XIV

da prevosto a leone
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26 gennaio, 2020

La Violanta torinese


Ieri pomeriggio al Regio (ahinoi non proprio semivuoto, ma c’è mancato poco...) è andata in scena la terza delle cinque recite di Violanta, che il teatro torinese ha meritoriamente portato per la prima volta in Italia dopo un secolo abbondante dalla comparsa a Monaco di Baviera (martedi 28 marzo, 1916).

Dico e affermo trattarsi di un’opera che dovrebbe avere almeno (se non più...) la stessa considerazione (parlo di cartelloni e pubblico) di una Cavalleria o di una Fedora, per dire. E il merito va soprattutto alla musica di questo ragazzo diciassettenne che rivaleggia con i mostri sacri Strauss e Puccini, e sovrasta di quache spanna musicisti (nostrani e non) che pure trovano frequente ospitalità sulle nostre scene.

Musica che è stata assai bene illustrata dalla direzione dell’ispirato Pinchas Steinberg, che ha guidato un’Orchestra in ottima forma, capace di rendere al meglio le atmosfere ora liriche, ora drammatiche che la partitura ci propone. Di ottimo livello la prestazione del Coro di Andrea Secchi, chiamato ad un compito più arduo a livello di qualità che di quantità, ma assolto con grande profitto.

Le voci con luci ed ombre: Annemarie Kremer è una Violanta invidiabile sul piano scenico (chi non sarebbe soggiogato dal suo fascino di femme-fatale?) e a corrente alternata su quello strettamente vocale: acuti da autentico soprano drammatico, ma centri debolucci... Michael Kupfer-Radecky assai efficace come Simone: voce ben impostata e potente, atteggiamenti appropriati al personaggio di militare-tutto-d’un-pezzo cui casca addosso il mondo senza che lui se ne dia una ragione.

Il principe-illegittimo, nonchè dongiovanni, Alfonso è Norman Reinhardt, che per la verità dovrebbe avere caratteristiche vocali quasi da Heldentenor, e invece ha una voce da tenorino lirico, con scarsa proiezione: la sua è una prestazione non più che discreta. Come quella del pittore gaudente Giovanni Bracca, interpretato da Peter Sonn.

Efficace e convincente Anna Maria Chiuri, una Barbara amorevole e dolcissima nella sua ninna-nanna a Violanta. Gli altri comprimari (vedi locandina) tutti all’altezza dei rispettivi compiti.
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Il venerabile PierLuigi Pizzi firma un’allestimento (regìa, scene e costumi, più le luci di Andrea Anfossi) davvero degno della sua fama: scena fissa, come pretende il libretto (la sala del palazzo di Simone sulla Giudecca) arredata solo con un paio di sofà e un tavolino, con un’enorme apertura circolare sul fondo, che dà sull’... infinito (la laguna dove transitano gondole e dalla quale arrivano le voci del carnevale). Costumi di inizio ‘900 (uniformi miitari di Simone e sottoposti) e di mascherine; un abito lungo, sberluscicante e attillatissimo-scollato di Violanta a valorizzarne il prorompente sex-appeal; Alfonso vestito (ma è in maschera anche lui!) da Papageno (metafora del galletto che si fa tutte le gallinelle?) Recitazione assai curata in ogni dettaglio.

Insomma, uno spettacolo di alto livello che il pubblico degli affezionati ha salutato con gran calore. Chi appena può non trovi scuse per mancare una delle ultime due recite!

(Ora però devo partire per Bologna dove, oltre a Salvini, incombe... Tristan!)

18 gennaio, 2020

Rarità in arrivo a Torino: Violanta


Dopo la Risurrezione fiorentina (ieri sera la prima trasmessa da Radio3 mi ha lasciato una discreta impressione...) ecco profilarsi all’orizzonte sabaudo una nuova - e gradita, personalmente - rarità: la Violanta di Erich Wolfgang Korngold. Il bambino-prodigio di Brno - che poco dopo la WWI sfornerà, a 23 anni, il suo capolavoro (Die tote Stadt) - allo scoppiare della medesima guerra stupì il mondo musicale con questo atto unico a soggetto noir, che anticipa di poco lo scenario di Eine florentinische Tragödie del suo maestro Zemlinsky (andata in scena al Regio torinese poco meno di 5 anni fa). Due soggetti ambientati nell’Italia del 1400-1500, rispettivamente, e caratterizzati dal classico triangolo: moglie e marito - soprano-baritono, lui di nome Simone - la cui (più o meno) felice unione è minacciata dal tenore, un amante altolocato.

Così, in Zemlinsky (testo tratto da Oscar Wilde) Simone è un borghese fiorentino (commerciante) che torna a casa da un viaggio d’affari e vi trova la moglie Bianca in piacevole compagnia del Principe Guido Bardi. Come nulla fosse, Simone cerca di piazzare la sua mercanzia all’intruso, che sfacciatamente se la fa con la moglie; allora lo sfida quasi per scherzo a duello, ma poi lo ammazza per davvero. La tragedia qui si volge in... farsa, chè Simone e Bianca - eliminato l’amante - si scoprono innamorati come mai prima, in un improbabile e tutti (meno uno) vissero felici e contenti (!?)

Invece in Korngold (testo di Hans Müller, suo compaesano) Simone è un capitano della Repubblica veneziana, sposato con la bella e virtuosa Violanta, la cui sorella Nerina - novizia al Convento del Deserto - è stata sedotta da Alfonso, Principe napoletano e che per il disonore si è suicidata gettandosi in laguna. Violanta ha giurato vendetta e così, quando Alfonso arriva a Venezia per godersi il carnevale (in realtà siamo alla Festa del Redentore, fine luglio, che però nel 1400 era ancora di là da venire) e le belle donne... lei in incognito lo adesca e lo attira in casa sua, dopo aver convinto il marito a farlo secco. Solo che, una volta dinanzi ad Alfonso, Violanta cade a sua volta innamorata come un pera cotta, ed è addirittura il Principe, preso dal senso di colpa, a provocare l’intervento di Simone per subire da lui la giusta punizione. Invece è proprio Violanta a ricevere il mortale colpo di spada del marito e a morire, espiando così la sua colpa.

