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29 novembre, 2016

La farfalla ferita

 

SantAmbrogio si avvicina, così cominciamo a prepararci al fatale appuntamento... Ma un attimo: siamo sicuri poi che la Scala il 7 dicembre sia ancora in piedi? Eh sì, perchè tre giorni prima ci sarà stato l’armageddon e, dovesse sciaguratamente prevalervi il NO male, chi ci garantisce che anche il più famoso teatro italiano non faccia la fine (data per sicura da serissimi esperti) delle otto banche in sofferenza?

Mah, tutti quelli che se ne intendono (e quindi osteggiavano la brexit e acclamavano la hillary) ci garantiscono che il NO male non prevarrà... così possiamo scacciare gli incubi e continuare la nostra preparazione al grande evento!

Dunque, la Butterfly! Eh, sembra facile dirla così, ma quale Butterfly ci potremo godere (o sorbire, a seconda delle nostre attitudini pucciniane)? Sì, perchè di Butterfly (e tutte di Puccini!) ce ne sono due, no tre, anzi quattro, ma che dico: cinque; e mi voglio rovinare... addirittura sei, e se ancora non vi bastano, pure sette! Chi non ci crede o non ha potuto seguire la due-giorni (10-11 novembre) tenutasi al Ridotto Toscanini sull’argomento, si può convincere leggendo un saggio del super-esperto in materia Dieter Schickling (lo trovate, tradotto da un altro super-esperto, Michele Girardi, su questo mirabile programma di sala della Fenice, alle pagine 29-42; oppure in originale in lingua inglese qui, alle pagine 108-123).  

Riccardo Chailly ha promesso di farci un regalo (ma sarà poi davvero un regalo?): proporci la Butterfly che venne proditoriamente ferita (non ammazzata, per fortuna) quel mercoledi 17 febbraio 1904, proprio al Piermarini, per poi risorgere dalle ceneri il successivo 28 maggio (un sabato) a Brescia. Per poi subire continui ritocchi (tagli, soprattutto) in ondate successive, fino a stabilizzarsi (perlomeno a livello di repertori dei teatri) su un assetto vicino a quello assunto in occasione delle prime esecuzioni parigine del 1906, influenzate (nel bene e nel male) da quel vecchio volpone che rispondeva al nome di Albert Carré.

In soldoni e un-tanto-al-kilo, rispetto alle Butterfly che troviamo ogni giorno sugli scaffali di tutti i supermercati nei programmi di tutti i teatri, cosa ci dobbiamo aspettare? Di perdere Addio, fiorito asil e in cambio di trovare un po’ più di giapponesità assortite.

Ne sarà valsa la pena? (O certe novità converrebbe lasciarle a qualche festival balneare?)

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