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08 giugno, 2024

Orchestra Sinfonica di Milano – Stagione 23-24.24

Il penultimo concerto della stagione 23-24 dell’Orchestra Sinfonica di Milano ci offre un programma tutto russo-sovietico, da fine ‘800 a metà ‘900. E perciò sul podio sale un Direttore che viene da quelle parti, il redivivo Stanislav Kochanovsky, fresco Direttore Principale della NDR RadioPhilharmonie di Hannover.

Ecco quindi Ciajkovski e il suo iper-inflazionato Primo Concerto per pianoforte, interpretato dalla bella 41enne Anna Vinnitskaya da Novorossysk (un posto oggi piuttosto insicuro, a ridosso della Crimea, preso spesso di mira dai resistenti ukraini) ma ormai stabilitasi in occidente e in Germania in particolare.

Esecuzione davvero trascinante, negli enfatici passaggi dei due movimenti esterni come nei languori dell’Andantino semplice e nei virtuosismi delle cadenze. Da parte sua Kochanovski ha gestito con equilibrio il dialogo con la solista, accompagnandola sempre con discrezione, salvo scatenare l’orchestra quando necessario.

Accoglienza trionfale per la Vinnitskaya che ci ha regalato ancora Ciajkovski e poi il Mendelssohn veneziano della Romanza senza parole op.30, n°6. 
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Il secondo brano in programma è – al contrario del primo - di abbastanza rara esecuzione: si tratta di 6 dei 18 brani che costituiscono le quattro Suites dal balletto Spartak dell’armeno (nato peraltro a Tbilisi, in Georgia) Aram Khachaturian, che nella parte centrale del ‘900 fu, con Shostakovich e Prokofiev, uno dei principali alfieri della musica sovietica, avendo quindi con il regime rapporti altalenanti, fra incarichi, onorificenze e… zdanoviane accuse di formalismo.

Il balletto, del 1954, si ispira alle gesta di Spartacus, eroe della Tracia che più di 2000 anni orsono guidò a Roma una delle rivolte degli schiavi. Una figura emblematica dello spirito di lotta per la libertà, che quindi ebbe in URSS vasta popolarità (anche nello sport, vedi lo Spartak Mosca, una delle più titolate squadre calcistiche del mondo sovietico).

Khachaturian ricavò via via ben quattro Suites dalle musiche del balletto. Lo schema sottostante ne riporta la struttura, affiancata dai sei numeri liberamente scelti da Kochanovsky per questo concerto.

Suite
Brano
Kochanovsky
I
1. Introduzione e danza delle ninfe
 
 
2. Adagio di Aegina e Harmodius
 
 
3. Variazioni di Aegina e Bacchanalia
2
 
4. Scena e danza di Crotalusa
3
 
5. Danza delle Gaditanae – Vittoria di Spartacus
6
II
1. Adagio di Spartacus e Frigia
4
 
2. Entrata dei mercanti – Danza delle cortigiane romane – Danza generale
5
 
3. Entrata di Spartacus – Contesa – Tradimento di Harmodius
 
 
4. Danza dei pirati
 
III
1. Danza dello schiavo greco
 
 
2. Danza della fanciulla egiziana
 
 
3. Intermezzo notturno
 
 
4. Danza di Frigia – Scena del commiato
 
 
5. Al circo (Danza delle spade)
1
IV
1. Danza malinconica di Bacchante
 
 
2. Processione di Spartacus
 
 
3. Morte del gladiatore
 
 
4. Chiamata alle armi – Rivolta di Spartacus
 

È tipica musica da film, o da musical, orecchiabile, con qualche inflessione sincopata, o di jazz e di swing… ma vi troviamo anche squarci di grande lirismo.

In platea ad ascoltare c’era anche un altro personaggio di origine armena, quell’Emmanuel Tjeknavorian che fra poche settimane sarà anche formalmente il nuovo Direttore Musicale dell’Orchestra di casa.

Dopo la vibrante esecuzione dei brani della Suite di Spartacus, accolta da trionfali applausi, Kochanovsky e l’Orchestra hanno offerto come bis quello che è un po’ il marchio di fabbrica di Khachaturian!

