XIV

da prevosto a leone
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22 luglio, 2012

Ombre brune su Bayreuth


A 3-4 giorni di distanza dalla première dell’Holländer, il basso-baritono russo Evgeny Nikitin, destinato ad interpretarne il ruolo principale, si deve essere tolto – chissà dove, ma in pubblico - la canottiera per la prima volta dopo anni e anni (evidentemente lui, su consiglio di una mamma premurosa, la indossava sempre, anche sulle spiagge a 40°).

E così i/le responsabili del Festival di Bayreuth hanno potuto scoprire – giusto in tempo – che il biondo 39enne nato al circolo polare (ecco perché non svestiva mai gli indumenti intimi di lana!) non aveva uno dei requisiti-base per salire sulla verde collina: essere esente da ogni compromissione con il nazismo!

Sì, perché il nostro, in pieno petto, reca da quando era ragazzo e faceva il metallaro, un tatuaggio con tanto di svastica!


Apriti cielo, in quattro e quattr’otto è stato invitato a rinunciare al tanto atteso esordio. Lui si è giustificato dicendosi pentito di quel tatuaggio e di non aver pensato a quanto lunga sia ancora la coda di paglia dei tenutari di Bayreuth rispetto al passato nazista del gran baraccone.

Peccato perché erano anni che Kathi Wagner e Christian Thielemann gli facevano la corte - mai avendolo visto in mutande, evidentemente – ragion per cui in fretta e furia è stato cooptato al ruolo Samuel Youn, che si trova per caso già a Bayreuth per interpretarvi l’Araldo nel Lohengrin, e così fa pure risparmiare sulla nota-spese (smile!
        

03 febbraio, 2009

Buon compleanno, Felix!


Jakob Ludwig Felix Mendelssohn Bartholdy compie oggi 200 anni.

Matthew Guerrieri commemora l’anniversario con una delle sue simpatiche strip su personaggi della musica: stavolta, assieme al festeggiato, un suo illustre amico-nemico, Richard Wagner. Riassumo per i non anglofoni la storiella:

1. Felix offre a Richard un sufflè e Wagner si lamenta: avrebbe voluto qualcosa di più tedesco: ma cosa ci si può aspettare da un ebreo? aggiunge.
2. Felix precisa: ancora con l’ebreo? Io sono luterano, amico! Richard: ma hai sangue ebreo nelle vene! E allora? Fai parte della cabala, come Meyerbeer!
3. Felix: per l’amor di dio, a me Meyerbeer non piace nemmeno! OK. Allora almeno assaggia il dolce. Richard: cosa c’è nella crema?
4. Felix: sangue di bambini cristiani, naturalmente! Richard sputa tutto...
5. Felix: amico, è crema di lamponi! Ma tu credi proprio a tutto, vero? Richard: scriverò un libello al proposito.

E a proposito del Wagner antisemita: ecco un articolo del Wall Street Journal (che non è solo finanza!) sul perdurante ostracismo a Wagner in Israele. Qui il mio intervento in un forum americano sulla questione.
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11 novembre, 2008

Richard Wagner e il nazismo. 4

Le tesi della difesa.

Certo, bisogna riconoscere che Wagner ha contribuito di bel suo a creare le premesse per una non propriamente onorevole fama, con scritti e comportamenti violentemente antiebraici. Ma intanto bisogna pur sapere che nel pieno ‘800, specialmente nel mondo tedesco, l’antisemitismo era di casa, un pò come certo anti-islamismo nell’Occidente di oggi. Gli islamici non si integrano nella nostra società, non parlano bene la nostra lingua, non mangiano come noi, sembrano piuttosto sporchi, “rubano” posti di lavoro ai nostri figli, non capiscono la nostra arte, l’unica loro musica è l’insopportabile cantilena del muezzin, insomma, ci sono istintivamente repellenti… lo pensano in molti, anche qui da noi, vero? E qualcuno – gente assai importante - lo scrive sui giornali e sui libri, lo dice in TV. Bene, è su per giù ciò che Wagner scriveva degli ebrei, nel 1850.

Ma si potrebbe addirittura retrocedere nei secoli, e scoprire che un antisemita accanito fu Martin Luther (cui nessuno osa attribuire responsabilità dirette per l’Olocausto) e che altrettanto fu William Shakespeare, di cui nessuno, che si sappia, ha mai proposto di proibire in Israele la rappresentazione del “Mercante di Venezia”.

Tornando a Wagner, visto che la musica e l’opera erano il suo “pane quotidiano” e la sua suprema aspirazione esistenziale, non è fuori luogo immaginare che il maestro abbia, in qualche modo, ricavato dalle sue convinzioni antiebraiche – meglio sarebbe dire: dai suoi pregiudizi - più di uno spunto per la composizione delle sue opere e, in particolare, per la presentazione dell’aspetto “esteriore” di alcuni suoi personaggi. Ma già questo è un primo punto importante da sottolineare: l’antiebraismo di Wagner riguardava principalmente l’Arte e, in particolare, la Musica. Lui - magari solo perchè invidioso dell’onnipotente Meyerbeer, che dettava legge nella Parigi musicale, e si arricchiva assecondando le più abiette tendenze “artistiche” della locale borghesia - giudicava gli ebrei “non portati” per l’arte musicale, almeno come essa era concepita in Germania e in Occidente, ma è del tutto gratuito attribuirgli la spiegazione di ciò come conseguenza della rinuncia all’amore e dell’asservimento al potere dell’oro da parte della razza ebraica (e solo di essa, attenzione!)

Quando era il momento di chiedere quattrini, lo stesso Wagner applicava disinvoltamente il famoso adagio latino: “pecunia non olet”… e si può star certi che molti dei rossi mattoni del Festspielhaus abbiano sangue ebraico nel loro pedigree. E quando si trattava di scegliere i migliori collaboratori per la riuscita delle sue Opere, Wagner non esitava a chiamare amici ebrei, come accadde per la prima del Parsifal - invero una cosuccia da nulla! - che venne affidata, con grande successo e soddisfazione di tutti, a Hermann Levi (il fatto che Wagner gli abbia anche, contraddittoriamente, manifestato più volte il suo disprezzo non fa che confermare l’assunto: il suo antisemitismo era “relativo” e non “assoluto”).

Non solo: quando si trattava di trovare spunti interessanti per le sue opere, Wagner non esitava a saccheggiare quelle di compositori ebrei, vedi Mendelssohn, da lui offensivamente ridicolizzato nel Giudaismo, ma poi abbondantemente scopiazzato dalla Melusina, dalla Scozzese, dalla Riforma. E persino l’odiato Meyerbeer darà spunti - col Robert le diable - al Parsifal.

Rispetto al possibile uso politico delle opere di Wagner, basterà ricordare che, molto prima di Hitler, anche Ludwig II si era letteralmente “innamorato” del compositore e delle sue opere, ed aveva conosciuto molto bene il suo acceso antisemitismo. Ma ciò non aveva comportato che la Baviera invadesse la Polonia, nè che allestisse campi di concentramento e forni crematori. Anzi, il giovane re, che per il Wagner artista spendeva e si spendeva, fu sempre molto fermo con il Wagner antiebreo, non risparmiandogli aspri rimbrotti in merito e bocciandone ogni proposta operativa.

E persino l’ostracismo a Wagner in Israele è nato solo nel 1938 (precisamente il 12 novembre, all’indomani della tristemente famosa Kristallnacht, di cui stiamo proprio ricordando l’anniversario) quando il nazismo cominciò a mettere in atto la “soluzione finale” al problema ebraico. Prima di allora, l’Orchestra della Palestina (diventata poi Israel Philharmonic) suonava tranquillamente Wagner (con un tale Toscanini sul podio, ad esempio). E come non ricordare tutte le personalità, grandi e piccole, del mondo ebraico che furono e sono convinti ammiratori del Wagner artista, pur riconoscendo (e condannandole) le idee antisemite del Wagner uomo: Gustav Mahler e Daniel Barenboim, giusto per citare due nomi fra i tanti.

