XIV

da prevosto a leone
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29 dicembre, 2017

laVerdi 17-18 – Concerto n°10


Da oggi e fino al prossimo lunedi sera laVerdi offre ben quattro esecuzioni della Nona beethoveniana, tradizionale appuntamento di Capodanno in Auditorium. Quest’anno, dopo averci regalato la sua appassionata lettura dell’altro chiodo fisso delle stagioni dell’Orchestra (il Requiem verdiano) è ancora Elio Boncompagni a salire sul podio per quello che sarà il suo ultimo appuntamento della stagione che si concluderà a giugno ’18.

Questa sera la sala di Largo Mahler è stata letteralmente presa d’assalto (e tutto lascia prevedere che lo sarà nelle tre successive repliche) da un pubblico che ha seguito l’esecuzione di orchestra, coro e solisti in quasi (tossi e raffreddori permettendo) religiosissimo silenzio, per esplodere poi, sulla conclusiva scalata di RE maggiore, in un autentico boato di liberazione, come nessun altro evento musicale sa forse suscitare in corpi e anime. Orchestra stranamente orfana di entrambe le sue spalle, peraltro ben guidata da Danilo Giust: signore in rosso e papillon pure rosso per i maschietti.    
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L’approccio di Boncompagni è stato assolutamente conservativo, sia nella scelta dei tempi (abbastanza... toscaniniani, ecco) che in quella dei contenuti (niente da-capo nella ripresa dello Scherzo). Si è trattato, almeno per me, di un’esperienza più che positiva.

Mediamente all’altezza dei rispettivi compiti almeno tre dei quattro solisti: Cinzia Forte, Stefanie Irányi e Carlo Allemano. Il basso Simon Schnorr, purtroppo per lui, un po’ sotto la sufficienza, per l’eccessivo vociferare. Certo lui ha l’attenuante di essere arrivato all’ultimo momento a sostituire l’indisposto titolare Sebastian Holecek, oltre che quella naturale di dover aprire il canto con quel micidiale recitativo O Freunde! Sempre sui suoi standard il Coro di Erina Gambarini, che Beethoven chiama, insieme ai solisti, ad un impegno proibitivo, superato in assoluta brillantezza!

Alla fine il solito bis con la ripetizione della sezione finale dell’Inno schilleriano.
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Personalmente il momento che sempre mi emoziona di più all’ascolto della nona è quello che arriva quando violini secondi e viole fanno emergere suoni paradisiaci da questi apparenti scarabocchi:


E c’è n’è proprio bisogno, in tempi che ci riservano ogni giorno miserabili spettacoli di inciviltà e di incultura... che c’è poca speranza che anche il 2018 potrà ahinoi evitarci. E allora: un buon anno nuovo in musica, a chi la fa e a chi l'apprezza.

11 novembre, 2017

laVerdi 17-18 – Concerto n°6


È ancora il venerabile  Elio Boncompagni a calcare il podio dell’Auditorium per dirigere un programma dal taglio classico: ouverture, concerto solistico e sinfonia. Dopo due brani di Beethoven ci si sarebbe aspettato che lo fosse anche il terzo (che so, una delle sinfonie pari...) e invece ecco spuntare il Brahms pastorale... 

L’Ouverture Die Weihe des Hauses (op.124) occupa una posizione assai scomoda nel catalogo beethoveniano, stretta com’è nella stritolante tenaglia di Missa (op.123) e Nona (op.125). E sono anche gli anni delle ultime tre sonate e delle variazioni Diabelli!


Il titolo dell’Ouverture è stato tradotto in italiano in modo letterale (La consacrazione della casa) il che porta francamente fuori strada chi non sia informato delle circostanze che ne determinarono la composizione. Chiunque infatti penserebbe subito alla casa nell’accezione di dimora e quindi, in senso lato, di famiglia: quindi immaginerebbe che si tratti della solennizzazione della classica benedizione delle famiglie (a pochi verrebbe in mente di pensare alla consacrazione di una... ditta!)

Invece Haus in crucco (così come House in albionico) è un termine impiegato (anche) per definire i teatri (es.: Royal Opera House, Opernhaus Zürich); ed è proprio l’inaugurazione di un teatro viennese (Theater in der Josefstadt) che fece arrivare a Beethoven la commissione per un lavoro che celebrasse l’avvenimento. Per risparmiare tempo e fatica Beethoven propose un rifacimento delle Rovine di Atene (altro pezzo di circostanza composto 11 anni prima per l’inaugurazione di un teatro tedesco a Pest). Dopodichè, oltre a rimaneggiamenti vari del corpo dell’opera, Beethoven ne scrisse una nuova Ouverture, quella che si ascolta normalmente e anche qui.

Si dice che l’ispirazione estetico-formale sia venuta a Beethoven da Händel, ed in effetti sentiamo atmosfere da pomposità tipiche delle musiche che il tedesco trapiantato in Albione componeva per i Reali di lassù, ma anche un complesso contrappunto che caratterizza il nucleo della composizione. Il cui monotematismo rischia di rendercela un tantino indigesta, soprattutto se ulteriormente appesantita nell’agogica, come ad esempio fa qui Klemperer. Molto meglio – per me, ovviamente – il solito Toscanini, che la propone con il suo proverbiale piglio.

Boncompagni direi che sta più con Toscanini che con Klemperer, il che secondo me gli rende merito: smaglianti le sonorità dell’orchestra, guidata da Dellingshausen e disposta ancora con le viole a sinistra e i secondi violini al proscenio.  
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Giuseppe Andaloro fa il suo ritorno in Auditorium dopo tre anni per presentarci il Primo Concerto del genio di Bonn. Lui e il Direttore sembrano voler spiegare in musica l’irrompere dell’800 nel ‘700: Boncompagni attacca le prime 15 battute come fosse un lezioso Mozart giovanile, quasi col solo concertino; per poi esplodere col vigore tipico dello spirito beethoveniano. Il solista fa lo stesso, attaccando con leggerezza per poi mettere in risalto gli accenti quasi eroici che spuntano qua e là nella partitura. Grandiosa la cadenza del primo movimento, nobile e sognante il Largo, brillante il finale Rondo.

