XIV

da prevosto a leone
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11 dicembre, 2016

La Butterfly del 17/2/1904: piace, ma andrebbe fatta a febbraio

 

Per riempire di credibilità la proposta di fare la Butterfly originale, logica vorrebbe che la si fosse messa in scena a partire dal 17 febbraio. Così ci sarebbe stata maggior precisione riguardo alla ricorrenza storica, dato che il 17/2/2017 sarà un venerdi, tipico giorno foriero di disgrazie (smile!) come quel mercoledi del 1904. Il pubblico più, diciamo, preparato, avrebbe volentieri trattenuto la curiosità per un paio di mesi; quello meno preparato starà ancora chiedendosi se il fiorito asil sia stato espunto perchè il tenore aveva problemi a cantarlo...

Meno male che Chailly (che un certo pubblico preparato vorrebbe fosse licenziato in tronco insieme al suo mentore Pereira) ci abbia indorato la pillola in maniera egregia, e insieme con il regista Hermanis ci abbia consentito non solo di non infierire sull’opera, come fecero a suo tempo i nostri nonni e bisnonni, ma di apprezzarla comunque e di applaudirla. Il primo lo ha fatto con una direzione sobria e priva di velleitarismi da quattro soldi e con una raffinata concertazione che ha mascherato alcune (più o meno veniali) pecche della compagnia di canto; il secondo con un allestimento intelligente e rispettoso del testo scritto, suonato e cantato.

Dunque, grande prova del Direttore e dell’Orchestra (dentro la quale mi piace rivedere il bravo Max Crepaldi, storico primo flauto de laVERDI ed ora secondo di Marco Zoni alla Scala) che hanno valorizzato al meglio tutti i tesori di questa partitura, che Puccini dovette amare forse più di ogni altra, stando alle continue cure cui la sottopose durante i 20 anni che gli rimasero da vivere.

Maria Josè Siri è una Cio-cio-san praticamente perfetta sul piano attoriale: si è calata completamente nella psicologia del personaggio, di cui fa emergere tutta la poliedrica complessità, dall’infantile ingenuità fino, all’opposto, all’estrema inflessibilità delle sue convinzioni. La voce è bella, corposa, specie nel centro, e l’espressività (fondamentale in un ruolo come questo) assolutamente apprezzabile. Qualche incertezza mostrata alla prima (come perlomeno emergeva dalla trasmissione radio) è evidentemente stata superata di slancio.

Accanto a lei una convincente Annalisa Stroppa, 30-cum-laude per l’interpretazione e un meritato 27 per il canto: insomma, ha dato il suo fondamentale contributo alla produzione... lacrimogena!

Il presuntuoso imperialista yankee è impersonato da Bryan Hymel: la sguaiatezza psicologica c’è proprio tutta... peccato che non si limiti ai gesti esteriori, ma sconfini un po’ troppo anche nel canto. Tuttavia non mi sento proprio di dargli un’insufficienza: la voce non gli manca, va meglio gestita, evitando ingolature e suoni eccessivamente aperti; che dire, che può solo migliorare (!)

Carlos Álvarez, da vecchio (si fa per dire, a 50 anni...) marpione qual’è, ci propina uno Sharpless precisamente come da copione: un buon padre di famiglia (che questa versione originale priva però di una parte fondamentale del suo ruolo, trasferita a Kate) che non ha, musicalmente, da scalare montagne, e che quindi il baritono spagnolo riveste al meglio della sua voce calda e penetrante.

A proposito di Kate, che qui sottrae a Sharpless una parte di responsabilità, la Nicole Brandolino ha fatto onorevolmente il suo compitino (così fa pure rima): ampia sufficienza per lei, che evidentemente, per andare sul sicuro, parlava sempre rivolta a... Chailly!  

Di Carlo Bosi si conosce la voce squillante e penetrante, doti che contribuiscono a renderci al meglio il personaggio buffo e un po’ vanesio di quel bizzarro venditore di generi assortiti (dalle case alle... mogli) che risponde al nome di Goro.

Gli altri sono personaggi, come si dice in gergo, di contorno; il nobile riccastro Yamadori (un collezionista di mogli cui evidentemente mancava ancora una donna giapponese convertita al cattolicesimo... merce rara) è un dignitoso Costantino Finucci; Yakusidé, che qui ha una parte più corposa che nella versione tradizionale, è Leonardo Galeazzi che ce la propone con sufficiente efficacia. Meno convincente l’invasato zio Bonzo, al quale Abramo Rosalen presta una voce poco... invasata, ecco, di cui Chailly si è forse fidato un po’ troppo. Gli altri cinque (vedi locandina) come da contratto sindacale.