20 gennaio, 2024

Orchestra Sinfonica di Milano – Stagione 23-24.9

Ancora musiche da balletto nel nono Concerto della stagione principale dell’Orchestra Sinfonica di Milano. Sul podio il redivivo Stanislav Kochanovsky, orami vecchio ospite dell’Auditorium. Quasi naturale che il programma sia monopolizzato da autori russi (o ukraini, nella fattispecie, ma di un’epoca dove fra i due popoli c’erano rapporti un filino meno tesi rispetto ad oggi...)

E come per il concerto precedente, anche qui si doveva aprire con il romantico per antonomasia (Ciajkovski) e chiudere con un moderno, Prokofiev. Ma il Direttore russo ha pensato (bene?) di servirci in tavola per primo il piatto… salato, e poi quello dolce (con brindisi finale…) 

E così ecco subito la Suite da un balletto (1915-20) dell’ukraino del Donbass (ma nato sotto lo Zar) Prokofiev, balletto e musica che non hanno francamente avuto molta fortuna negli anni: La storia del buffone (Chout). È basata su un racconto di Afanasiev che mescola ingredienti di fantastico, surreale, orrido, macabro e sarcastico (a dir poco…); quindi l’ideale per stimolare la fantasia di un musicista di belle speranze come Prokofiev, desideroso di mettersi in mostra e far carriera in Russia e nel mondo, partendo da Parigi.

La Suite consta di 12 numeri, è abbastanza corposa (circa 38’ contro i 55’ del balletto integrale in 6 Quadri e 5 Intermezzi, quindi quasi i 2/3) ed è ottenuta per parziale sfrondamento della partitura del balletto, più qualche ritocco, come il riutilizzo di parti di Entr’acte, o raccordi e cadenze. (Qui riporto una schematica ma dettagliata visione della struttura delle due opere, con le parti colorate a rappresentare il riutilizzo di brani del balletto nella suite.)

A differenza, per dire, di Romeo e Giulietta (arrivato peraltro quasi 20 anni dopo) la cui musica si può benissimo godere integralmente anche senza la coreografia, qui francamente le sole note lasciate a se stesse finiscono per creare più di qualche problema, come si può ad esempio verificare in questa registrazione di Gennadi Rozhdestvensky. Dove si avverte una certa ripetitività di stilemi che finisce – in assenza di immagini di danza, appunto – per diventare piuttosto stucchevole e persino noiosa.

Viceversa nella Suite (qui Neeme Järvi) la maggior concisione garantisce al brano scorrevolezza e varietà di accenti tale da migliorarne assai la godibilità.  

Certo, rispetto al Lago ciajkovskiano c’è un filino di differenza, come del resto è capitato una settimana fa con l’Uccello di Stravinski arrivato dopo lo Schiaccianoci…

Ma un’ottima esecuzione - come quella ascoltata ieri – può benissimo far apprezzare anche questo Prokofiev quanto Ciajkovski. Ed è proprio ciò che è successo in Auditorium, con convinti applausi per l’orchestra e ripetute chiamate per il Direttore.
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Si è quindi chiuso con una Suite dal Lago dei Cigni, opera di un russo che in Ukraina ci andava spesso e volentieri da turista, ed anche per prendere ispirazione per le sue musiche (si veda la Seconda Sinfonia, la Piccola Russia).

Perché una e non la Suite? Perché Kochanovsky (non è il primo né l’ultimo a farlo…) ha scelto una sequenza di numeri del balletto che differisce assai da quella che fu proposta dalla pubblicazione postuma di Jurgenson, e precisamente presenta questi 8 numeri:

Kochanovsky
Jurgenson
1. Introduzione
1. N.10 Scena (Atto II)
2. N. 1 Scena n.1 (Atto I)
2. N.  2 Valse (Atto I)
3. N. 5 Passo a Due parte I (Atto I)
3. N.13 Danza dei cigni parte IV (Atto II)
4. N.10 Scena (Atto II)
4. N.13 Scena (Danza dei cigni parte V - Atto II)
5. N.11 Scena (Atto II)
5. N.20 Danza ungherese. Czardas (Atto III)
6. N.13 Danza dei Cigni parte V (Atto II)
6. N.28 Scena (Atto IV)
7. N.28 Scena (Atto IV)
 
8. N.29 Scena Finale
 

Personalmente in questo collage sento la mancanza (rispetto alla versione Jurgenson) del grandioso n°2 del primo atto (Valse)… ma pazienza, ecco.

Esecuzione comunque trascinante e gran trionfo assicurato. Così Direttore e Orchestra ci congedano con un numero-extra del balletto, il n°21 del terz’atto, Danza Spagnola.