Beh, anche nella scelta del libretto l’allievo ha superato il maestro!
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Chi vuol fare i cosiddetti compiti-a-casa, per non arrivare totalmente sprovveduto all’appuntamento, incontra effettivamente qualche difficoltà a documentarsi. L’unica incisione disponibile sul mercato ufficiale - ma per fortuna rintracciabile nel mare-magnum di youtube - è quella, ormai storica perchè risalente al 1980, diretta in studio da Janowski e interpretata, nei tre ruoli principali, dal trio Marton-Jerusalem-Berry.

Alcune riproduzioni semi-piratesche ma comunque preziose (registrazioni da trasmissioni radio, streaming e simili o carpite direttamente in teatro con strumenti più o meno di fortuna) non mancano, basta ordinarle (CD) o scaricarle (MP3) a buon mercato, dai posti giusti, come questo. Così come si può scaricare (ad esempio dalla libreria-Petrucci) lo spartito canto-pianoforte (oltre alla partitura del solo Preludio).

Più arduo è accedere al libretto dell’opera, quasi introvabile, salvo ascquistare la citata registrazione (Sony e/o CBS) di Janowski su CD (o vinile!) oggi reperibile - a quanto sembra - solo negli USA; oppure acquistare il testo prodotto dalla Columbia, a prezzo proibitivo. Anche qui, con un po’ di pazienza, si riesce a scovare in rete una precaria ma preziosa scannerizzazione del booklet dell’incisione CBS (con commento e traduzione in inglese e francese, ma è già grasso che cola...) messa benemeritamente a disposizione dalla Radio canadese, evidentemente in occasione di una diffusione via etere dell’opera. Oppure questa edizione casereccia del libretto (tedesco-francese).

E quindi, libretto e spartito alla mano vista possiamo esplorare - seguendo la citata registrazione di Janowski - questo lavoro assai interessante, se si pensa che fu un non ancora diciottenne a comporlo.

L’atto unico (sette scene) inizia con un Vorspiel (Preludio) strumentale, che ci presenta alcuni dei temi e motivi che caratterizzano ambiente e personaggi (almeno due dei tre protagonisti).


Val la pena soffermarvisi poichè è un vero concentrato di idee e riferimenti.

Così gli accordi iniziali, piuttosto indecifrabili e con retrogusto un po’ sinistro - una triade aumentata di SIb su pedale di MI, sulla quale si innesta un marcato DO# - ci introducono alla psiche abbastanza instabile della protagonista (più che vendicare la sorella, lei è alle prese con la sua propria dissociazione fra morale e libido, che esploderà alla fine). A 22” il pianoforte, il glockenspiel, oboi, arpa e viola scolpiscono un breve inciso che anticipa l’incipit del canto (quasi blasfemo) del Carnevale veneziano (lo sentiremo fra poco). A 58” ecco affacciarsi ancora sinistramente il tema di Violanta, che poi (1’16”) si dispiega in una melodia dal ritmo cullante (sembra preludere al Via-col-vento di Max Steiner, altro bambino-prodigio viennese che aveva anticipato di 15 anni Korngold nell’avventura cinematografica in USA). Guarda caso nella stessa tonalità di Violanta (DO maggiore) ecco a 2’00” il primo corno esporre il tema di Alfonso, dal piglio ascendente e appassionato, che subito dopo (2’20”) si ripete in MI maggiore, tonalità quanto mai idilliaca. Un continuo crescendo della tensione porta, con il ritorno a DO maggiore, al culmine del Preludio (3’42”) con la ricomparsa imperiosa del tema di Violanta, che poi sfuma gradatamente riportandoci (4’23”) all’atmosfera ambigua dell’inizio, nella quale ritroviamo (4’36”) l’inciso del Carnevale veneziano, poi (4’53”) reiterate, velocissime scale ascendenti delle due arpe e degli strumentini sembrano evocare i colpi di remo dei gondolieri (che apriranno la prima scena dell’opera). A 5’13” l’incipit del Carnevale accompagna il levarsi del sipario, che ci mostra una sala della casa di Simone, sulla Giudecca, affollata da soldati e domestiche.

Scena 1. Nella serata di fine luglio Venezia e la laguna sono illuminate da fuochi d’artificio e la Festa del Redentore è in pieno svolgimento. Dai canali (5’32”) arriva una cantilena di barcaioli, il cui motivo richiama l’incipit del Carnevale; una servetta (6’23”) descrive un gentiluomo col mantello da Doge, un’altra un damerino mascherato da boia, con mani insanguinate. Un soldato (6’43”) ammira danzatori del Teatro Felice (sic... a parte il nome simpaticamente storpiato, teatri nel ‘400?) Poi (7’00”) ecco udirsi in lontananza la Canzone del Carnevale (morti che risuscitano e danzano con gioia sfrenata). Ancora (7’30”) i barcaioli ripetono il loro ritornello, ma adesso rientriamo nella sala e troviamo (8’06”) Matteo, un giovane militare (un sottoposto di Simone, quindi) che si dà pena per il suo impossibile amore per la bella moglie del suo Capitano. Un commilitone lo prende in giro, scimiottandone l’atteggiamento, così Matteo si innervosisce ed anche una servetta rincara la dose, sbeffeggiandolo. Arriva adesso (8’49”) una certa Bice (dama di compagnia di Violanta) tutta eccitata perchè inseguita da frotte di ammiratori. Dopo un robusto ritorno (9’05”) dell’incipit del Carnevale, anche Barbara (anziana nutrice di Violanta) entra in scena chiedendo se qualcuno ha visto la padrona. Matteo (9’45”) immagina che lei sia alla festa in San Marco, Barbara lo ammonisce che Violanta è praticamente in lutto dopo il suicidio della sorella, e allora Matteo sospetta che lei sia fra le braccia di qualcuno per consolarsi. Barbara lo apostrofa come bugiardo, ricordandogli la purezza e castità della padrona. Un militare (11’23”) mette in guardia Matteo dalla furia del Capitano, e qui abbiamo la prima apparizione del tema di Simone, una violenta salita chiusa da un gesto perentorio, tipico di chi dà ordini irrevocabili... Bice (11’35”) propone al giovane in pena di accontentarsi di lei, che non è proprio male! Soldati e cameriere si mettono a cantare giubilanti, mentre dalla laguna torna a farsi udire la Canzone del Carnevale, che ora contagia tutto l’ambiente.

