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09 settembre, 2009

La Santa Cecilia al Conservatorio per il MiTo

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Privata della sua carismatica guida, la più importante e rinomata Orchestra Sinfonica italiana è approdata a Milano, dopo aver visitato Torino, nell’ambito del MiTo. A sostituire il convalescente Antonio Pappano era Diego Matheuz, un prodotto di quel sistema Abreu di educazione musicale giustamente osannato per aver dato un futuro a migliaia di ragazzi di strada e per aver sfornato un tale Gustavo Dudamel, oggi re di LosAngeles.

Anche il programma è mutato rispetto al previsto, con la corposa Quinta ciajkovskiana a rimpiazzare Ponchielli e Respighi, chiudendo il concerto dopo l’ouverture del Tell e l’Italiana di Mendelssohn.

Impressionante la prestazione dell’Orchestra (disposta come sempre secondo una variante del layout teutonico classico: violini contrapposti ai lati del direttore, violoncelli e bassi a sinistra, viole a destra, ma con i corni in fondo a sinistra, opposti agli altri ottoni) davvero ai vertici nel panorama italiano: evidentemente sa suonare a memoria, anche quando il suo conduttore è a casa a riposare. Detto – sia chiaro! - con tutto il rispetto per il buon Diego, che però di tempo per provare e soprattutto per lasciare la sua impronta ne ha avuto davvero poco (avrà modo magari di farlo in futuro, visti i suoi impegni di gennaio con l’orchestra). Orchestra con professori di valore solistico assoluto, come ben si è potuto sentire nell’Ouverture rossiniana, ma anche – per citare uno dei tanti esempi – nell’incipit dell’andante ciajkovskiano.

A proposito della Quinta di Ciajkovski (come e forse più dell’Italiana): è ormai uno di quei pezzi talmente inflazionati da esecuzioni, CD e riproduzioni varie, che il rischio è di farne indigestione, e di non apprezzarne più le qualità (o magari di ascoltarne interpretazioni gigionesche, come una recente del pur grande Gergiev, piena di forzature dinamico-agogiche). Ma ieri ci ha pensato la Santa Cecilia a renderla non solo digeribile, ma interessante ed entusiasmante, come ad un primo ascolto… (E domani la stessa Quinta si replica in Auditorium con laVerdi! Vedremo come finirà questo confronto, a distanza ravvicinata, fra i sovrani di Roma e gli outsider di Milano).

Alla fine grandi ovazioni e due generosi bis: la fin troppo famosa Danza ungherese n°5 di Brahms e la enigmatica variazione Nimrod di Elgar.

Note stonate? Più o meno 200… quante le poltroncine della sala Verdi rimaste desolatamente vuote.
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