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26 febbraio, 2024

La Scala riesuma – e fa rivivere - il Mozart di Strehler

Dopo le riprese nelle stagioni ’78, ’94 e 2017, la Scala ripropone la mozartiana Die Entführung aus dem Serail come allestita da Giorgio Strehler (e Luciano Damiani per le scene e i costumi) nel lontanissimo ’65 a Salzburg, poi nel ’69 a Firenze e finalmente qui nel ’72.

Oggi la ripresa è affidata a Laura Galmarini (con le luci di Marco Filibeck). Sul podio il rampante Thomas Guggeis, già ben noto a Milano per le presenze al Piermarini e all’Auditorium (oltre che per i suoi trascorsi al Conservatorio). 

Teatro affollato, ma non… issimo, ecco; pubblico però ben disposto, con applausi a scena aperta a tutti i numeri (escluso l’esordio di Pedrillo…) e accoglienza calorosa per tutti alla fine.

Dello spettacolo inutile ripetere la bellezza, incontaminata dopo 55 anni! E a proposito, cito subito l’inossidabile Marco Merlini, sempre strepitoso nella sua gag dell’inizio atto terzo (e anche come coreografo dei Giannizzeri.)

Sven-Eric Bechtolf nella parte di Bassa Selim poi è davvero un lusso…
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Thomas Guggeis überalles! Cosa non ha cavato da un’orchestrina proprio… settecentesca. Magari col tempo sfronderà la sua direzione dalla (esteriore e scusabile, perché giovanile) …motorietà, ma la sostanza c’è e come, e ora ne abbiamo la conferma anche nel teatro, dopo le eccellenti prestazioni nel sinfonico. Per lui un meritato trionfo. Coretto di Giorgio Martano (con i quattro solisti) impeccabile.

Come si poteva prevedere, Jessica Pratt è stata l’altra trionfatrice della serata: una Konstanze musicalmente quasi perfetta, e non solo negli acuti e nelle colorature, che sono la sua specialità: dopo il massacrante passaggio delle due arie consecutive (Traurigkeit e Martern) l’applauso è scrosciato lungo e intenso.

Benissimo anche la Blonde di Jasmin Delfs: voce pulitissima e ottima presenza scenica (vedi il duetto-scontro con Osmin).

Daniel Behle è stato un Belmonte più che discreto. Gli è stata ancora inspiegabilmente risparmiata la commovente aria N°15 del second’atto, Wenn der Freude Tränen fliessen (manco a dirlo, aria giustamente citata fra le più importanti nella presentazione di Elisabetta Fava sul programma di sala…) Ma si è ben rifatto nella più impegnativa Ich baue ganz auf deine Stärke, che apre l’atto conclusivo.

Michael Laurenz è invece emerso assai bene come Pedrillo, voce squillante e gran presenza scenica.

L’Osmin di Peter Rose fa sempre un figurone grazie a… Damiani e Strehler; vocalmente dignitoso, ma non straordinario (e poco… cattivo, ecco).

Come detto, accoglienza calorosa con picchi per Pratt e Guggeis. In conclusione: una bella serata di musica e di spettacolo! 

22 giugno, 2017

Il Ratto-vintage alla Scala


Ieri sera terza delle sei rappresentazioni del mozartiano Ratto nell’ormai 52enne (45enne per la Scala) allestimento della premiata coppia Giorgio Strehler – Luciano Damiani, che aveva debuttato al Piermarini il 15 maggio 1972: allestimento già una prima volta ripreso dalla stessa coppia nel febbraio 1978 e successivamente (giugno 1994) da quel Mattia Testi che lo cura ancor oggi.

E davvero si tratta di un’interpretazione geniale, di assoluta modernità. E tutto senza ricorrere – come accade sempre più spesso - a velleitari quanto strampalati riferimenti all’attualità e/o alla politica. (Per dire: tirare in ballo l’ISIS per rappresentare quella specie di pagliaccio che è Osmin significa recare offesa al genio di Mozart, all’intelligenza del pubblico e alle vittime dei macellai contemporanei.)

