XIV

da prevosto a leone
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15 giugno, 2024

Orchestra Sinfonica di Milano – Stagione 23-24.26

Chiusura in bellezza della stagione principale dell’Orchestra Sinfonica di Milano, con il ritorno sul podio di una vecchia conoscenza, Patrick Fourniller, e alla tastiera dei due fratelli (ma qui separati, salvo... bis!) Jussen. Presente anche il Coro Sinfonico, a (quasi) completare tutto l’organico musicale della Fondazione.

Programma invero sontuoso, tutto beethoveniano. Si parte infatti con l’Imperatore! È il maggiore dei due olandesini, Lucas, a cimentarvisi. Prestazione davvero impeccabile, per mirabile rigore tecnico coniugato con raffinatezza di tocco e perfetta intesa con orchestra e direttore.

Scroscianti applausi e ovazioni per lui, che (ma solo per ora…) non concede bis
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Ecco quindi il gran finale, con la Fantasia op. 80, che impegna Arthur al pianoforte, il Coro di Massimo Fiocchi Malaspina, e sei solisti (SATB): Bernarda Bobro e Sarah Fox (soprani); Aoxue Zhu (alto), Patrik Reiter e Artavazd Sargsyan (tenori); e Matthias Winckhler (basso).

Giovedi 22 dicembre 1808 il Theater an der Wien ospitò un concertucolo di opere beethoveniane (una delle cosiddette accademie che i compositori organizzavano per farsi pubblicità…) avente in programma:

- Sinfonia n°5 e Sinfonia n°6 (prime esecuzioni);
- Concerto per pianoforte n°4;
- Aria Ah, perfido!;
- Messa in DO maggiore (3 movimenti);
- Fantasia corale op.80 (prima esecuzione).

Solo 4 orette di musica, che sarà mai… Qui un dipinto di Moritz von Schwind che raffigura una fase – piuttosto, ehm… disordinata - delle prove della Fantasia:

Il piccolo seme da cui germoglierà la Fantasia è un Lied giovanile (1795) intitolato Seufzer eines Ungeliebten (noto come Gegenliebe, Amore reciproco). E in seguito dal tema della Fantasia nascerà quello, passato alla storia, dell’Inno alla Gioia della nona:

Seguiamo un’esecuzione dei Wiener con Lenny Bernstein e Homero Francesch. L’articolazione del brano è essa stessa assai bizzarra: (50”) una lunga (a dispetto delle sole 26 battute) Introduzione del pianoforte solo, in tempo Adagio (DO minore-maggiore) e in forma di cadenza concertistica è seguita direttamente dal Finale, che ha una struttura assai complessa, anticipando (in scala ridotta) quella del finale della nona.

È aperto (4’01”) in DO minore, tempo Allegro, dall’orchestra, con i bassi a supportare il pianoforte nella transizione a DO maggiore (Meno allegro, 5’10”) dove il solista, introdotto da una lenta fanfara di corni e oboi, espone quello che sarà il tema cardine dell’opera, derivato dal Gegenliebe, e che successivamente verrà ripreso da solisti e coro, proprio come avverrà (in proporzioni moltiplicate) nell’Op.125.

Il pianoforte chiude questo primo intervento con uno svolazzo di biscrome, quindi si limita ad accompagnare il flauto solo, che gli subentra (6’06”) presentando una virtuosistica variante (semicrome in luogo di crome) del tema, poi imitato (6’35”) dagli oboi e successivamente (7’02”) dai clarinetti, contrappuntati dal fagotto.

Infine (7’28”) entra il quartetto d’archi, imitando i legni con una versione più mossa – quasi un controsoggetto - del tema principale, che torna in grande spolvero (7’56”) con un robusto tutti della sola orchestra.

Il pianoforte chiude questa sezione (8’23”) con una lungo ponte che modula (8’38”) a SOL maggiore e sfocia (9’07”) in una veloce (sempre più allegro) cadenza che riporta SOL a dominante e apre (Allegro molto, 9’13”) una sezione di sviluppo in DO minore caratterizzata da un serratissimo dialogo solista-orchestra.

Sfumato il quale, ecco un’altra sorpresa, con il solista che modula arditamente (9’43”) a SI maggiore (!) per riesporre il tema. Quindi fa progressivamente degradare la tonalità (10’13”) a LA minore, sempre in stretto dialogo con l’orchestra, preparando la successiva sezione (Adagio ma non troppo, 10’58”) in LA maggiore. È un passaggio sognante del pianoforte, discretamente accompagnato da clarinetti, fagotti, viole e celli.

Altra ardita modulazione (13’54”) a FA maggiore, e passaggio in Marcia, assai vivace (anche qui si anticipa la nona!) per una nuova esposizione variata del tema da parte dell’orchestra (quasi alla turca…) Il solista (14’22”) torna ad interporsi all’orchestra, mentre i… turchi si allontanano.

Il pianoforte ancora in primo piano (15’05”) con un mesto ricordo del tema, riportando la tonalità a DO minore, poi si torna all’Allegro introduttivo, con i bassi (15’44”) a preparare l‘Allegretto, ma non troppo (quasi Andante con moto, 16’06”) che prelude finalmente all’ingresso dei solisti (16’25”) e poi di tutto il coro.

Siamo tornati al solare DO maggiore, e ascoltiamo l’inno alla fratellanza di Christoph Kuffner, una pagina breve ma efficace, da cui Beethoven coglierà più di uno spunto (non ci vuol molto ad individuarlo…) per musicare – anni e anni dopo – Schiller.   
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Il giovane Arthur si fa valere nella difficile Introduzione solistica, come nei diversi dialoghi con l’orchestra che caratterizzano il brano. Orchestra sempre all’altezza della sua fama. Le sei voci soliste e il Coro di Fiocchi Malaspina danno il loro grande contributo al successo dell’esecuzione, salutata da ripetuti applausi ritmati.

Prima dell’ultimo omaggio generale torna sul palco Lucas e si siede a destra di Arthur sullo sgabello del pianoforte. Insieme ci lasciano con il Bach della Sonatina dall’Actus Tragicus, trascritta da Kurtág.

