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21 aprile, 2023

laVerdi 22-23. 26 (Rach3/4)

Il programma della terza giornata del Rach-Festival (praticamente sold-out!) accosta al Concerto del compositore russo uno dei lavori più noti ed eseguiti di Edward Elgar, le Enigma Variations op.36, del 1898-99.

In esso il musicista albionico si divertì a ritrarre musicalmente gli amici, personaggi più o meno noti della buona società britannica, ed anche sé medesimo (!) attraverso una serie di 14 variazioni su un tema, che sarebbero ulteriormente legate ad un più ampio tema, che le percorre tutte: e quest'ultimo tema costituirebbe l'enigma cui fa riferimento il titolo. Da più di un secolo c'è chi si è scervellato per trovare la soluzione: God save the Queen (oh sorry, H.M. Charles III) the KingAuld Lang Syne (il nostro Valzer delle candele) furono proposte all'autore, che negò fossero la risposta giusta e così lui si portò il segreto nella tomba.

Ma il concorso è continuato negli anni: nel 1976 un musicologo olandese, Theo van Houten, decriptò una frase che Elgar aveva scritto per il programma di sala della prima esecuzione: So the principal theme never appears. Dato che il compositore amava i giochi di parole, la frase si può leggere anche così: So the principal theme - never - appears, quindi il tema in questione potrebbe aver qualcosa a che fare con il termine never. E guarda caso, il più antico canto patriottico albionico, Rule Britannia, contiene la parola never musicata da Thomas Arne precisamente con le prime note riprese da Elgar per il suo tema:

Altri indizi – e pure complicatissime elucubrazioni - portano a soluzioni diverse, peccato che Elgar non possa più confermare o smentire. 

Di sicuro la più famosa delle variazioni, spesso eseguita singolarmente, come bis nei concerti, è la n°9, intitolata Nimrod, un grande Adagio in MIb maggiore, dove il tema viene esposto con molta nobiltà, in un continuo crescendo dall'iniziale ppp al ff della finale perorazione, chiusa poi di nuovo in pp. È un grande momento che supera esteticamente lo stesso finale, piuttosto enfatico e scontato.

Variazione controversa per quanto riguarda l’agogica, che l’Autore prescrive con indicazione metronomica di 52 semiminime al minuto. Essendo in tutto costituita da 43 misure in 3/4 (=129 semiminime) e in assenza di variazioni (salvo il ritenuto sulle ultime 4 misure) se ne deduce matematicamente che la sua durata dovrebbe essere (espressa in decimali) di 129:52= 2,48 minuti, cioè circa 2’30”. Orbene, se ascoltiamo questa registrazione del 1926, con l’Autore sul podio, riscontriamo che il brano dura da 12’02” a 14’49”, cioè 2’47”, appena di poco più lento rispetto al metronomo. Ma se ascoltiamo tutte le principali esecuzioni (youtube ne è affollato) scopriamo che nessuna sta sotto i 3’, ma di norma ci si avvicina o si superano i 4’. Il record lo detiene Lenny Bernstein che fa suonare la BBC Symphony (con la quale per la verità aveva un po’ di ruggine…) addirittura a 5’15”, ben più del doppio più lento rispetto al metronomo di Elgar! (NB: Flor l’ha suonata attorno ai 4’, seguendo quindi il solco di quella che ormai è diventata tradizione interpretativa, con la quale personalmente tendo a discordare.)

Infine, c’entra qualcosa quest’opera con Rachmaninov? Mah, dal punto di vista degli anni della composizione, e se è vero che Elgar – come il russo – era tentato a quel tempo di abbandonare la musica… allora starebbe meglio a fianco del Rach2… oppure c’è qualche enigma nascosto (magari all’insaputa di Rachmaninov) anche nel Rach3? 

Beh, comunque sia è sempre un piacere ascoltarla, se poi chi la suona è un’Orchestra di prim’ordine!
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Eccoci quindi al famigerato Concerto n. 3 per pianoforte e orchestra in Re minore op. 30, nel quale possiamo vedere qui impegnato il nostro beniamino Alexander allorquando (2001) si rivelò come stella nascente nel pianismo internazionale. Come ho suggerito in questo precedente scritto, le difficoltà del concerto sono più che altro di natura per così dire… atletica (dato il quasi continuo impegno del solista, cui sono riservate pochissime pause di respiro) che non tecnica.

Una delle tante curiosità che suscita l’ascolto del Concerto riguarda la cadenza del movimento iniziale, invero massacrante, di cui Rachmaninov ha lasciato (scritte in partitura) due diverse versioni, che riguardano peraltro solo la prima parte della cadenza: la principale è forse più virtuosistica, mentre l’altra (indicata come ossia) è più lunga, massiccia e severa.

