XIV

da prevosto a leone
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27 ottobre, 2023

Orchestra Sinfonica di Milano – Mahler-Festival#3

Dopo la Filarmonica della Scala, ecco un’altra prestigiosa Orchestra presentarsi in Auditorium per il terzo appuntamento del Festival Mahler: la Santa Cecilia, guidata da Manfred Honeck, che ha presentato a Milano lo stesso programma previsto per Roma il 25-26-28 ottobre.

Programma che affiancava il Beethoven dell’Eroica al Mahler di alcuni Lieder dalla raccolta Des Knaben Wunderhorn, interpretati da Christoph Pohl, che ha rimpiazzato l’indisposto Matthias Goerne.

Des Knaben Wunderhorn è una sterminata collezione di vecchie poesie e filastrocche popolari tedesche – risalenti prevalentemente alla guerra dei 30 anni (1618-1648, culminata con la Pace di Westfalia) - pubblicata nei primi anni dell’800 (1805-1808) da Achim von Arnim e Clemens Brentano. Si articola in tre volumi che contengono complessivamente quasi 700 poesie, inclusi 134 Kinderlieder. Dentro ci troviamo un po’ di tutto: fatalismo, disperazione, antimilitarismo, ingenuità, fanciullaggini, ma anche sana saggezza, sarcastica critica del potere e delle stupide convenzioni sociali.    

Verso la fine dell’800 Mahler musicò 9 canti per voce e pianoforte, e successivamente altri 15 (in tre tranche di 5, 8 e 2) per voce e orchestra, tre dei quali sono poi divenuti altrettanti movimenti di sinfonia (seconda, terza e quarta). Di questi 15 Lieder la Universal Edition di Vienna ne ha pubblicati 12 in due volumi (6+6), escludendo quindi i tre elevati da Mahler al rango di movimenti di Sinfonia (Urlicht, Seconda Sinfonia, 4° movimento; Es sungen drei Engel, Terza Sinfonia, 5° movimento; e Das himmlische Leben, Quarta Sinfonia, 4° movimento).

Qui abbiamo ascoltato sette di questi 15 Lieder (cinque dei quali ci erano stati proposti proprio un anno fa, dalla coppia Bostridge-Mariotti) e precisamente:

Rheinlegendchen. 2° del Volume II U.E. (genere: favola). É una delicata melodia campestre (una ballata, come era definita) su un testo che racconta un’improbabile storia di un anellino, buttato nel fiume da un mietitore, e che arriva sulla tavola del re, dentro al pesce che lo ha ingoiato. Così una bella ragazza di corte lo riporta al contadinello.  

Wo die schönen Trompeten blasen. 4° del Volume II U.E. (genere: antimilitarismo). Un giovane innamorato bussa alla porta della sua amata, che lo fa entrare, ma poi piange udendo cantare l’usignolo. Lui la rassicura: sarai mia, ma prima devo proprio andare in guerra, sui verdi prati, dove squillano le belle trombe. È là la mia casa.

 

Das irdische Leben. 5° del Volume I U.E. (genere: fatali ritardi). Il bimbetto si lamenta ripetutamente: ha fame. La mammina cerca di calmarlo, assicurandogli ora che il grano è già stato mietuto, ora macinato, quindi impastato e infine infornato. Ma quando il pane esce dal forno, il bambinello è già nella bara…   

 

Urlicht. Dalla Seconda Sinfonia. (genere: fede religiosa). Lo abbiamo ascoltato proprio nel primo concerto del Festival. L’umanità vive in miseria e dolore. Ma l’Uomo viene da Dio e Dio gli fornirà un lumicino per ritrovare la strada verso la vita beata del Paradiso.


Des Antonius von Padua Fischpredigt. 1° del Volume II U.E. (genere: dissacrazione). Sant’Antonio predica ai pesci, che seguono il sermone con il massimo interesse (proprio a bocca aperta, si potrebbe dire); la predica è piaciuta assai e ognuno se ne torna contento alle proprie… poco edificanti occupazioni. (Peraltro, non è ciò che accade al 98% dei frequentatori delle nostre chiese?) Anche questa musica l’abbiamo ascoltata da poco: è stata impiegata da Mahler, senza voce e con notevoli ampliamenti, come Scherzo della Seconda Sinfonia.