Davvero una conclusione di stagione alla grande. Ma l’Orchestra ora si prepara ad una importante trasferta a Francoforte, dove con Tjeknavorian porterà i Carmina Burana.

17 gennaio, 2020

laVerdi-19-20 - Concerto n°13


La Vienna di Haydn e Mozart è protagonista dell’appuntamento settimanale in Auditorium, propostaci dal Direttore Principale Ospite. Ma forse sarebbe meglio dire: l’Impero austro-ungarico, visto che il concerto si apre con un’opera composta ed eseguita originariamente (come moltissime altre di Haydn) in quel di Eszterháza, residenza magiara dei principi mecenati dai quali il compositore era stipendiato. Il programma si articola su tre tappe di un ventennio di fine ‘700, dal ’68 all’86.   

Ecco quindi la Sinfonia N°49, del 1768, nota col nickname La Passione che - come quasi tutti i nomignoli affibbiati a sinfonie di Haydn - è tutto fuorchè farina del sacco dell’Autore. Se proprio si vuol trovare un nesso fra il sottotitolo e la musica, il più plausibile (o il meno contorto) è dato dalla tonalità minore (FA) che caratterizza tutti e quattro i movimenti della Sinfonia.

Come supporto per una sua sommaria analisi, propongo questa esecuzione registrata proprio nel luogo dove la Sinfonia venne alla luce, e diretta da quel Fischer Ádám (in Ungheria si usa sempre mettere il cognome prima del nome) che, con il fratello Iván, è un illustre esponente della tradizione musicale austro-ungarica.
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La struttura generale è derivata da quella della barocca Sonata-da-chiesa, che prevede quattro movimenti, alternati lento-veloce. Se si esclude il Menuetto (che ha una forma canonica, con Trio) gli altri tre movimenti replicano regolarmente la stessa struttura interna, suddivisa in due parti da replicare: esposizione e sviluppo+ricapitolazione, una forma-sonata sui-generis. Se si escludono sporadiche modulazioni ad altre tonalità e il FA maggiore del Trio, l’intera Sinfonia presenta temi in FA minore e nella relativa LAb maggiore.

Si inizia quindi con un Adagio in 3/4, la cui prima sezione è aperta (20”) da 6 battute di introduzione in FA minore, cui segue (43”) il tema principale che modula (1’22”) al LAb maggiore, dove troviamo un secondo motivo che si sviluppa fino ad una coda (2’28”) e alla chiusura (2’46”) della sezione, che viene ripetuta. La seconda sezione (5’15”) inizia ancora in LAb maggiore con l’esposizione del tema, che ora modula (5’48”) a FA minore (in sostanza si scambiano le tonalità rispetto alla prima sezione). Sempre in FA minore (6’16”) ecco la ricapitolazione con il ritorno dell’introduzione e dei due temi (con un breve passaggio a REb maggiore) seguiti dalla coda (8’00”) che chiude in FA minore la seconda sezione (8’20”) non ripetuta da Fischer.

Ecco ora un Allegro di molto, 4/4, ancora in FA minore. Le due sezioni da ripetersi sono anche qui in tonalità FA minore e relativa LAb maggiore, cui si aggiungono - nello sviluppo soprattutto - altre modulazioni. A 8’38” attacca il primo tema, assai mosso, caratterizzato da intervalli piuttosto ampi (anche nell’accompagnamento) in FA minore. Esso chiude sulla dominante LAb e da qui (8’56”) ecco il secondo tema, in questa tonalità, di carattere più lirico, che poi (9’09”) ha un’impennata sulla dominante MIb, per tornare presto a LAb, dove il primo motivo riprende, sviluppandosi poi ulteriormente fino alla chiusura della sezione di esposizione (9’50”) che viene integralmente ripetuta. La seconda sezione (11’02”) parte dal primo tema, ma in LAb maggiore, che chiude però sul SOL (11’31”) mediante del MIb maggiore che riprende il secondo motivo, il quale modula ulteriormente alla relativa DO minore (11’58”). Torna fugacemente il LAb maggiore (12’03”) che presto fa spazio al FA minore di impianto. Da qui la ripresa dei temi che conduce (13’07”) al termine della sezione (non ripetuta da Fischer).

Arriva ora il Menuetto, 3/4, FA minore. Tempo lezioso e primo tema (13’28”) che sfocia sulla dominante LAb maggiore, per poi essere ripetuto (13’50”). Secondo motivo (14’13”) più sviluppato, tutto in FA minore, fino ad una coda (15’27”) che porta alla sua chiusura (15’44”). Fischer non ripete questa seconda parte del Menuetto, passando direttamente al Trio, in tonalità FA maggiore, canonicamente suddiviso in due sezioni, entrambe da ripetersi. La prima viene ripetuta (15’54”) e la seconda segue (16’04”) con ripetizione (16’19”). Si ritorna poi al Menuetto (16’34”) eseguito - come di prammatica - senza ripetizioni, e chiuso a 17’42”.     

Chiude il Finale, Presto, 4/4 alla breve, FA minore. Torna la struttura bipartita, con due sezioni da ripetersi. A 17’59” attacca il primo tema in FA minore, dal piglio energico caratterizzato dai tre strappi violenti, poi calmandosi fino a cadere sulla tonica. Ora (18’14”) subentra ex-abrupto un secondo motivo in LAb maggiore, con i fiati a tenere lunghe note e gli archi ad accompagnare con crome veloci. La sezione si chiude a 18’34” e viene ripetuta. La seconda parte di sviluppo (19’10”) inizia ancora in LAb con la riproposizione del primo tema, seguito poi dal secondo che porta ad una provvisoria modulazione (19’31”) a DO minore, dove i fiati, per terze, ripropongono il primo tema. A 19’36” si torna a FA minore, per la chiusa (20’03”). Questa volta Fischer, appropriatamente direi, ripete anche la seconda sezione.
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Bisogna riconoscere che alla monotonia (delle tonalità e della struttura dei movimenti) non corrisponde affatto una monotonia per l’udito dell’ascoltatore, al contrario sempre tenuto in tensione dalla vivacità e dalla gradevolezza dei temi. Fournillier ci propone questo cammeo con la dovuta delicatezza, eseguendo fra l’altro tutti i da-capo, escluso quello della seconda sezione del primo movimento. E la smagrita, cameristica compagine strumentale (meno di 40 esecutori in tutto, guidati da Dellingshausen) ne asseconda alla perfezione gli intenti, facendosi apprezzare per la limpidezza del suono.