Ebbene, Romanovsky, nella citata esecuzione del 2001 al premio Busoni, eseguì la cadenza principale (si ascolti la parte specifica fra 10’32” e 11’25” del video). Più recentemente (2019) a Seul Romanovsky ha invece eseguito la seconda (da 10’22” a 12’04” in questo video). Che ha scelto anche ieri sera.

Inutile dire della sua interpretazione, invero strepitosa, coadiuvata da un’orchestra che lo ha supportato nel migliore dei modi. L’oceanico pubblico dell’Auditorium (davvero, nonostante il nubifragio che ha flagellato Milano) è andato letteralmente in visibilio, tributandogli una lunghissima standing ovation, che lui ha ricambiato con due bis: una versione pianistica (in DO# minore) di Vocalise e il Momento Musicale n°4.

15 febbraio, 2019

laVerdi 18-19 - Concerto n°17


Il Direttore musicale torna in Auditorium in compagnia di Quirine Viersen per proporci un interessante programma: Elgar e Prokofiev.

Del compositore britannico ascoltiamo il controverso Concerto per violoncello, del 1919, che stentò a guadagnare consensi e apprezzamento, dopo un esordio piuttosto deludente. Divenne invece famoso da quando (circa 50 anni fa) ad interpretarlo fu la grande Jaqueline Du Pré, che qui vediamo diretta da colui con il quale, per una breve stagione, prima del sopraggiungere del terribile male che la stroncò, costituì la coppia più bella del mondo, nel campo musicale.

Concerto che difficilmente si fa piacere al primo ascolto, ma che rivela poi la sua nobiltà, distaccandosi dai modelli della tradizione romantica, pur cari a Elgar, per inoltrarsi su terreni di prudente sperimentazione, in un’atmosfera di generale disincanto e malinconia (forse i tristi ricordi della Grande Guerra). Torniamo dal duo Du Pré - Barenboim per esplorare sommariamente quest’opera comunque interessante.
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Il primo movimento presenta una struttura semplice, con un tema principale e uno secondario, poco differenziati fra loro, che si muovono in atmosfere sognanti e crepuscolari. A 8”, in Adagio 4/4, il violoncello attacca un recitativo, con due accordi in MI minore. A 39” lo interrompono brevemente i clarinetti, poi la solista lo completa (56”) e prepara il terreno per l’esposizione (1’17”) del tema principale da parte delle viole, Moderato 9/8. Tema che saltò alla mente di Elgar mentre stava in ospedale per levare le tonsille (!) e che principia dalla sopratonica FA#. Lo riprende la solista (1’38”) sempre dalla sopratonica, accompagnata (2’00”) dagli archi. A 2’22” la solista esegue una variante del tema, che stavolta attacca dalla tonica MI e presenta divagazioni alla relativa SOL maggiore; imitata a 2’47” dall’orchestra. Ancora la solista (3’09”) reitera il tema nella sua forma originaria, con attacco dalla sopratonica.

Inizia poi (3’46”) una sezione centrale (12/8) in ritmo puntato, introdotta da clarinetti e fagotti che chiama in causa (3’50”) la solista; si sviluppa qui (4’05”) la melodia del secondo tema, la quale poi sfocia (426) in un passaggio in MI maggiore, ripreso (427) anche dagli archi e (526) dai clarinetti. Sezione conclusa (612) ancora dai legni, che riportano la solista (642, 9/8) ad iniziare la ripresa, con il tema principale; ripetuto anche dai violini (706). Ancora un intervento dell’intera orchestra (728) e poi è la solista che va a chiudere (da 7’39) il movimento.

Il quale peraltro si concatena senza soluzione di continuità al Secondo movimento (Lento, 4/4, 832) introdotto da violenti pizzicati della solista e da veloci incisi (843) che anticipano il tema principale. Una cadenza della solista (9’19”) e ancora un alternarsi di tempi veloce e lento porta definitivamente (10’04) allo stabilirsi dell’Allegro molto. Questo si potrebbe indicare come un tradizionale Scherzo, è in SOL maggiore (relativa del MI minore di impianto del concerto).

La parte veloce è caratterizzata da un tema suonato con semicrome ribattute, una specie di moto perpetuo che esalta le qualità virtuosistiche della solista. A 10’39” subentra una prima pausa di riflessione (ma è forse esagerato assimilarla al classico Trio...) Torna a 10’53” il veloce tema principale, ancora interrotto (11’35”) dall’oasi di quiete, che dura assai poco, per far posto al suo ritorno (11’53”). Un ultimo respiro (1215) e poi la tumultuosa conclusione.