Scena 2. L’atmosfera cambia drasticamente (13’04”) poichè in casa (e in scena) è arrivato Simone, annunciato e poi spalleggiato dal suo tema imperioso. Ordina di cessare quei canti immorali e ai soldati di tornare ai loro posti di guardia: i suoi interventi sono sottolineati da un accompagnamento rude e marziale. Domanda a Barbara (13’57”) di Violanta, ricevendone risposta negativa. Matteo (14’39”) gli chiede di essere trasferito lontano da Venezia (beh, sempre meglio che il suicidio, per questo Narraboth-de-l’ostregheta...) e per tutta risposta viene minacciato di impiccagione all’albero della nave più vicina. Simone ora (15’07”) chiede della moglie anche a Bice, ma senza aver risposta: allora spedisce le donne a cercarla a casa della suocera...

Scena 3. Arriva proprio ora (15’51”) un nuovo personaggio, un eccentrico pittore, Giovanni Bracca, amante della bella vita, venuto a prendere Simone per portarlo alla Festa del Redentore, cantandone le lodi e intonando inni all’amore, sulla base musicale del tema del CarnevaleSimone (16’40”) si schermisce, mostrando di disprezzare i costumi della società che nasconde il peccato dietro l’arte e la musica. Giovanni lo tenta, annunciando (16’55”) che in giro per Venezia c’è Alfonso (e il suo tema serpeggia in orchestra!) lo sciupafemmine napoletano, arrivato su una nave trainata da quattro sacerdotesse dell’amore. Simone ne è sorpreso, e così rivela all’amico (17’36”) l’odio - qui compare proprio il tema dell’odio di Violanta, dal sapore acido e velenoso, una serie di terze minori ascendenti - che la moglie porta ad Alfonso, colpevole del suicidio della sorella buttatasi in mare (si noti a 17’57” il tema di Alfonso, storpiato in SOL minore).  Da allora (18’55”) lei non parla e non tollera rapporti con i maschi, marito incluso! E così Simone (19’44”) si convince a seguire Giovanni, per poter finalmente guardare in faccia quell’individuo. Giovanni riprende (20’33”) i suoi canti goderecci e si prepara ad uscire con l’amico. Ma proprio in quel momento, preannunciata dal suo tema nobile (20’55”) che si concatena al canto di Giovanni, ecco arrivare Violanta! Che dice (21’19”) di venire precisamente dalla festa, e chiede al marito di rimanere lì con lei. Giovanni (21’38”) quasi si dispera, per dover svolazzare da solo come un farfalla, ma Simone lo congeda con un gesto imperioso, e così il gaudente se ne va, ricominciando a canticchiare allegramente, con l’orchestra che chiude la scena con una classica cadenza da melodramma.

Scena 4. Eccoci quindi (22’28”) al drammatico confronto Simone-Violanta. L’atmosfera è creata dagli accordi che caratterizzano la protagonista, la quale annuncia l’imminente arrivo di... chi? (domanda ansioso Simone). Lo sai benissimo, risponde lei (23’40”): gli ho dato la caccia come a una volpe, l’ho seguito nella piazza, circondato da mille luci e da mille sorrisi di donna. Il suo sguardo trasmetteva un sorriso indefinibile, di quelli che ti fanno ribollire il sangue nelle vene. (24’54”) Alfonso! Mi son fatta largo fra tutte quelle ragazze che gli ronzavano attorno come api all’alveare, e sono giunta davanti a lui, danzando e sospirando, fremendo e languendo, così ho adescato il seduttore, gli ho cantato ciò che oggi è sulla bocca di tutti i giovani. Violanta (25’27”) intona il primo verso della Canzone del Carnevale, al quale risponde da fuori la folla delle maschere. Simone (25’39”) non lo può sopportare, ma Violanta prosegue: l’ho condotto dietro l’Orologio, al buio; lui si è chinato su di me, con i suoi occhi fiammeggianti e le labbra frementi. Lì ho capito che Nerina oggi sorriderà nella sua tomba! Simone (26’35”) ancora non comprende. E lei incalza: fra dieci minuti sarà qui, lui pensa che io sia un’artista del Teatro Felice e mi devo preparare a riceverlo, aspetterò al buio l’avvicinarsi del desiderio di questo peccatore. Ancora Simone incredulo (27’34”). E lei risponde che migliaia di donne pure attendono questo momento! Ora fra i due c’è un drammatico scambio di battute smozzicate, finchè lei gli spiega (28’45”): tu lo ammazzerai! Simone è sconvolto e lei continua (29’11”): finchè i suoi occhi e la sua bocca saranno vivi, io non potrò guardare nè baciare alcun uomo; (29’32”) provo per lui un odio indescrivibile! Ma è figlio di Re (29’50”) obietta Simone. Sì, ma desidera la bocca delle popolane! Ma domani potrebbe essere il tuo Sovrano! E mi ha già fatta schiava oggi! Arriva senza sospettare nulla... Viene per sedurre tua moglie! E potrebbe anche riuscirci (30’19”): fra odio e amore il passo è breve! Simone ora si convince (30’39”): farò come tu vuoi, e i due hanno un moto di tripudio, con lei che pregusta il ritorno alle gioie del rapporto matrimoniale! Simone intende aspettare Alfonso proprio lì, invece lei (31’22”) ha altro in mente: prima vuol lasciarlo illudere, per meglio castigarlo. Simone comprende (31’37”) e propone il segnale per il suo intervento: la canzone proibita! Qui Violanta (32’10”) intonando il tema di Simone (!) immagina la scena: lo guarderò negli occhi, lo sedurrò fino a farlo inginocchiare davanti a me, disarmato, e allora canterò la Canzone del Carnevale, e tu arriverai per trafiggerlo! I due insieme (33’09”) accennano il motivo del Carnevale, poi Simone, accompagnato dal suo stentoreo tema, si congeda dalla moglie e si allontana, mentre l’orchestra lo segue con un breve postludio.    