Così il pubblico (non proprio da tutto-esaurito...) mostra il suo apprezzamento con convinti applausi. 
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Ci si sposta di quasi 10 anni (1777) per incontrare il Mozart del Concerto per oboe (K314) già udito qui quasi 4 anni orsono proprio con Fournillier (e il solista bolognese Paolo Grazia). Il Teofilo lo riciclerà come secondo concerto per flauto, portandolo dal DO al RE maggiore; poi il terzo movimento fornirà (in SOL maggiore) il supporto musicale ai versi Welche Wonne, welche Lust di Blondine nel second’atto del Serraglio.

Ad interpretare la parte solistica è chiamato questa volta uno dei due principal all’oboe de laVerdi, Luca Stocco. Che sciorina una prestazione davvero strepitosa, se si considera che il brano presenta impervie difficoltà per l’esecutore (non per nulla Mozart lo ritenne degno del... flauto, assai più a suo agio in quel territorio).

Per ripagare gli scroscianti applausi, il moschettiere si esibisce nella prima delle Sei Metamorfosi di Benjamin Britten (Pan).
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La chiusura della serata è affidata alla quart’ultima Sinfonia di Mozart: la cosiddetta Praga. Che è del 1786, quindi dal concerto per oboe abbiamo fatto altri 10 anni (quasi) di strada e siamo ormai all’inizio del lungo rettilineo d’arrivo del percorso mozartiano (di lì a poco proprio Praga ospiterà trionfalmente Don Giovanni, che con questa sinfonia ha più di un punto di contatto).

Sinfonia in tre movimenti, mancando del tradizionale Menuetto (la causa precisa di ciò non è mai stata accertata con esattezza). Sinfonia che parte con un’Introduzione lenta che ricorda Haydn, non solo nella forma, ma anche nella cupa sostanza Sturm-und-Drang. Fournillier la dirige a memoria e senza bacchetta, dandocene un’interpretazione davvero coinvolgente. E l’Orchestra - ben rimpolpata nei ranghi rispetto ai primi due brani - ha risposto (come sempre) alla grande.

16 ottobre, 2019

laVerdi-19-20 - Concerto n°3 (anteprima)


Il terzo appuntamento stagionale de laVerdi (in programma venerdi e domenica) ha avuto nel pomeriggio una speciale anteprima (una specie di seconda prova generale) nel bellissimo Auditorium della IULM, la giovane quanto già affermata Università milanese (operante anche a Roma) che ha la sua modernissima sede a 2-3 tiri di schioppo dall’Auditorium di Largo Mahler. E anche (soltanto un tiro in più...) dall’Università Luigi Bocconi, nella quale Facoltà di lingue straniere (inopinatamente chiusa nel 1968) operavano i due fondatori della IULM: Silvio Baridon e Carlo Bo, i quali risposero alla chiusura della Facoltà bocconiana con la creazione di un’Università specializzata in lingue moderne, poi allargatasi al più vasto mondo delle arti e della cultura.

E proprio in nome di questi nuovi orizzonti, e per festeggiare la conclusione di un importante progetto di ricerca sulla produzione artistica degli ultimi 50 anni, è nata la commissione che l’Università ha fatto a Nicola Campogrande (vecchia voce - e pure sexy - di Radio3) per la composizione di una nuova opera musicale, intitolata Le sette mogli di Barbablù. Il coinvolgimento de laVerdi è legato agli stretti rapporti culturali esistenti con l’Università e all’ormai consolidata consuetudine del compositore con l’Orchestra, che ebbe il suo culmine in occasione della stagione dell’EXPO, prima che Campogrande approdasse al prestigioso incarico di Direttore Musicale del MITO.

Adesso però arrivano le cattive notizie... Presumibilmente a causa di carenze nella pubblicizzazione dell’iniziativa, è accaduto che nella sala dell’Auditorium principale dello IULM-6 di via Carlo Bo (600+ posti) fossero sedute meno persone di quante gremivano il palchetto sul quale era sistemata l’Orchestra! Ahi ahi... spettacolo assai desolante, devo dire, soprattutto perchè nei paraggi era tutto un pullulare di giovani studenti che avevano appena terminato le attività della loro giornata in ateneo e ai quali avrebbe fatto un gran bene assistere all’evento. Così l’inossidabile Ottavia Piccolo (voce narrante nell’opera), il Direttore Principale Ospite Patrick Fournillier, tutti i ragazzi dell’Orchestra e naturalmente il compositore hanno potuto ricevere l’applauso di soli pochi intimi (sono certo che le cose andranno diversamente venerdi e domenica in Largo Mahler).
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Il soggetto è tratto da Les sept femmes de la Barbe-Bleue di Anatole France (1886), una simpatica, fantasiosa e (dall’apparenza) scientifica ricostruzione della leggenda del famoso personaggio creato attorno al 1660 da Charles Perrault, volta a smentire tutte le dicerie (incluse altre opere letterarie e teatrali) sorte su di lui come serial-killer di giovani mogli. Innanzitutto Barbablù viene identificato in tale Bernard de Montragoux, signorotto proprietario di un castello (les Guillettes) ubicato nella foresta fra Compiègne e Pierrefonds (un centinaio di Km a nord di Parigi).