Eccoci ora (13’01”) all’Adagio, 3/8 in SIb maggiore (ma con diverse divagazioni) di sole 60 battute, che impegnano continuamente (dopo alcune esitazioni iniziali e salvo una breve sosta di due battute, a 15’11”) il violoncello solista. Che espone una lunga e sognante melopea, chiusa sulla dominante FA.

Il finale Allegro (2/4) occupa quasi la metà dell’intero brano, e inizia (18’19”) in SIb minore, per poi tornare a MI minore, dove (18’29”) la solista (tempo Moderato) attacca un quasi-recitativo di nove battute di SOL maggiore, 4/4; seguito (19’34”) da una cadenza di due, in MI minore, che conduce al rondo (Allegro ma non troppo, 2/4, 19’59”). Dopo l’esposizione del tema da parte della solista, le risponde l’orchestra (20’11”) e dopo un altro dialogo arriviamo (20’42”) ad un breve episodio in SOL maggiore. Ora solista e orchestra collaborano in modo serrato (in particolare intervengono i legni) in una sorta di grande sviluppo che culmina (23’11”) nella ripresa del tema principale, ancora seguita da uno stretto confronto fra solista e orchestra, che poi rimane sola a chiudere la sezione.   

Qui (23’56”) la solista espone un motivo in DO maggiore, quindi si torna al tema principale (24’34”) nell’orchestra cui segue (24’43”) la risposta della solista. Il tempo si allarga progressivamente (25’05”, poco più lento); solista ed orchestra dialogano dolcemente, reiterando (26’53”, 3/4) un motivo di carattere lirico ed appassionato che ricorda quello dell’Adagio.

Poi ecco una sorpresa: si era già timidamente affacciato poco prima (26’42”) ma ora, a 28’17”, si palesa in tutta chiarezza: il Tristanakkord!

A 29’31”, quasi recitativo, 4/4, tornano ciclicamente nel violoncello solista gli accordi di MI minore dell’inizio del primo movimento, prima che (30’01”, Allegro molto, 2/4) arrivi la rapida chiusura sul tema principale.
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Beh, non parlerei di capolavoro, ma nemmeno di insignificante ciarpame: è un brano che ha una sua chiara e coerente narrativa; un onesto sforzo di trasmettere qualcosa che viene dal cuore e dalla ragione, insomma.

Come ce lo ha proposto la bella e brava Quirine? Mah, ho avuto l’impressione (personale, sia chiaro) di una certa freddezza, di un approccio quasi distaccato e asettico. La tecnica non si discute di certo, ma un po’ più di pathos non avrebbe guastato, ecco. Comunque per lei sinceri applausi da parte del pubblico non foltissimo dell’Auditorium.
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Prokofiev e Romeo&Giulietta fanno sempre... cassetta (scusate la becera rima). Non so quante volte ho già ripetuto che questa è forse la miglior musica prodotta nell’intero ‘900. Flor assembla 10 numeri dalle suite 1 e 2, per circa 40 minuti di musica, ma sono convinto che si suonasse l’intera partitura (52 numeri) nessuno si annoierebbe mai.

L’Orchestra ha suonato le Suite innumerevoli volte, e quindi va praticamente a memoria. Impeccabile l’esecuzione, impreziosita dal brevissimo (6 battute soltanto!) ma mirabile assolo della viola d’amore (di Mugnai, ovviamente) nel numero che evoca la separazione fra i due giovinetti, prima della commovente chiusa di Romeo sulla tomba dell’amata.

Calorosa accoglienza per tutti, a chiudere una bella serata di musica.

17 settembre, 2010

Stagione dell’OrchestraVerdi - 2

Ancora Xian Zhang sul podio per il secondo concerto della stagione, con musiche che hanno attorno al secolo di età, o poco più.

Si comincia da… dove sono finiti, neanche una settimana fa, i PROMS-2010: la prima della marce Pomp & Circumstance (da sempre ribattezzata Land of Hope and Glory) di Edward Elgar. Il cui Trio è diventato universalmente famoso:





Forse a un'orchestra italiana farà difetto la cerimonia, ma la pompa no di sicuro, e i ragazzi si scatenano in un'esecuzione trascinante, accolta da fragorosi applausi.