Scena 5. É un momento di transizione, per lasciar decantare la tensione creatasi in precedenza, e che ancora attanaglia il petto di Violanta, e preparare adeguatamente la scena-madre successiva, l’incontro di lei con Alfonso. É lei (34’16”) che chiama Barbara per farsi portare dei candelabri. L’anziana nutrice entra recando le luci, L’atmosfera è ora ovattata e tranquilla: Violanta le chiede (34’50”) di scioglierle i capelli: non andrà a dormire subito, ma lo farà presto. La nutrice (35’50”) ammira il collo e il petto della giovane, poi le sembra di sentire una barca attraccare lì sotto, ma Violanta la smentisce e invece (36’55”) si fa ripetere una favola che Barbara le raccontava da bambina, con una morale filosofica (37’59”): stare in pace con se stessi è avere il cielo in terra! È una specie di ninna-nanna (in RE maggiore) quella che Barbara canta alla giovane donna, conclusa subito dopo (39’10”) in DO maggiore con l’augurio di una buona notte. Barbara si allontana e Violanta resta sola in attesa. Qui (39’55”) abbiamo un mirabile interludio orchestrale, una specie di agitato Notturno, che evoca contemporaneamente la calma notte veneziana, illuminata dalla luna piena che si specchia nei canali, e lo stato d’animo di Violanta, sconvolto dall’ansia per ciò che sta per accadere: lei è uscita sul balcone e respira profondamente, mentre uno sciacquio di remi annuncia l’arrivo di una barca. Rientra quindi all’interno e chiude i tendaggi, restando immobile. Da lontano (42’11”) si ode la voce di Alfonso, accompagnata da un liuto e da un coretto a bocca chiusa, che canta una serenata (una meravigliosa romanza da operetta nobile, in LA maggiore) inneggiante all’amore e alla bella vita. Violanta (43’35”) la contrappunta con la predizione della fine della pacchia, e di tutto quel mondo peccaminoso. Ora assistiamo (43’58”) ad un duetto a distanza (e all’insaputa dei duettanti!): Violanta che ribadisce le sue minacciose predizioni, Alfonso che inneggia all’amore e alle donne, che si augura coprano di baci anche la sua tomba! Adesso (44’43”) si ode lo struscio e il cigolio dell’attracco di una barca alle palafitte del palazzo: Alfonso ne scende ed entra, con portamento vivace e principesco, bell’aspetto e capelli mossi... e  arriva al cospetto di Violanta.