Si replica domani alle 16.  

30 settembre, 2022

laVerdi 22-23. 1

Il primo concerto dell’Orchestra Sinfonica di Milano della stagione principale 22-23 vede il gradito ritorno sul podio di Stanislav Kochanovsky, che ormai da anni opera regolarmente in Italia e a Milano in particolare. Programma di impaginazione tradizionale, aperto e chiuso da due delle composizioni strumentali più celebri di Modest Musorgski che incastonano l’unico concerto solistico composto da un 38enne Jan Sibelius.

Ecco quindi Una notte sul Monte Calvo, di cui viene eseguita – credo sia la prima volta per laVerdi - la versione originale (quella non ancora inquinata – in senso buono! – da Rimski). Quindi da chiamarsi correttamente La Notte di San Giovanni sul Monte Calvo. Rimando qui ad una mia breve disamina delle diverse versioni di questo brano. 

Kochanovsky ce lo propone proprio in tutta la sua barbarie (i critici di Musorgski – Rimski compreso – la scambiarono per totale insipienza nell’orchestrare) solo saltuariamente interrotta da squarci di luce notturna. E l’Orchestra ne segue il gesto sobrio ma efficace, accolta dal pubblico (piacevolmente assai folto e con incoraggiante presenza giovanile) con calore e partecipazione.
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Il 37enne armeno Sergey Khachatryan arriva poi per cimentarsi con il Concerto per violino di Sibelius. Nel quale lo vediamo esibirsi, sempre con Kochanovsky, poco più di tre anni fa in Olanda.

Lui sembra mettere nelle corde del suo Guarneri del Gesù del 1740 la pietas e la dignità di tutto un popolo. Ne esce un Sibelius crepuscolare ma non decadente, sofferto (l’Adagio di molto davvero da trattenere il respiro) esuberante ma non sguaiato nell’Allegro, ma non tanto conclusivo. Kochanovsky lo supporta al meglio, mitigando i tutti orchestrali e per il resto lasciando al solista il massimo del rilievo.

Strepitoso successo, con lunghi applausi ritmati, ripagato da Sergey con un bis dedicato alla sua patria, che ancora oggi attende giustizia dalla storia.
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Ha chiuso la serata Quadri di un’esposizione, nella lussureggiante trascrizione orchestrale di Maurice Ravel, della quale rimando pure ad una mia passata e sommaria esegesi.

Una prestazione superlativa (i fiati soprattutto in grande spolvero, meritatamente fatti alzare più volte dal Direttore per gli applausi finali) che ha chiuso in bellezza questo ritorno alla normalità (speriamo non ci siano… ricadute) dopo la disgraziata parentesi del Covid. 

14 maggio, 2022

laVerdi 21-22. Concerto 29


Il penultimo concerto della stagione (inserito nella prestigiosa rassegna Milano Musica) vede il gradito ritorno in Auditorium di Stanislav Kochanovsky (un russo sfuggito chissà come dalle grinfie del CoPaSir!!!) che dirige un programma est-europeo del ‘900. 

I primi due brani sono di Witold Lutosławski. Ecco la Musique funébre, per soli archi (da 44 a 66, divisi in 4 parti di violini e 2 parti di viole, celli e bassi) composta a partire dal 1954, 10° anniversario della scomparsa di Béla Bartók (protagonista della seconda parte del concerto) e terminata nel 1958.

Composizione davvero singolare per concezione e realizzazione, che si può ben definire di alta ingegneria combinatoria, in particolare per la struttura dei due movimenti esterni dei quattro in cui si articola.
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Esploriamola a volo d’uccello in questa interpretazione di Daniele Gatti con la ONF. Il Prologo (1’15”) si fonda sull’impiego di serie dodecafoniche ottenute per trasposizione, inversione e retrogradazione di due serie di base (S1 e S2, le prime entrate a canone dei due violoncelli) costruite alternando tritoni (a partire da FA-SI e SI-FA rispettivamente) seguiti da una seconda minore discendente (a); l’inversione delle due serie dà luogo a serie che alternano tritoni a seconde minori ascendenti (b):

Altre serie sono poi costruite a partire dalle restanti 10 note della scala cromatica. Possiamo interpretare (almeno io così mi sento di fare) il tritono come elemento di negatività (la morte, in effetti, e per di più crudele, come quella di Bartók) e la seconda minore come evocazione del lamento per quella morte.