In sostanza, il tanto vituperato Barbablù era - secondo France, e a dispetto della sua figura imponente e dello sguardo spiritato - una persona mite e sensibile, che non ebbe alcuna responsabilità per la scomparsa delle sei mogli ed anzi fu vittima della macchinazione della settima e della di lei famiglia, amante compreso. In questa fiction - un vero scoop ante-litteram, con tanto di citazioni di fonti, testimonianze e documenti - France ricostruisce le identità di tutte le mogli di Barbablù e le vicende che portarono alla morte (o alla scomparsa) delle prime sei e poi all’assassinio di Barbablù da parte della settima. Spiega anche ciò che si trovava nella famosa stanza proibita (la stanzetta delle principesse sfortunate) del castello delle Guillettes: affreschi e dipinti fiorentini raffiguranti appunto donne sfortunate della mitologia, vittime di vicende cruente, e il pavimento di porfido che dava all’ambiente un colore rossiccio, facendolo sembrare imbrattato di sangue. 
   
Prima moglie: Colette Passage, ammaestratrice di orsi, si stancò presto del ménage familiare e si dedicò sempre più spesso alla sua bestia preferita. Scomparve misteriosamente dopo aver visitato la stanza segreta, e non fu mai più ritrovata.

Seconda moglie: Jeanne de la Cloche, una donna alcolizzata che Barbablù cercò invano di riportare ad una vita più sobria. Un giorno, dopo aver accoltellato il marito credendolo intenzionato ad avvelenarla, lei entrò ubriaca nella stanza segreta, scambiò i dipinti per donne in carne e ossa, assassinate, fuggì invano rincorsa dal marito ferito che cercava di salvarla e si gettò in uno stagno, affogando.  

Terza moglie: Gigonne Traignel, figlia di un fattore di Barbablù, guardiana d’oche, sempre calzante zoccoli e puzzolente di cipolla. Diventata con il matrimonio donna ricca e nobile, le sue pretese di lusso divennero smodate, così come il desiderio insoddisfatto di essere ricevuta a Corte per diventare la favorita del Re. Delusa, si prese un’itterizia che la portò alla tomba. E Barbablù ne fece costruire per lei una davvero sontuosa.

Quarta moglie: Blanche de Gibeaumex, figlia di un militare ferito-di-guerra (ad un orecchio!) che convinse un riluttante Barbablù a sposarla. Poi lei si mise a tradirlo con diversi amanti, finchè un giorno un amante abbandonato non la trovò nella stanza segreta in intimità con un nuovo amante, e la infilzò con la sua spada. La scoperta del cadavere non fece che peggiorare la reputazione di quella stanza segreta.

Quinta moglie: furono i medici a consigliare a Barbablù, distrutto dal dolore e in preda a una grave crisi che l’aveva ridotto in pericolo di vita, un nuovo matrimonio. Angèle de la Garandine era una sua cugina nullatenente e così Barbablù era certo che gli sarebbe rimasta fedele e riconoscente. Lei era però talmente ingenua e credulona che un giorno - mentre Barbablù era a caccia di beccacce - si fece convincere da un frate questuante a salire sul suo asino per andare nel bosco dove l’attendeva l’Arcangelo Gabriele per farle indossare delle giarrettiere di perle... Forse se la mangiò un lupo (!) dato che non fu più ritrovata.

Sesta moglie: Alix de Pontalcin, una povera orfanella, spogliata di tutti i suoi averi da uno sbifido tutore, era sul punto di entrare in convento, ma fu convinta da amici a sposare Barbablù. Purtroppo però lei rifiutò pervicacemente di consumare il matrimonio, tanto che il marito chiese al Santo Padre l’annullamento del legame secondo il diritto canonico, ottenendo il divorzio anche grazie a sostanziose donazioni alla Chiesa. Barbablù giurò a se stesso che mai più una femmina avrebbe messo piede in casa sua!

E veniamo al clou della storia, la settima moglie: dopo alcuni anni, durante i quali erano cresciute in paese le più fantasiose ed anche orripilanti supposizioni sulla fine che avevano fatto le mogli di Barbablù, prese dimora nel maniero di Motte-Giron, a poca distanza dal castello del sei-volte-vedovo (o divorziato...) una certa signora Sidonie de Lespoisse, vedova con quattro figli, due femmine e due maschi. Il suo passato e l’identità del defunto marito restarono sempre un mistero: chi diceva che lui avesse trafficato in Spagna e Savoia, chi sosteneva fosse morto in India; alcuni giuravano che la vedova avesse immensi possedimenti, altri ne dubitavano assai.

Sta di fatto che lei faceva gran sfoggio di opulenza, invitando tutta la nobiltà del circondario alle feste nel suo maniero. La sua figlia maggiore, Anne, era diventata una donna assai abile (dopo aver pettinato Santa Caterina!); quella minore, Jeanne, era in età da marito, ma nascondeva dietro un’apparente ingenuità una precoce esperienza del mondo. I due maschi erano militari: Cosme, arruolato nei Dragoni, era un poco di buono, gran briccone e abile cornificatore. Il fratello Pierre, Moschettiere, al confronto era una brava persona, anche se era a sua volta un donnaiolo e si manteneva con le vincite al gioco delle carte. La signora Lespoisse era in realtà povera in canna e tutto ciò che possedeva erano prestiti ricevuti da usurai parigini, che pretendevano che lei sposasse una delle sue figlie a qualche facoltoso signorotto, minacciando in caso contrario di toglierle tutto: ormai si vedeva nuda in una casa vuota...

Fu allora che mise gli occhi su Barbablù e gli fece visita con la prole in pompa magna e per ben 15 giorni, insieme ad un certo cavaliere de la Merlus, che organizzava battute di caccia e scherzi notturni, vinceva regolarmente al gioco e soprattutto non toglieva mai gli occhi dalla bella Jeanne (senza che Barbablù sospettasse di nulla... lui si era bevuto che i due fossero fratelli di latte) con la quale si appartava nottetempo, finite le feste e i giochi.

Finalmente Barbablù si decise e chiese la mano proprio della più giovane delle due sorelle. Il matrimonio fu celebrato con gran sfarzo a Motte-Giron, anche se gran parte delle preziose suppellettili e dei lussuosi abiti della padrona di casa e dei suoi congiunti erano stati affittati da ebrei parigini, che se li riportarono via subito dopo il termine della cerimonia.