Scena 6. É il momento della verità per Violanta: qui le sue certezze verranno messe seriamente alla prova e - alla fine - lei stessa si scoprirà totalmente diversa da ciò che credeva di essere. Per certi versi ricorda l’Isolde che - fulminata dal solo sguardo di Tristan - lascia cadere la spada con la quale era pronta ad ucciderlo. Così Violanta, partita per (far) uccidere Alfonso, ne verrà invece stregata, mostrando e rendendosi conto di essere, dopo tutto, solo una donna, normale e vulnerabile a quell’arcano mistero che si chiama... amore. Dunque, Alfonso (45’15”) si presenta facendole sperticati (e sinceri?) attestati di ammirazione: più che una regina, che si aspettava di incontrare, lui ha trovato addirittura il Paradiso! E per sottolinearlo, Korngold chiama in aiuto Wagner e quello sbudellante motivo dei Meistersinger (Sachs: Lenzes gebot, die süße Not) qui impiegato per sorreggere il Wie schön seid Ihr, wie herrlich schön di Alfonso. Alla sprezzante risposta di Violanta (chissà a quante altre devi aver riservato lo stesso trattamento...) Alfonso si dice offeso e rincara la dose di complimenti, inginocchiandosi ai suoi piedi. Poi (47’40”) le chiede di cantargli ancora quella canzone (il Carnevale) con la quale lo aveva stregato poche ore prima, ma Violanta gli risponde che non è ancora il momento, prima lo invita a togliersi mantello e cinturone e a sfilarsi la spada. Alfonso decide allora di cantare lui stesso la canzone proibita e (48’40”) si appresta a farlo, ma viene subito zittito bruscamente da Violanta (che evidentemente pensa ancora di mortificarlo per bene, prima di lanciare essa stessa il segnale convenuto con il marito). Alfonso non capisce, e allora Violanta (49’28”) gli spiega che quella è l’ultima canzone che lui ascolterà: non uscirà vivo di lì! Allo stupore di Alfonso, lei finalmente (49’56”) si rivela per la moglie di Simone Trovai, che arriverà lì per ammazzarlo quando ascolterà le note del Carnevale; e per la sorella di quella povera Nerina che, sedotta e abbandonata da lui, si gettò in laguna, suscitando i suoi sghignazzi! Alfonso (50’29”) è tentato di andarsene via, ma lei lo informa che tutte le uscite sono bloccate e lo sfida a chimare tutte le donnine cui ha strappato il cuore perchè vengano ora a difenderlo. Alfonso, a questo punto (51’06”) e con grande passione (sembrerebbe proprio sincero... visto che impiega il suo nobilissimo tema) si imbarca (51’33”) in una lunga autodifesa, accusandosi di tutte le sue malefatte, ma incolpando (52’34”) di ciò il destino-cinico-e-baro, che lo lasciò orfano della madre (proprio come quella di Tristan, morta partorendo lui) e lo portò a vivere sì in una Reggia, ma da sbandato e spinto quindi (53’30”) a vagare invano in cerca di felicità e di un amore sincero. Ora lui (54’35”) non chiede compassione, nè pietà: si accontenta di non essere trattato da vile, e poi... morirà. Quindi (55’20”) le chiede di cantare! Violanta (55’50”) corre verso una porta come per chiamare aiuto, ma emette solo un rantolo e poi abbassa il capo: la musica che sostiene questi suoi movimenti ci ricorda quella udita nel Preludio. Per Alfonso (57’02”) è il segno che Violanta sta per cedere e così le si avvicina e le chiede con una frase appassionata (57’37”) se lei per caso non lo ami! Lei si schermisce, arrossisce di vergogna, ma lui ormai è certo (58’01”): lei voleva la sua morte per difendere la propria pretesa castità, non per vendicare la sorella! E insiste (58’28”): tu non mi hai mai odiato! E ancora (59’03”): temevi solo per la tua purezza, e per questo io dovevo morire! Violanta (59’21”) deve ammettere di essersi innamorata di lui al primo sguardo (Isolde?...) e impreca contro la Madre Maria, che permette agli umani simili bassezze! Alfonso (59’52”) la invita a credere nell’innocente giovinezza, lei ribatte di aver cercato di resistere alla passione, ma invano. Così l’unica via d’uscita era la sua morte, che poteva liberarla dal peccato, e mantenerla casta e pura. Alfonso è sempre più eccitato dalla conquista e chiede (1h00’50”) a Violanta di non pensare ad altro che a godere di quest’attimo fuggente. Lei (1h01’22”) ammette di non avere mai avuto un vero amore: sempre oppressa dai doveri familiari, non ha mai potuto vivere per se stessa. E allora Alfonso (1h02’32”, pare Siegfried con Brünnhilde!) le chiede di farlo adesso: quanto a lui, il solo poterla abbracciare sarà la più grande conquista della sua vita! E qui (1h04’32”) sboccia il duetto in SI maggiore che suggella l’unione di questi due cuori, in un delirante desiderio di amore-e-morte. Spalleggiato dal tema di Alfonso, un lunghissimo bacio (1h06’55”) sottolinea la loro passione, proprio mentre Simone (1h07’35”) si fa vivo, chiamando ripetutamente la moglie. Che ormai sente avvicinarsi il redde-rationem, mentre Alfonso (1h08’16”) le chiede di confessare tutto al marito, invitandola a cantare la canzone! E così Violanta fa (1h08’38”) estasiata, fra le sue braccia, e contrappuntata da voci che arrivano da fuori.

Scena 7. Annunciato dal suo tracotante tema (1h09’24”) ecco Simone precipitarsi nella sala. Dove trova la moglie e il di lei amante in atteggiamento inequivoco. Violanta lo implora di non ucciere Alfonso: lei ne è innamorata, fin dal primo momento. Simone resta sgomento: tutto il mondo gli sta cascando addosso. E Alfonso (1h10’04”) rincara la dose: Violanta non è mai stata tua, lei ha sempre sognato me (!) Simone, fuor di sè, estrae la spada e si avventa sul rivale per trafiggerlo. Ma Violanta lo anticipa (1h10’27”) frapponendosi fra Alfonso e la punta della spada, che le trapassa il cuore! Mentre Alfonso chiede aiuto e Simone la depone a terra, Violanta lo ringrazia per averla restituita... a lui! Perchè adesso lei è stata salvata dal suo peccato. E benedice la Canzone del Carnevale, mentre Giovanni Bracca (1h11’54”) con altre maschere, irrompe nella sala, inneggiando alla festa. Ma subito lui e tutti quanti restano letteralmente paralizzati dalla scena che si presenta ai loro occhi. Mentre ancora arrivano voci del Carnevale (1h12’26”) Violanta spira (1h12’48”) felice per essere stata liberata da peccato e vergogna. Il sipario cala sulla scena rosseggiante invasa da una pioggia di fiori, mentre l’Orchestra chiude su spezzoni del Carnevale e poi, pesantemente, sulle prime due note (SOL-DO) del tema di Alfonso
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Adesso che ne sappiamo di più, soprattutto dalla musica, possiamo fare qualche considerazione sul soggetto e sui personaggi che lo animano, in particolare sui due protagonisti principali. Partiamo da Violanta. 

Che ci appare come una donna forte (oltre che bella e... arrivata): le sue doti hanno conquistato anche un soldatino del marito, ma soprattutto lei si è ritagliata il ruolo di giustiziera divina contro colui che aveva adescato con il suo fascino la sua ingenua sorellina, per poi scaricarla e portarla così al suicidio. E siccome il ruolo prevede che lei diventi a sua volta un’irresistibile adescatrice, c’è chi ha definito la sua come una figura di femme-fatale. Per citare quache esempio: Carmen, o Salome, o magari Lola: tutte femmine (plebee o nobili) che in qualche modo infrangono consuetudini, pregiudizi e ipocrisie della società per far valere le loro prerogative e vivere - anche pericolosamente -  la loro libertà. 

