intime gioje

chiuder la prigione e buttar la chiave

14 maggio, 2022

laVerdi 21-22. Concerto 29


Il penultimo concerto della stagione (inserito nella prestigiosa rassegna Milano Musica) vede il gradito ritorno in Auditorium di Stanislav Kochanovsky (un russo sfuggito chissà come dalle grinfie del CoPaSir!!!) che dirige un programma est-europeo del ‘900. 

I primi due brani sono di Witold Lutosławski. Ecco la Musique funébre, per soli archi (da 44 a 66, divisi in 4 parti di violini e 2 parti di viole, celli e bassi) composta a partire dal 1954, 10° anniversario della scomparsa di Béla Bartók (protagonista della seconda parte del concerto) e terminata nel 1958.

Composizione davvero singolare per concezione e realizzazione, che si può ben definire di alta ingegneria combinatoria, in particolare per la struttura dei due movimenti esterni dei quattro in cui si articola.
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Esploriamola a volo d’uccello in questa interpretazione di Daniele Gatti con la ONF. Il Prologo (1’15”) si fonda sull’impiego di serie dodecafoniche ottenute per trasposizione, inversione e retrogradazione di due serie di base (S1 e S2, le prime entrate a canone dei due violoncelli) costruite alternando tritoni (a partire da FA-SI e SI-FA rispettivamente) seguiti da una seconda minore discendente (a); l’inversione delle due serie dà luogo a serie che alternano tritoni a seconde minori ascendenti (b):

Altre serie sono poi costruite a partire dalle restanti 10 note della scala cromatica. Possiamo interpretare (almeno io così mi sento di fare) il tritono come elemento di negatività (la morte, in effetti, e per di più crudele, come quella di Bartók) e la seconda minore come evocazione del lamento per quella morte.

La sequenza di entrate successive, dopo l’apertura dei due primi violoncelli, vede l’entrata delle prime viole, e via via dei violini e infine dei contrabbassi, che si aggiungono proprio a preparare il culmine di questa prima parte (3’19”) dove il tritono FA-Si viene reiterato pesantemente, poi sempre decrescendo con l’abbandono degli archi alti che lasciano solo celli e bassi (4’45”) a chiudere sommessamente sul FA.

Segue poi (5’09”) Metamorfosi, che parte da sordi pizzicati per poi (6’13”) evolvere in un continuo e lento crescendo melodico. La serie del Prologo viene ancora trasformata, la melodia culmina in volate di semicrome, che portano (10’07”) al breve...

Apogeo, solo 12 battute in fff dove l’intera compagine suona soltanto pesanti accordi di 12 note, tenuti e poi ribattuti. Un progressivo aumentare della lunghezza delle note (semicrome, crome, terzine di semiminime, semiminime, minima e breve) introduce (10’57”)...

l’Epilogo, che vede il ritorno in primo piano (11’31”) delle serie del Prologo, con il tritono SI-FA in posizione preponderante.

La chiusura (15’05”) è ancora riservata, come l’apertura del brano, al primo violoncello, che ripercorre spezzoni sempre più minuscoli delle ultime 4 note dell’inversione della seconda serie, che degrada di un semitono da quella fondamentale: MIb-LA-SIb-MI / LA-SIb-MI / SIb-MI / SIb / MI:

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Che dire? Musica che non è proprio delle più digeribili... Tuttavia, se diretta e suonata come si deve merita di essere apprezzata, come ha fatto il pubblico abbastanza folto non lesinando lunghi applausi a Direttore e musicisti, con il violoncello di Tobia Scarpolini sugli scudi.
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Ancora di Lutoslawsky ecco un brano vocale, Chantefleurs et Chantefables per soprano e piccola orchestra. Si tratta di un ciclo di 9 canzoni per bambini, scelte fra gli 80 testi surrealisti di Robert Desnos e composte fra il 1989 e il 1991:

1.   La Belle-de-Nuit

2.   La Sauterelle

3.   La Véronique

4.   L'Eglantine, l'aubépine et la glycine

5.   La Tortue

6.   La Rose

7.   L'Alligator

8.   L'Angélique

9.   Le Papillon

Ad interpretarle è il soprano Łucja Szablewska-Borzykowska, connazionale del compositore e al suo esordio qui in Auditorium. Musica atonale e canto che si avvicina allo Sprechgesang (tipo Pierrot lunaire...) La bionda Lucja sfoggia una bella voce lirica con la quale illustra tutte le sfumature di questi canti. L’Orchestra sottolinea discretamente la voce, salvo scatenarsi proprio nell’ultimo brano: l’invasione delle farfalle! 

E così - come premio - il Papillon ci viene bissato!
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Come detto, si chiude con Béla Bartók e il suo Divertimento per archi, commissionato dal, e dedicato al, mecenate della musica Paul Sacher e alla sua Orchestra di Basilea, che tenne a battesimo il brano l’11 giugno del 1940. Brano composto di getto in una villa di Sacher sulle Alpi svizzere nell’estate del ’39, quando Bartók ormai si stava rassegnando ad andarsene in esilio negli USA, abbandonando dolorosamente la sua amata Ungheria, sempre più risucchiata nell’orbita nazista.