Fu così che, sotto la sapiente regìa della madre - la più gran filibustiera di Francia - l’intera famiglia di Jeanne si installò presso Barbablù, incluso l’intraprendente de la Merlus, che non si staccava un attimo dalla sposa. Un bel giorno Barbablù dovette fare un viaggio di sei settimane per gestire l’eredità di un cugino, morto in battaglia come un eroe, ehm... colpito da una palla vagante di colubrina mentre giocava a dadi su un tamburo! Prima di partire invitò la moglie a trascorrere i giorni in sua assenza invitando amici e avendo un buon tempo; le diede anche tutte le chiavi del castello (appartamenti, dispense, casseforti) compresa quella della stanza segreta.

Ma mentre Perrault narra che le proibì severamente di accedere a quel luogo, in realtà Barbablù si limitò a metterla in guardia dal visitarlo, a causa della sua cattiva fama (dalla quale le precedenti mogli avevano tratto parecchio nocumento). Invece la disinvolta Jeanne non esitava ad abbandonare la compagnia degli amici che le rendevano visita per correre proprio nella stanza segreta. Ma non - come scrive sempre Perrault - per morbosa curiosità, bensì per... interesse sessuale: laggiù l’attendeva regolarmente il brillante (e ben dotato, evidentemente) de la Merlus! 

Ma se si fosse trattato solo di corna, la cosa avrebbe fatto in fin dei conti poco scandalo: anche il più severo dei moralisti avrebbe trovato qualche vaga ragione per giustificare quei comportamenti, abbastanza usuali. No no, la cosa grave è che Jeanne progettò a mente fredda l’assassinio del marito! In combutta con la sorella Marie (artefice del complotto); con i fratelli (dietro la promessa di una brillante carriera miliare); con la madre e - ça va sans dire - con il suo amante de la Merlus.

Barbablù ritornò a casa un po’ prima del previsto, ma non per cogliere la moglie in flagrante, bensì convinto di farle una bella sorpresa. Lei gli restituì le chiavi, ma Barbablù si accorse che quella della stanza segreta doveva essere stata usata: così si disse dispiaciuto, augurandosi che quella visita non dovesse portare qualche disgrazia a tutti. In quel momento Jeanne gridò che la stavano ammazzando, richiamando l’amante e i fratelli. De la Merlus balzò fuori da un armadio ma, da solo, fu presto immobilizzato dal corpulento Barbablù. Allora Anne, accorsa sul posto, chiamò finalmente i fratelli che fecero irruzione nella stanza e trafissero alle spalle il padrone di casa.

Jeanne rimase unica ereditiera di tutte le sostanze del marito: diede una dote alla sorella, acquistò i gradi di capitano per i fratelli e sposò felicemente de la Merlus, che divenne istantaneamente un uomo di specchiata onestà!
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Il melologo di Campogrande (tre quarti d’ora o poco più) prevede una voce narrante, la splendida 70enne (più una settimana!) Ottavia Piccolo, che espone il racconto, una libera riduzione del testo di Anatole France tradotto da Paola Verdecchia, mentre l’Orchestra ne sottolinea i passi salienti, un po’ come accade alle musiche di scena di buona memoria. Sono in tutto 20 numeri musicali con agogica prevalentemente di Andante e Largo (una sola punta di Allegro) che normalmente si intercalano con le parti del racconto, raramente sovrapponendosi alla voce.

Campogrande non ha mancato, introducendo la recita, di lanciare pesanti frecciate ai movimenti che caratterizzarono la musica del ‘900 come fenomeno di totale rottura con ogni tradizione (la musica andò da una parte, il pubblico dall’altra...) e ha rivendicato il ritorno a quella tradizione, di cui lui è interprete convinto. La sua è musica assolutamente diatonica, apparentabile a quella delle grandi colonne sonore dei film (l’attacco pare proprio Korngold!) Devo dire che i vari brani evocano con una certa efficacia le diverse atmosfere e anche le diverse personalità che si incontrano nel soggetto di France: sono di ascolto piacevole e tutto il melologo scorre via con buon ritmo e senza cadute di tensione, godibile e scevro da astruse cerebralità. Il che non è poco; e avrebbe meritato più... audience!

25 marzo, 2019

laVerdi 18-19 - Concerto n°22


Per la sua terza presenza (di quattro) nella stagione, Patrick Fournillier, il Direttore Principale Ospite, si è ripresentato (venerdi sera e ieri pomeriggio) sul podio dell’Auditorium per dirigervi un concerto tutto francese. Si direbbe che il suo rapporto con laVerdi abbia proprio come oggetto la valorizzazione di musica d’oltralpe, almeno a giudicare dai contenuti che propone qui. Questa volta il concerto presentava tre opere collocate storicamente fra l’800 romantico di Berlioz e il ‘900 disincantato di Roussel; in mezzo, un Fauré a far da cerniera fra i due poli. Opere che sono di rarissima presenza in Italia e che l’Orchestra nei suoi 25 anni di storia ha eseguito solo una volta (Fauré e Berlioz) o addirittura mai (Roussel). Trattandosi di brani di notevole valore va quindi dato merito a laVerdi di averli proposti al suo pubblico.   

È con il baricentrico Gabriel Fauré che si è dato inizio al concerto, con la Suite di musiche di scena per il Pelléas et Mélisande, del 1898. Suite articolata su 4 numeri, corrispondenti ad altrettanti scenari dell’opera di Maeterlinck.

Nelle ultime battute del primo (Prélude) c’è una curiosa quanto chiara citazione wagneriana, allorquando si ode il primo corno esporre un motivo che vuole evocare il personaggio di Golaud. Ebbene, si tratta dello stesso motivo caratteristico del corno di toro di Hunding (Die Walküre, Atto II):

    
L’accostamento Golaud-Hunding è assolutamente pertinente, non tanto rispetto alla personalità dei due (il primo non è certo un troglodita come il secondo...) ma rispetto ai legami di parentela all’interno del rapporto triangolare: Hunding (sposato a Sieglinde) e Siegmund sono cognati; Golaud (sposato a Mélisande) e Pelléas sono fratellastri!

