con una perentoria terzina seguita da una croma, sempre in LAb.
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A parte una piccolissima sbavatura proprio nella prima battuta del brano (dovuta forse all’emozione di trovarsi al proscenio, invece che nella terza fila dei fiati) Alessandro Caruana ha interpretato questa difficile partitura in modo assolutamente impeccabile: sia nelle numerose volate virtuosistiche, che nei passaggi più intimistici e sognanti. Meritatissimi gli applausi del suo pubblico e dei suoi colleghi. 

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La Decima di Shostakovich (anno di grazia 1953) è una di quelle opere sulle quali gravarono i più svariati condizionamenti extra-musicali. A partire da quelli cabalistici: il fatidico numero 9 - di sinfonie completate - che nessuno dopo Beethoven aveva saputo, o potuto, o voluto superare. Per continuare con quelli politici: un simpatico baffone georgiano aveva finalmente tolto il disturbo (e che disturbo, accipicchia!) e con esso la prospettiva - sempre incombente, e non solo sugli artisti – di gulag, siberie e plotoni di esecuzione; adesso si poteva, forse, tornare a comporre senza la fastidiosa pressione del mitra di Zdanov sulla nuca. Per finire poi con quelli di natura squisitamente biografica ed esistenziale: l'ossessione del musicista di firmare musicalmente le sue opere con la sua sigla (DSCH) e l'infatuazione per un'allieva dell'Azerbaijan – Elmira Nasirova, evidentemente tanto interessante, per lui, quanto… brutta (!) – alla quale dedicò per qualche tempo attenzioni intensissime, anche se probabilmente platoniche e più che altro epistolari, oltre che corrisposte assai tiepidamente. Per dire, una volta le scrisse una lettera firmandosi con… alcune note musicali:
È l'incipit della famosa aria di Lenski dall'Onegin, che su quelle note canta (a Olga) le parole Ya lyublyu vas, ya lublyu vas, Ti amo, ti amo

Nell'Allegretto il compositore ci porge due temi, il primo dei quali rappresenta se stesso in modo scoperto: è il famoso DSCH, che (similmente a BACH) attraverso la decodifica dei simboli musicali anglosassoni (D, C, H) e dello spelling del tedesco Es forma il motto RE-MIb-DO-SI, suonato inizialmente dai tre strumentini:

E che è pure scolpito sulla lapide del compositore al cimitero di Novodevici:


L'altro tema, che vagamente richiama l'incipit del mahleriano Lied von der Erde, è quello della musa Elmira, la cui decifrazione è per la verità assai stiracchiata: la E iniziale sarebbe sempre il simbolo anglosassone per il nostro MI, la elle è l'iniziale di LA, mi è… il MI, la erre è l'iniziale di RE e la a finale è ancora l'anglosassone A; il tutto a produrre MI-LA-MI-RE-LA. È il corno a proporre per ben 12 volte il motivo (sul quale peraltro quel nome sarebbe proprio incantabile, diciamolo francamente!):

Stando così le cose, viene spontanea la domanda: ma questa musica si può apprezzare in quanto musica assoluta, oppure ci dice qualcosa solo se prima veniamo a conoscenza di tutti i retroscena di natura pubblica e privata che accompagnarono la sua composizione? Ma vale anche il viceversa: non è che per caso la conoscenza di quei retroscena finisca per svilire alle nostre orecchie il valore squisitamente musicale dell'opera? In fondo sono le stesse domande che ci si potrebbe porre per il Tristan (rispetto a Mathilde) o per la Sesta di Mahler (in rapporto alle presunte capacità divinatorie del compositore); o anche per la Sinfonia Domestica di Strauss, ispirata da un prosaico ménage familiare.

Di certo è una musica che evoca momenti di drammatica depressione: nel Moderato iniziale potremmo vedere, come lo stesso Autore rivelò – ma molti anni dopo la composizione, il che rende sospetta la cosa – la vita grama che si faceva in URSS sotto lo stalinismo (addirittura, dopo il primo dei due grandiosi climax del movimento, compare nei primi violini la sigla del compositore, ma praticamente agitata come in un frullatore: DCHS!); e nella conclusione del movimento potremmo immaginare persino lo stesso Shostakovich finito sull'orlo del suicidio. Ma quella stessa musica potrebbe evocare mille altre situazioni di depressione, materiale e spirituale: per dire, anche l'Adagio cantabile della Prima di Ciajkovski è espressamente titolato Terra di desolazione, eppure lo stalinismo era ancora di là da venire… Invece ciò che rende questa musica grande è la sua coerenza tematica e la sua robustezza strutturale: sì perché, signori, anche se dalla sua nascita erano passati 2 secoli durante i quali era stata sottoposta ai più svariati trattamenti, qui abbiamo una vera sinfonia, con tutte le carte in regola!