Ma è davvero questa la vera Violanta? O invece non è proprio tal-quale la sorella? Non appena lei viene a contatto con quella che dovrebbe essere la sua vittima, lei ne rimane subito soggiogata; poi prova comunque a portare a termine il compito che si è assunta, ma da giustiziera si ritrova anche lei vittima della libidine che avrebbe voluto punire. E il suo gesto estremo è perfettamente speculare a quello della sorella: morire per non subire umiliazioni e vergogna. E la musica che Korngold le affibbia conferma proprio l’instabilità e la fragilità del carattere di questa donna, schiava (lo ammette lei stessa) delle convenzioni e delle ipocrisie della società. 

E Alfonso? Un Dongiovanni impenitente? O davvero una vittima, come racconta a Violanta, di tragici casi del destino (perdita della madre)? Qualche indizio ce lo dà il libretto: alla morte per suicidio di una sua conquista vittima (Nerina) lui pare si sia fatto una risata! E confessa di aver sciupato torme di donne inebriate dalle sue qualità amatorie. Attenzione a questo dettaglio (presente in didascalia): dopo che Violanta gli si è rivelata e gli ha preannunciato la morte imminente, Alfonso, come reazione immediata, cerca di fuggire! E soltanto dopo che Violanta gli ha tolto ogni speranza di salvezza lui si inventa (?) quella storia strappalacrime di una condizione miserevole, che lo ha indotto a condurre quella vita scostumata e priva di valori. In altre parole: non avendo ottenuto immediatamente la vittoria sulla donna impiegando il suo irresistibile fascino naturale, lui ricorre allo stratagemma del vittimismo, per suscitare la pietà e, come diretta conseguenza, data la psiche non proprio in equilibrio della donna, addirittura l’amore di Violanta! 

Korngold? Beh, la sua musica pare non lasciare dubbi: lui sta con Alfonso! Qualche anno dopo peraltro (diventato... maggiorenne!) ribalterà i ruoli, ridicolizzando il povero Paul e riscattando l’intero genere femminile con lo strepitoso personaggio di Marietta. 
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A Torino lo spettacolo è affidato alla solida bacchetta di Pinchas Steinberg e alla regìa del venerabile PierLuigi Pizzi. Martedi prossimo la prima. Radio3 trasmetterà invece l’ultima recita, martedi 28/1, ore 20. Da quella data lo streaming-video sarà disponibile per un mese su Operavision.

07 ottobre, 2019

Pescatori a Torino


Una nuova produzione del Regio di Torino (che ultimamente ha rinnovato tutto il vertice, dal Sovrintendente al Maestro del Coro) Les Pêcheurs de perles, ha visto ieri pomeriggio andare in scena la seconda recita.

Allestimento interamente nelle mani della coppia Julien Lubek / Cécile Roussat che propongono programmaticamente una lettura (detto senza offesa) da teatro-dei-piccoli, proprio innocente e scevra da ogni possibile dietrologia che da sempre è nata attorno al soggetto. Allestimento al risparmio (almeno spero!): scena praticamente fissa e spoglia (basse scogliere marine) arricchita (si fa per dire) da qualche quinta di palma e da un tronetto di Brahma-tricefalo nel terzo atto. Colori che più sgargiante non si può, inclusi quelle delle luci, e costumi più o meno improbabili. I cori sono sempre ben piantati sul posto, così da garantire ai coristi il massimo confort per il canto; movimenti dei protagonisti sempre misurati e un po’ anche impacciati. Qualche modesta coreografia, a supporto dei passaggi strumentali e corali. Appropriata, perchè in funzione didascalica, la sporadica presenza di una controfigura di Leïla. Insomma, nessun velleitarismo, ma allo stesso tempo nulla che distragga lo spettatore dal godersi questa musica che va giù proprio come un rosolio.

Qui alcune note sull’opera, che ho proposto anni fa. La versione qui presentata è sedicentemente quella originale (1863) come pazientemente ricostruita negli ultimi anni, dopo che per un secolo e più, dalla fine dell’800, erano circolate in tutto il modo versioni spurie, nate addirittura in Italia e poi codificate in Francia (Benjamin Godard). In particolare, il finale non è quello davvero stravolto da tante produzioni creative. Però, tanto per mettere un granello nell’ingranaggio, ecco che il libretto, pubblicato nel programma di sala, presenta ancora per il duetto Zurga-Nadir del primo atto la versione spuria (che riprende Oui, c’est elle! C’est la déesse) al posto dell’originale (Amitiè sainte) che per nostra fortuna è però regolarmente cantato... E a proposito di canto, come già per la prima del 3, Zurga non è interpretato dal titolare Capitanucci, ancora indisposto, ma dal sostituto Pierre Doyen, che vien dal Belgio.
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Sul podio il 37enne americano Ryan McAdams, al quale potrei rimproverare qualche eccessiva dose di zucchero in alcuni passaggi strumentali, che già ne sono abbastanza ricchi di loro, ma in generale la sua concertazione mi è parsa più che efficace e la risposta dell’Orchestra del tutto soddisfacente. 

Benissimo anche il coro di Andrea Secchi, che nell’opera rappresenta il quinto protagonista, tale è la sua presenza in scena.

E fra i protagonisti chi mi è piaciuto di più è la... riserva: Pierre Doyen ha una voce corposa che, fosse anche un filino più morbida, ne farebbe un baritono con i fiocchi. In ogni caso la sua è stata una prestazione fra il discreto e il buono, con punta di diamante l’aria dell’accorata invocazione a Nadir, nel terz’atto.