Quanto all’esecuzione, da incorniciare in particolare la celeberrima Siciliana (N°3) splendidamente illustrata dal flauto di Nicolò Manachino accompagnato dall’arpa di Elena Piva. Ma tutti hanno meritato applausi.
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Si è poi retrocessi di parecchi decenni per incontrare l’Hector Berlioz delle Nuits d’Eté. Come la Fantastica fu scritta da un Berlioz letteralmente ossessionato dalla sua infatuazione per Harriett Smithson, così questo ciclo di poesie di Théophile Gautier fu composto da un Berlioz disilluso dal matrimonio con l'ormai declinante ed alcolizzata attrice albionica. Una delle canzoni (Absence) fu dedicata originariamente dall'autore a Marie Martin (in arte Marie Recio) un mezzosoprano di non eccelse qualità canore, ma dotata evidentemente di altre più carnali prerogative, tanto da divenire dapprima amante e in seguito seconda moglie del musicista. Il ciclo fu originariamente scritto per voce di mezzosoprano o tenore, con accompagnamento di pianoforte. Poi Berlioz fu convinto a produrre una versione con accompagnamento orchestrale e per l'occasione apportò anche alcune variazioni alle partiture e all'indicazione delle voci, il che lo indusse a trasporre la tonalità di un paio di canzoni, per adattarla alle caratteristiche dei cantanti – da lui conosciuti in Germania - ai quali venivano dedicate.

Villanelle (in LA maggiore) dedicata alla signorina Wolf, cantante del Granducato di Weimar: l'attesa e l'arrivo della primavera per due innamorati. Et dis-moi de ta voix si douce: Toujours!

Le spectre de la rose (in SI maggiore, trasposto dall'originale in RE maggiore) dedicata alla signorina Falconi, cantante del Granducato di Gotha: Mon destin fut digne d'envie, et pour avoir un sort si beau plus d'un aurait donné sa vie; car sur ton sein j'ai mon tombeau. E chi non vorrebbe essere al posto di quella rosa?

Sur les lagunes (in FA minore, trasposto dall'originale SOL minore) dedicato al signor Milde, cantante del Granducato di Weimar: lamento per la morte dell'amata. Ah! sans amour s'en aller sur la mer!

Absence (in FA# maggiore) dedicato alla signora Nottès, cantante della cappella reale di Hannover: senza l'amore, la vita non ha senso. Comme une fleur loin du soleil, la fleur de ma vie est fermée, loin de ton sourire vermeil!

Au cimitière (in RE maggiore) dedicato al signor Caspari, cantante del Granducato di Weimar: una colomba canta sopra un tasso, vicino alla tomba dell'amata. E la sua anima sembra piangere all'unisono con quel canto. Cosa insopportabile, per l'amato: Oh! jamais plus près de la tombe, je n'irai, quand descend le soir.

L'île inconnue (in FA maggiore) dedicato alla signora Milde, cantante del Granducato di Weimar: nel Baltico, Pacifico, Giava, Norvegia, mia bella giovane, dove vuoi andare? La voile enfle son aile, la brise va souffler. Portami, dice la bella, à la rive fidèle où l'on aime toujours! Già, ma si tratta purtroppo di un'isola sconosciuta! 

La belga Katarina Van Droogenbroeck ha presentato le sei canzoni in un ordine un po’ diverso da quello di pubblicazione, che viene normalmente rispettato (difficile immaginare le ragioni precise di questa scelta): al loro posto i brani esterni, mentre all’interno si è seguita la sequenza Absence, Spectre, Cimitière e Lagunes. Voce non troppo penetrante (più adatta forse al repertorio barocco di cui il mezzosoprano è specialista che a quello romantico); all’inizio mi è parso anche di cogliere qualche problemino di intonazione, ma nel complesso la prestazione è stata più che dignitosa, e il pubblico non ha risparmiato applausi e chiamate.
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Ha chiuso il concerto la Sinfonia n°3 di Albert Roussel, compositore la cui prolificità è inversamente proporzionale al suo successo presso il vasto pubblico. La Sinfonia, composta nel 1929 su commissione della BSO di Serge Koussevitsky in vista dei festeggiamenti per i 50 anni dalla fondazione dell’orchestra di Boston, è saldamente ancorata ai canoni formali del’800, mentre i contenuti divergono assai da quelli del romanticismo (precoce o tardo che sia).    

Il rispetto delle tradizionali convenzioni va dalla struttura formale nei classici quattro movimenti (Allegro vivo, Adagio-Andante, Vivace e Allegro con spirito) all’impiego della tonalità (con tanto di armature di chiave in partitura) e alla relativa concatenazione tonale dei movimenti (SOL minore, DO minore, RE maggiore e SOL maggiore) per finire con la robusta composizione dell’orchestra, di stampo berlioz-iano (tipo quella della Fantastica...)

Come detto, i contenuti sono però assai poco ottocenteschi, e Roussel dà libero sfogo alla sua inventiva, alla quale le forme vengono abilmente asservite. Così nell’Allegro iniziale si fatica a discernere una struttura di forma-sonata, sostituita da un continuo accostamento di temi e ritmi diversi, con ampio uso del cromatismo che fa sfumare spesso e volentieri i confini tonali. Più tradizionale l’Adagio, di stampo quasi mahleriano o espressionista, dove Roussel sfodera idee e immaginazione degne di apprezzamento, come la sezione centrale fugata e il finale idilliaco, chiuso dal MIb sovracuto del primo violino. Il terzo tempo è assimilabile ad uno Scherzo dal cipiglio quasi bruckneriano, privo però del classico Trio, ma con una struttura tematica che richiama un rondò. Il conclusivo Allegro sembra invece organizzato proprio come Scherzo-trio-scherzo, anche se tutto in tempo pari. Nella sezione interna, in Andante, ascoltiamo una preziosa melopea del violino solo. Esilarante davvero la conclusione con un unisono generale sul SOL.

Insomma, un’opera di tutto rispetto, che merita di essere proposta più di frequente. Intanto ieri, grazie al Direttore e ai ragazzi dell’Orchestra - che hanno innescato per lui un applauso ritmato - ha ottenuto un calorosissimo successo dal pubblico che non ha disertato l’Auditorium, a dispetto di una giornata più che primaverile.