Nel brevissimo Allegro l'Autore disse esplicitamente di aver voluto evocare proprio lui, baffone Stalin! E di sicuro è musica che può benissimo rappresentare l'isteria di un tiranno tanto insopportabile quanto efficiente nelle attività… purgative. Ma musica simile Shostakovich l'aveva già scritta prima che Stalin andasse al potere, e se chiedessimo a qualcuno che ignora quel retroscena che cosa gli evocano queste note, potrebbe rispondere in mille modi diversi: dallo sferragliare di una locomotiva in corsa sfrenata, alla piena di un torrente di montagna, al mare sconvolto da un uragano tropicale, al fracasso di magli in una fabbrica o di spolette in un reparto di tessitura… ma mai e poi mai risponderebbe: perdinci! ma questo è Stalin, come no! si riconosce fin dalla prima nota… (e poi, parliamoci chiaro, questa è musica talmente bella che Stalin non se la meriterebbe proprio!)

Nell'Allegretto sappiamo che l'Autore ha voluto impersonare musicalmente se stesso e la sua musa,
 presentandoci i due temi dapprima disgiunti, poi sempre più vicini ed avvinti inestricabilmente… ma il valore estetico di questa musica sta nel magistrale trattamento di quei temi, non certo nell'evocazione di una stramba relazione sentimentale, che pure può averli ispirati.

E il conclusivo Andante, con tutti quei DSCH sparati a piena voce, pare mostrarci il compositore che finalmente può uscire allo scoperto e gridare: Io, Dimitri Dmitrievič Shostakovich, sono ancora qui, più vivo che mai, e con me sta la vera arte, libera e nobile, che nessun potere protervo potrà mai soffocare. (Bravo! ma c'era bisogno di spargere megalomania a piene mani, per chiarire il concetto?)

Insomma, un'opera che è e resta grande anche a dispetto di tutta la fuffa pubblicitaria di cui fu ricoperta già dal suo Autore e poi dagli ambienti del business musicale.
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laVerdi vanta l'invidiabile record di aver inciso, da 12 anni a questa parte con Oleg Caetani-Markevitch, l'intero corpo delle sinfonie di Shostakovich. E ieri ha confermato la sua affinità elettiva con questa musica proponendoci un'esecuzione trascinante e coinvolgente di questo autentico monumento sonoro. 

Merito anche di Gaetano D’Espinosa, giovane direttore palermitano - che, complice la maternità di Xian, sarà ancora sul podio per i prossimi due concerti – dimostratosi assolutamente padrone della partitura: convincente nei tempi tenuti e sempre preciso e perentorio negli attacchi. Il suo modo di muoversi sul podio ricorda vagamente Georg Solti, e questo mi pare già un buon segno!  

Prossimamente tutta Francia, con un po’ di sangue russo. 

21 ottobre, 2011

Orchestraverdi – concerto n 5


Il 5° concerto de laVerdi ha un programma tutto russo, Direttore compreso, quell'Evgeny Bushkov (un tipo che pare Händel con parrucca bruna, smile!) già salito sul podio quasi due anni orsono – a tappare il buco aperto inopinatamente da Fedoseyev – anche allora con programma russo, in parte simile a quello odierno.

In apertura il sempre affascinante Capriccio italiano, dove Ciajkovski ha immortalato con gusto sopraffino alcune nostre musiche popolari, spesso ascoltate di persona per le strade.
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E proprio da una strada, al passaggio di un reggimento di cavalleria, arrivò alle orecchie del compositore uno squillo di tromba, che divenne l'apertura del pezzo, in MI maggiore:

Il Capriccio, a parte introduzione e coda, è articolato in modo assai semplice: A-B-C-A'-D-B'-D, dove i temi A e B sono ripresi (A' e B') un semitono sopra. Chiusa l'introduzione in MI, si vira verso LA minore con l'esposizione di un primo tema:

Dopo che un crescendo ci ha riportato al MI della fanfara introduttiva, viene esposto - inizialmente dagli oboi - il motivo più noto, in LA maggiore, ripreso poi a tutta orchestra e con grande enfasi; viene da una canzone popolare, Bella ragazza dalla treccia bionda:

Una modulazione caratterizzata da salti di quarta ascendente, che passa dal MIb, porta all'esposizione di un terzo tema, in REb:

Si passa poi alla relativa SIb minore, tonalità in cui viene riesposto il primo tema, al termine del quale ecco farsi largo un quarto tema, un saltarello in LA minore:

Al termine del quale, con un balzo di un semitono, si sale al SIb maggiore, su cui viene riesposto - con grandissima enfasi (3/4 invece di 6/8) e col supporto di secche terzine di trombe e tamburino – il secondo tema, che sfocia ancora nel saltarello in LA minore, che a sua volta ci trascina verso la coda in LA maggiore - un Prestissimo, 2/4 - scandita dalle cornette a pistoni e dalle trombe.
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Per la verità Bushkov non mi ha convinto molto: per me, eccessivo aplomb, tempi assai slentati ed esposizione macchinosa; personalmente preferisco questo pezzo suonato più alla garibaldina… I ragazzi ovviamente meritano invece un applauso per non aver mancato una sola virgola.