Anche se è cosa estremamente difficile - quanto camminare sulla lama affilatissima di un rasoio - sono convinto che vada fatto sempre ogni sforzo per tenere distinti gli aspetti deteriori del Wagner uomo, ideologo, capopopolo, da quell’unica qualità per la quale Wagner ha titolo per essere ricordato ed apprezzato: l’Artista!

Passiamo ora ad esaminare e confutare i vari capi di imputazione che vengono contestati a Wagner e che ho sommariamente elencato nella precedente puntata.


Vediamo I Maestri Cantori.

Intanto cominciamo col dire che Beckmesser non può essere ebreo: come tale mai avrebbe potuto far parte dell’accolita dei Cantori. E allora qualcuno dovrebbe spiegare che senso avrebbe far incarnare ad un non-semita tutte le qualità deteriori - massimamente quelle fisico-morfologiche - attribuite dal Wagner “politico” agli ebrei. Insomma, per assurdo: se Beckmesser, che certamente non è semita, cammina e parla e canta come un semita... significa che fra semiti e non-semiti non c’è differenza alcuna! E allora casca tutta l’impalcatura dell’accusa.

Ma andiamo oltre: alla fine del primo atto Beckmesser confida a Pogner il desiderio di avere in moglie sua figlia Eva. E Pogner, pur riaffermando che sarà Eva a dover acconsentire, si impegna a intercedere per lui presso la figlia. Ergo: Pogner, rappresentante a pieno titolo della società e della cultura tedesca, non ha alcuna preclusione verso il “merker”, che evidentemente considera del tutto degno - Eva consentendo - di diventare suo genero.

Il “puro ariano” Hans Sachs, viceversa, sarà anche “nobile” e saggio, rinunciando in partenza ad Eva, ma si mostra assai carogna (e geloso?) nei confronti di Beckmesser allorquando, nel secondo atto, fa di tutto per rovinargli la “serenata”. E persino il giovane David, tratto in inganno dallo scambio di persona Eva-Maddalena (non certo voluto dal povero Beckmesser) si rende responsabile di percosse e maltrattamenti nei confronti dello scrivano, e della gigantesca rissa che ne segue, da cui l’incolpevole Sixtus uscirà letteralmente con le ossa rotte! Ed è proprio in conseguenza delle botte subite la sera prima che Beckmesser, nel terzo atto, in casa di Sachs e poi sul terrapieno della tenzone canora, appare barcollante e malfermo sulle gambe, non certo perchè questo sia il modo di camminare congenito agli ebrei!

Beckmesser - è vero - ruba il foglio su cui Sachs ha trascritto il lied di Walther. Non è certo una bella azione, ma non si può non riconoscere che Sachs si è comportato con lui in modo davvero indegno; e adesso quella canzone gli sembra dimostrare che Sachs pretenda alla mano di Eva, e gli conferma il sospetto che il calzolaio, la sera prima, avesse architettato tutto ai suoi danni, per pura gelosia!

Insomma, ragionando a mente fredda, vien da concludere che Beckmesser sia una vittima, più che un pericolo pubblico. E che Sachs sarà anche un tedesco doc, ma è pure parecchio carogna. E allora: ammesso che Beckmesser impersonifichi il semita, non è che Wagner volesse per caso mostrarci la triste condizione degli ebrei, sottoposti ad ogni tipo di angheria? Altro che antisemitismo...

Ma veniamo alla sostanza: la musica!

Pochi passaggi musicali sono così magistralmente concepiti, e così belli, come l’assurda e patetica serenata (oltretutto una reminiscenza e insieme parodia della rossiniana canzone di Lindoro) che Beckmesser canta nel secondo atto, e che doveva servire al compositore – secondo i sostenitori del Wagner nazista - per prendere di mira la pretesa incultura musicale del mezzo-ebreo Eduard Hanslick (il critico che lo “criticava”, peraltro con grandissimo equilibrio). Al confronto, gli stollen-abgesang dello Junker Walther (ma come potrebbe mai impersonificare un “eroe ariano” uno il cui cognome - von Stolzing – è già di per sè una parodia?!) sembrano esercizi di un (mediocre) allievo di liceo musicale. Tutta la musica che sostiene la strepitosa, stupefacente scena finale della baruffa del secondo atto nasce e si sviluppa proprio da lì, altro che cantilena da Sinagoga! E si noti che persino David, all’inizio del terzo atto, intona inizialmente il mottetto “Am Jordan Sankt Johannes stand” proprio sulla melodia della serenata di Beckmesser! Inquinato anche lui dalla sub-cultura semitica? Bisognerebbe dimostrarlo, partitura alla mano!

Quanto al preislied, Wagner è a sua volta davvero carognesco nel formularne la “versione Beckmesser”: ma un simile stravolgimento del testo originale è spiegabile con mille motivazioni, e non solo con la difficoltà di un Ebreo nel comprendere la lingua tedesca (e chi ci dice che non sia stata tutta una manfrina di Sachs, quella di scrivere il testo appositamente in modo indecifrabile, per tendere un trappolone al povero “merker”?) Musicalmente è poi tutt’altro che da buttar via, e il fallimento, nella generale derisione, è legato all’insensatezza del testo, non certo alla musica.

Non dimentichiamo infine che Wagner intendeva creare, con i Meistersinger, un’opera comica, e in tutte le opere comiche c’è necessariamente qualche personaggio che si deve prestare alla bisogna (sarà solo il caso di ricordare un certo don Bartolo...) senza per questo dover scomodare pregiudizi razziali.


Passiamo adesso alla Tetralogia.

Secondo l’accusa, dato che l’ebreo ha una cultura che spregia l’amore e predilige l’oro, e dato che Alberich rinuncia all’amore per l’oro, ne deve conseguire necessariamente che Alberich sia un semita, e con lui tutta la sua razza. (Sarà appena il caso di fare un’elementare osservazione: i Nibelunghi sono pur sempre un prodotto del (sotto)suolo germanico, e non hanno alcuna ascendenza “levantina”. E parlano in Stabreim come tutti gli altri personaggi del Ring). In realtà questo è un ”postulato” bello e buono, in nessun modo dimostrabile: sono il poema e la musica del Rheingold, a informarci che Alberich sarà sì piccolo e brutto, ma non è cattivo, cioè non è congenitamente nemico dell’amore, anzi è soggiogato dalla sua potenza, e che la sua successiva maledizione dell’amore è una conseguenza del fatto che questo gli viene inconcepibilmente negato (dalle Figlie del Reno).

Addirittura - volendo dare per forza interpretazioni esclusivamente politiche al Ring - si potrebbe qui ribaltare la tesi e sostenerne a pieno titolo una diametralmente opposta: che Wagner, da occidentale-germanico-ariano faccia un’aperta autocritica e voglia invece presentarci, con Alberich, la triste condizione degli ebrei, disprezzati da ben due millenni dall’ipocrita società occidentale, sia cattolica che luterana, emarginati e relegati in ghetti materiali e spirituali, dai quali possono uscire solo rifugiandosi (anzi, essendo perfino a ciò costretti!) nell’oro.

Per di più , la capitale decisione che Alberich prende ne fa una figura grande, perchè anche per peccare, in modo cosciente, razionale ed assumendosi fino in fondo responsabilità e rischi, bisogna pur avere una statura al di sopra della mediocrità. Altro che meschino verme ebreo!