Tre movimenti che richiamano, come spesso in Bartók, ritmi e melodie popolari, con chiare inflessioni modali, ma sono costruiti su forme classiche, dal settecentesco Concerto grosso all’ottocentesca forma-sonata.
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Ecco come li interpreta il compatriota di Bartók Eugene Ormandy. Si parte (9”) con un Allegro non troppo, che ha struttura di forma-sonata... con qualche libertà. Il primo motivo (in atmosfera di FA maggiore, con caratteristico accompagnamento di triplette) si sviluppa su 13 battute, poi viene ripreso (35”) per altre 11 battute. Cui segue un rallentamento che introduce (1’07”) un secondo motivo (Un po’ più tranquillo) - un passaggio tipico del Concerto grosso, con dialogo fra le prime parti (il concertino) e il pieno orchestrale - che parte in LA e si chiude su un unisono di FA. Il quale prepara il terreno al secondo tema (1’47”) assai lezioso, in ambientazione di RE minore (relativa del FA del primo tema) e sempre con dialogo soli-tutti. Lo sviluppo (3’09”) vede classicamente protagonisti i due gruppi tematici, con passaggi a canone più mossi alternati a prese di respiro; e porta poi (5’40”) alla ripresa: il primo tema viene riproposto, anzichè sul FA, sul SOL e sul DO, mentre è il secondo (6’31”) ad accodarsi al FA minore. Una coda (7’49”) basata su una rielaborazione (Più tranquillo, poi Sempre più lento) del primo motivo porta ad una sommessa conclusione.

Il centrale Adagio (9’02”) apre con l’esposizione di una cellula di tre note nei violini secondi, poi nei primi su un accompagnamento degli altri archi che passa da un ostinato serpeggiamento ad una certa increspatura (10’07”) proprio su una melodia (mahleriana?) nei primi violini. Dopo un breve rallentamento ecco un fortissimo RE acuto che introduce (11’02”) un’irruzione delle viole, che poi passano il testimone a violini primi, fino al sopraggiungere di un passaggio (12’34”) caratterizzato da instabilità agogica: ecco un‘alternanza di sostenuto, lento e agitato, ed un progressivo crescendo che culmina a 13’45”, seguito da un decrescendo. Ancora il dialogo fra soli e tutti (14’28”) e poi ecco (15’17”) il ritorno della cellula primigenia, fino (16’59”) ad un autentico grido di dolore prima della mesta chiusura.

Il terzo movimento (17’25”) è un Rondo in Allegro assai. Anche qui torna spesso e volentieri l’alternanza soli-tutti del Concerto grosso. Dopo 13 battute introduttive che stabiliscono il ritmo, ecco (17’35”) esposto il tema del Rondo, una derivazione di quello del movimento iniziale, quindi dalle chiare connotazioni della musica popolare magiara. Seguito (17’45”) da un controsoggetto dl carattere diatonico (MIb maggiore) che dopo un breve ponte a canone, sfocia (18’13”) in un perentorio unisono di FA# e prepara l’ingresso (18’26”) di una nuova sezione bipartita: un tema che peraltro riprende tratti del primo, seguito (18’45”) da un controsoggetto. Il primo tema si ripresenta a 18’52” per chiudersi su un nuovo unisono che introduce (19’13”) una sezione occupata da una fuga, il cui soggetto è presentato anche in inversione. Il tempo rallenta e a 20’03” (Più lento) abbiamo un assolo del primo violino chiuso da una classica cadenza virtuosistica. A 20’51” ecco 7 battute introduttive e poi riappare il tema principale, immancabilmente variato sia nel soggetto che nel controsoggetto. Un crescendo, con ritorno del dialogo soli-tutti, ci porta (21’43”, Meno mosso) ad una sezione che ripropone, sempre in nuove forme, i motivi del Rondo. A 22’34” (Più mosso) ecco un sottofondo di terzine di violini secondi e viole che supportano la ricomparsa del tema principale, che viene sottoposto ad un vorticoso sviluppo, che poi va progressivamente calmandosi fino a... fermarsi completamente su una battuta di pausa. Adesso (23’43”, Grazioso) abbiamo un intermezzo tutto in pizzicato, dal sapore di una polka leziosa e ...settecentesca, chiuso (24’08”) col ritorno all’arco per un accordo che dà il la alla stretta conclusiva (Vivace, poi Vivacissimo e ancora Stringendo) basata sul tema principale ostinatamente reiterato. A 24’36” ecco un ritorno (per 12 battute) al Tempo I per un’ultima leziosa comparsa nei soli del tema del Rondò. Cui seguono (24’42”) le 4 battute di esilarante chiusura.
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Un brano davvero geniale e ispirato, che Kochanovsky ci porge con la consueta compostezza di gesto, mentre - inutile aggiungerlo - l’Orchestra, capitanata da Luca Santaniello, ci mette... il resto. Grande successo per tutti.

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