La sequenza di entrate successive, dopo l’apertura dei due primi violoncelli, vede l’entrata delle prime viole, e via via dei violini e infine dei contrabbassi, che si aggiungono proprio a preparare il culmine di questa prima parte (3’19”) dove il tritono FA-Si viene reiterato pesantemente, poi sempre decrescendo con l’abbandono degli archi alti che lasciano solo celli e bassi (4’45”) a chiudere sommessamente sul FA.

Segue poi (5’09”) Metamorfosi, che parte da sordi pizzicati per poi (6’13”) evolvere in un continuo e lento crescendo melodico. La serie del Prologo viene ancora trasformata, la melodia culmina in volate di semicrome, che portano (10’07”) al breve...

Apogeo, solo 12 battute in fff dove l’intera compagine suona soltanto pesanti accordi di 12 note, tenuti e poi ribattuti. Un progressivo aumentare della lunghezza delle note (semicrome, crome, terzine di semiminime, semiminime, minima e breve) introduce (10’57”)...

l’Epilogo, che vede il ritorno in primo piano (11’31”) delle serie del Prologo, con il tritono SI-FA in posizione preponderante.

La chiusura (15’05”) è ancora riservata, come l’apertura del brano, al primo violoncello, che ripercorre spezzoni sempre più minuscoli delle ultime 4 note dell’inversione della seconda serie, che degrada di un semitono da quella fondamentale: MIb-LA-SIb-MI / LA-SIb-MI / SIb-MI / SIb / MI:

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Che dire? Musica che non è proprio delle più digeribili... Tuttavia, se diretta e suonata come si deve merita di essere apprezzata, come ha fatto il pubblico abbastanza folto non lesinando lunghi applausi a Direttore e musicisti, con il violoncello di Tobia Scarpolini sugli scudi.
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Ancora di Lutoslawsky ecco un brano vocale, Chantefleurs et Chantefables per soprano e piccola orchestra. Si tratta di un ciclo di 9 canzoni per bambini, scelte fra gli 80 testi surrealisti di Robert Desnos e composte fra il 1989 e il 1991:

1.   La Belle-de-Nuit

2.   La Sauterelle

3.   La Véronique

4.   L'Eglantine, l'aubépine et la glycine

5.   La Tortue

6.   La Rose

7.   L'Alligator

8.   L'Angélique

9.   Le Papillon

Ad interpretarle è il soprano Łucja Szablewska-Borzykowska, connazionale del compositore e al suo esordio qui in Auditorium. Musica atonale e canto che si avvicina allo Sprechgesang (tipo Pierrot lunaire...) La bionda Lucja sfoggia una bella voce lirica con la quale illustra tutte le sfumature di questi canti. L’Orchestra sottolinea discretamente la voce, salvo scatenarsi proprio nell’ultimo brano: l’invasione delle farfalle! 

E così - come premio - il Papillon ci viene bissato!
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Come detto, si chiude con Béla Bartók e il suo Divertimento per archi, commissionato dal, e dedicato al, mecenate della musica Paul Sacher e alla sua Orchestra di Basilea, che tenne a battesimo il brano l’11 giugno del 1940. Brano composto di getto in una villa di Sacher sulle Alpi svizzere nell’estate del ’39, quando Bartók ormai si stava rassegnando ad andarsene in esilio negli USA, abbandonando dolorosamente la sua amata Ungheria, sempre più risucchiata nell’orbita nazista.

Tre movimenti che richiamano, come spesso in Bartók, ritmi e melodie popolari, con chiare inflessioni modali, ma sono costruiti su forme classiche, dal settecentesco Concerto grosso all’ottocentesca forma-sonata.
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Ecco come li interpreta il compatriota di Bartók Eugene Ormandy. Si parte (9”) con un Allegro non troppo, che ha struttura di forma-sonata... con qualche libertà. Il primo motivo (in atmosfera di FA maggiore, con caratteristico accompagnamento di triplette) si sviluppa su 13 battute, poi viene ripreso (35”) per altre 11 battute. Cui segue un rallentamento che introduce (1’07”) un secondo motivo (Un po’ più tranquillo) - un passaggio tipico del Concerto grosso, con dialogo fra le prime parti (il concertino) e il pieno orchestrale - che parte in LA e si chiude su un unisono di FA. Il quale prepara il terreno al secondo tema (1’47”) assai lezioso, in ambientazione di RE minore (relativa del FA del primo tema) e sempre con dialogo soli-tutti. Lo sviluppo (3’09”) vede classicamente protagonisti i due gruppi tematici, con passaggi a canone più mossi alternati a prese di respiro; e porta poi (5’40”) alla ripresa: il primo tema viene riproposto, anzichè sul FA, sul SOL e sul DO, mentre è il secondo (6’31”) ad accodarsi al FA minore. Una coda (7’49”) basata su una rielaborazione (Più tranquillo, poi Sempre più lento) del primo motivo porta ad una sommessa conclusione.