Veniamo ora a Wotan e al suo preteso “inquinamento” ad opera del semita Alberich. Attenzione! poiché, una volta fatta passare per vera tale ipotesi, si ha poi gioco facile a pervenire alla comodissima tesi secondo cui, nel Ring, Wagner vuole attribuire tutte le colpe della società e della cultura occidentale, in particolare germanica, quindi ariana – anche quelle più gravi ed inconfessabili - all’essere essa in via di inquinamento da parte della sub-cultura semitica (proprio ciò che sosterranno i nazisti!) E che Wagner, con il Ring, questo e non altro ha voluto rappresentarci; e peggio ancora: che nelle opere del protonazista Wagner, Hitler trovò bell’e pronti non solo tutta la sua “visione politica”, ma anche il suo dettagliato programma di eliminazione fisica degli ebrei.

Orbene, sfido chiunque a trovare in tutto il Ring una qualunque, sia pure lontana, giustificazione di questa tesi sciagurata, quanto pretesuosa. Attenzione: stiamo parlando qui del Ring, non di questo o di quell’articolo di giornale, di questa o di quell’altra lettera, o di una frase pronunciata dopo una cena con amici o riferita da Nietzsche, da vonWolzogen, da Cosima, da Gobineau...

Allora cominciamo col dire che l’anello, il simbolo di tutto il male universale, viene sì materialmente forgiato da Alberich, ma a lui preesiste, e sappiamo benissimo dove, avendo ascoltato il Rheingold! Precisamente nella conoscenza delle tre Ninfe, le figlie del Reno, e cioè dell’acqua, il principale dei quattro elementi fondamentali dell’universo. E sulla partitura musicale, il tema dell’anello compare per la prima volta addosso a Wellgunde, non certo ad Alberich! Quindi il nesso causa-effetto non è Alberich-Anello, ma esattamente l’opposto: Alberich è una vittima dell’anello (il male) esattamente come lo è (e lo vedremo subito) Wotan.

Non per nulla, nella seconda scena del Rheingold, Wagner ci ri-presenta il tema dell’anello, letteralmente appiccicandolo a Wotan, come una sanguisuga, fin dalle primissime battute; ed è chiaramente legato al “peccato” del dio, che ha promessa Freia (l’Amore!) ai Giganti, in cambio del Walhall (il Potere). Per di più, lo stesso tema del Walhall altro non è se non una variante del tema dell’anello, la sua “faccia nobile” (ma anche ipocrita?) potremmo dire. Da dove o da cosa, da chi o perché si possa dedurre che Wotan, già a quel punto, sia stato “inquinato” dalla sub-cultura semitica, questo è per me un mistero, anzi… un’invenzione, bella e buona.

La realtà (come ce la racconta Wagner, parole e musica, basta leggere ed ascoltare) è quella che ci hanno già chiaramente presentata gli “eddici” Saemund e Snorri: tutta la razza divina, da Ymir, a Bor, e giù giù fino a Odin(Wotan) è affetta da “peccati originali”, dei quali l’ultimo ci è stato da Wotan confessato già nella Walküre con queste inequivocabili parole: “Als junger Liebe Lust mir verblich, verlangte nach Macht mein Mut: von jäher Wünsche Wüten gejagt, gewann ich mir die Welt.” (Quando di giovine amore languì il desiderio, l'animo mio aspirò a potenza: di improvvise brame dal furore spinto, a me conquistai il mondo. La traduzione è del sommo Guido Manacorda).

Chiaro abbastanza, vero? Ma invece, come non bastasse, il Viandante-Wotan ci fornisce i dettagli del suo peccato nella seconda scena del Siegfried, ed è la mortale ferita da lui stesso inferta al mitico frassino Yggdrasil, per ricavarci l’asta di una lancia, su cui incidere i caratteri runici delle leggi con cui dominare il mondo: “Aus der Welt-Esche weihlichstem Aste schuf er sich einen Schaft: dorrt der Stamm, nie verdirbt doch der Speer; mit seiner Spitze sperrt Wotan die Welt.” (Del frassino del mondo dal ramo più sacro l'asta si costruì: inaridisce il fusto, non si logorerà mai la lancia; con la sua punta sbarra Wotan il mondo. Manacorda).

Poi c’è Erda, che nella prima scena del Terzo Atto di Siegfried così apostrofa Wotan: “Der den Trotz lehrte, straft den Trotz? Der die Tat entzündet, zürnt um die Tat? Der die Rechte wahrt, der die Eide hütet - wehret dem Recht, herrscht durch Meineid?“ (Chi la tracotanza insegnò, punisce la tracotanza? Chi all’azione infiammò, dell'azione s'adira? Chi il giusto protegge e guarda il giuramento - il giusto impedisce e regge con spergiuro? Manacorda).

Non basta ancora? Ecco cosa notificano - per i distratti e i ritardatari - le Norne nel notturno prologo del Götterdämmerung: “Von der Welt-Esche brach da Wotan einen Ast; eines Speeres Schaft entschnitt der Starke dem Stamm. In langer Zeiten Lauf zehrte die Wunde den Wald; falb fielen die Blätter, dürr darbte der Baum...“ (Dal frassino del mondo ecco Wotan un ramo recidere; l'asta d'una lancia tagliò quel forte dal tronco. Nel corso di lunghi tempi la ferita logorò la foresta; falbe caddero le foglie, intristì arido l'albero... Manacorda).

Se poi ricordiamo che Wotan ruba l’anello ad Alberich, ne abbiamo abbastanza, direi… perciò, se immondi e peccatori sono gli Untermenschen semiti, allora come minimo lo sono altrettanto i luminosi germanici-ariani (anzi, di più, poiché non hanno nemmeno l’attenuante della “provocazione” e dello “stato di necessità”: sappiamo che Alberich persegue la Potenza solo dopo aver subito il carognesco trattamento da parte delle Ninfe ed aver quindi constatato l’assoluta impossibilità per lui di accedere all’Amore; Wotan invece ha avuto l’Amore, e tanto abbondantemente da addirittura stancarsene - pur non arrivando a ripudiarlo - ed è quindi andato in cerca di Potenza come “variante esistenziale” all’Amore medesimo). Questo, e non altro, Wagner ci spiega, e senza bisogno di far ricorso ad etichette razziali, tutt’altro, ma semplicemente raccontando di: Schwarz-alben e Licht-alben. Quindi, tutti “elfi”, scuri e chiari, ma elfi. E la quarta scena del Rheingold è lì a testimoniarci, parole e musica, in modo esemplare, che il confronto Alberich-Wotan è quello fra un empio (Frevler) - Alberich - e un ladro (Schächer) - Wotan.

E quindi si deduce che per Wagner, nel Ring (lo ripeto fino alla nausea, non nel libello X o nel discorso Y o nella lettera Z, ma nel Ring) il mortale confronto fra Wotan ed Alberich non è affatto lo scontro fra bene e male, fra puro-ariano e impuro-semita, ma quello fra due peccatori, rappresentanti di due civiltà sì diversamente sviluppate, ma ugualmente fondate sui deteriori (dis)valori dell’anello. Per impossessarsi definitivamente del quale, non a caso entrambi ne combinano di cotte e di crude, fino a scatenare un vero e proprio “conflitto mondiale”, che porterà dritto-dritto al tracollo di entrambe le civiltà. Ed è proprio per questo, e per nessun’altra ragione – si ascolti Wagner, prego – che nessuno dei due personaggi (e nessuno dei due “opposti schieramenti” che a loro fanno capo, figli e figliastri e nipoti inclusi) l’avrà vinta sull’altro, perché nessuno dei due si merita di prevalere. Qualcuno ci vede qui sul serio la Kristallnacht, l’invasione della Polonia, o l’Anschluss? Caso mai, potremmo osservare che alla fine del Ring le cose vanno meno peggio ad Alberich, che non a Wotan! E questo cosa dimostrerebbe? Che Wagner, oltre che nazista, era pure masochista? E che si vide costretto a scrivere una successiva opera colossale, per tentare di porre rimedio alla “frittata” autolesionista del Ring?