30 novembre, 2018

laVerdi 18-19 - Concerto n°9


Patrick Fournillier si è fermato una settimana sui Navigli che scorrono non lontano dall’Auditorium per preparare il concerto di questa settimana. Una vera primizia, l’integrale dello Schiaccianoci! Che comporta quindi anche la presenza del Coro dei piccoli di Maria Teresa Tramontin, che interviene nell’ultimo numero del primo atto e canta - ripetutamente - una sola vocale: A

La musica per balletto è fatta (Lapalisse!) per il balletto, e non è detto che renda al meglio se suonata senza... Non per nulla da tutti i balletti gli Autori hanno ricavato delle Suite, che sono ovviamene più brevi, e che soprattutto hanno il pregio di includere i brani più interessanti (perlomeno a giudizio dell’Autore medesimo). Nello Schiaccianoci la parte movimentata della vicenda è praticamente confinata nel primo atto, dove abbiamo un continuo sviluppo di azione: festa, magie, incubi e battaglie; il second’atto è invece quasi esclusivamente esibizione di danze, una specie di teatro-nel-teatro.

Anche ieri ascoltando questa - pur magnifica - esecuzione, un po’ di crisi da abbondanza (di... zuccheri, per così dire) è affiorata. Comunque tanto di cappello all’Orchestra (ieri guidata da Dellingshausen, con Santaniello alle sue spalle...) e a Fournillier! E ai giovani e giovanissimi (opportunamente dislocati sul palco e non invisibili come prescrive la partitura) della Maria Teresa (che stranamente non si è vista... vittima di qualche influenza?)

L’integrale è stata per la verità un filino... disintegrata, ma roba da poco: un taglietto al n° 4 (mi è parso); un paio di ritornelli saltati; e soprattutto il sacrificio (non è che Fournillier l’ha scambiata per un tacchino, visto che siamo attorno al thanksgivingday, haha!) di Mamma Cicogna e dei suoi Pulcinelli, brano che pure è annunciato sul programma di sala.

Pubblico non oceanico (forse per la ragione ricordata in partenza) ma assai caloroso.  
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Le incisioni dell’integrale non mancano, sia in DVD (e sono ovviamente preferibili sul piano dello spettacolo) che su CD. Fra queste ultime ne ricordo un paio: Ozawa e Bonynge. La seconda è disponibile anche in rete e così mi sono divertito (?!) a intabellare i vari numeri del balletto, affiancando le didascalie originali (francesi) che si trovano sulla partitura (Broude) in modo da poter seguire la musica (anche senza immagini) sapendo però cosa (più o meno) accade o dovrebbe accadere via-via in scena.

Le descrizioni riportate sono la mia personale traduzione di quelle originali. I minutaggi si riferiscono ai 24 spezzoni (indicati in blu) in cui è pubblicata in internet l’edizione di Bonynge (1975, credo).

Ouverture
Allegro giusto
2/4 - SIb M

ATTO I



1. Scena
Allegro non troppo

4/4 - RE M

Il Presidente Stahlbaum con la moglie e i suoi invitati addobbano l’albero di Natale.
Poco più sostenuto
SI m - RE M
1’17”
Tempo I
RE M
2’23”
Più moderato


2’39” Suonano le nove. Ad ogni rintocco dell’orologio la civetta sbatte le ali. Tutto è pronto, è il momento di chiamare i bimbi.
Allegro vivace
6/8 - LA M
3’05” La porta si apre ed entrano i bimbi.
Meno

3’33” I bimbi (Clara e Fritz, figli del Presidente) si fermano presi da stupore. 

MIb M
3’54” Il Presidente ordina di suonare una marcia.
2. Marcia
Tempo di marcia viva
4/4 - SOL M
  
3. Galop
Presto
2/4 - SOL M
Galop dei bimbi.
Andante
3/4 - DO M
40” Entrata di genitori e di Incredibili (Parigi 1794, ndr)
Allegro
6/8 - FA M
1’26” 
4. Scena danzante


Andantino



4/4 - MI m
Arrivo del Consigliere Drosselmayer. L’orologio suona, la civetta sbatte le ali. I bimbi corrono a rannicchiarsi vicino ai genitori. Si rassicurano vedendo che Drosselmayer porta dei balocchi.
(espressivo)
SOL m
33”
Allegro vivo
SI m - SOL M
51”

FA# m - RE M
1’06”

SI m
1’20”
Andantino sostenuto


SOL M

1’35” I due bimbi del Presidente aspettano impazientemente la distribuzione dei regali dal padrino Drosselmayer. Costui fa portare due casse: da una estrae un grosso cavolo, dall’altra un grosso patè. Tutti restano sbalorditi.
Più Andante
SI m - LA m
2’07”
Allegro molto vivace

3/4 - LA m

2’49” Drosselmayer sorridendo ordina che i due regali vengano deposti davanti a lui. Una grande bambola esce dal cavolo ed un soldato dal patè.
Tempo di valse
LA M
3’25” Passo a due. Il permesso delle 10.
Presto
2/4 - FA# m
4’24”


4’50” (vedi Stravinski - Uccello - Katschei, ndr)
5. Scena e danza del Nonno
Andante
(Tempo di valse)









6/8 - LA M









Clara e Fritz sono incantati e si vorrebbero portare via i balocchi. I genitori lo impediscono. Clara piange. Fritz fa i capricci. Per consolarli il vecchio Consigliere estrae dalla tasca un terzo regalo: uno schiaccianoci. Clara resta incantata da quel bell’ometto. Chiede al Consigliere a cosa serva quel regalo; costui prende una noce e la fa schiacciare dallo schiaccianoci. Fritz sente il crac-crac dello schiaccianoci e si interessa a lui. Vuole a sua volta fargli schiacciare delle noci. Clara non glielo vuol dare. I genitori le fanno osservare che lo schiaccianoci non appartiene solo a lei. Clara cede il suo prediletto al fratello ed osserva con apprensione come Fritz gli fa schiacciare due noci, poi lui gli infila in bocca una noce così grossa che i denti dello schiaccianoci si rompono.
Andantino
2/4 - RE M
1’19”
Più allegro
LA M - RE M
1’42”
Più mosso