Il coro (di Casoni) deve principalmente (non solo, si capisce) mugugnare (in senso buono, s’intende) e lo fa con la consueta professionalità.
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Alvis Hermanis (alla terza comparsa qui dopo un – per me – lunatico Soldaten e un passabile Foscari) non ha rischiato quasi nulla (e infatti gli schizzinosi che vedono la tradizione come muffa puzzolente lo hanno bersagliato di insulti) e si è concesso poche libertà, tutto sommato non proprio fuori luogo. Ad esempio, la trasformazione della dimora di Butterfly, da tipicamente giapponese (primo atto) a scimmiottante americana (secondo atto) sarà pur assente nelle didascalie del libretto, ma è presente in modo addirittura smaccato nel testo: dalla presentazione di Butterfly (Mrs. Pinkerton, please!) al suo benvenuto al mio console (Sharpless) in una casa americana! Che nei tre anni di attesa la poverina abbia girato i rigattieri di mezza Nagasaki per procurarsi tutto ciò che di occidentale potesse scovare (immagine del Sacro Cuor di Gesù inclusa) è cosa perfettamente compatibile con la psicologia del personaggio, quindi buona l’idea del regista-scenografo.

Assolutamente centrata l’impostazione della recitazione, con punte di diamante le due protagoniste femminili. Belli ed appropriati i costumi (con una piccola caduta di stile per il bonzo, una eccessiva caricatura) e poetiche persino le piante finte con i petali finti (qui peraltro il vecchio Appia avrebbe dato in escandescenze!)

Se si esclude l’esagerata e un po’ disturbante presenza di figure metafisiche... materializzate nell’ultima scena, mi pare che l’impianto del regista sia da giudicarsi più che apprezzabile. Certo, i soliti incontentabili, a cui magari piace vedere la Butterfly trasformata in un crudo e impegnato reportage sul triste fenomeno del turismo sessuale, dove lo spettatore alle lacrime sostituisca l’indignazione, ovviamente parlano di banalità, odore di muffa e scarso coraggio del regista. D’altra parte Puccini era uso dire che il suo obiettivo scrivendo opere era di far piangere il pubblico, non certo di dargli dei pugni nello stomaco!  

Tirando le somme: a parte la scelta della data, mi sento di dire che trattasi di una proposta da promuovere a pieni voti, proprio come ha fatto il pubblico anche ieri notte!

08 dicembre, 2016

La Butterfly di SantAmbrogio

 

Dato che la vedrò presto dal vivo, ieri pomeriggio ho preferito ascoltare la Madama su Radio3 invece che (anche) vederla su RAI1, in modo da poter seguire la musica anche con gli occhi oltre che con le orecchie. Occhi puntati sulla partitura Ricordi (in pratica, la versione di Parigi del 1906, quella universalmente impiegata e rappresentata) e il libretto (dal sito del teatro) che riporta il testo della ricostruzione della versione originale, fatta da Julian Smith, che evidenzia le parti presenti nella versione della disastrosa prima del 1904, successivamente tagliate (o in parte modificate) da Puccini.

Il fatto stesso che si parli di ricostruzione lascia capire come della versione 1904 non esista un riferimento authoritative (come si dice in gergo) e quindi come si debba andar piano a sostenere che ciò che si è udito ieri sia precisamente ciò che venne sonoramente disapprovato in quella lontana prima alla Scala. Personalmente lascerei queste primizie (quando sono – manifestamente – di qualità inferiore a ciò che si è in seguito consolidato) ad occasioni diverse da un SantAmbrogio: questa del 2016 mi ricorda la ri-apertura (con la famigerata Europa riconosciuta) del 2004, ecco.  

Chi ha visto l’opera in teatro o alla TV senza conoscerne più che bene la versione tradizionale probabilmente avrà potuto cogliere solo poche macro-differenze: come l’aggiunta della scenetta da avanspettacolo dell’ubriacone Yakusidé e la scomparsa del fiorito asil. In realtà le differenze sono numerose e attengono principalmente (nel primo atto) a battute piuttosto volgari ed offensive, al limite del razzismo, nei confronti della civiltà del Sollevante, battute dove oltretutto la musica tende ad allinearsi alla volgarità del testo. Forse per compensare questi tratti di anti-giapponesità c’è anche una battuta anti-yankee, laddove Butterfly, nel duetto di fine atto I, confessa a Pinkerton di averlo considerato (prima di conoscerlo) un barbaro, una vespa in quanto americano. 