Il centrale Adagio (9’02”) apre con l’esposizione di una cellula di tre note nei violini secondi, poi nei primi su un accompagnamento degli altri archi che passa da un ostinato serpeggiamento ad una certa increspatura (10’07”) proprio su una melodia (mahleriana?) nei primi violini. Dopo un breve rallentamento ecco un fortissimo RE acuto che introduce (11’02”) un’irruzione delle viole, che poi passano il testimone a violini primi, fino al sopraggiungere di un passaggio (12’34”) caratterizzato da instabilità agogica: ecco un‘alternanza di sostenuto, lento e agitato, ed un progressivo crescendo che culmina a 13’45”, seguito da un decrescendo. Ancora il dialogo fra soli e tutti (14’28”) e poi ecco (15’17”) il ritorno della cellula primigenia, fino (16’59”) ad un autentico grido di dolore prima della mesta chiusura.

Il terzo movimento (17’25”) è un Rondo in Allegro assai. Anche qui torna spesso e volentieri l’alternanza soli-tutti del Concerto grosso. Dopo 13 battute introduttive che stabiliscono il ritmo, ecco (17’35”) esposto il tema del Rondo, una derivazione di quello del movimento iniziale, quindi dalle chiare connotazioni della musica popolare magiara. Seguito (17’45”) da un controsoggetto dl carattere diatonico (MIb maggiore) che dopo un breve ponte a canone, sfocia (18’13”) in un perentorio unisono di FA# e prepara l’ingresso (18’26”) di una nuova sezione bipartita: un tema che peraltro riprende tratti del primo, seguito (18’45”) da un controsoggetto. Il primo tema si ripresenta a 18’52” per chiudersi su un nuovo unisono che introduce (19’13”) una sezione occupata da una fuga, il cui soggetto è presentato anche in inversione. Il tempo rallenta e a 20’03” (Più lento) abbiamo un assolo del primo violino chiuso da una classica cadenza virtuosistica. A 20’51” ecco 7 battute introduttive e poi riappare il tema principale, immancabilmente variato sia nel soggetto che nel controsoggetto. Un crescendo, con ritorno del dialogo soli-tutti, ci porta (21’43”, Meno mosso) ad una sezione che ripropone, sempre in nuove forme, i motivi del Rondo. A 22’34” (Più mosso) ecco un sottofondo di terzine di violini secondi e viole che supportano la ricomparsa del tema principale, che viene sottoposto ad un vorticoso sviluppo, che poi va progressivamente calmandosi fino a... fermarsi completamente su una battuta di pausa. Adesso (23’43”, Grazioso) abbiamo un intermezzo tutto in pizzicato, dal sapore di una polka leziosa e ...settecentesca, chiuso (24’08”) col ritorno all’arco per un accordo che dà il la alla stretta conclusiva (Vivace, poi Vivacissimo e ancora Stringendo) basata sul tema principale ostinatamente reiterato. A 24’36” ecco un ritorno (per 12 battute) al Tempo I per un’ultima leziosa comparsa nei soli del tema del Rondò. Cui seguono (24’42”) le 4 battute di esilarante chiusura.
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Un brano davvero geniale e ispirato, che Kochanovsky ci porge con la consueta compostezza di gesto, mentre - inutile aggiungerlo - l’Orchestra, capitanata da Luca Santaniello, ci mette... il resto. Grande successo per tutti.

26 ottobre, 2019

laVerdi-19-20 - Concerto n°4


TTutta Russia (ma anche... Ukraina) per il settimanale concerto de laVerdi: si va a ritroso nel tempo, dal Prokofiev in procinto di rientrare in URSS al Ciajkovski entrato... nella piena maturità. Sul podio il redivivo e sempre convincente Stanislav Kochanovsky.