Un’esecuzione decisamente apprezzabile, che il 35enne palermitano completa con ben due bis: Melodia trascritta da Sgambati dall’Orfeo di Gluck, e poi un’impertinente sonatina di Domenico Scarlatti.
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Chiude la serata la Seconda Sinfonia di Brahms. Ancora da elogiare la lettura di Boncompagni, a partire dalla sensibilità mostrata nell’esposizione dell’Allegro non troppo iniziale, dove il Direttore ha dato al da-capo sfumature diverse (più tenui) rispetto alla prima presentazione. Tempi abbastanza sostenuti, ma mai strascicati, insomma un’esecuzione coinvolgente, chiusa in modo spettacolare dalle luccicanti sonorità dei fiati.

Successo pieno, proprio come l’Auditorium, che dà l’arrivederci al Direttore per la Nona di Capodanno.       

03 novembre, 2017

laVerdi 17-18 – Concerto n°5


Il Requiem di Verdi è (con la Nona beethoveniana) uno dei due tradizionali appuntamenti fissi della stagione principale de laVerdi, che ha l’occasione di impegnarci l’intero suo organico strumentale e vocale. Quest’anno la bacchetta che guida orchestra e coro in entrambi gli appuntamenti fissi è quella di Elio Boncompagni, che ritroveremo sul podio dell’Auditorium anche nelle prossime settimane, chiudendo l’anno appunto con la Nona.

Il Requiem (si sa) era stato originariamente pensato da Verdi come una Messa funebre per Gioachino Rossini, che aveva impegnato alcuni musicisti a comporne le diverse sezioni. Per combinazione proprio fra qualche giorno quella Messa, mai eseguita a suo tempo e riportata alla luce solo a fine ‘900, sarà presentata alla Scala da colui che è tuttora Direttore Onorario de laVerdi, con la quale interpretò il Requiem in quattro stagioni consecutive, a partire dal 2001.
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Il quartetto dei solisti si è assestato soltanto all’ultimo momento, con la sostituzione di Tiziana Carraro con Cristina Melis; ma già da tempo era cambiato anche il tenore: Matteo Lippi, al posto dell’originariamente annunciato Antonio Gandia; con loro il soprano argentino Virginia Tola e il basso Dario Russo. Un quartetto comunque ben assortito, che ha dignitosamente figurato: tutte voci bene impostate e dotate di discreta potenza (forse alla Melis manca qualche decibel...) ma soprattutto di sensibilità di accenti e sfumature.

Il Coro di Erina Gambarini ancora una volta sugli scudi, specie nei momenti di massimo raccoglimento religioso, con passaggi in pianissimo davvero emozionanti. Orchestra – disposta con le viole a sinistra, cosa non nuova per Boncompagni, e imitata di recente da Caetani - sui suoi standard di qualità (perdoniamo una sgradevole stecca di una tromba all’attacco del Tuba mirum) che ha ben assecondato la lettura del Direttore.

Al quale la veneranda età (84 anni, ma portati alla grande) permette di identificarsi con quella pietas che dovette ispirare il 63enne Verdi di fronte alla scomparsa di un grande italiano: il suo Requiem ne è pervaso da cima a fondo, e quindi ancor più drammatici si stagliano su essa i tellurici scoppi del Dies Irae, ma anche le terrificanti implorazoni del Domine, Domine, Libera me.

Auditorium pieno come un uovo, che ha tributato lunghe ovazioni a tutti.

04 giugno, 2016

LaVERDI 2016 – Concerto n°20


Questa prima settimana di un giugno piuttosto imbronciato ci porta un concerto diretto dal venerabile Elio Boncompagni, uno che i suoi 83 anni non li dimostra proprio. Il programma è una specie di testa-coda, dato che ci propone – in fatto di sinfonie - l’alfa di Beethoven e l’omega di Schubert. Programma quindi di quelli che attirano normalmente un folto pubblico, e così è stato anche stavolta, a dispetto del ponte patriottico che si chiuderà domenica con la (prima?) sfida per il trono di Milano fra due candidati di destra, uno dei quali si è furbescamente travestito da sinistro, per non essere expo-sto al ludibrio delle folle.

Boncompagni assomiglia un po’, nell’età, nella figura ma anche nell’approccio interpretativo, ad un altro vecchietto ben noto al pubblico de laVERDI: Helmuth Rilling. Sobrietà di gesto, bando ad ogni gigioneria e soprattutto grande fedeltà ai testi, a cominciare dallo scrupolosissimo rispetto di tutti i da-capo (il che nella grande significa per davvero proporre le celestiali lungaggini di schumanniana memoria).

Curiosa invece la dislocazione delle sezioni degli archi sul palco: violini secondi al proscenio sulla destra, ma celli e bassi dalla stessa parte, dietro; viole a sinistra, dove di norma siedono i secondi violini.

Per il canuto ma arzillo vegliardo e per i ragazzi, ieri guidati dalla seconda spalla dell’Orchestra, Nicolai Freiherr von Dellingshausen, un meritatissimo successo.

Chiudo qui in fretta e furia, chè mi aspetta un (piacevole, spero) viaggetto in laguna per salutarvi tale Fritz Kobus prima che... prenda il largo per la luna di miele su uno di quei grattacieli che solcano maestosi la Giudecca. A domani dunque.