E proprio quel passaggio (dalle parole di lei - Pensavo, se qualcuno volesse - a quelle di Pinkerton - Racconta) mi pare uno dei peggiori, sia dal punto di vista musicale che drammatico: quella rievocazione che Butterfly fa delle circostanze di natura commerciale che portarono al loro incontro provoca (nella prosaicità del testo e nell’insignificanza dell’accompagnamento musicale) una tremenda caduta di tensione all’interno di quel mirabile duetto che è una delle vette più alte dell’opera. E anche la scena dell’arrivo di Sharpless e dei coniugi Pinkerton nel finale è decisamente più debole (e non solo per il mancato Addio, fiorito asil) nella versione originale: la parte di Kate è assai più sviluppata (è lei che direttamente tratta con Butterfly la cessione del bambino) ma a scapito del realismo e della tensione drammatica, che invece troviamo nella versione divenuta poi tradizionale (dove è Sharpless a convincere la poveretta). Anche il passaggio del tentato pagamento dei danni (Sharpless che cerca senza successo di consegnare a Butterfly i denari di Pinkerton) è francamente insopportabile in quell’atmosfera carica di tensione che segue le parole di lei (Fra mezz’ora salite la collina) che nel libretto originale oltretutto devono essere ripetute poco dopo. 

E mi fermo qui, ma si potrebbe continuare nell’elencazione delle debolezze di questa (sedicente) versione originale. Insomma, siamo proprio sicuri che il fiasco di quel mercoledi 17 febbraio 1904 fosse dovuto esclusivamente alle trame di Sonzogno?      

Dirò la mia sull’esecuzione e sull’allestimento dopo l’esame in-corpore-vili; per ora mi fido delle impressioni di Amfortas, che come al solito si è eroicamente esposto a botta calda.

29 novembre, 2016

La farfalla ferita

 

SantAmbrogio si avvicina, così cominciamo a prepararci al fatale appuntamento... Ma un attimo: siamo sicuri poi che la Scala il 7 dicembre sia ancora in piedi? Eh sì, perchè tre giorni prima ci sarà stato l’armageddon e, dovesse sciaguratamente prevalervi il NO male, chi ci garantisce che anche il più famoso teatro italiano non faccia la fine (data per sicura da serissimi esperti) delle otto banche in sofferenza?

Mah, tutti quelli che se ne intendono (e quindi osteggiavano la brexit e acclamavano la hillary) ci garantiscono che il NO male non prevarrà... così possiamo scacciare gli incubi e continuare la nostra preparazione al grande evento!

Dunque, la Butterfly! Eh, sembra facile dirla così, ma quale Butterfly ci potremo godere (o sorbire, a seconda delle nostre attitudini pucciniane)? Sì, perchè di Butterfly (e tutte di Puccini!) ce ne sono due, no tre, anzi quattro, ma che dico: cinque; e mi voglio rovinare... addirittura sei, e se ancora non vi bastano, pure sette! Chi non ci crede o non ha potuto seguire la due-giorni (10-11 novembre) tenutasi al Ridotto Toscanini sull’argomento, si può convincere leggendo un saggio del super-esperto in materia Dieter Schickling (lo trovate, tradotto da un altro super-esperto, Michele Girardi, su questo mirabile programma di sala della Fenice, alle pagine 29-42; oppure in originale in lingua inglese qui, alle pagine 108-123).  

Riccardo Chailly ha promesso di farci un regalo (ma sarà poi davvero un regalo?): proporci la Butterfly che venne proditoriamente ferita (non ammazzata, per fortuna) quel mercoledi 17 febbraio 1904, proprio al Piermarini, per poi risorgere dalle ceneri il successivo 28 maggio (un sabato) a Brescia. Per poi subire continui ritocchi (tagli, soprattutto) in ondate successive, fino a stabilizzarsi (perlomeno a livello di repertori dei teatri) su un assetto vicino a quello assunto in occasione delle prime esecuzioni parigine del 1906, influenzate (nel bene e nel male) da quel vecchio volpone che rispondeva al nome di Albert Carré.