Revelge. 6° del Volume I U.E. (genere: antimilitarismo). Un tamburino morto resuscita per guidare i compagni, morti come lui, alla vittoria… per poi tornare a fare il morto, sotto le finestre dell’amata. Pare che Mahler abbia confessato di aver avuto l’ispirazione per la musica di questo Lied - un breve inciso del quale compare nel Finale della Quinta sinfonia - durante una lunga seduta sul… WC! Ma qui Fantozzi non avrebbe proprio nulla da eccepire!


Der Tamboursg’sell. 6° del Volume II U.E. (genere: antimilitarismo). Un altro, povero tamburino, un disertore in questo caso, viene condotto al patibolo, e saluta tutti i commilitoni con un atroce sberleffo: me ne vado in ferie, lontano da voi. Buona notte!

 

Pohl – gran bella voce, chiara e con ottima proiezione - non ha fatto rimpiangere l’indisposto Goerne e ce li ha porti con grande sensibilità e pathos, ben coadiuvato dai ceciliani in gran forma, il che gli ha garantito calorosissimi applausi e diverse chiamate.

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E la gran forma dei ceciliani (insieme all’indiscusso prestigio di cui godono) è poi risaltata nell’esecuzione invero impeccabile dell’Eroica che, dal romanticismo disincantato, rassegnato e pessimista del Wunderhorn, ci ha portato in quello volitivo, razionale e incrollabilmente positivo di Beethoven.

 

Honeck (per i miei gusti) ha forse ecceduto di sostenutezza nell’iniziale Allegro con brio (compensandola con l’omissione del da-capo dell’esposizione…) ma per il resto la sua è stata una direzione da elogiare: in particolare nella Marcia funebre e nel finale Allegro molto, dove hanno brillato in particolare gli ottoni (con Allegrini e i suoi corni già in bella evidenza nel Trio dello Scherzo).

 

Successo travolgente, con innumerevoli chiamate, ovazioni e interminabili applausi ritmati: insomma, altra serata da incorniciare! 

19 settembre, 2011

Pappano con la Cecilia a Rimini


Il quarto e penultimo concerto della Sagra musicale malatestiana ha avuto come prestigiosi ospiti la migliore Orchestra italiana, guidata dal suo campione Antonio Pappano e la solista Hélène Grimaud. Accoglienza di pubblico adeguata al rango degli ospiti e Palacongressi ancora una volta stracolmo. Programma d'epoca, come d'epoca erano i bolidi che sfrecciavano ieri mattina borbottando sul lungomare, per il Gran Premio Nuvolari.


È Hélène Grimaud ad aprire la serata con il Primo concerto di Brahms. Già dalla lunga introduzione orchestrale si fa sentire il suono pulito, bellissimo, della Santa Cecilia (archi compatti come il pacchetto di mischia degli All-blacks e corni strepitosi) che obbedisce come un cagnolino al gesto – un po' sporco, se vogliamo, ma evidentemente efficace – di Pappano. Che detta un tempo per me quasi perfetto per il Maestoso (che è segnato da Brahms con 58 minime puntate) che, partendo da SIb, passando per LA e poi per RE maggiore, prepara l'ingresso in RE minore del solista. La bell'Hélène (smile!) mi è parsa voler depurare questo Brahms da ogni languidezza crepuscolare, per offrircene una interpretazione misurata e austera, cosa che personalmente condivido. Anche nell'Adagio e nel conclusivo Allegro non troppo (dove Brahms ha fornito solo indicazioni agogiche qualitative) ha staccato tempi piuttosto stretti, senza cadere in facili sdolcinature o in eccessi velocistici, rispettivamente. Calorosa accoglienza per lei, ripetutamente chiamata dal pubblico, che convince la francesina a regalarci un (in)solito bis.

Poi ecco la Scheherazade, uno dei capolavori di Rimski-Korsakov (qui qualche nota a margine di un'esecuzione de laVerdi). È la storia della bella principessa che, per sfuggire alla morte decretata dal suo sultano – un tizio poco raccomandabile, che applicava alle mogli la sbrigativa pratica dell'usa&getta - si inventa ogni notte una favola con cui distrarre il fetentone dalle sue poco simpatiche intenzioni. Anche noi oggigiorno abbiamo un pipistrello che cerca di sfangarsela – dai magistrati, nella fattispecie - inventando storielle a ripetizione: La piccola fiammiferaia Ruby, I due orfanelli tarantini, Il battello sulla Vitola, Ali Papa e i 40 spioni, I tre monti del milanese, Il segreto di bunga-bunga, Il colluttorio miracoloso di sorella Nicole, e così via fantasticando sulle 1000-e-1-notte-di-Arcore. Il celebre compositore Apicella sta scrivendo al proposito una suite, intitolata Beherluscazade