Passiamo ora a Mime: che rappresenti la meschinità e l’arretratezza culturale è palese a tutti; che nel Siegfried, Wagner ci racconti di come il miserabile nano soccomba alla purezza, all’entusiasmo e all’inventiva del giovane figlioccio cui fa da tutore, altrettanto.

Ma il punto è che Mime, a differenza di Alberich, che minaccia Wotan di totale distruzione, ha mire assai più ridotte, che ci rivela alla fine del primo atto del Siegfried: a lui “basterebbe” diventare signore dei Nibelunghi, giù nelle tenebre delle viscere della terra. Di Wotan gli importa solo di sfatarne la scommessa persa con lui, e salvarsi il capoccione, null’altro… E del resto, quando mai Wotan mostra di preoccuparsi di lui, o peggio, di considerarlo una seria minaccia? A differenza di Alberich, suo nemico mortale, che gli ha fatto perdere il sonno, ma che lui rispetta almeno quanto teme, per Wotan Mime è solo un mezza-tacca, un poveraccio da prendere - e guardate: persino bonariamente - per i fondelli.

Per il resto ci si dimentica, al solito, di leggere e di ascoltare il Ring: nella terza scena del Rheingold, Mime descrive un mondo nibelungico addirittura idilliaco, prima della “provocata conversione” di suo fratello Alberich alla nefasta religione dell’oro, che ha poi costretto anche lui a tirar fuori il peggio di sé, per naturale reazione…

Quanto all’aspetto esteriore, non c’è dubbio che Wagner rivesta Mime (come in parte anche Alberich) delle qualità negative da lui attribuite agli ebrei (la parlata e la cantilena yiddish, in primo luogo): ma siamo appunto all’esteriorità, peraltro mirabilmente espressa sul pentagramma. (E Richard Strauss, nella Salome, non ha forse musicato per tenore le stridule parti di quattro personaggi ebrei?) Wagner, in fondo, forse doveva essere grato a quello stereotipo di ebreo, se gli consentiva di creare autentiche meraviglie in musica! E non solo qui nel Ring, come abbiamo visto a proposito dei Meistersinger e come vedremo poi nel Parsifal.

Siegmund e Sieglinde: è del tutto evidente che i due personaggi, la loro consanguineità e il conseguente incesto erano un’assoluta necessità artistica per Wagner. L’incesto, che ha come presupposto il legame di sangue dei due gemelli, è l’unica realistica motivazione per il comportamento di Fricka, per le sue richieste a Wotan e per tutto ciò che la loro soddisfazione comporta: il sacrificio di Siegmund, e da qui la “conversione” di Brünnhilde, la di lei punizione, e da qui... tutto il resto del Ring! La Walküre opera d’arte, con il suo meraviglioso impianto e il suo stupendo finale, non potrebbe esistere che così. Viceversa, se Siegmund rappresentasse il puro-ariano, in cui la società germanica ha riposto le sue speranze di riscatto, come si spiegherebbe allora il suo rifiuto di ascendere al Walhall, per difendere quella società? E ancora: visto che è Fricka a chiedere la punizione del Siegmund-eroe-ariano, dovremmo allora pensare che anche lei sia in qualche modo “inquinata” dal nibelungico-semita? E di grazia: in base a quali elementi, circostanze, osservazioni, parole e musica? Ciò che di lei sappiamo (dal Rheingold) è che non è diversa dalla donna media e ”benpensante”, con le sue bigotte convinzioni, ma anche con le sue vanità e le sue debolezze, oro compreso.

Siegfried: che Wagner abbia immaginato in lui uno stereotipo del “puro ariano”, è più che verosimile, così come si può arrivare a pensare che la raffinata ricerca wagneriana nel campo dell’introspezione psicologica (lo straordinario sogno della madre e la reazione di Siegfried di fronte all’Amore) avesse come obiettivo secondario anche di dimostrare al mondo “quanto può fare l’Arte germanica” se paragonata alle “insulsaggini ebraiche” di un Meyerbeer… Ma, ancora una volta, restiamo saldamente ancorati al piano artistico: tirare in ballo quello politico, e più ancora quello razziale, è davvero cosa gratuita. Peraltro basterà, come al solito, stare alla lettera e al pentagramma del racconto wagneriano, per chiederci come si possa spiegare che un Siegfried eroico e incontaminabile, che “resiste”, e come! all’inquinamento di Mime finchè si trova nella sua tenera età (proprio quando invece potrebbe essere facilmente plagiato) successivamente – divenuto maturo ed esperto – possa cadere come un’autentica pera cotta, letteralmente in pochi secondi, davanti ad un qualunque mezzo-semita (Hagen) e ad una insignificante Gutrune! E questo ingenuo bambinone naìf dovrebbe rappresentare, secondo Wagner, il simbolo del riscatto della razza ariana? Roba da ridere… per non vergognarsene. Basti ricordare che le più spietate e stroncanti caricature degli anni ’20 - in Germania, si badi bene - raffigurano Hitler bardato proprio da Siegfried…

Ecco poi Hagen, figlio di Alberich: una geniale invenzione di Wagner. Geniale, ma anche assolutamente necessaria dal punto di vista drammatico, perché l’identità dell’Högni che esce dalle saghe medievali avrebbe reso totalmente gratuito e banale (perché ingiustificabile e del tutto insostenibile, in quanto non realistico) il suo ruolo nella vicenda del Ring: di quel personaggio, il Wagner ideatore di drammi cosmici davvero non avrebbe saputo che farsene. Epperò il suo “Hagen-figlio-di-Alberich” doveva essere per forza di cose un pezzo grosso alla corte dei Ghibicunghi, e di conseguenza il realismo imponeva che lui fosse figlio di una ghibicunga, e non di una nibelunga! Pensare che Wagner volesse mostrarci, con Hagen, il malsano risultato dell’inquinamento semitico della società ariana è una chiara, quanto gratuita, forzatura… anche se non possiamo escludere che Wagner si sia compiaciuto del fatto che una scelta per lui artisticamente obbligata avesse, come by-product, anche un risvolto che magari non gli dispiaceva affatto; oppure che (scegliete voi) Wagner avesse tratto ispirazione dalle sue idee balzane sull’ebraismo per presentarci e descriverci in modo artisticamente sublime un passaggio topico del suo immenso dramma.

Wagner aveva cominciato il suo lungo cammino del Ring da Siegfried, ma è quella di Brünnhilde la figura che alla fine campeggia e torreggia nella Tetralogia: a partire dalla stupenda, emozionante “presa di coscienza” nella Walküre, poi al risveglio e alla “presa di conoscenza dell’Amore” nel Siegfried, e finalmente alla “presa di controllo” sulle estreme vicende cosmiche, nel Götterdämmerung. In ogni caso, la figura di Brünnhilde la dice lunga su quanto sia strampalata l’idea secondo cui Wagner, col Ring, si prefiggesse l’obiettivo di esporci le sue pretese soluzioni politiche riguardo al futuro della Germania. Diciamo la verità: Hitler&C si servirono, a loro uso e consumo, di un artista e di una delle più straordinarie opere d’arte che l’umanità abbia mai prodotto.


Concludiamo con Parsifal.

La semplice constatazione degli innumerevoli legami di questo dramma con il Buddismo e con Schopenhauer e Kierkegaard basterebbe a stroncare ogni accusa di razzismo e antisemitismo.

E poi, sulla presunta ebraicità di Kundry (indicata dagli esegeti che accusano Wagner come l’incarnazione di Ahasvero, l’ebreo errante) è lecito avanzare più di un dubbio: ad esempio, la Erodiade, che Klingsor ci ricorda essere una precedente incarnazione di Kundry, aveva pubblicamente abiurato la sua religione ebraica.