Con lui si presenta la bella Carolin Widmann per offrirci il Secondo Concerto per violino del russo (nato nell’est dell’Ukraina) Prokofiev.

Si tratta in pratica dell'ultima composizione portata a termine da Prokofiev in prossimità del suo ritorno in URSS e - per compiacere l’establishment, oltre e forse più ancora del pubblico - presenta una struttura assai tradizionale. Un Allegro moderato rigorosamente in forma-sonata, con i due temi contrastanti (SOL minore il primo, scuro e pensoso, e SIb maggiore il secondo, più contemplativo); un Andante assai, dove il violino espone una lunghissima e appassionata melodia in MIb, cui segue un Allegretto in RE; infine un Allegro ben marcato, un Rondo in SOL minore dalla struttura assai semplice (A-B-A-C-A-B-A-Coda).   

A dispetto della normalità formale, il pezzo presenta difficoltà non trascurabili e ciò non ha fatto che esaltare i meriti della 43enne monacense, ben supportata da Kochanovsky e dall’Orchestra. Ne è uscita un’esecuzione da incorniciare, e come cornice lei ci ha regalato un prezioso bis bachiano, un pezzo che non si smetterebbe mai di gustare: la Sarabanda dalla Seconda partita, in RE minore.
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Un russo che in Ukraina (ma all’ovest) ci faceva lunghe vacanze (e pure ci componeva capolavori) era Ciajkovski, che a Kamenka, ospite nei possedimenti del cognato Davidov, sfornò nel 1884 la sua Terza Suite per orchestra.

Le quattro composizioni di questo genere seguono assai da lontano la struttura barocca: l’uso del nome è poco più che un trucco escogitato dall’Autore per liberarsi dai rigidi canoni della forma sinfonica - che resta tuttavia sullo sfondo - e dare più spazio alla sua libera ispirazione. Anche nel caso di questa Terza, come ad esempio in quello della Serenata op.48, si potrebbe infatti parlare di una sinfonia anomala: suddivisa in quattro tempi, ma con l’ultimo che prende l’ipertrofica forma di Tema con Variazioni. Seguiamone l’interpretazione islandese del compianto Gennadi Roždestvenski.
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Il primo dei quattro movimenti è sottotitolato Elegia, tanto per chiarire da subito che non si tratta di musica a contenuto filosofico, ma sentimentale... Ci troviamo qua e là accenni, anche sfumati a precedenti composizioni, o anticipi di qualcosa che arriverà in seguito nella produzione dell’Autore. É un Andantino molto cantabile in SOL maggiore, 6/8 (2/4) dove troviamo due temi che in effetti si contrastano poco, essendo entrambi di natura contemplativa.

Il primo, che si ode subito negli archi (43”) è seguito da un controsoggetto in minore (1’24”). La breve transizione che segue (2’08”) ricorda da vicino un passaggio della Serenata composta 4 anni prima e un frammento che ricorda l’Andantino della Quarta. Dopo che il primo tema è stato riesposto anche dai fiati, ecco il secondo tema (3’29”) - qui un primo strappo alle severe regole sinfoniche - che è in tonalità di MIb maggiore. Par di sentirvi (3’40”) un presagio di Bella addormentata (Fata lillà) ma soprattutto (4’07”) la Francesca da Rimini, di 8 anni più longeva. Il tema si sviluppa assai introducendo anche un nuovo motivo, poi viene ripreso fino a chiudere l’esposizione.

Curioso poi lo sviluppo-ripresa: a 6’02” riecco il primo tema esposto bizzarramente nella tonalità del... secondo (MIb) e poi (7’45”) il secondo tema in quella del primo (SOL, qui nel rispetto delle regole). Dopo un ritorno della transizione, a 9’34” è ancora il primo tema a chiudere sommessamente sul SOL.

Segue ora la Valse mélancolique, tempo Allegro moderato, 3/4. Come anticipa il titolo, si tratta di una sommessa e a tratti cantilenante danza che richiama musica da balletto, terreno assai congeniale al compositore. È un brano strutturato in tre sezioni ABA, la prima permanendo in ambito SOL (MI minore e SOL maggiore) la seconda sconfinando nella sottodominante DO.