Hasmik Torosyan è stata una Leïla più che dignitosa: una non eccelsa immedesimazione nel personaggio e qualche vetrosità sugli acuti in mezzo-forte, oltre ad una potenza di voce non straordinaria le impediscono di guadagnarsi, sul mio personalissimo cartellino (copyright Rino Tommasi) più di un 7, ecco. Apprezzabili i suoi delicati vocalizzi sulla barcarola del coro in chiusura del primo atto.

Il francesino Kévin Amiel è stato un Nadir così-così (a lui qualcuno ha indirizzato un paio di ululati...): la parte è difficile, se non proprio proibitiva, e certi ricordi che tornano all’orecchio (Kraus, per citarne uno...) fanno da termine di paragone piuttosto duro. Ma lui è giovane e non può che migliorarsi.

Buono anche lo standard di Ugo Guagliardo nei panni di Nourabad, parte sostenuta con sufficiente autorevolezza e buon portamento.  
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Ecco, una produzione senza grandissimi nomi e senza sfoggio (e dispendio!) di potenti mezzi, che ha però pienamente soddisfatto un pubblico assai folto, che ha tributato lunghi e convinti applausi a tutti: quale differenza rispetto ai modesti applausi di cortesia che un Piermarini semideserto ha riservato sabato sera alla prima di Quartett. L’impietoso confronto la dice più lunga di tanti paludati studi di sociologia della musica!

17 giugno, 2019

La giara fantasma del Regio (con Cavalleria)


Ieri al Regio-Torino quinta delle nove recite di un dittico abbastanza insolito: al dramma verista mascagnano viene infatti affiancato il balletto (precisamente: commedia coreografica) La giara di Alfredo Casella. Effettivamente un punto di contatto fra le due opere esiste (meglio dire: esisterebbe, a fronte di ciò che si vede a Torino): la Sicilia, dalla quale provengono i due autori delle opere letterarie ispiratrici, e della quale si mettono in scena - magari inventandoli - alcuni tratti naturalistici ed antropologici.   

Il soggetto della Giara è tratto dalla famosa novella di Luigi Pirandello, che narra la bizzarra vicenda di Zì Dima, un anziano artigiano esperto in riparazioni di giare e oggetti consimili, chiamato ad aggiustarne una di dimensioni enormi a casa del ricco possidente Don Lolò. Lui per sistemarla come nuova vi si introduce all’interno, e così ne rimane fatalmente imprigionato. Dopo un braccio di ferro con Lolò che pretenderebbe il pagamento della giara in cambio della sua liberazione, la storia si conclude con lo scorno del padrone di casa e il trionfo dell’artigiano.

La struttura del balletto è in due macro-parti, per una durata poco superiore alla mezz’ora. Per meglio esplorarla possiamo ricorrere a quest’unica registrazione live disponibile (che io sappia) su youtube, grazie all’amor proprio del maestro Mauro Fabbri, che l’ha diretta tempo fa in Bulgaria. Nel seguito sono evidenziati i tempi corrispondenti alle diverse indicazioni agogiche presenti in partitura, corredate, quando esistenti, dalle didascalie di scena.
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I - a) Preludio b) Danza siciliana

Preludio
(28”) Andantino dolce, quasi pastorale
(1’53”) Un poco più lento, quasi adagio
(3’02”) Allegro grottesco ed animato (Zi’ Dima passa al procenio e scompare)
(3’20”) Tempo primo

Chiòvu (Chiodo, danza popolare siciliana)
(5’00”) Allegro vivace (Scena: aia siciliana; entrano i contadini)

Danza generale
(5’40”) Allegro vivace
(6’19”) Lontano - Avvicinandosi - Brillante e giocoso
(7’17”) Sempre più forte, ma senza affrettare - Con tutta la forza - Calmato
(8’20”) Lontano - Avvicinandosi - Giocoso
(8’55”) Sempre più brillante e fortissimo - Stringendo
(9’33”) Vivace (Irrompono tre ragazze spaurite)
(9’50”) Grave, funebre (La grande giara spaccata; tutti piangono; strazio generale)
(10’51”) Vivace (Un contadino chiama tre volte Don Lolò)
(11’16”) Allegro drammatico (Don Lolò appare e scende; scena di furore; finimondo; contadini atterriti)
(12’50”) Poco a poco stringendo (Entra Nela)
(13’17”) Vivace grazioso (Nela riesce a placare le ire del genitore)
(14’13”) Allegro vivace e grottesco (Entra Zi’ Dima; i contadini lo accolgono come a una messa)
(14’32”) Allegro vivace e rustico (Tutti lo circondano e gli raccontano il fatto; lo conducono davanti alla giara)
(15’21”) Lento (Zi’ Dima esamina la giara; silenzio religioso)
(15’38”) Di nuovo animando (Zi’ Dima annuncia che riparerà la giara; “Evviva Zi’ Dima”)
(15’53”) Stringendo (Don Lolò si spazientisce e scaccia i paesani; tutti fuggono; Don Lolò esce con Nela)
(16’22”) Andante moderato (Zi’ Dima prepara la riparazione; si fa notte; fora i pezzi col trapano)
(17’16”) Vivace (Le tre ragazze spiano Zi’ Dima)
(17’40”) Andante moderato (Zi’ Dima riprende il lavoro)
(17’56”) Vivace (Le tre ragazze riappaiono; Zi’ Dima non le vede)
(18’13”) Andante moderato (Zi’ Dima riprende ancora il lavoro)
(18’30”) Allegro animato (Rientrano giocosamente i contadini)
(18’52”) Stringendo (Zi’ Dima viene introdotto nella giara, poi chiusa con lembo rotto)
(19’07”) Lento molto e misterioso (La giara sembra nuova; i contadini sono ammirati)
(19’32”) Pesante ed allegro (I contadini cercano si estrarre Zi’ Dima, ma la cosa non va)
(19’42”) Agitato (Zi’ Dima urla; nuovi tentativi dei contadini; nuove urla del vecchio; sforzi eroici)
(20’01”) Allegro vivacissimo (Arriva Don Lolò stravolto e fa ruzzolare a terra i salvatori; disputa violentissima fra padrone e contadini)
(20’24”) Alla breve, stringendo (I contadini vogliono spaccare la giara per liberare Zi’ Dima; Don Lolò non lo permette: prima Zi’ Dima deve pagare il danno; baruffa generale)
(20’47”) Prestissimo (Don Lolò, dispersi i contadini, risale in casa)