2’09”
Moderato assai

DO M

2’21” Fritz getta via il giocattolo ridendo. Clara lo raccoglie e cerca di consolare il suo prediletto con delle carezze. Toglie dal letto la bambola e vi posa l’ometto.
Andante
RE M
2’38”

REb M
2’52”
L’istesso tempo


3’09” La ninnananna. È interrotta due volte da Fritz e dai suoi amichetti col loro fracasso di tamburi, trombette, ecc.
Più mosso
DO M
3’45” Trombette dei bambini.
Tempo I
FA M
3’57” Ninnananna.
Più mosso
DO M
4’38” Trombette dei bambini.
L’istesso tempo

6/8

4’52” Per tagliar corto con questo trambusto il Presidente chiede alle coppie di danzare un nonno.
Tempo di Nonno
3/8
5’12”
Allegro vivacissimo
2/4
5’45”
Da-capo il Nonno

(non eseguito)
6. Scena
Allegro semplice



4/4 - DO M



Gli invitati ringraziano il Presidente e la consorte e si congedano. Si ordina ai bimbi di andare a dormire. Clara chiede di portare con sè il suo schiaccianoci malconcio. Se ne va tutta addolorata, dopo aver ben avvolto il suo prediletto.
Moderato con moto

2/4 - REb M
2’27” La scena è vuota. Si è fatta notte. La luna rischiara il salone attraverso la finestra. Clara in pigiama torna con circospezione; prima di addormentarsi ha voluto vedere il suo caro ammalato. Ha paura; avanza verso il letto dello schiaccianoci che sembra emanare una luce fantastica. Suona la mezzanotte. Guarda l’orologio e si accorge con terrore che la civetta si è trasformata in Drosselmayer, che la osserva con il suo sorriso beffardo. Vorrebbe scappare, ma le forze le mancano.
Allegro giusto
RE m
3’16”


3’31” (12 rintocchi di orologio)
Più allegro

LA m - RE m

3’45” Nel silenzio della notte lei sente i topi che rosicano. Fa uno sforzo per andarsene, ma i topi compaiono da ogni dove. Allora vuole fuggire, ma il suo spavento è troppo grande. Si accascia su una sedia. Tutto scompare.
Moderato assai
MI m - SIb M - LA m-M
4’30” L’albero di natale s’ingrossa e poco a poco diventa immenso.
7. Scena
Allegro vivo
4/4 - MI m
La sentinella grida: “Chi va là?” Nessuna risposta. Spara un colpo.


12” Colpo di fucile. Le bambole sono spaventate. La sentinella sveglia i conigli tamburini.
Pochissimo più mosso


23” I conigli suonano i tamburi. I topi e i soldatini di pane speziato si dispongono a battaglia.

RE m
43” La battaglia.


1’29” I topi trionfano e si mangiano i soldatini di pane speziato.


1’36” Lo schiaccianoci richiama la sua vecchia guardia. Grida: “All’armi!”

MI m
1’48” Arriva il Re dei topi. La sua armata lo acclama.

RE m
2’04” La seconda battaglia.

LA m - DO M
3’01” Clara getta la sua scarpa sul Re dei topi e sviene.
8. Scena
Andante
3/4 - DO M


Un bosco d’abeti d’inverno. Gli gnomi con fiaccole si dispongono vicino all’albero di Natale per onorare il Principe, Clara e i balocchi che si sistemano sull’albero.
9. Valzer dei fiocchi di neve
Tempo di Valse,
ma con moto
3/4 - MI m



SOL M - MI m
1’09”

SOL M
1’54” Coro

MI m
3’06”


4’01” Un forte refolo fa turbinare i fiocchi di neve.
Presto
2/4 MI m
4’11”

SOL M
4’24” Coro.

MI m
4’36”
Poco meno
MI M
5’10”


5’29” Coro.
ATTO II



10. Scena
Andante
6/8 - MI M



1’30” Il palazzo incantato di Confiturenbourg.


3’26” La Fata Confetto appare con il suo seguito.
11. Scena
Andante con moto

4/4 - DO M
Il fiume d’essenza di rose si gonfia. Compaiono Clara e il Principe.
Moderato
6/8
1’36” Dodici paggetti arrivano portando delle fiaccole.
Allegro agitato

4/4

2’31” Schiaccianoci racconta la sua storia e come Clara l’ha salvato.
Poco più allegro
LA m
2’52”
Tempo precedente
MIb M
3’23” La corte celebra il bene fatto da Clara al Principe.

DO m-M
3’59” Ad un cenno della Fata Confetto appare un tavola splendente.
12. Divertissement
Allegro brillante
3/4 - MIb M
a) La Cioccolata
Commodo
3/8 - SOL m-M
b) Il Caffè
Allegro moderato
4/4 - SIb
c) Il Thè
Molto vivace
3/4 - SOL M
d) Trépak
Moderato assai
2/4 - RE M
e) I Flauti

FA# m
1’19”

RE M
1’53”
Allegro giocoso
2/4 - LA M
f) Mamma Cicogna e i Pulcinelli

6/8
1’05”
Allegro vivo
2/4
1’56”
13. Walzer dei fiori
Tempo di Valse
3/4 - RE M

SOL M
3’06”
SI m
3’37”
SOL M
4’07”
RE M
4’29”
SIb M
5’34”
FA M
5’50”
RE M
5’56”
14. Passo a due





Andante maestoso
4/4 - SOL M -
MI m
Il Principe e la Fata Confetto
Poco stringendo
MI m
1’50”
Tempo I
SOL M
3’05”
Tempo di Tarantella

6/8 - SI m -
RE M
Variazione I (per il danzatore)

Andante non troppo
MI m
Variazione II (per la danzatrice) - Danza della Fata Confetto
Presto

1’57”
Vivace assai 
2/4 - RE M
Coda
15. Walzer finale e Apoteosi



Tempo di Valse
3/4 - SIb M


MIb M
1’28”

SOL M
1’58”

SIb M
2’46”
Molto meno
SIb M
3’48” L’Apoteosi