Aprono gli archi (12’21”) seguiti poi dai flauti che espongono il primo dolente tema in MI minore, subito ripreso con un’escursione (13’06”) a SOL maggiore. A 13’17” ecco un breve, veloce passaggio discendente-ascendente dei tre flauti che ancora richiama la Valse dell’op.48. A 13’24” flauti e clarinetti si librano in svolazzi di crome, sempre in SOL maggiore; poi a 13’43” ecco due ampie e solenni scalate che sfociano nel ritorno a MI minore, per la ripresa (14’09”) del primo tema esposto da corno inglese e viole e successivamente sviluppato.

A 15’10” una transizione caratterizzata da salti di ottava delle viole porta (15’23”) alla sezione B, in tonalità DO maggiore, ma sempre di sapore piuttosto mesto e strascicato (sequenza di semiminima-minima): è un’insistente serie di ottave che lentamente va crescendo di spessore, fino a culminare (17’32”) nella riproposizione della sezione A, tornata al MI minore, che va poi lentamente a spegnersi, sulla triade in pppp MI-SOL-SI degli archi.

Come nella forma sinfonica, segue uno Scherzo, tempo bipartito, ma a due facce (6/8 e 2/4) cioè caratterizzato ora da terzine, ora da duine. Quanto alla tonalità, siamo ancora in MI minore, ma sempre a cavallo con la relativa SOL maggiore. Assai vagamente vi possiamo riconoscere le tre classiche sezioni: Scherzo-Trio-Scherzo, ma anche qui non c’è grande contrasto fra i temi. L’attacco dei legni (19’54”) è effettivamente in SOL maggiore, con una frase di tre battute spiritate chiusa dall’accordo sulla triade. Subito gli archi rispondono con una frase più accomodante, in ritmo puntato. Lo scherzo si anima continuamente di nuovi colori finchè (20’56”) sfocia in una seconda parte più enfatica, dominata dagli ottoni, che porta (21’25”) alla riproposizione stringata del tema dello Scherzo, ridotto all’essenziale.

A 21’49” attacca quello che si può definire il Trio: la tonalità svaria tra SOL e RE maggiore, l’andamento ha un che di ripetitivo e ostinato, con frequenti svolazzi dei flauti a intercalare il motivo di carattere marziale. Una pesante progressione ascendente ci riporta (23’47”) al MI minore dello Scherzo, costellato da interventi di piccole percussioni, che va poi a chiudersi con uno schianto generale.

Colossale davvero, sia per struttura che per durata (pari al 48% dell’intera Suite!) ecco il conclusivo Tema con variazioni, Andante con moto, 4/8, SOL maggiore. Il Tema (24 battute, più una croma di attacco, precisamente come parecchie delle 12 Variazioni) viene esposto dai violini primi, con accompagnamento scandito dal resto degli archi. È un motivo scanzonato, quasi ad evocare un incedere a saltelli delicato o un ballo popolare. Si può suddividere in tre sezioni, ciascuna di 8 battute: soggetto (25’42”) - controsoggetto, con inversione di alcuni intervalli (26’00”) - soggetto (26’17”).

26’33” Variazione 1: Mentre tutti gli archi ripetono il tema in unisono, ma in pizzicato, come a trasformarlo in accompagnamento, flauti e clarinetti lo contrappuntano gaiamente con brillanti figurazioni.  

27’23” Variazione 2 (Molto più mosso): Il tema viene qui scomposto e destrutturato, con i suoi frammenti affidati a strumenti diversi, mentre i violini primi si sbizzarriscono in indiavolate biscrome, dalla prima all’ultima battuta.    

28’08” Variazione 3 (Tempo del tema): É affidata ai soli legni. Il primo flauto espone il soggetto del tema, accompagnato dagli altri legni. Poi ne accompagna (28’30”) il controsoggetto esposto dal secondo clarinetto; infine (28’54”) riprende il soggetto portandolo a conclusione.   

29’19” Variazione 4 (Tempo del tema): É in tonalità SI minore e presenta uno sdoppiamento del controsoggetto, ammontando quindi a 32 battute. Il soggetto viene esposto in minore da corno inglese e clarinetti, seguiti dal resto dei legni. Il controsoggetto, nella sua prima apparizione (29’46”) in SOL maggiore è affidato a violini e viole, ma poi ha una stupefacente ripetizione (Poco più animato, 30’10”) in MI minore, con i tromboni che trascinano l’intera orchestra in un colossale Dies Irae, che poi precipita negli archi fino alla ripresa, in SI minore (30’33”) del soggetto del tema.