Klingsor, appunto: un semita? E in base a quale prova, di grazia? Solo perchè vive “al sud”, nella Spagna araba? O perchè si è evirato? Forse che castrazione è sinonimo di circoncisione? (che nell’800 molti ignoranti antisemiti lo pensassero non dimostra che anche Wagner ne fosse convinto, nè tantomeno che volesse far passare per vera questa idiozia).

Altra domanda: com’è che Kundry - la quintessenza dell’inquinante semitico - viene finalmente ammessa - unica e prima femmina - nel tempio del Gral? Dato e non concesso che sia di razza ebrea, ciò significherebbe, come minimo, che Wagner auspicava l’integrazione degli Ebrei - “culturalmente redenti” - nella società e nella cultura tedesca, e non certamente la loro violenta eliminazione fisica!

Ma è il lato musicale, ancora una volta, a far giustizia di ogni pretesa intenzione razzista e antisemita di Wagner. Sì perchè - guarda caso - è la strepitosa Kundry e non certo lo sciocco biondino preteso-ariano (“papero”, lo apostrofa il saggio vecchio Gurnemanz) a monopolizzare la scena, psicologicamente, fisicamente e musicalmente.

Chi vuol dipingere un Wagner tutto proteso a mostrarci nelle sue opere la natura repellente dell’ebreo, dovrebbe allora spiegarci come avviene che, al contrario, i personaggi a ciò da lui preposti (a partire da Holländer, altra supposta reincarnazione di Ahasvero, per arrivare a Kundry) siano fra i più musicalmente straordinari di tutta la sua produzione artistica. Vuoi vedere che Wagner ha finito per infondervi inconsapevolmente il suo supposto e temuto (quanto inconsistente) ascendente ebraico?

Il discorso fatto più sopra a proposito di Siegfried vale per il “puro folle”, che è, per l’appunto, folle. E che solo un folle (non certo Wagner) poteva pensare di prendere a modello. Immaginare che Wagner intendesse – seriamente - prefigurare nelle sue opere ai suoi compatrioti il futuro “redentore della specie” (e magari, perché no, addirittura il Führer in persona) vestendolo con i panni di due ragazzotti sprovveduti – possiamo ben dirlo - come Siegfried e poi Parsifal… significa davvero far torto, in un sol colpo, all’intelligenza del Wagner artista e a quella del Wagner antisemita.

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E così alla fine, se proprio proprio si vuol trovare un parallelo (in termini di scontro ariano-semitico di culture) fra le opere di Wagner e la “visione” di Hitler, Göbbels e Himmler, non resta che un unico riferimento: ed è la Berlino che brucia, esattamente come il Walhall…

Ma allora: vuoi vedere che Adolf Schicklgruber da Braunau am Inn, e i tedeschi plagiati da lui, essendosi macchiati di appropriazione indebita dell’Artista Richard Wagner – proprio come Wotan dell’anello di Alberich - per farci il “sommo profeta” delle loro nefandezze, ne hanno poi dovuto tragicamente subire – sì, esattamente come Wotan – i colpi di una tremenda maledizione, realizzandone fino in fondo, sulla pelle di sei milioni di ebrei, ma in fin dei conti anche sulla propria, la più apocalittica e nichilista delle “visioni”?
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15 ottobre, 2008

Richard Wagner e il nazismo. 3

Le tesi dell’accusa.

La principale pezza d’appoggio - in se stessa assolutamente incontestabile - dell’accusa a Wagner di avere responsabilità oggettive nella nascita del nazismo e quindi della sorte toccata agli ebrei sotto Hitler è costituita dagli scritti dello stesso Wagner. Facciamo qui riferimento, per brevità, a due di questi.

In primo luogo Il Giudaismo in musica (1850) che contiene una violenta requisitoria contro l’avanzare della sub-cultura ebraica all’interno della nobile, alta e superiore tradizione germanica. Agli ebrei è concessa una sola soluzione, quella della rovina e della decadenza (Untergang). Nella riproposizione del libello (1868) Wagner avanza la constatazione che l’assalto di quella sub-cultura è ormai arrivato ad un livello tale che essa sta prendendo il sopravvento; e di non saper dire se l’arresto della caduta della cultura germanica possa avvenire anche attraverso una sua reazione violenta (eine gewaltsame Auswerfung).

Poi Was ist Deutsch? (Cos’è Tedesco?) pubblicato nel 1878, ma scritto nel 1865, dove Wagner dipinge gli Ebrei come “elemento alieno che ha invaso la natura tedesca”. E li addita a primi e principali sfruttatori del sistema capitalistico, del profitto, del potere economico delle banche. Il tutto all’interno di un panegirico allo spirito tedesco, capace di sopravvivere ad ogni avversità e ad ogni sopraffazione.

Ma certo gli scritti di Wagner, da soli, non avrebbero avuto diffusione e risonanza così grandi da condizionare la politica tedesca, e Hitler probabilmente non si sarebbe neanche scomodato a leggerli, ammesso di venirne a conoscenza.

E così sono le opere di Wagner ad essere accusate di fondarsi su un organico, e nemmeno tanto dissimulato, retroterra antisemita. Insomma, il fine ultimo perseguito da Wagner componendo i suoi drammi non sarebbe affatto l’arte, ma l’esplicitazione del programma politico dell’ideologia antisemita.

E dato che quelle opere ebbero una risonanza ed una diffusione enormi, ecco che quel programma, in esse contenuto, potè richiamare l’attenzione e l’approvazione di Hitler, che non dovette far altro che dargli applicazione pratica.

Robert W.Gutman (“Richard Wagner: the Man, his Mind and his Music”, 1968) è probabilmente stato il primo a sostenere compiutamente questa tesi, ma esistono innumerevoli altri riferimenti a quest’accusa, ad esempio in scritti di studiosi quali Hartmut Zelinsky (“Richard Wagner – ein deutsches Thema”) o Barry Millington (“Wagner”) o Daniel L.Leeson (“Antisemitism in the music dramas of Richard Wagner”) o Chris Nicholson (“Apotheosis”) o ancora Peter Brach (“The Anti-Semitic Intention of The Ring of the Nibelung”). E sappiamo che lo stesso Gottfried Wagner, pronipote del compositore, non esita a individuare un “binario” che collega direttamente le opere del bisnonno con Auschwitz.

In breve, gli accusatori di Wagner portano tutta una serie di “pezze d’appoggio” per la dimostrazione della seguente tesi: “Nei suoi drammi, Wagner altro non vuol rappresentare se non il conflitto insanabile, anzi mortale, fra la purezza dell’identità culturale germanico-ariana e il suo pericoloso inquinante semitico.” (Che è esattamente il succo del Giudaismo).

E come vien dimostrata una tesi di tale distruttiva portata? Con argomentazioni come quelle schematicamente elencate qui di seguito; in particolare, sono tre le opere messe direttamente sotto accusa: Die Meistersinger von Nürnberg, Der Ring des Nibelungen e Parsifal.


I Maestri Cantori.

Attraverso quest’opera Wagner intende chiamare la nazione tedesca al riscatto culturale nei confronti dell’inquinante, costituito dall’infiltrazione ebraica nella società germanica. Ne è testimonianza lo stesso esplicito riferimento a Martin Luther (antisemita fino al midollo, per la cronaca, basti pensare al Von den Jüden und iren Lügen, dove si parla di “vermi velenosi, che è un errore non distruggere”) di cui Wagner musica, nel terzo atto, la lode scritta dal Sachs storico (L’Usignolo del Wittenberg, come Luther vi viene definito): è il famoso “Wacht auf!”, risvegliatevi!

