Il penultimo concerto della stagione (inserito nella prestigiosa rassegna Milano Musica) vede il gradito ritorno in Auditorium di Stanislav Kochanovsky (un russo sfuggito chissà come dalle grinfie del CoPaSir!!!) che dirige un programma est-europeo del ‘900.
I primi due brani sono di Witold Lutosławski. Ecco la Musique funébre, per soli archi (da 44 a 66, divisi in 4 parti di violini e 2 parti di viole, celli e bassi) composta a partire dal 1954, 10° anniversario della scomparsa di Béla Bartók (protagonista della seconda parte del concerto) e terminata nel 1958.
Esploriamola a volo d’uccello in questa interpretazione di Daniele Gatti con la ONF. Il Prologo (1’15”) si fonda sull’impiego di serie dodecafoniche ottenute per trasposizione, inversione e retrogradazione di due serie di base (S1 e S2, le prime entrate a canone dei due violoncelli) costruite alternando tritoni (a partire da FA-SI e SI-FA rispettivamente) seguiti da una seconda minore discendente (a); l’inversione delle due serie dà luogo a serie che alternano tritoni a seconde minori ascendenti (b):
Altre serie sono poi costruite a partire dalle restanti 10 note della scala cromatica. Possiamo interpretare (almeno io così mi sento di fare) il tritono come elemento di negatività (la morte, in effetti, e per di più crudele, come quella di Bartók) e la seconda minore come evocazione del lamento per quella morte.
La sequenza di entrate successive, dopo l’apertura dei due primi violoncelli, vede l’entrata delle prime viole, e via via dei violini e infine dei contrabbassi, che si aggiungono proprio a preparare il culmine di questa prima parte (3’19”) dove il tritono FA-Si viene reiterato pesantemente, poi sempre decrescendo con l’abbandono degli archi alti che lasciano solo celli e bassi (4’45”) a chiudere sommessamente sul FA.
Segue poi (5’09”) Metamorfosi, che parte da sordi pizzicati per poi (6’13”) evolvere in un continuo e lento crescendo melodico. La serie del Prologo viene ancora trasformata, la melodia culmina in volate di semicrome, che portano (10’07”) al breve...
Apogeo, solo 12 battute in fff dove l’intera compagine suona soltanto pesanti accordi di 12 note, tenuti e poi ribattuti. Un progressivo aumentare della lunghezza delle note (semicrome, crome, terzine di semiminime, semiminime, minima e breve) introduce (10’57”)...
l’Epilogo, che vede il ritorno in primo piano (11’31”) delle serie del Prologo, con il tritono SI-FA in posizione preponderante.
La chiusura (15’05”) è ancora riservata, come l’apertura del brano, al primo violoncello, che ripercorre spezzoni sempre più minuscoli delle ultime 4 note dell’inversione della seconda serie, che degrada di un semitono da quella fondamentale: MIb-LA-SIb-MI / LA-SIb-MI / SIb-MI / SIb / MI:
Ancora di Lutoslawsky ecco un brano vocale, Chantefleurs et Chantefables per soprano e piccola
orchestra. Si tratta di un ciclo di 9 canzoni per bambini, scelte fra gli 80
testi surrealisti di Robert Desnos e composte
fra il 1989 e il 1991:
1.
La Belle-de-Nuit
2.
La Sauterelle
3.
La Véronique
4. L'Eglantine,
l'aubépine et la glycine
5.
La Tortue
6.
La Rose
7.
L'Alligator
8.
L'Angélique
9.
Le Papillon
Ad interpretarle è il soprano Łucja Szablewska-Borzykowska, connazionale del compositore e al suo esordio qui in Auditorium. Musica atonale e canto che si avvicina allo Sprechgesang (tipo Pierrot lunaire...) La bionda Lucja sfoggia una bella voce lirica con la quale illustra tutte le sfumature di questi canti. L’Orchestra sottolinea discretamente la voce, salvo scatenarsi proprio nell’ultimo brano: l’invasione delle farfalle!
Come detto, si chiude con Béla Bartók e il suo Divertimento per archi, commissionato
dal, e dedicato al, mecenate della musica Paul
Sacher e alla sua Orchestra di
Basilea, che tenne a battesimo il brano l’11 giugno del 1940. Brano
composto di getto in una villa di Sacher sulle Alpi svizzere nell’estate del
’39, quando Bartók ormai si stava
rassegnando ad andarsene in esilio negli USA, abbandonando dolorosamente la sua
amata Ungheria, sempre più risucchiata nell’orbita nazista.
Ecco
come li interpreta il compatriota di Bartók Eugene Ormandy.
Si parte (9”) con un Allegro non
troppo, che ha struttura di forma-sonata... con qualche libertà. Il primo
motivo (in atmosfera di FA maggiore, con caratteristico accompagnamento di
triplette) si sviluppa su 13 battute, poi viene ripreso (35”) per altre 11
battute. Cui segue un rallentamento che introduce (1’07”) un secondo motivo
(Un po’ più tranquillo) - un
passaggio tipico del Concerto grosso,
con dialogo fra le prime parti (il concertino)
e il pieno orchestrale - che parte in LA e si chiude su un unisono di FA. Il
quale prepara il terreno al secondo tema (1’47”) assai lezioso, in
ambientazione di RE minore (relativa del FA del primo tema) e sempre con
dialogo soli-tutti. Lo sviluppo (3’09”)
vede classicamente protagonisti i due gruppi tematici, con passaggi a canone più
mossi alternati a prese di respiro; e porta poi (5’40”) alla ripresa: il primo tema viene riproposto,
anzichè sul FA, sul SOL e sul DO, mentre è il secondo (6’31”) ad accodarsi al FA
minore. Una coda (7’49”)
basata su una rielaborazione (Più
tranquillo, poi Sempre più lento)
del primo motivo porta ad una sommessa conclusione.
Il centrale Adagio (9’02”) apre con l’esposizione di una cellula di tre note nei violini secondi, poi nei primi su un accompagnamento degli altri archi che passa da un ostinato serpeggiamento ad una certa increspatura (10’07”) proprio su una melodia (mahleriana?) nei primi violini. Dopo un breve rallentamento ecco un fortissimo RE acuto che introduce (11’02”) un’irruzione delle viole, che poi passano il testimone a violini primi, fino al sopraggiungere di un passaggio (12’34”) caratterizzato da instabilità agogica: ecco un‘alternanza di sostenuto, lento e agitato, ed un progressivo crescendo che culmina a 13’45”, seguito da un decrescendo. Ancora il dialogo fra soli e tutti (14’28”) e poi ecco (15’17”) il ritorno della cellula primigenia, fino (16’59”) ad un autentico grido di dolore prima della mesta chiusura.
Nessun commento:
Posta un commento