Ma bando alla deprimente attualità politica, e veniamo all'esecuzione dei ceciliani. Sugli scudi ovviamente le parti solistiche, quindi in primo luogo il Konzertmeister Carlo Maria Parazzoli, chiamato ad interpretare il ruolo della principessa; ma poi gli strumentini, che Rimski impegna spesso e volentieri in passaggi addirittura bestiali. Ma queste eccellenze non sono che diamanti incastonati in un gioiello meraviglioso, qual'è proprio l'intera compagine orchestrale. Non saprei cosa lodare di più di questa performance, che ha valorizzato al massimo tutte le bellezze di questa partitura – forse non sufficientemente apprezzata - che per me è davvero uno dei capolavori assoluti della musica. E quando Pappano, dopo aver messo a dormire prima il sultano e poi la principessa, abbassa le braccia sull'accordo perfetto di MI maggiore, impreziosito dal MI sovracuto in armonici del violino principale, è un uragano che si scatena in quel gran capannone che è il vecchio Palacongressi. Ripetute chiamate e non uno, ma due bis: l'Intermezzo pucciniano dalla Lescaut e la scatenata conclusione delle Ore ponchielliane. Insomma, una serata da tenere a memoria.

E così, dopo essere arrivati a Rimini (su un convoglio del loro socio fondatore Ferrovie Italiane, per caso guidato dall'AD Moretti? presente in sala…) sotto un soffocante garbino (32°) e con l'acqua del mare che pareva un brodo, i ceciliani se ne vanno lasciando dietro di sé temporali, acquazzoni e 10° in meno di temperatura: che l'estate stia finendo?
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12 aprile, 2011

Pappano e una grande Cecilia alla Scala


Ieri sera i santi romani della Cecilia, guidati da Antonio Pappano, sono stati ospiti della Scala per un Concerto benefico, a favore della CRI. Teatro non propriamente esaurito, ma questa volta gli assenti hanno avuto decisamente torto.

Qualcuno forse ricorderà che esattamente un anno fa una analoga visita già programmata da tempo (con la Seconda mahleriana in locandina) venne inopinatamente cancellata per non disturbarne un'altra, evidentemente considerata di priorità superiore (parlo del forestale ritorno di Abbado). Poi il destino (o qualcos'altro, per chi non gradisce gli eufemismi) ci mise lo zampino e così i milanesi, dalla possibilità di ascoltare due Auferstehung interpretate a breve distanza di tempo dalla prima orchestra italiana (guidata da un italo-albionico immigrato in Italia) e dall'orchestra del primo teatro italiano (guidata da un italiano che l'ha abbandonata da tempo per emigrare fra i crucchi) si ritrovarono con un pugno di mosche.

Ecco, la visita di ieri era una specie di risarcimento per il danno subito. E che risarcimento, accipicchia. Schumann-Brahms, un'accoppiata tanto classica quanto corposa, due cosucce proprio da niente: la Quarta e il Requiem!

Con Schumann si ha subito l'idea del valore di questa Orchestra (disposta precisamente secondo il layout tradizionale tedesco, violini secondi al proscenio e archi bassi al centro-sinistra) compatta in ogni sezione, suono chiaro, pulito e senza sbavature (gli ottoni hanno subito modo di mettere in mostra le loro qualità) e del suo Direttore, il cui gesto può magari sembrare goffo, ma dev'essere assolutamente efficace, a giudicare dai risultati. Una Quarta tirata tutta d'un fiato, con punte di diamante nella Romanza, con oboe e primo violino in bella evidenza, e nello strepitoso Presto conclusivo, dove il suono sale progressivamente dagli strumenti bassi (strepitosa qui la prestazione di contrabbassi e violoncelli) a quelli alti, come una serie di ondate successive.

Dopo l'intervallo arriva anche il coro di Ciro Visco, in uno con i solisti Rebecca Evans e Peter Mattei, per deliziarci con il brahmsiano Ein Deutsches Requiem. Le cui note hanno risuonato ieri a Milano dopo aver riempito di sé sabato e domenica l'Auditorium di Renzo Piano, prima di tornarvi ancora questa sera stessa.