Il “puro ariano” qui è Walther von Stolzing, e il suo nemico semita è Sixtus Beckmesser. Quest’ultimo incorpora tutti i cliché antisemiti ottocenteschi, tutti gli aspetti sgradevoli e pericolosi che Wagner attribuiva agli ebrei: ha un’andatura strascicata, barcollante, gli occhi strabici, è bellicoso, malintenzionato, senza scrupoli... ma soprattutto, manca totalmente di talento musicale, di doti poetiche, di senso del ritmo e della metrica. Esattamente ciò che Wagner aveva scritto nel Giudaismo: “Nel linguaggio e nell’arte musicale l’Ebreo può solo produrre imitazioni e merce contraffatta, non può scrivere vera poesia, nè creare autentiche opere d’arte”.

Addirittura il nome originario che Wagner aveva scelto per il personaggio Beckmesser era Hans Lich, una chiarissima storpiatura di Eduard Hanslick, il critico musicale, onesto conservatore, ma soprattutto “mezzo ebreo”, che aveva preso posizione per Brahms e che Wagner intendeva perciò ridicolizzare, per distruggerlo.

E soprattutto è il modo di cantare di Beckmesser che è un’autentica parodia del ritmo e delle inflessioni vocali dei canti da Sinagoga. Per di più Wagner scrive, per questa parte di basso, dei passi ad altezze impossibili (addirittura un LA, duro persino ad un tenore!) ottenendo con ciò l’effetto parodistico del falsetto, della voce effeminata, caratteristica dei castrati (e nell’800 l’antisemitismo faceva volutamente confusione fra castrazione e circoncisione!)

Non solo, ma Beckmesser è anche un ladro! Ruba il testo del lied di Walther (un’autentica opera d’arte... secondo Wagner) ma poi non riesce nè a decifrarne correttamente le poetiche parole (che traviserà orribilmente al momento di presentarlo al pubblico) nè a musicarlo compiutamente, a dimostrazione del fatto che l’ebreo non può produrre alcunchè di buono, pur avendo a disposizione “materiale ariano” di prim’ordine.

Infine, Beckmesser è esposto al ludibrio anche sul piano dei sentimenti: lui è un uomo attempato che (al contrario di Sachs, saggio e nobile ariano) mira ad impossessarsi della bella e giovane (pura ariana) Eva, figlia oltretutto di un orafo (!)

Insomma: l’ebreo ladro che ha laide concupiscenze sessuali e venali... guarda caso: proprio come l’Alberich del Ring!

Ecco quindi che le reazioni irridenti e ostili della gente di Norimberga alle sue performances, nel secondo e terzo atto, sono rappresentate da Wagner al preciso scopo di ridicolizzare l’ebreo e di mostrare quale debba essere la sua meritata sorte: disprezzo e scorno, fino alla violenza fisica (finale dell’atto II) da parte del nobile popolo tedesco!

Dopodichè, basta leggere le cronache dell’epoca nazista per constatare che i Meistersinger furono elevati dal regime nientemeno che a vessillo e strumento dell’espansionismo tedesco e della necessità della “soluzione finale” del problema ebraico. Gli ultimi due Festival di Bayreuth (1943-1944) prima della sospensione dovuta alla disfatta, furono esclusivamente occupati da 28 (16 + 12) rappresentazioni di quest’opera-simbolo.


La Tetralogia.

Come premessa alle argomentazioni, viene presentata un’acuta osservazione: nel Das Judenthum in der Musik, Wagner scrive dei musicisti ebrei – Mendelssohn, nientemeno! - come di “vermi che possono prosperare solo dentro un cadavere”; e dato che – ohibò – in Der Nibelungen-Mythus, scritto poco prima, si descrivono i Nibelunghi tutti indaffarati a scavare le viscere della terra, proprio come “vermi in un cadavere”, ecco che il sofisma è bell’e chiuso: i Nibelunghi sono gli Ebrei. Il resto viene quasi da sè, e quindi, nel Ring...

Alberich rappresenta la quintessenza dell’inquinante semitico. È tutto l’opposto, nel fisico come nel morale, del “puro germanico”, e lo si nota chiaramente dal suo aspetto esteriore e dal suo modo di cantare. Alberich (d’ora in poi uguale a “semita”) è uno spregevole ladro, che rinuncia all’amore e alla natura e mette al centro della sua esistenza l’oro, la materia e il potere, cercando di invadere con questa contro-cultura quel puro mondo germanico, che è votato da tempo immemorabile all’amore per Uomo, Natura e Arte.

Wotan rappresenta appunto il mondo germanico – contemporaneo a Wagner – che è purtroppo ormai già “in via di inquinamento”: seguendo l’esempio di Alberich-il-semita, anche lui, dopo averlo perseguito, ha poi trascurato l’amore (anche se non lo disprezza) per mettere al primo posto il potere. Ha tuttavia compreso la minaccia di Alberich, e cerca di opporvisi, anche se riconosce di non avere più l’autorità morale per combatterla in prima persona. Così cerca di creare le condizioni per il riscatto della sua società, contando sull’opera di un redentore, impersonato da Siegmund prima, da Siegfried poi.

Mime, fratello di Alberich (quindi: uguale a “semita”) è l’incarnazione della meschinità, dell’impotenza e della stupidità dell’inquinante. Lui non vive la pura cultura germanica ma, appunto, la “mima” (proprio come leggiamo nel Giudaismo!) e così facendo la corrompe.

Siegmund e Sieglinde rappresentano la possibile via di riscatto della pura razza ariana e della cultura germanica: unendo le proprie forze (con un rapporto di consanguineità) esse possono sperare di rinascere (in Siegfried) e di liberarsi dall’inquinante.

Siegfried rappresenta appunto “la purezza” di razza e cultura germaniche: il suo DNA, dopo una generazione, ha perso i tratti “inquinati” presenti in Wotan. Lui può risollevare le sorti della sua stirpe e della sua cultura! Non a caso, la seconda giornata del Ring è prevalentemente occupata dalla descrizione dell’inconciliabile dualismo fra Mime e Siegfried, fra “inquinante semita” e “puro germanico”. E dalla celebrazione dell’apoteosi del secondo, l’ariano che annichilisce il semita moralmente - e persino “tecnologicamente” - prima ancora che materialmente, abbattendolo con la sua Nothung. (Purtroppo l’inquinante, che si annida presso altri germanici “in via di inquinamento”, infetterà anche lui.)

Hagen, razzialmente “sangue misto” (quindi: “mezzosemita”) impersona il risultato pratico e cromosomico dell’inquinamento: congenitamente e coscientemente incapace di esprimere (anzi, prima ancora, di condividere in pieno) i valori della società e della cultura germanica, non gli resta che ripiegare sulla “contro-cultura semitica”, cercando in tutti i modi la neutralizzazione di colui che gli si manifesta come un invidiabile, ma irraggiungibile e quindi odioso, modello: Siegfried.

Brünnhilde, come Siegfried, fa parte della pura e incontaminata tradizione germanica. Se alla fine anche lei vuole il sacrificio di Siegfried, è meno per punirne il tradimento, e più per far risorgere dall’oblio la componente femminile (femminista?) di quella tradizione.

La chiusa del Ring, con il sacrificio di Siegfried e l’olocausto di Brünnhilde, avviene sull’idea della Redenzione, cioè della possibilità di purificazione e di rinnovamento della cultura e della tradizione germanico-ariana. Ma dato che il Ring ha una conclusione - come dire? – un pò troppo criptica, che qualcuno potrebbe magari equivocare, allora ci penserà Parsifal a chiarire del tutto il senso della “soluzione finale”.


Parsifal.

Appunto, Parsifal, il definitivo ed inequivocabile testamento antisemita e nazista di Wagner. Dove esplicitamente si chiama in causa il “sangue”, cioè la “razza”.

Dove la non rimarginabile ferita di Amfortas rappresenta il risultato pratico, cromosomico, del peccaminoso accoppiamento della razza ariana con quella ebraica, impersonificata da Kundry, l’eterno errante Ahasvero, in realtà l’espressione massima del cinico, subdolo e mortale inquinante semitico, che arriva ad un passo dal conquistare la vittoria definitiva (proprio ciò che Wagner scriveva dello scenario tedesco del 1868, nelle note a corredo del reiterato Giudaismo).