Spettacolo che evoca con grande efficacia e gradevolezza proprio l’ambiente delle prime rappresentazoni dell’opera, in quel Burgtheater, direttamente collegato alla residenza dei sovrani, nel quale Giuseppe II assistette alla prima di martedi 16 luglio, 1782. Spettacolo che riproduce lo spirito più autentico di quel genere (Singspiel) che mescolava i tratti dell’operetta buffa a quelli della commedia dell’arte: strepitose in proposito le trovate di Strehler che animano le gag di cui sono protagonisti il farsesco Osmin, il furbastro Pedrillo e, nel terz’atto, il servo muto (che Marco Merlini ha nuovamente re-impersonato dopo l’esordio del lontano 1994!)

Sempre efficace il gioco di luci (di Marco Filibeck) che illuminano i protagonisti durante i parlati e gli ensemble, ma lasciano in penombra il proscenio, dove i cantanti si misurano con le arie. Fa eccezione la spettacolare esecuzione di Martern aller Arten, che avviene a teatro in piena luce e con la cantante sola al proscenio: si tratta invero di una grande aria da concerto, con i 4 strumenti obbligati (flauto, oboe, violino e cello) che merita il privilegio di essere eseguita fuori dal contesto dell’operetta.
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E sul fronte dei suoni, l’antica consuetudine del venerabile Zubin Mehta con quest’opera (c’era proprio lui sul podio di Salzburg in quel lontano 1965!)


è di per sè una garanzia, che direi proprio abbia funzionato anche in questa occasione. Orchestra a ranghi... mozartiani (40 esecutori o giù di lì) con piccola batteria turca (triangolo, piattini e tamburo); direzione sobria, misurata e rispettosa dei minimi dettagli; concertazione impeccabile e sempre attenta a non coprire le voci con le turcherie che il Teofilo ha disseminato in partitura. 

Voci che nella media (del pollo) raggiungono una striminzita sufficienza. Sopra la quale mi sento di collocare la Sabine Devieilhe: voce sottile ma penetrante, che ben si adatta al personaggio di quella specie di suffragetta che risponde al nome di Blonde. Idem per il Pedrillo di Maximilian Schmitt, voce adeguata al ruolo, timbro squillante e buona intonazione.

Al centro della... classifica metterei la Lenneke Ruiten, che ha bene impressionato per la qualità del timbro e per l’agilità dei virtuosismi, sovracuti (anticipanti Astrifiammante) inclusi. Se avesse anche la (cosiddetta) ottava bassa un filino più robusta e udibile, sarebbe una Konstanze più credibile ancora... ma tant’è.

Sotto la... linea di galleggiamento il Belmonte di Mauro Peter, che stenta a mettere a profitto una voce pur dotata naturalmente: piuttosto piatto il suo approccio, privo di slanci che si pretenderebbero dal personaggio.

Nella... fossa delle Marianne il povero Tobias Kehrer (in tedesco maccheronico: scopatore?) Voce piccola, poco penetrante e addirittura inudibile nei gravi (certo, Mozart per Osmin ha insistito assai sulla parte bassa del rigo di... basso); si salva solo la sua macchietta impreziosita da Strehler. Insomma, questo precursore del Monostatos è proprio una delusione.    

Onesto il coretto dei Giannizzeri di Casoni.

Come detto, Marco Merlini torna dopo 23 anni a divertirci nella scenetta del terz’atto, mentre Cornelius Obonya impersona efficacemente il parlante Selim, una specie di Atatürk ante-litteram.
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Pubblico scarseggiante (ampi vuoti in platea e palchi) ma prodigo di applausi, a scena aperta dopo i numeri, e alla fine, con ripetute chiamate. Li merita ovviamente e soprattutto l’allestimento!

17 maggio, 2010

Il Ratto secondo Mehta al Maggio

Ieri pomeriggio al Maggio la seconda di Die Entführung aus dem Serail.