Il pianista Boris Petrushansky (62 anni, moscovita di nascita ma ormai italiano, anzi emiliano, di adozione) e la valorosa prima tromba de laVerdi, Alessandro Caruana, si cimentano ora con il Concerto op.35 di Shostakovich, composto nel 1933, precisamente fra il 6 marzo (Leningrado) e il 20 luglio (Petergóf). È in effetti un concerto per pianoforte e orchestra d'archi, con interventi sporadici – Caruana si è in effetti seduto dietro l'orchestra, quasi al suo posto normale - e per lo più esilaranti della tromba (in SIb) spesso prescritta con sordina. Uno di questi, in MI maggiore, all'inizio della sezione Allegretto poco moderato del quarto movimento, richiama una filastrocca albionica, Poor Jenny, ed era già stato impiegato dall'Autore in composizioni precedenti:

E a proposito di citazioni e reminiscenze, questo concerto ne contiene in quantità industriale: dall'Appassionata di Beethoven al Peer Gynt di Grieg, dalla Terza Sinfonia di Mahler alla Kammermusik di Hindemith, da Haydn alle canzoni popolari russe.
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Il primo movimento è in DO minore, stabilito da un'introduzione di tre battute dei due solisti. Il pianoforte attacca un arpeggio (in crome) ed espone un tema nobile (non per nulla viene da Beethoven):

subito ripreso e ampliato dai primi violini, con i secondi ad arpeggiare più velocemente (in semicrome staccate). Rientra il pianoforte con una variazione del tema, che conduce ad un crescendo vorticoso, al termine del quale è ancora il pianoforte a presentare un nuovo tema, nella relativa MIb, poi modulando a MI maggiore, dove ricompare anche la tromba, con un intervento giocoso:

C'è quindi una specie di sviluppo, che porta alla riproposizione del tema in DO minore, negli archi. Ancora il secondo tema, adesso fugacemente in SI, e poi la conclusione, dove torna il pianoforte con il primo tema, e la tromba lo affianca nella lenta chiusura.

E Lento è il secondo movimento, in DO, tempo di walzer (3/4) aperto da un meraviglioso tema, quasi un recitativo, dei primi violini:

Ad esso risponde il pianoforte, con una lunga melodia, che culmina in un Höhepunkt, in fortissimo, da dove c'è un'improvvisa accelerazione, che porta ad un passaggio di scale ascendenti in ottave parallele, culminanti in un largo con cui il solista chiude il suo lungo intervento. Introdotta da una dolce melodia dei violini, per terze parallele, ecco finalmente la tromba fare il suo ingresso in questo movimento, esponendo il tema iniziale, in DO. Ma è ancora il pianoforte, raggiunto poi dai violoncelli, a portare il movimento a conclusione, con un MI sovracuto.

Il Moderato che segue è una brevissima introduzione (soltanto 29 battute) al conclusivo Allegro con brio. Aperta dal pianoforte solo,con un fresco motivo in semicrome, viene poi proseguita dai primi violini, che espongono invece una lenta melodia dal sapore mahleriano. Quindi ancora il solista rientra per attaccare, con una veloce scala ascendente (SOL-SOL) il tempo finale, che inizia in DO minore.

Siamo di fronte ad uno dei tipici movimenti indiavolati di Shostakovich, una cosa a metà fra un can-can campagnolo e una locomotiva a vapore che corre all'impazzata. E accanto alla locomotiva sembra di veder galoppare – negli spiritati interventi della tromba – i cavalli dei banditi del west che si apprestano ad assaltare il treno! Ci sono anche un paio di momenti di quiete, in uno dei quali la tromba ci suona la povera Jenny, ma il pianoforte – gratificato di una lunga cadenza – ritorna a correre, finchè la tromba non prende il sopravvento, con questa specie di cippirimerlo, mediante-tonica (MI-DO):

E con questo brillante quanto parodistico DO maggiore si chiude il concerto.
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Gran trionfo per Petrushansky e Caruana, invero eccellenti nel proporci questo autentico pezzo di bravura. Il pianista russo-imolese (qui con consorte seduta in platea, dopo essere intervenuta alla puntata della serie di conferenze dedicate alla musica russa) ci regala anche un bis, sempre shostakovich-iano.

La seconda parte della serata è occupata dalle due Suites dallo Schiaccianoci, di cui Bushkov aveva diretto la prima, un filino modificata, nella sua precedente apparizione. Prima che è stranota, eseguita ed incisa innumerevoli volte, mentre la seconda è obiettivamente meno accattivante, ed infatti… non ci viene suonata nemmeno stavolta (smile!) Bushkov si limita a propinarci la prima suite, inquinata dal Passo a due infilato proditoriamente prima del conclusivo Walzer dei fiori (come fece appunto due anni orsono). La seconda… un'altra volta. Chi la vuol ascoltare può servirsi di YouTube, dove si trova una delle rare incisioni mai fatte di entrambe le Suites: questa, diretta più di 50 anni fa da Robert Irving. (Da ricordare il quarto brano, la Cioccolata, una Danza Spagnola dove trombette e strumentini sono impegnati alla grande: un'ennesima dimostrazione che la più bella musica spagnola è stata composta da stranieri, russi e francesi!)

Per farsi perdonare lo scippo, Bushkov ci porta in Venezuela, servendoci un profumatissimo cafè!

Per il sesto concerto sarà di turno il Jazz.
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