Per la sua terza presenza (di quattro) nella stagione, Patrick Fournillier, il Direttore
Principale Ospite, si è ripresentato (venerdi sera e ieri pomeriggio) sul
podio dell’Auditorium per dirigervi un concerto tutto francese. Si direbbe che
il suo rapporto con laVerdi abbia
proprio come oggetto la valorizzazione di musica d’oltralpe, almeno a giudicare
dai contenuti che propone qui. Questa volta il concerto presentava tre opere collocate storicamente fra l’800
romantico di Berlioz e il ‘900 disincantato di Roussel; in mezzo, un Fauré a
far da cerniera fra i due poli. Opere che sono di rarissima presenza in Italia
e che l’Orchestra nei suoi 25 anni di storia ha eseguito solo una volta (Fauré
e Berlioz) o addirittura mai (Roussel). Trattandosi di brani di notevole valore
va quindi dato merito a laVerdi di
averli proposti al suo pubblico.
È con il baricentrico Gabriel Fauré
che si è dato inizio al concerto, con la Suite di musiche di scena per il Pelléas
et Mélisande, del 1898. Suite articolata su 4 numeri, corrispondenti ad
altrettanti scenari dell’opera di Maeterlinck.
Nelle ultime battute del primo (Prélude)
c’è una curiosa quanto chiara citazione wagneriana, allorquando si ode il primo
corno esporre un motivo che vuole evocare il personaggio di Golaud. Ebbene, si tratta dello stesso motivo
caratteristico del corno di toro di Hunding
(Die Walküre, Atto II):
L’accostamento Golaud-Hunding è assolutamente pertinente, non tanto
rispetto alla personalità dei due (il primo non è certo un troglodita come il
secondo...) ma rispetto ai legami di
parentela all’interno del rapporto triangolare:
Hunding (sposato a Sieglinde) e Siegmund sono cognati; Golaud (sposato a Mélisande) e Pelléas sono fratellastri!
Quanto all’esecuzione, da incorniciare in particolare la celeberrima Siciliana (N°3) splendidamente illustrata
dal flauto di Nicolò Manachino accompagnato
dall’arpa di Elena Piva. Ma tutti
hanno meritato applausi.
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Si è poi retrocessi di parecchi decenni per incontrare l’Hector Berlioz delle Nuits
d’Eté. Come la Fantastica fu scritta da un
Berlioz letteralmente ossessionato dalla sua infatuazione per Harriett
Smithson, così questo ciclo di poesie di Théophile Gautier fu
composto da un Berlioz disilluso dal matrimonio con l'ormai declinante ed
alcolizzata attrice albionica. Una delle canzoni (Absence) fu dedicata originariamente dall'autore a Marie
Martin (in arte Marie Recio)
un mezzosoprano di non eccelse qualità canore, ma dotata evidentemente di altre
più carnali prerogative, tanto da divenire dapprima amante e in seguito seconda
moglie del musicista. Il ciclo fu originariamente scritto per voce di
mezzosoprano o tenore, con accompagnamento di pianoforte. Poi Berlioz fu
convinto a produrre una versione con accompagnamento orchestrale e per
l'occasione apportò anche alcune variazioni alle partiture e all'indicazione
delle voci, il che lo indusse a trasporre la tonalità di un paio di canzoni,
per adattarla alle caratteristiche dei cantanti – da lui conosciuti in Germania
- ai quali venivano dedicate.
L'île
inconnue (in
FA maggiore) dedicato alla signora Milde, cantante del Granducato
di Weimar: nel Baltico, Pacifico, Giava, Norvegia, mia bella giovane, dove vuoi
andare? La voile enfle son aile, la brise va souffler. Portami,
dice la bella, à la rive fidèle où l'on aime toujours! Già, ma
si tratta purtroppo di un'isola sconosciuta!
La belga Katarina Van Droogenbroeck ha presentato le sei canzoni in un ordine un po’ diverso da quello di pubblicazione, che viene normalmente rispettato (difficile immaginare le ragioni precise di questa scelta): al loro posto i brani esterni, mentre all’interno si è seguita la sequenza Absence, Spectre, Cimitière e Lagunes. Voce non troppo penetrante (più adatta forse al repertorio barocco di cui il mezzosoprano è specialista che a quello romantico); all’inizio mi è parso anche di cogliere qualche problemino di intonazione, ma nel complesso la prestazione è stata più che dignitosa, e il pubblico non ha risparmiato applausi e chiamate.