La prima considerazione che viene spontanea riguarda la partecipazione di pubblico. Ahinoi tale da dar ragione, ancora una volta, a chi sostiene che il teatro musicale sia ormai ridotto ad hobby elitario e come tale da finanziarsi privatamente da parte di quella élite e non impiegando fondi pubblici: nonostante tutta l'attenzione e la pubblicità che in queste settimane è stata data al problema – decreto-Bondi e scioperi-anti-Bondi – il Comunale presentava ampi spazi vuoti; ed anche per le due restanti rappresentazioni (19 e 21 maggio) sono tuttora disponibili in internet parecchie decine di posti. Insomma, uno dei capolavori assoluti della musica, rappresentato in una città che ha una millenaria cultura e una tradizione invidiabile (giustamente si vanta di aver inventato il moderno teatro musicale) non riesce ad attirare 8.000 persone in 4 giornate. Erano molti di più gli interisti che nel solo pomeriggio di ieri hanno invaso Siena.

Note del tutto positive, invece, sul fronte artistico: una performance di alto livello, sotto tutti i punti di vista. Si tratta di una ripresa della produzione del 2002, diretta da Zubin Mehta e con la regìa di Eike Gramms. E al proposto, dirò che si tratta di una regìa assolutamente tradizionale, intendendosi con ciò l'assenza di qualunque velleitaria ed intellettualoide proposizione di un Konzept, dal regista immaginato - o inventato di sana pianta – a partire dall'originale.

Che nel Ratto si rappresenti una civiltà (orientale-islamica, più o meno travisata) è certamente vero. Come è vero che l'opera abbia una sua morale, laddove si irride a tutti i mamma-li-turchi di questo mondo, mostrando un Pascià magnanimo e riducendo a caricatura il cattivone integralista Osmin. Ma trarre da ciò conclusioni politiche sarebbe del tutto arbitrario (ma c'è chi arbitrariamente lo fa). Fare insinuazioni sull'irreprensibilità delle due ragazze occidentali è lecito (i sospetti li hanno gli stessi loro fidanzati) ma da qui a presentarle come sgualdrinelle (come si è già visto) ce ne corre parecchio.

Insomma, questa regìa si limita – ed è un suo merito – a presentarci ciò che Mozart e i suoi librettisti ci hanno tramandato: poi ciascuno di noi può trovare da sé mille spunti di riflessione, che vanno dal piano morale a quello politico, da quello sessuale a quello psicanalitico; e divertirsi a scovare, nel libretto e nella partitura, riferimenti più o meno plausibili.

Sul fronte musicale, note generalmente positive. Tagliati buona parte dei parlati, come consuetudine, ma ciò che è rimasto era sufficiente alla comprensione della trama. Zubin Mehta, che ha un'antica consuetudine con il Ratto, ha conservato il suo approccio settecentesco: orchestra con organico cameristico (oggi ci fanno sorridere le lamentazioni di Mozart, che non trovava carta musicale con abbastanza righi per le sue turcherìe…) e suono sempre dosato sapientemente, anche nei fracassi che accompagnano i Giannizzeri (dove ai piccoli timpani, ai tamburi, triangolo e piatti si è aggiunto un curioso strumento turco, due mezzelune con campanellini appesi poste in cima ad una lunga asta, battuta per terra dallo strumentista). Mai l'orchestra ha oscurato le voci, né ha ecceduto in facili enfasi. Encomio speciale per i due corni, davvero impeccabili.

Ingrid Kaiserfeld è stata una Konstanze più che discreta (fisico a parte, smile!) che ha superato bene le impervie difficoltà della parte. Jörg Schneider è un tenorino ben adatto al ruolo di Belmonte. E il suo fisico proporzionato a quello della fidanzata (ri-smile!) Un poco debole sulle note basse la Chen Reiss (Blonde) e molto efficace il Pedrillo di Kevin Conners, voce chiara ma robusta e recitazione davvero notevole. Maurizio Muraro è stato un Osmin eccellente, voce potente anche nelle frequenti escursioni sotto il rigo in chiave di basso cui Mozart lo chiama e ottima presenza scenica. Per tutti applausi a scena aperta dopo le arie principali e dopo i concertati.

Una doverosa menzione anche per il parlante Karl-Heinz Macek, perfetto nella parte di Bassa Selim. Ottimo il coro di Piero Monti, con i quattro solisti in evidenza.

Alla fine gran trionfo e ripetute chiamate, singole e di gruppo. Una bella festa, che francamente molti si sono persa (ma possono ancora rimediare mercoledi e venerdi).