II - a) “La storia della fanciulla rapita dai pirati” b) Danza di Nela c) Entrata dei contadini d) Brindisi dei contadini e) Danza generale f) Finale

(21’08”) Allegro animato (Un contadino torna, accende la pipa a Zi’ Dima e lo tranquillizza)
(21’22”) Lento, calmissimo (Notte; chiaro di luna; calma; dalla giara escono le volute di fumo della pipa)
(21’55”) “La storia della fanciulla rapita dai pirati” (Dal fondo della campagna s’innalza un canto popolare) (testo di Alberto Favara, 25 battute musicali in FA# maggiore cantate dal tenore)


(24’00”) Vivacissimo e leggero (Nela scende dalla casa; danza attorno alla giara; chiama i contadini)
(25’29”) Allargando (Entrano tutti i contadini festosamente)
(25’35”) Pesante (Viene portato da bere)
(25’55”) Allegro deciso (Brindisi dei contadini che acclamano Zi’ Dima)

Danza generale
(26’39”) Allegro rude e selvaggio (I contadini ebbri danzano intorno alla giara)
(29’57”) Orgiastico e brutale (Don Lolò, destato dal baccano, si affaccia e vede la scena)
(30’14”) Allegro vivacissimo (Don Lolò scende come toro infuriato; spavento generale)
(30’26”) In due (Don Lolò abbranca la giara e la fa ruzzolare giù dall’altura; terrore dei contadini che si precipitano in soccorso di Zi’ Dima)
(30’47”) Allegretto molto moderato e rustico (Rientrano i contadini, innalzando in trionfo Zi’ Dima liberato)

Finale
(31’51”) Prestissimo (Don Lolò, disperato, è fuggito; Nela guida la danza generale)
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Non ci vuol molto a concludere che quest’opera si basi su tre pilastri strutturali, già sospettabili nel genere attribuitole dall’Autore: commedia coreografica. Che comporta quindi il carattere di commedia, cioè di soggetto letterario, con tanto di trama, personaggi e azioni; e comporta caratteri di coreografia, sostanzialmente di danza e di pantomimica. Ebbene, l’ineffabile regista-coreografo siciliano (si noti!) Roberto Zappalà cosa ti combina? Tiene buona solo la danza e butta nel cesso la commedia e la pantomimica! E per raggiungere questo mirabile risultato si serve pure di un Dramaturg (Nello Calabrò). Apperò, complimenti! Il suo balletto poteva e potrebbe benissimo essere indifferentemente appiccicato alla musica di Petruška o del Faune... Perchè scovarci tracce di giare, di Don Lolò, di Nela e di... Sicilia è impresa proprio disperata. Ecco perchè alcuni sparuti ma sonorissimi buh piovuti dall’anfiteatro all’abbasarsi del sipario non mi son parsi per nulla immeritati. Insomma, una Giara davvero fatta a pezzi! Peccato per i tanti bambini che i genitori avevano magari portato a teatro proprio perchè vedessero rappresentata quella storia imparata a scuola...

Battistoni (si dà sempre pose che finiscono per renderlo antipatico) ha diretto però con apprezzabile cura questa partitura in cui risuonano, oltre ad atmosfere sicule, anche accenti (vecchi di 10 anni almeno) stravinskiani. Marco Berti da lontano ha efficacemente cantato la canzoncina riservata al tenore. 
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Ecco poi la sempreverde Cavalleria. Qui le cose sono andate decisamente meglio, in quanto abbiamo appunto visto Cavalleria e non, che so... Pagliacci!!! Merito di Gabriele Lavia (che i Pagliacci proprio qui li ha già fatti, e ben... distinguibili!) Approccio assolutamente rigoroso (i soliti schizzinosi lo definiranno... soporoso, ma peggio per loro) con la Sicilia (magari non proprio quella di Vizzini, come ammette lo stesso regista) ben rappresentata da lavia lava solida (nera come la tragedia) e... liquida (rossa come il vino e il sangue che scorrono a fiotti). Movimenti di masse ben gestiti; moderato ricorso a stereotipi stantii (una Madonna e un Cristo, nulla più); e grande cura della recitazione per i protagonisti. Insomma, uno spettacolo assolutamente dignitoso e (parlo per me) del tutto soddisfacente. 

Vicissitudini di ogni tipo hanno fatto sì che il cast, rispetto alle originali scritture, sia stato quasi rivoluzionato: niente Danielona Barcellona per Santuzza (le è subentrata Sonia Ganassi) e niente Carlo Ventre per Turiddu (reincarnatosi in Marco Berti). Poi anche Marco Vratogna si è dato malato (tornerà forse per due appuntamenti) e quindi lo stoico Gëzim Myshketa si è dovuto sobbarcare finora tutte le recite come Alfio.

Devo dire che tutti tre i protagonisti se la sono cavata più che discretamente, così come la Lola di Clarissa Leonardi e la comprimaria Lucia di Michela Bregantin. Onorevole la prestazione del Coro di Andrea Secchi

Battistoni ha diretto con sufficiente sensibilità e attenzione ai particolari, strappando applausi per sè e per l’Orchestra dopo il celebre Intermezzo.
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Teatro non al completo, ma prodigo di consensi per tutti.