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18 settembre, 2009

Stagione dell’OrchestraVerdi - 2


Insolito programma quello del secondo concerto dell’Orchestra Verdi, ieri sera.

Alla seconda di Beethoven, eseguita in apertura, sono stati associati quattro pezzi di Wagner: tre ouverture e la Cavalcata delle Walkirie. Di solito si programma una ouverture d’opera per aprire il concerto, e una sinfonia per chiuderlo.

Evidentemente ieri Xian Zhang ha voluto mettere al centro dell’attenzione Wagner (come ben chiarisce il sottotitolo del concerto) e, collocandola in apertura, ha forse involontariamente accreditato la vox populi che vuole la seconda, come tutte le sinfonie pari di Beethoven, essere un’opera minore, cioè di passaggio, di rincorsa, di ponte fra due lavori impegnati, ossia fra due capolavori. Il che è assai opinabile nella fattispecie, dal momento che l’eroica è di certo una grande sinfonia, ma la prima – con tutto il rispetto – non è poi questo mostro sacro, anzi; al confronto la seconda appare come un deciso passo avanti, sul piano dei contenuti (vi si intravede addirittura la nona, in quell’inciso di una battuta in RE minore verso la fine dell’adagio introduttivo). Il quale adagio, per restare ai confronti superficiali, è di 33 misure (3/4), quindi molto più esteso e importante di quello della prima (12 misure in 4/4). Poi, e questa è una caratteristica sostanziale, presenta per la prima volta uno scherzo in luogo del settecentesco menuetto. E la sua stessa durata - se si esegue il ritornello dell’esposizione nel primo tempo (cosa che la Zhang non ha fatto, ma nessuno la crocifiggerà per questo) - la colloca, dopo nona e terza, fra le più lunghe sinfonie beethoveniane (per quanto la durata possa contare sul piano estetico).

Resta però il fatto che è una sinfonia poco eseguita e apprezzata meno di quanto meriti. Comunque, se si intende presentare in un concerto quel po’-po’ di minestrone wagneriano, allora meglio mettere la sinfonietta di Beethoven come antipasto, chè invertendo l’ordine di esecuzione, essa rischierebbe di apparire come uno di quei bis che si suonano a mò di sorbetto per far digerire un qualche monumentale mattone. Messa invece in testa, ne è stata meglio valorizzata la freschezza e la solida struttura. Meritoria l’esecuzione, con un personale apprezzamento per il larghetto in LA maggiore, esposto con sensibilità e delicatezza, ma senza sdolcinature da minuetto.

Il quadripartito main course wagneriano (una traiettoria circolare, dai Meistersinger alla Cavalcata, passando per Tannhäuser e Holländer) potrebbe essere contrabbandato per una sinfonia nei quattro classici movimenti. Ma in realtà di sinfonico non ha proprio nulla: è una giustapposizione di blocchi sonori che hanno in comune soltanto la paternità e il fracasso, per quanto si tratti di paternità nobilissima e di fracasso sublime.

Interessante la spiegazione del programma wagneriano e originale il proposito di Xian Zhang: primo, mettere in piena luce gli ottoni dell’orchestra, che le hanno da subito fatto grande impressione; secondo, far risaltare, anche da poche battute delle ouverture, i contenuti dei drammi wagneriani, ciò che si sente e si partecipa assistendo alle rappresentazioni in teatro. Proposito originale quest’ultimo, ma piuttosto velleitario (almeno così pare a me) chè le tre ouverture in programma presentano sì i principali temi (nemmeno tutti) delle rispettive opere, ma si tratta di puri rimandi a qualcosa che ci si appresta a godere pienamente di lì a poco, quando quei temi saranno associati a scene, personaggi, sentimenti. Se rimangono isolati, dentro l’ouverture, servono solo da fugace richiamo alla memoria (per chi conosce le opere) o puri temi più o meno orecchiabili (per chi quelle opere non conosce).

Si parte con i Meistersinger. Tacitiamo i puristi precisando che non già di Ouverture si deve parlare, ma di Preludio. Ciò in omaggio al termine (Vorspiel) deliberatamente impiegato da Wagner a partire dal Lohengrin. Puro vezzo anti-italiano peraltro, dato che struttura e contenuti sono precisamente quelli di una Ouverture, come per Holländer e Tannhäuser. Il luminoso DO maggiore dei Maestri, in cui sono incastonati i passaggi in MI, LA e MIb, è uscito bene dall’Orchestra, anche se – piccolo appunto - nel finale gli ottoni si sono troppo esaltati, suonando talmente forte da sovrastare totalmente gli archi.

Poi è la volta di Tannhäuser. Quasi un intermezzo intimistico nel programma, col religioso MI maggiore dei pellegrini e l’allegro del Venusberg. Davvero possente e nobile la perorazione in fortissimo nell’assai stretto finale.

Tocca quindi al fliegende Holländer ripristinare il livello di rumore (sempre detto con simpatia…) La Zhang lo affronta con piglio garibaldino, mettendo subito a dura prova l’abilità dei corni e creando così un efficace contrasto con il tema di Senta.

Si chiude con la Walkürenritt. A differenza dei brani precedenti, che sono in definitiva composizioni chiuse e originali, la cavalcata è una specie di suite strumentale della prima scena dell’atto terzo della Walküre. Per quanto tollerata dallo stesso Wagner per esecuzioni antologiche e in concerto, dal punto di vista strettamente sinfonico non è esente da limiti e da difetti, primo dei quali la monotonìa del tema, a fatica attenuata dal continuo mutare di tonalità. Non dimentichiamoci che nell’opera - come eseguita in teatro - troviamo un elemento fondamentale, che rende il brano più digeribile: le voci delle Valchirie, i famosi ed entusiasmanti Hojotoho! e i loro commenti su sorelle, giumente in calore, eroi recuperati, che fanno da intermezzo ai diversi spezzoni della cavalcata. Qui invece abbiamo un unico polpettone che francamente ci stordisce, a dirla proprio tutta…

In conclusione: un piatto wagneriano di una pesantezza davvero eccessiva. Vuoi vedere che la piccola Xian ci ha fatto fare indigestione di Wagner per aver la scusa per non parlarne più per il resto della stagione? (Non prima di marzo ci sarà un Preludio+Liebestod diretto da Mena, ma poi basta). Intendiamoci: l’Orchestra si è superata, e gli ottoni devono aver premiato la fiducia della cinesina, oltre che infiammato il pubblico, ma francamente: quando è troppo, è troppo!

Il prossimo appuntamento vedrà sul podio Roberto Abbado, con un programma che – tra autori e arrangiatori – si estende su quasi 150 anni.
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