Al servizio di Klingsor, la quintessenza dell’osceno male universale (impotenza, castrazione, circoncisione) che minaccia la nobile, pura, divina razza ariana.

È il sangue (di Cristo) che si scioglie nel Gral a tenere vivo quell’esile filo di speranza che i cavalieri continuano a nutrire.

È il ricordo del sangue infetto della ferita di Amfortas che rivela a Parsifal in extremis - proprio sull’orlo del precipizio rappresentato dall’adescamento materno-meretricio di Kundry - la vera, mortale natura del pericolo semita.

E la rovinosa, rumorosa e irreversibile caduta del castello di Klingsor, ad opera della riconquistata Sacra Lancia, indica inequivocabilmente al redentore l’obiettivo - per nulla artistico - da raggiungere: la distruzione totale di quel pericolo e di chi lo incarna.

La fine di Klingsor e quella di Kundry materializzano le due opzioni dell’Untergang, che Wagner lascia a disposizione degli Ebrei: soppressione violenta, o collasso da redenzione.


E così, all’incirca 50 anni più tardi, un fedele discepolo dell’avvoltoio di Lipsia, dopo avere elevato Wagner al rango di “sommo profeta”, penserà bene di metterne in pratica i suggerimenti, procedendo ad un Olocausto nient’affatto melodrammatico…

(3. continua)

30 settembre, 2008

Richard Wagner e il nazismo. 2

Il capo di imputazione.

Richard Wagner è accusato di essere oggettivamente responsabile dell’affermarsi del nazismo in Germania, e quindi delle drammatiche conseguenze che ciò provocò per milioni di ebrei (e non solo).


Le tesi dell’accusa.

Si basano sostanzialmente sulle seguenti constatazioni:

a) Wagner era dichiaratamente antisemita. Addirittura - nel famigerato libello Il Giudaismo in Musica, scritto nel 1850 e riportato alla ribalta quasi 20 anni dopo - contempla per gli ebrei una soluzione precisa: Untergang, letteralmente rovina, decadenza, tracollo.

b) Le opere di Wagner contengono, camuffato da espressione artistica, un vero e proprio programma politico antisemita.

c) Hitler non cessò mai di affermare di aver trovato nelle opere di Wagner l’ispirazione per la sua azione politica, che contemplò la distruzione fisica degli Ebrei.

Date tali premesse, le conclusioni sono praticamente automatiche: Richard Wagner è da considerarsi oggettivamente responsabile del trattamento riservato dal nazismo agli Ebrei. Egli in realtà si servì dell’arte come strumento per promuovere e diffondere nel mondo l’ideologia antisemita. Ergo: non solo i suoi scritti, ma anche le sue opere sono moralmente condannabili.


Le tesi della difesa.

Si appoggiano prevalentemente su queste considerazioni:

a) L’antisemitismo di Wagner si focalizzava sostanzialmente sul piano dell’arte, anzi dell’arte musicale, più che su quello politico generale; Wagner mai propugnò esplicitamente e compiutamente una soluzione violenta al “problema ebraico”.

b) Nelle opere di Wagner non c’è traccia esplicita di antisemitismo, men che meno di un - sia pure mascherato - “programma politico antiebraico”; al massimo, qualche compiacimento “artistico” nell’attribuire ad acuni personaggi i tratti caratteristici, soprattutto in fatto di musica, degli ebrei, o di “alcuni ebrei” che lui personalmente disprezzava.

c) Wagner era morto da 50 anni quando Hitler prese il potere.

Ergo: non si può addossare a Wagner alcuna responsabilità per i crimini del nazismo e il fatto che Hitler amasse Wagner non rende automaticamente Wagner un nazista, così come non sono necessariamente nazisti tutti coloro che - ancor oggi - amano (l’arte di) Wagner.

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Nelle prossime puntate presenterò alcune tesi dell’accusa e poi della difesa.

(2. continua)

19 settembre, 2008

Richard Wagner e il nazismo. 1

Il problema

Le recenti prese di posizione di Katharina Wagner (nuova co-direttrice del Festival, in tandem con la sorellastra Eva) che prefigurano una storica svolta nel rapporto fra la famiglia Wagner e il suo passato filo-nazista, con l’asserita volontà di rendere pubblici tutti i documenti segreti riguardanti quel disgraziato periodo, hanno anche riportato alla ribalta la figura di Gottfried Wagner, fratello di Eva (e fratellastro di Kathi) che da moltissimi anni si è allontanato da Bayreuth e dal Festival, proprio perchè - questa è la motivazione “ufficiale” - in disaccordo con il padre Wolfgang sul comportamento da tenere rispetto al passato nazista della famiglia.

Gottfried, oggi 61enne, che ha sposato un’italiana (Teresina Rossetti) e vive sul lago di Como, ha avuto fin da piccolo un rapporto difficile con il padre (che vedeva in lui il suo successore). Invece di accettare (e calarvisi) il ruolo di futuro “custode della tradizione wagneriana” (gli era stato imposto, proprio per questo, il nome più appropriato) il nostro si mostrò fin da piccolo sempre riottoso e indisciplinato, ma soprattutto molto curioso di conoscere il passato recente della sua famiglia e in particolare il rapporto che essa aveva avuto con il nazismo. E molto materiale (documenti, scritti, lettere e filmati) che scovava nelle cantine di Wahnfried o nei nascondigli più impensati, gli mostrava chiaramente quanto in quel rapporto ci fosse stato di vergognoso e di colpevole. Per farla breve, dopo aver comunque collaborato in qualche modo con il padre alla gestione artistica del Festival (fra l’altro, nel 1976 fu assistente di Chéreau nello storico e contestatissimo allestimento del Ring del centenario) si allontanò sempre più da Bayreuth, anche a seguito del divorzio di suo padre Wolfgang dalla madre, cui seguì immediatamente il matrimonio del direttore del Festival con Gudrun (sua segretaria, anche lei con nome wagneriano, per quanto non esaltante) che mise al mondo Katharina, nel 1978.

Ma l’aspetto più importante del pensiero e delle azioni di Gottfried non riguarda tanto la critica al comportamento di papà Wolfgang, zio Wieland e nonna Winifred durante il periodo nazista, ma l’aperta denuncia dell’oggettivo legame esistente fra le opere del bisnonno Richard e l’avvento di Hitler e quindi della barbarie che ne conseguì, Olocausto in primis. In alcuni libri e in molte conferenze e interviste, il nostro ha più volte espresso il sospetto (se non proprio la certezza) che l’autore del Ring e del Parsifal abbia inoculato i suoi aperti sentimenti e convinzioni antisemite nel corpo delle sue opere e dei suoi drammi, che sono poi divenuti - nelle mani di Hitler - strumenti utili alla soluzione finale del problema ebraico. Gottfried si è trovato quindi in buona compagnia con quegli ambienti integralisti e radicali del mondo ebraico che non si limitano - cosa assolutamente nobile e meritoria e sacrosanta - a tener vivo il ricordo dell’Olocausto, ma arrivano ad addossare a Richard Wagner la responsabilità oggettiva dell’avvento del nazismo, al punto da contrastare in tutti i modi l’esecuzione dei capolavori wagneriani in Israele. Così si spiega come mai Gottfried sia oggi accolto in Israele con molta simpatia, lui che non è ebreo, al contrario di alcuni ebrei anche assai più importanti di lui, che invece non condividono quelle tesi. Daniel Barenboim ne è un esempio lampante: ebreo doc, ma anche wagneriano doc, al punto da essere tuttora recordman di direzioni a Bayreuth (161)! Che ha provato ad eseguire Wagner in pubblico in Israele ed è stato letteralmente fatto a pezzi; che ha fondato col palestinese Edward Said, mettendo insieme ebrei ed islamici, la Divan orchestra (che spesso esegue Wagner) e per questo è considerato, da molti suoi correligionari integralisti, un traditore della causa sionista.