Villanelle (in LA maggiore) dedicata alla signorina Wolf, cantante
del Granducato di Weimar: l'attesa e l'arrivo della primavera per due
innamorati. Et dis-moi de ta voix si douce: Toujours!
Le
spectre de la rose (in SI maggiore,
trasposto dall'originale in RE maggiore) dedicata alla signorina Falconi,
cantante del Granducato di Gotha: Mon destin fut digne d'envie, et pour
avoir un sort si beau plus d'un aurait donné sa vie; car sur ton sein j'ai mon
tombeau. E chi non vorrebbe essere al posto di quella rosa?
Sur les
lagunes (in FA minore, trasposto dall'originale SOL
minore) dedicato al signor Milde, cantante del Granducato di
Weimar: lamento per la morte dell'amata. Ah! sans amour s'en aller sur
la mer!
Absence (in FA# maggiore) dedicato alla signora Nottès, cantante
della cappella reale di Hannover: senza l'amore, la vita non ha senso. Comme
une fleur loin du soleil, la fleur de ma vie est fermée, loin de ton sourire
vermeil!
Au
cimitière (in RE maggiore) dedicato al signor Caspari,
cantante del Granducato di Weimar: una colomba canta sopra un tasso, vicino
alla tomba dell'amata. E la sua anima sembra piangere all'unisono con quel
canto. Cosa insopportabile, per l'amato: Oh! jamais plus près de la
tombe, je n'irai, quand descend le soir.
La belga Katarina Van Droogenbroeck ha presentato le sei canzoni in un ordine un po’ diverso da quello di pubblicazione, che viene normalmente rispettato (difficile immaginare le ragioni precise di questa scelta): al loro posto i brani esterni, mentre all’interno si è seguita la sequenza Absence, Spectre, Cimitière e Lagunes. Voce non troppo penetrante (più adatta forse al repertorio barocco di cui il mezzosoprano è specialista che a quello romantico); all’inizio mi è parso anche di cogliere qualche problemino di intonazione, ma nel complesso la prestazione è stata più che dignitosa, e il pubblico non ha risparmiato applausi e chiamate.
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Ha chiuso
il concerto la Sinfonia n°3 di Albert
Roussel, compositore la cui prolificità è inversamente proporzionale al suo
successo presso il vasto pubblico. La Sinfonia, composta nel 1929 su
commissione della BSO di Serge Koussevitsky in vista dei
festeggiamenti per i 50 anni dalla fondazione dell’orchestra di Boston, è
saldamente ancorata ai canoni formali del’800, mentre i contenuti divergono
assai da quelli del romanticismo (precoce o tardo che sia).
Il
rispetto delle tradizionali convenzioni va dalla struttura formale nei classici
quattro movimenti (Allegro vivo, Adagio-Andante, Vivace e Allegro con spirito)
all’impiego della tonalità (con tanto di armature di chiave in partitura) e
alla relativa concatenazione tonale dei movimenti (SOL minore, DO minore, RE
maggiore e SOL maggiore) per finire con la robusta composizione dell’orchestra,
di stampo berlioz-iano (tipo quella
della Fantastica...)
Come
detto, i contenuti sono però assai poco ottocenteschi, e Roussel dà libero
sfogo alla sua inventiva, alla quale le forme vengono abilmente asservite. Così
nell’Allegro iniziale si fatica a
discernere una struttura di forma-sonata,
sostituita da un continuo accostamento di temi e ritmi diversi, con ampio uso
del cromatismo che fa sfumare spesso e volentieri i confini tonali. Più
tradizionale l’Adagio, di stampo
quasi mahleriano o espressionista, dove Roussel sfodera idee e immaginazione
degne di apprezzamento, come la sezione centrale fugata e il finale idilliaco,
chiuso dal MIb sovracuto del primo violino. Il terzo tempo è assimilabile ad
uno Scherzo dal cipiglio quasi
bruckneriano, privo però del classico Trio,
ma con una struttura tematica che richiama un rondò. Il conclusivo Allegro sembra invece organizzato
proprio come Scherzo-trio-scherzo, anche se tutto in tempo pari. Nella sezione
interna, in Andante, ascoltiamo una
preziosa melopea del violino solo. Esilarante davvero la conclusione con un
unisono generale sul SOL.
Insomma,
un’opera di tutto rispetto, che merita di essere proposta più di frequente.
Intanto ieri, grazie al Direttore e ai ragazzi dell’Orchestra - che hanno innescato
per lui un applauso ritmato - ha ottenuto un calorosissimo successo dal
pubblico che non ha disertato l’Auditorium, a dispetto di una giornata più che
primaverile.
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