30’59” Variazione 5 (Allegro risoluto): É in 3/4 e consta di ben 54 battute. Si presenta quasi come una fuga, con un fitto contrappunto che rende sfumata la suddivisione fra soggetto e controsoggetto del tema.

32’25” Variazione 6 (Allegro vivace): É in 6/8 e la struttura torna quella tripartita (8-8-8 battute). Il soggetto è presentato con pesanti accordi e ritmo marziale tali da renderlo quasi irriconoscibile. Più sciolto e scorrevole il controsoggetto (32’38”) che poi fa spazio al ritorno del soggetto (32’50”) sempre brutalmente scandito.

33’03” Variazione 7 (Moderato): É di appena 18 battute in 2/4 ed è affidata ai soli legni, e ricorda da vicino i corali bachiani. È il soggetto del tema ad esservi esposto e variato, fino a chiudere sulla sopratonica LA e quindi preparare il terreno alla successiva variazione.

33’44” Variazione 8 (Largo): É ancora più breve della precedente: sole 11 battute in 3/4 in tonalità LA minore. É il corno inglese ad intonare il tema con una triste e dolente melopea.

35’00” Variazione 9 (Allegro molto vivace): Sono 40 battute sempre in LA, ma maggiore (più la cadenza finale del primo violino). É uno spezzone del soggetto del tema a farla da padrone, con tutta l’orchestra che ribolle in un crescendo (Più presto, 35’22”) sfociante sul FA# dell’accordo che introduce (35’40”) la cadenza del violino solista. La quale a sua volta fa da apripista per la successiva variazione.

36’19” Variazione 10 (Allegro vivo e un poco rubato): Sono ben 90 battute di 3/8 in tonalità SI minore. È sempre il violino solista a guidare la danza, con sporadici interventi dei legni (che richiamano il soggetto del tema). A 37’40” il fagotto apre la strada all’intervento di clarinetto e oboe, poi corno inglese, che modulano a LA maggiore per esporre una lunga melodia ispirata solo vagamente al tema principale e che sfocia (38’15”) nel ritorno del SI minore intonato dal violino solista, che riprende il suo recitativo e chiude la variazione con una nuova, breve cadenza.

39’55” Variazione 11 (Moderato mosso): Sono 41 battute di 4/4 in SI maggiore. Il soggetto del tema vene qui ampiamente sviluppato, da archi e legni con grande enfasi. A 41’25” si rientra sul SOL maggiore per la chiusura della variazione e la preparazione al gran finale.

41’49” Variazione 12 - Finale - Polacca (Moderato assai): Siamo all’apoteosi, ben 213 battute di 3/4 in SOL maggiore. Dapprima ascoltiamo un’introduzione con fanfare che passano gradatamente dal SI minore al SOL maggiore di impianto. A 42’28” (Allegro moderato) ecco il tema principale farsi largo protervamente nei tromboni e poi nelle trombe; tutta l’orchestra comincia a ribollire e sembra prendere la rincorsa per arrivare (43’00”) al Tempo di polacca, molto brillante.

Difficile individuare un legame chiaro tale da poter considerare il motivo della Polacca come una variazione del tema principale del movimento: Ciajkovski però è un maestro nel farli convivere e ci costruisce un finale dei suoi, enfatico e retorico ma altrettanto trascinante, che non può non esaltare l’ascoltatore.  
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Beh, non c’è da stupirsi se questa Suite superi in popolarità anche più d’una delle sei sinfonie del compositore russo!

Come l’ha interpretata Kochanovsky? E come l’ha eseguita l’Orchestra? Il giovane maestro russo deve conoscere anche particolari poco pubblicizzati della composizione della Suite, se è vero che ha fatto - specie nel finale polacco - alcune scelte agogiche (brevi ritardando e poi tempi forsennati) che si tramanda essere state pensate da Ciajkovski anche se non riportate nelle edizioni a stampa. L’orchestra lo ha assecondato alla grande: da ricordare le splendide cavate dei celli (ieri guidati da Scarpolini) in specie nel secondo tema dell’Andantino iniziale, ma non solo; o lo sbudellante canto del corno inglese della Scotti; o i virtuosismi di Santaniello, per non parlare degli ottoni nel finale, davvero al calor bianco, tanto da far esplodere la sala (non proprio esaurita, va detto) in applausi entusiastici.