Un Requiem tedesco: Brahms in effetti lo pensò come Una specie di Requiem; e nemmeno tedesco, ma semplicemente… umano! Che l'ispirazione musicale sia venuta da Bach non stupisce affatto (Mendelssohn aveva ormai resuscitato il grande Johann Sebastian) ed è stata ammessa candidamente dallo stesso Brahms, che rivelò di aver preso spunto per i temi del primo e secondo brano da un famoso corale di Bach, normalmente individuato come Wer nur den lieben Gott (quello della cantata BWV93). Il motivo è però rintracciabile prima ancora in un'altra cantata, la BWV27 (Wer weiss, wie nahe mir mein Ende?):

Quest'ultimo testo si avvicina fra l'altro in modo assai chiaro a quello del N°3 del Requiem: Herr, lehre doch mich, dass ein Ende mit mir haben muss.

La radice dello stesso tema si trova anche nel famoso Inno dell'Imperatore, musicato da Haydn in un quartetto e oggi Inno nazionale tedesco. E Brahms la richiamerà ancora vagamente, nel suo secondo concerto per pianoforte.

E non c'è dubbio che Brahms abbia anche pensato a Schumann (che aveva incluso un Requiem nei suoi incompiuti programmi): è stato già notato il richiamo ad un passo del Paradies und Peri nella seconda sezione del N°2:


Ma il momento (per me) più emozionante dell'intero Requiem è (nel N°3) il passaggio dal Nun, Herr, wes soll ich mich trösten (Adesso, Signore, con chi mi debbo consolare?) - ripetuto in piano dopo essere stato gridato in fortissimo - al canone di Ich hoffe auf dich (Io ripongo la mia speranza su di te). È il passaggio da una domanda angosciosa, quasi sconfortata, alla speranza – appunto - nel Creatore:
E che introduce la successiva fuga di proporzioni gigantesche, su Der Gerechten Seelen sind in Gottes Hand (Le anime dei giusti sono nelle mani di Dio).

Ma a proposito di fughe colossali, come non restare colpiti ed ammirati da quella, in SIb maggiore, principiante con Die erlöseten des Herrn (I redenti dal Signore) che chiude il N°2. E poi da quella in DO maggiore, che conclude il N°6: Herr, du bist würdig zu nehmen Preis und Ehre und Kraft (Signore, tu sei meritevole di ricevere elogio e onore e potenza). Veri e propri monumenti eretti ad imperitura gloria di una stagione della civiltà musicale occidentale, anzi mitteleuropea, che non ha (for the time being) uguali al mondo.

Si è giustamente scritto che il Requiem brahmsiano è distante le mille miglia da quelli cattolici, tutti incentrati sul tremendo - e assai poco divino, diciamolo chiaramente - Dies Irae (ecco, se Dio è soggetto all'ira… ma che c. di dio è?) e non per nulla nel N°6 Brahms musica versi del tutto lontani dalla liturgia cattolica:

Poichè la tromba suonerà,
e i morti saranno resuscitati
incorruttibili,
e noi saremo trasformati.
Allora si adempirà
la parola, che sta scritta:
La morte è divorata nella vittoria.
Morte, dov'è il tuo aculeo?
Inferno, dov'è la tua vittoria?

(Peccato che Lutero non ce l'abbia fatta a valicare le Alpi, smile!!!)

Ecco, musica come questa sa conciliare come null'altro fede e ragione, anelito al trascendente e orgogliosa rivendicazione delle straordinarie prerogative dell'Uomo. Merito di Pappano, Visco e dei loro eccezionali musicisti, oltre che degli impeccabili Evans-Mattei, di averci emozionato ancora una volta ascoltando questo capolavoro. Alla fine grandi ovazioni per tutti (con qualche isolata disapprovazione per il solo Pappano? Forse c'era qualcuno dai gusti troppo raffinati o dal cuore troppo freddo…) Certo è che alla Scala non capita spesso di ascoltare musica a questi livelli.

30 marzo, 2011

Pappano alla Scala per la CRI



Lunedi 11 aprile Antonio Pappano e gli accademici di Santa Cecilia si esibiranno alla Scala in un concerto benefico a favore della Croce Rossa Italiana, Sezione femminile.

In programma la Quarta di Schumann e il Requiem brahmsiano.

Qualcuno ha voluto preparare un breve video promozionale: la musica che si ascolta è sì un Requiem diretto da Pappano con S.Cecilia, ma è quello di Verdi. Come diceva quel tale? Tanto per la precisione
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11 gennaio, 2010

Henze e Mahler a SantaCecilia

Poco fa Radio3 ha irradiato in diretta la seconda esecuzione (dopo la prima assoluta di domenica) di Opfergang di Hans-Werner Henze diretta da Antonio Pappano con la SantaCecilia.