In soldoni e un-tanto-al-kilo, rispetto alle Butterfly che troviamo ogni giorno sugli scaffali di tutti i supermercati nei programmi di tutti i teatri, cosa ci dobbiamo aspettare? Di perdere Addio, fiorito asil e in cambio di trovare un po’ più di giapponesità assortite.

Ne sarà valsa la pena? (O certe novità converrebbe lasciarle a qualche festival balneare?)

07 febbraio, 2015

Orchestraverdi 14-15 – Concerto n° 20


Uno Jader Bignamini sempre più melodrammatico si ripresenta su podio de laVERDI per proporci la… prova generale di canto della Butterfly che fra pochi mesi lui stesso dirigerà nella sala dorata della Fenice. Sul cui sito ad oggi ancora non è pubblicato il cast, che però dovrebbe essere quello che si esibisce qui in Auditorium, se dobbiamo credere a quanto afferma lo stesso Maestro. Ed è in massima parte uno dei cast già protagonista delle rappresentazioni veneziane del 2013.

Questa è la classica opera strappalacrime (Puccini considerava primo obiettivo del compositore quello di far piangere il pubblico) che talvolta viene trasformata dai soliti registi creativi in crudo documentario sulla piaga del turismo sessuale (per fortuna non è il caso dello spettacolo della Fenice). Ecco, nulla più di una recita in forma di concerto (anzi, semiscenica) è funzionale agli obiettivi dell’Autore: senza distrazioni di sorta, lo spettatore può versare tutti i fiumi di lacrime indotti dal testo della premiata coppia Giacosa-Illica e soprattutto dai suoni del genio di Lucca. E anche ieri sera in Auditorium si sono visti parecchi occhi lucidi…

I due giovani, per non dire giovanissimi, protagonisti Svetlana Kasyan e Vincenzo Costanzo hanno confermato le loro ottime qualità: voce da soprano drammatico lei (con qualche punto debole nelle note gravi) e voce potente lui, anche se un poco stimbrata nei centri, ma insomma due prestazioni di tutto rilievo.

Ancor meglio di loro ha fatto, a mio modesto avviso, Luca Grassi, uno Sharpless davvero autorevole per impostazione vocale e portamento scenico. Benissimo anche la Suzuki di Manuela Custer e il Goro di Nicola Pamio.

Più che discrete le prestazioni dei tre personaggi di minor peso: William Corrò (Yamadori) Cristian Saitta (Zio bonzo) e Julie Mellor (Kate); così come quelle dei sei, chiamiamoli comprimari: Daniele Caputo (Il Commissario) Marco Piretta (zio Yakusidé) Gianluca Alfano (Ufficiale) Raffaela Ravecca (Madre di Cio-Cio-San) Anila Gjermeni (la zia) e Nina Almark (la cugina).

Eccellente anche la prestazione del Coro di Erina Gambarini, congedatosi con una meravigliosa esecuzione (a bocca chiusa) del finale della prima parte dell’atto secondo, accompagnato dal caldo suono della viola d’amore di Gabriele Mugnai, sistematosi per l’occasione proprio a fianco dei coristi.

Jader Bignamini non si smentisce e guida i ragazzi (ex-colleghi, si può ben dire) in una esecuzione vibrante, sempre pulita, senza una sbavatura: capita raramente di ascoltare a teatro passaggi come l’Introduzione alla seconda parte del second’atto (e successivo levar del giorno) suonati con tanta trascinante efficacia! 

Insomma, un successo completo e un trionfo per tutti.  

25 maggio, 2011

Cio-cio-san (per i piccoli) al Carlo Felice



Tema: Scrivete le vostre impressioni sullo spettacolo cui avete assistito ieri pomeriggio al Teatro di Genova.

Svolgimento (scolaro di 1a media):

Ero molto curioso di entrare nel teatro, perché finora ero solo andato al cinema colla mamma, oppure allo stadio col papà. Mi è piaciuto abbastanza, le poltrone sono comode, meglio di quelle di Marassi, però meno che al cinema. Purtroppo bisogna stare fermi e zitti e non si può mangiare pop-corn o patatine fritte.

All'inizio del primo tempo si è visto un giapponese vestito da donna che faceva vedere una casa vuota ad un tizio in divisa bianca, che poi si è messo a cantare sulla musica che si sente quando un americano vince la medaglia d'oro alle olimpiadi.

Poi è arrivata un sacco di gente per una specie di festa, che ho scoperto dalle scritte sul tabellone che era un matrimonio fra il tizio in divisa e una giapponesina che ha detto di avere solo 15 anni (ma a me sembrava più vecchia della mia professoressa). A me sembra anche una bella abitudine questa di sposarsi direttamente in casa, senza tutte quelle noiose cerimonie in chiesa.