Ecco, è sul come porsi di fronte al problema “Wagner l’antisemita e Wagner l’artista” che spesso e volentieri si usa molta ipocrisia, quando non si preferisce direttamente evitare l’argomento, per non “correre rischi” e per quieto vivere. Viceversa il problema andrebbe posto ed affrontato con coraggio e soprattutto con “metodo scientifico”, per arrivare una buona volta - o almeno avvicinarci il più possibile - ad una verità che possa essere generalmente condivisa, ponendo fine a quell’assurda contrapposizione di tifoserie: da una parte chi fa processi sommari e condanna senza appello - e soprattutto senza esplorare seriamente, o addirittura ribaltandoli, i nessi causa-effetto - e dall’altra chi - usando l’approccio piuttosto sbrigativo (e parecchio ipocrita) condensato nel motto “qui si fa arte e non politica” che Wieland-Wolfgang esposero alla riapertura del Festival nel 1951 - assolve a prescindere.

(1. continua)

05 settembre, 2008

Bayreuth e il nazismo: ne sapremo di piu?

Kathi Wagner, pronipote di Richard e nuova co-direttrice del Festival dove si rappresentano ogni estate i drammi musicali del bisnonno, ha reso noto di voler “aprire le cantine di Wahnfried”, cioè di mettere a disposizione degli storici di tutto il mondo (“venite a Bayreuth!” ha proclamato) gli archivi ancora segreti e tutto il materiale relativo al periodo nazista che si trova in un bunker di casa Wagner e che Wolfgang, padre di Katharina e dal 1951 direttore del Festival, non aveva mai reso pubblico (Kathi afferma comunque di avere la benedizione del padre alla sua idea).

Che dire? È una trovata pubblicitaria? Un’ipocrisia? Un trucco per rimuovere l’opposizione e l’ostracismo a Wagner che ancora oggi in larga parte dell’opinione pubblica ebrea (e non) sono assai radicati? Oppure lo schietto desiderio di chiarire una volta per tutte le responsabilità, le colpe, le omissioni di chi (genitori, zii, nonni di Kathi) era alla testa del Festival negli anni in cui Hitler ne fece una vetrina del regime nazista?

Dall’esterno si può per ora fare qualche considerazione di natura tecnica, artistica e politica.

Sappiamo che villa Wahnfied fu bombardata e semidistrutta durante la seconda guerra mondiale. A seguito dell’occupazione (americana) il Festspielhaus e la villa furono in buona parte saccheggiati dalle truppe occupanti (alla ripresa del Festival nel 1951 Wieland Wagner si ritrovò senza scenografie e fu... costretto a fare le sue splendide regie minimaliste) e non è quindi da escludere che anche parte degli archivi sia stata - oltre che distrutta - trafugata. Insomma, ciò che ancora oggi giace “in cantina” a Wahnfried non è detto che sia tutto ciò che vi si trovava prima della fine del conflitto e - da un giorno all’altro - potrebbero saltar fuori reperti interessanti da altre “cantine”, ubicate magari in Arkansas o in Minnesota. Comunque, meglio di niente.

Ciò che invece si può osservare, sul piano puramente artistico, poichè è storia certificata dalle cronache giornalistiche e cinematografiche di allora, oltre che dalle recensioni, analisi e testimonianze dirette degli spettatori del Festival, è che il livello di quelle produzioni si mantenne assolutamente alto e - soprattutto - non condizionato da fattori o pressioni esterne. In sostanza: vero che la gigantografia del Führer campeggiava nel teatro, e che croci uncinate ne invadevano i dintorni, ma le rappresentazioni dei drammi non furono in alcun modo inquinate dall’ideologia nazista. Era tutto ciò che si vedeva e viveva fuori dal palcosenico e dal golfo mistico che era impregnato di nazionalsocialismo. Ed era ciò che si diceva e si scriveva sui media del regime, che strumentalizzava le rappresentazioni del festival in funzione propagandistica.

Il periodo incriminato è quello (1931-1944) della direzione di Winifred (inglese di nascita, cresciuta in Germania e nazista convinta - al punto da passare al carcerato Hitler i fogli su cui fu scritto il Mein Kampf - ma anche prestatasi per salvare dai campi di concentramento suoi amici comunisti ed ebrei) che era subentrata al marito Siegfried (terzo figlio di Richard e Cosima) scomparso nel 1930. Era lei che organizzava i cartelloni, sceglieva gli artisti e - sul piano organizzativo - si occupava degli aspetti finanziari della conduzione del Festival. L’appoggio di Hitler fu determinante proprio per salvare Bayreuth dalla bancarotta e da una probabile chiusura. In cambio, ovviamente il Führer decise di usare il Festival come vetrina per il regime. Ci sono filmati in cui si vede Winifred ricevere Hitler sulla soglia del teatro, e in cui si intravede - secondi 20-23 del filmato - anche Wieland Wagner. Ma Hitler, convinto che non fosse necessario per la sua causa manipolare le opere di Wagner, non si intromise mai negli aspetti artistici della programmazione - a differenza di quanto il regime fece con molti teatri tedeschi. Tanto è vero che Winifred decise - in un mare di polemiche da parte dei “conservatori” - di rimpiazzare una buona volta le scenografie e i costumi originali, che erano ancora quelli dei tempi di Richard e Cosima!

La programmazione di quegli anni ebbe questi contenuti:

- 1931-1939 (periodo pre-bellico): Ring (2-3 cicli per anno), Parsifal (5-6 rappresentazioni per anno) e - alternati fra loro - Tristan (15 rappresentazioni in tutto) e Meistersinger (12 rappresentazioni in tutto); più qualche Tannhäuser, Lohengrin e Holländer.
- 1940-42 (parte “vittoriosa” del conflitto, per la Germania): Ring (nel 1942 ridotto ad un solo ciclo) e Holländer, null’altro.
- 1943-1944 (la guerra si fa difficile...): solo Meistersinger (28 rappresentazioni nei due anni) evidentemente per “dare morale alle truppe”.

I responsabili della regia (che erano a quei tempi più importanti degli stessi Kapellmeister) si chiamavano: Heinz Tietjen, Emil Pretorius e, per le scene, anche l’innovatore Alfred Roller. Nel 1943 compare per la prima volta il nome di Wieland, ad affiancare l’amico della madre (Tietjen) nella regia dei Meistersinger.

Sul piano politico, non c’è bisogno di aprire alcun archivio per scoprire che tutta la famiglia Wagner fu solidale e convinta sostenitrice di Hitler: Winifred riceveva spesso il Führer a Wahnfried e i “ragazzi” (Wieland e Wolfgang) si intrattenevano in modo formale, ma anche informale, con “lo zio Wolf”, come confidenzialmente chiamavano Hitler. Molte fotografie immortalarono questi frequenti incontri.















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Insomma, avendo già 20-25 anni, i due nipoti di Richard non potevano essere definiti dei bambini ignari di quanto gli accadeva intorno! La loro nomina - a denazificazione completata - a direttori del Festival fu perciò un atto assolutamente criticabile e sostenuto e giustificato da una montagna di ipocrisie. Però i fratelli (soprattutto Wieland, magari dovendo fare buon viso a cattivo gioco) seppero riscattare - almeno sul piano artistico - il loro poco edificante passato.

E così adesso, se si apriranno completamente gli archivi, e visto che la nuova direzione del Festival è costituita da persone nate a guerra finita (Eva-1945, Katharina-1978) e quindi nemmeno sfiorate dallo “scandalo”, forse sarà possibile chiudere una volta per tutte, consegnandolo alla storia, quel periodo disgraziato, per Bayreuth come per il mondo intero.