Il Direttore musicale torna in
Auditorium in compagnia di Quirine
Viersen per proporci un interessante programma: Elgar
e Prokofiev.
Del compositore britannico ascoltiamo il controverso Concerto per violoncello,
del 1919, che stentò a guadagnare consensi e apprezzamento, dopo un esordio piuttosto
deludente. Divenne invece famoso da quando (circa 50 anni fa) ad interpretarlo fu la
grande Jaqueline Du Pré, che qui
vediamo diretta da colui con il quale, per una breve stagione, prima del
sopraggiungere del terribile male che la stroncò, costituì la
coppia più bella del mondo, nel campo musicale.
Concerto che difficilmente si fa piacere al primo ascolto, ma che rivela
poi la sua nobiltà, distaccandosi dai modelli della tradizione romantica, pur
cari a Elgar, per inoltrarsi su terreni di prudente sperimentazione, in
un’atmosfera di generale disincanto e malinconia (forse i tristi ricordi della Grande Guerra). Torniamo dal duo Du Pré - Barenboim per esplorare sommariamente
quest’opera comunque interessante.
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Il primo movimento presenta una struttura semplice,
con un tema principale e uno secondario, poco differenziati fra loro, che si
muovono in atmosfere sognanti e crepuscolari. A 8”, in Adagio 4/4, il violoncello attacca un
recitativo, con due accordi in MI minore. A 39” lo interrompono
brevemente i clarinetti, poi la solista lo completa (56”) e prepara il terreno
per l’esposizione (1’17”) del tema principale da parte delle viole, Moderato 9/8. Tema che saltò alla mente
di Elgar mentre stava in ospedale per levare le tonsille (!) e che principia
dalla sopratonica FA#. Lo riprende la solista (1’38”) sempre dalla
sopratonica, accompagnata (2’00”) dagli archi. A 2’22”
la solista esegue una variante del tema, che stavolta attacca dalla tonica MI e
presenta divagazioni alla relativa SOL maggiore; imitata a 2’47” dall’orchestra.
Ancora la solista (3’09”) reitera il tema nella sua forma originaria, con attacco dalla
sopratonica.
Inizia poi (3’46”) una sezione centrale (12/8) in
ritmo puntato, introdotta da clarinetti e fagotti che chiama in causa (3’50”)
la solista; si sviluppa qui (4’05”) la melodia del secondo tema, la quale poi sfocia (4’26”) in un passaggio in MI maggiore,
ripreso (4’27”) anche
dagli archi e (5’26”) dai clarinetti. Sezione conclusa (6’12”) ancora dai legni, che riportano la solista (6’42”, 9/8) ad
iniziare la ripresa, con il tema
principale; ripetuto anche dai violini (7’06”). Ancora un intervento dell’intera orchestra (7’28”) e poi è la solista che va a chiudere (da 7’39”) il movimento.
Il quale peraltro si concatena senza soluzione di
continuità al Secondo
movimento (Lento, 4/4, 8’32”)
introdotto da violenti pizzicati
della solista e da veloci incisi (8’43”) che anticipano il tema principale. Una
cadenza della solista (9’19”) e
ancora un alternarsi di tempi veloce e lento porta definitivamente (10’04”) allo
stabilirsi dell’Allegro molto. Questo
si potrebbe indicare come un tradizionale Scherzo,
è in SOL maggiore (relativa del MI minore di impianto del concerto).
La
parte veloce è caratterizzata da un tema suonato con semicrome ribattute, una
specie di moto perpetuo che esalta le qualità virtuosistiche della solista. A 10’39” subentra una prima pausa di riflessione (ma è forse
esagerato assimilarla al classico Trio...)
Torna a 10’53” il veloce tema principale, ancora interrotto (11’35”) dall’oasi di quiete, che dura assai poco, per far
posto al suo ritorno (11’53”). Un ultimo respiro (12’15”) e poi la tumultuosa conclusione.
Eccoci ora (13’01”)
all’Adagio, 3/8 in SIb
maggiore (ma con diverse divagazioni) di sole 60 battute, che impegnano
continuamente (dopo alcune esitazioni iniziali e salvo una breve sosta di due
battute, a 15’11”) il violoncello solista. Che espone una lunga e sognante
melopea, chiusa sulla dominante FA.
Il finale Allegro
(2/4) occupa quasi la metà dell’intero brano, e inizia (18’19”) in
SIb minore, per poi tornare a MI minore, dove (18’29”) la solista (tempo Moderato) attacca un quasi-recitativo di nove battute di SOL
maggiore, 4/4; seguito (19’34”) da una cadenza di due, in MI minore, che conduce al rondo (Allegro ma non troppo, 2/4, 19’59”). Dopo
l’esposizione del tema da parte della solista, le risponde l’orchestra (20’11”)
e dopo un altro dialogo arriviamo (20’42”) ad un breve episodio in SOL
maggiore. Ora solista e orchestra collaborano in modo serrato (in particolare
intervengono i legni) in una sorta di grande sviluppo che culmina (23’11”)
nella ripresa del tema principale, ancora seguita da uno stretto confronto fra
solista e orchestra, che poi rimane sola a chiudere la sezione.
Qui (23’56”)
la solista espone un motivo in DO maggiore, quindi si torna al tema principale (24’34”)
nell’orchestra cui segue (24’43”) la risposta della solista.
Il tempo si allarga progressivamente (25’05”, poco più lento); solista ed orchestra dialogano dolcemente,
reiterando (26’53”, 3/4) un motivo di carattere lirico ed appassionato che
ricorda quello dell’Adagio.
Poi ecco una sorpresa:
si era già timidamente affacciato poco prima (26’42”) ma ora, a 28’17”,
si palesa in tutta chiarezza: il Tristanakkord!
A 29’31”, quasi recitativo,
4/4, tornano ciclicamente nel violoncello solista gli accordi di MI minore dell’inizio
del primo movimento, prima che (30’01”, Allegro molto, 2/4) arrivi la rapida chiusura sul tema principale.
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Beh, non
parlerei di capolavoro, ma nemmeno di insignificante ciarpame: è un brano che
ha una sua chiara e coerente narrativa;
un onesto sforzo di trasmettere qualcosa che viene dal cuore e dalla ragione,
insomma.
Come ce lo ha
proposto la bella e brava Quirine? Mah, ho avuto l’impressione (personale, sia
chiaro) di una certa freddezza, di un approccio quasi distaccato e asettico. La
tecnica non si discute di certo, ma un po’ più di pathos non avrebbe guastato, ecco. Comunque per lei sinceri
applausi da parte del pubblico non foltissimo dell’Auditorium.
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Prokofiev e Romeo&Giulietta fanno sempre...
cassetta (scusate la becera rima). Non so quante volte ho già ripetuto che
questa è forse la miglior musica prodotta nell’intero ‘900. Flor assembla 10
numeri dalle suite 1 e 2, per circa 40 minuti di musica, ma sono convinto che
si suonasse l’intera partitura (52 numeri) nessuno si annoierebbe mai.
L’Orchestra ha
suonato le Suite innumerevoli volte, e quindi va praticamente a memoria. Impeccabile
l’esecuzione, impreziosita dal brevissimo (6 battute soltanto!) ma mirabile
assolo della viola d’amore (di Mugnai, ovviamente) nel numero che evoca
la separazione fra i due giovinetti, prima della commovente chiusa di Romeo
sulla tomba dell’amata.
Calorosa
accoglienza per tutti, a chiudere una bella serata di musica.
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