Ad un certo punto della festa sono arrivati alcuni tizi vestiti di arancione e con le teste rapate, che hanno cominciato a fare un gran casino. A me il mio papà mi ha sempre detto che gli arancioni sono gente buona e non-violenta, ma forse questi erano degli infiltrati.

Quando il tizio in divisa bianca è restato solo con la giapponesina e si sono baciati c'è stato un gran casino, tutti a gridare come quando al cinema Richard Ghier si fa una bella gnocca. Ma l'orchestra ha continuato a suonare ancora per un bel po', fino alla fine del primo tempo, quando abbiamo potuto finalmente uscire per bere una coca.

Il secondo tempo è stato molto più noioso, con la giapponesina che consolava la sua schiava, e poi ha cantato una canzone che canta ogni tanto anche la mia mamma quando fa il bagno. Però a casa nostra nessuno le fa tutti quegli applausi.

Poi è arrivato un altro tizio seduto su una sedia portata da 4 schiavi, come il Papa che ho visto una volta alla televisione. Ma la giapponesina lo ha cacciato via perché voleva aspettare il tizio in divisa. A questo punto la gente ha applaudito (forse lo fanno sempre quando l'orchestra fa un gran casino) e così noi ci siamo alzati per tornare fuori ancora a bere qualcosa, ma il maestro ha ripreso subito a suonare e abbiamo dovuto stare di nuovo fermi e zitti per più di mezz'ora.

Il tizio in divisa è tornato davvero, stavolta però era vestito di nero ed era insieme a una tipa come la Canalis ma bionda, tutta il contrario della giapponesina. Però il tizio è scappato via per la vergogna, e così la giapponesina si è uccisa col coltello e ha lasciato il bambino da solo a giocare con una bandierina. Ma tutti abbiamo applaudito lo stesso.

Penso che chiederò alla mamma di portarmi ancora a vedere un'opera, però dove alla fine ci sia una lotta con sciabole spaziali, o almeno una bella sparatoria.


Ecco, speriamo proprio che questo non sia il livello medio delle reazioni degli scolaretti (di elementari e medie) che ieri pomeriggio hanno preso d'assalto, a centinaia e centinaia, il Carlo Felice, per questo specialissimo saggio di fine anno che era la quarta rappresentazione della Butterfly.

A parte le battute, non c'è che da lodare questa iniziativa di avvicinare i giovanissimi alla musica e all'opera, iniziativa che fa il paio con quella triestina, opportunamente segnalataci da Amfortas. E che va ovviamente integrata con altre, affinchè non cada nel vuoto, riducendosi ad un'allegra scampagnata fuori programma.

Che il teatro genovese sia risorto dalle ceneri è un dato di fatto, anche se all'orizzonte non mancano grossi e minacciosi nuvoloni… Tuttavia, dopo il successo di Pagliacci, anche questa Butterfly sta riscuotendo unanimi consensi e ciò lascia almeno aperta la speranza in un ritorno, diciamo così, alla normalità (quella sana però, mica quella delle ruberie e degli approfittatori).

Nel complesso una dignitosissima performance, di tutto il cast, su cui è spiccata Hui He, che ha confermato di essere un'ottima cantante, ma anche una sopraffina attrice. Max Pisapia al ballottaggio (smile!) con Mario Bolognesi; Elena Cassian e George Petean eletti direttamente. Tutti gli altri (vedi locandina) e il coro di Marletta all'altezza dei compiti.

Ranzani ha tenuto bene in pugno lo spettacolo, calamitando continuamente su di sé lo sguardo degli interpreti (cosa… interpretabile in vario modo); è comunque stato sempre attento a non coprirli, evitando pesantezze e limitando i fracassi al minimo consentito. Lodevole la decisione – forse non gradita al giovane pubblico - di non interrompere fra la prima e la seconda parte del secondo atto.

La regia, ripresa dal Montresor del '95 da Ignacio Garcia è di quelle che dimostrano come il miglior modo per far giustizia all'originale sia di… presentare l'originale, e non sue cervellotiche interpretazioni, che spesso degenerano in stravolgimenti. Ecco, ieri di dissacrante – ma qual ventata di aria fresca! – c'era solo la presenza dei ragazzini in platea.

Tirando le somme, un pomeriggio più che piacevole.
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