Ancora il bizzarro Elgar con le sue Enigma Variations, in cui il compositore si divertì a ritrarre musicalmente gli amici, personaggi più o meno noti della buona società britannica, ed anche sé medesimo (!) attraverso una serie di 14 variazioni su un tema, che sarebbero ulteriormente legate ad un più ampio tema, che le percorre tutte: e quest'ultimo tema costituirebbe l'enigma cui fa riferimento il titolo. Da più di un secolo (le variazioni sono del 1899) c'è chi si è scervellato per trovare la soluzione: God save the Queen e Auld Lang Syne (il nostro Valzer delle candele) furono proposte all'autore, che negò fossero la risposta giusta e si portò la soluzione nella tomba.

Ma il concorso è continuato negli anni: nel 1976 un musicologo olandese, Theo van Houten, decriptò una frase che Elgar aveva scritto per il programma di sala della prima esecuzione: So the principal theme never appears. Dato che il compositore amava i giochi di parole, la frase si può leggere anche così: So the principal theme never appears, quindi il tema in questione avrebbe attinenza con never. E guarda caso, il più antico canto patriottico britannico, Rule Britannia, contiene la parola never musicata da Thomas Arne esattamente con le prime note del tema di Elgar:






Altri indizi portano alla stessa soluzione, peccato che Elgar non possa confermare o smentire. Intanto, visto che si parlava di PROMS, anche Rule Britannia è una costante delle serate finali: qui è cantata nel 2008 da Bryn Terfel con l'anti-vibratista Norrington (quest'anno è toccato a Renee Fleming).
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Di sicuro la più famosa delle variazioni, spesso eseguita singolarmente, come bis nei concerti, è la n°9, intitolata Nimrod, un grande Adagio di 43 battute in MIb maggiore, dove il tema viene esposto con molta nobiltà, in un continuo crescendo dall'iniziale ppp al ff della finale perorazione, chiusa poi di nuovo in pp. È un grande momento - cui Zhang fa opportunamente seguire una pausa di respiro - che supera esteticamente lo stesso finale, piuttosto enfatico e scontato. Al termine del quale scrosciano trionfali gli applausi per la Zhang e i suoi.
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Dopo l'intervallo arriva Roberto Cominati – gli mancava solo il frac per essere agli antipodi di certi divi di importazione che vanno oggi per la maggiore - a proporci il Terzo concerto di Rachmaninov. Le prime esecuzioni – con l'autore al piano - si tennero a New York, a cavallo fra il 1909 e il 1910: a fine novembre con la mediocre New York Symphony, diretta dal mediocre Walter Damrosch, e a gennaio con la superba NY Philharmonic diretta nientemeno che da Gustav Mahler, che contribuì non poco – con la sua direzione accurata e perfezionista - al successo del concerto. Che peraltro non ha goduto poi di straordinaria simpatia presso i pianisti, molti dei quali gli hanno preferito il secondo e il quarto.
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Da 15 anni a questa parte però il terzo ha ripreso notorietà dopo essere stato in qualche modo protagonista del film Shine che gli ha procurato la fama – piuttosto usurpata, peraltro - di musica che fa ammattire l'interprete, tanta e tale sarebbe la tensione nervosa indotta dalla difficoltà dell'opera. La quale in realtà mette a dura prova più il corpo che la mente dell'esecutore (e anche dell'ascoltatore… smile!)
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E di sicuro Cominati ha mantenuto bene in equilibrio la sua mente, facendo invece impazzire le dita per porgere nel migliore dei modi il tanto (decadente funambolismo) e il poco (costrutto estetico) di buono che troviamo in quest'opera. Il cui tema principale, che torna ciclicamente anche nel Finale, non è propriamente di quelli che lasciano a bocca aperta:





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Qui si può ascoltare la storica registrazione del 1939, con l'Autore al pianoforte: parte1, parte2, parte3.
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Quella di Cominati è una performance eccezionale e - a dispetto di Rachmaninov – lui e l'Orchestra vengono gratificati di calorosissimi applausi, cosicchè il bel quarantenne, sotto una pioggia di bravo! concede anche un bis, assai apprezzato, in particolare – immagino - dalle sue tante ammiratrici… The man I love.
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Il prossimo appuntamento è di quelli che capita di prendere assai raramente: con l'ipertrofica Terza di Mahler, che sarà anche eseguita in anteprima mercoledi 22 per il MI-TO.
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PS: continuano le iniziative della Fondazione per avvicinare i giovani alla musica. Quest'anno, ogni venerdi sera, c'è la Happy Hour abbinata al concerto in programma, il tutto a soli 10€, per i ragazzi fino a… 30 anni! Chi ha la fortuna di essere giovane, ne approfitti… prima che sia troppo tardi: prosit!
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