Il Maestro legge un breve e poetico sunto dell'Opera, scritto proprio dal compositore, ci fa una rapida analisi del brano e poi si mette al pianoforte, che concerta con l'orchestra a supporto dei cantanti. Che dire? Difficile giudicare al primo ascolto (e probabilmente anche al secondo e terzo e quarto… come sempre accade quando ci si confronta con la tecnologia musicale dodecafonica); restano le sensazioni epidermiche di una musica che non sembra lasciare spazio alcuno a ottimismo e positività… che però emergono proprio quando la musica tace, nelle parole del cagnolino ormai passato a miglior vita: Die Liebe fängt an (comincia l'Amore).

A seguire Das Lied von der Erde di Mahler. Musicista che scopriamo oggi - grazie all'agenzia di stampa del simpatico Capezzone (detto anche la-voce-del-padrone) - aver vissuto fino alla veneranda età di 100 anni!

C'è un legame artistico-estetico fra le due opere: il concetto di morte, fisicamente imposta o serenamente prefigurata; poi anche uno biografico, impersonato da Franz Werfel, autore del testo di Opfergang e terzo marito (dopo Mahler e Gropius) di Alma Schindler.

Esecuzione davvero impeccabile dell'orchestra (non così mi è parso della ripresa audio, che spesso ha messo i legni troppo in primo piano); qualche sbavatura negli attacchi dei cantanti, comunque più che meritevoli e pulitissima l'interpretazione di Pappano, che mi è parso rispettare alla virgola la lettera e lo spirito di questa straordinaria partitura.

09 settembre, 2009

La Santa Cecilia al Conservatorio per il MiTo

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Privata della sua carismatica guida, la più importante e rinomata Orchestra Sinfonica italiana è approdata a Milano, dopo aver visitato Torino, nell’ambito del MiTo. A sostituire il convalescente Antonio Pappano era Diego Matheuz, un prodotto di quel sistema Abreu di educazione musicale giustamente osannato per aver dato un futuro a migliaia di ragazzi di strada e per aver sfornato un tale Gustavo Dudamel, oggi re di LosAngeles.

Anche il programma è mutato rispetto al previsto, con la corposa Quinta ciajkovskiana a rimpiazzare Ponchielli e Respighi, chiudendo il concerto dopo l’ouverture del Tell e l’Italiana di Mendelssohn.

Impressionante la prestazione dell’Orchestra (disposta come sempre secondo una variante del layout teutonico classico: violini contrapposti ai lati del direttore, violoncelli e bassi a sinistra, viole a destra, ma con i corni in fondo a sinistra, opposti agli altri ottoni) davvero ai vertici nel panorama italiano: evidentemente sa suonare a memoria, anche quando il suo conduttore è a casa a riposare. Detto – sia chiaro! - con tutto il rispetto per il buon Diego, che però di tempo per provare e soprattutto per lasciare la sua impronta ne ha avuto davvero poco (avrà modo magari di farlo in futuro, visti i suoi impegni di gennaio con l’orchestra). Orchestra con professori di valore solistico assoluto, come ben si è potuto sentire nell’Ouverture rossiniana, ma anche – per citare uno dei tanti esempi – nell’incipit dell’andante ciajkovskiano.

A proposito della Quinta di Ciajkovski (come e forse più dell’Italiana): è ormai uno di quei pezzi talmente inflazionati da esecuzioni, CD e riproduzioni varie, che il rischio è di farne indigestione, e di non apprezzarne più le qualità (o magari di ascoltarne interpretazioni gigionesche, come una recente del pur grande Gergiev, piena di forzature dinamico-agogiche). Ma ieri ci ha pensato la Santa Cecilia a renderla non solo digeribile, ma interessante ed entusiasmante, come ad un primo ascolto… (E domani la stessa Quinta si replica in Auditorium con laVerdi! Vedremo come finirà questo confronto, a distanza ravvicinata, fra i sovrani di Roma e gli outsider di Milano).

Alla fine grandi ovazioni e due generosi bis: la fin troppo famosa Danza ungherese n°5 di Brahms e la enigmatica variazione Nimrod di Elgar.

Note stonate? Più o meno 200… quante le poltroncine della sala Verdi rimaste desolatamente vuote.
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