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05 novembre, 2021

laVerdi 21-22. Concerto 6

Il rampante Robert Trevino (yankee trapiantato in Europa, come altri suoi colleghi) torna dopo 30 mesi in Auditorium per dirigere un concerto che appaia il giovane scapigliato Shostakovich al romantico Mendelssohn.

Del russo ascoltiamo (e non è la prima volta qui) quel singolare pezzo (l’Op.35) che vede protagonista il pianoforte del 33enne sollevantino Nobuyuki Tsujii con impertinenti interventi della tromba del redivivo Alex Caruana, tornato per una rimpatriata con i vecchi colleghi dalla sua natìa Torino, dove ha trovato impiego nientemeno che alla prestigiosa OSN-RAI.

Tsujii è la dimostrazione vivente dell’inutilità del senso della vista: pensate come sarebbe migliore (!) il mondo se all’essere umano mancasse questa prerogativa...  

Caruana è ormai uno specialista di questo pezzo, che suona qui in Auditorium per la quarta volta (l’ultima fu nel giugno 2016; la prima, da me commentata in dettaglio, nel 2011) e gli schiamazzi (in senso buono, ovviamente!) del suo strumento hanno ben caratterizzato lo spirito leggero del brano. Peccato che sia stato messo in ombra dall’accoglienza trionfale per Tsujii: per lui, che ha suonato seduto in mezzo all’orchestra, nemmeno un richiamo del Direttore, piccolo neo in una grande serata.

Come detto, tutto il trionfo è stato per Tsujii, che entrava e usciva di scena a... rimorchio di Trevino, che non ha mancato di descrivergli le ovazioni del pubblico e di invitarlo non ad uno, ma a due strepitosi bis: dapprima la parafrasi del Rigoletto di Liszt e poi questo incantevole Chopin.   
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Ecco poi la Scozzese di Mendelssohn, che Trevino ha già interpretato con l’Orchestra dei Paesi Baschi, di cui è stato Direttore Musicale per qualche anno, prima di trasferirsi a Malmoe.  

Devo dire che la sua mi è parsa un’interpretazione quasi perfetta. Soprattutto nel creare un suono proprio mendelssohniano, trasparente e sobrio negli archi, davvero gestiti con grande maestria (complimenti a Dellingshausen e soci, naturalmente); corposo ma mai sbracato nei fiati, corni in specie (guidati da Ceccarelli) perfetti nel conclusivo Allegro maestoso assai. A tutto ciò va aggiunta la signorilità e compostezza del gesto, sempre essenziale e mai inutilmente enfatico o plateale. Un piccolo dettaglio poi testimonia della grande cura e meticolosità con le quali Trevino affronta ogni aspetto della direzione: nel concerto solistico, dove lui si trova (a causa del pianoforte) le prime parti di violini I e viole (al proscenio) fuori sguardo, che fa?: scambia le sedie del primo violino e della prima viola con quelle dei rispettivi secondi, in modo da averli al proprio fianco...    

Insomma, una conferma delle grandi qualità del Direttore americano, cui il folto pubblico dell’Auditorium ha tributato lunghe e meritate ovazioni. 

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