XIV

da prevosto a leone
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24 agosto, 2019

ROF-XL live: chiude Demetrio & Polibio


Ieri sera il ROF-XL ha chiuso i battenti, in un Teatro Rossini abbastanza affollato, con la quarta recita di Demetrio&Polibio. Produzione ripresa da Alessandra Premoli da quella originale del 2010, ideata da Davide Livermore.

Un allestimento bizzarro assai, ambientato nel retro-scena di un teatro, ingombro di bauli, macchine di scena e di centinaia di costumi appesi sull’intera altezza. In più, le magie di Alexander (specchi che si animano, fiamme che vagano nello spazio o che si accendono in mano ai personaggi) e lo sdoppiamento degli stessi, che hanno sempre un mimo alter-ego che li segue ovunque, apparendo e scomparendo magicamente. Costumi (dell’Accademia di Urbino, come le scene) più da farsa che da dramma serio quale l’opera pretenziosamente venne presentata dai Mombelli e musicata dal Rossini ancora ragazzino. Efficaci le luci (e i... bui) di Nicolas Bovey. Uno spettacolo comunque godibile, che già a suo tempo trovò giustificazione nell’approccio low-cost imposto dalle circostanze.

Se però nel 2010 anche il cast era, diciamo così... da discount (senza offesa per alcuno, s’intende, e detto da uno che i discount li apprezza assai) in questa ripresa non si è badato a spese: a cominciare dalla presenza della star Jessicona Pratt, che è tornata al ROF dopo 4 anni e ha trascinato all’entusiasmo i suoi numerosi fan.

Da validissime spalle le hanno fatto Juan Francisco Gatell e la mia conterranea benacense Cecilia Molinari, entrambi alla loro terza presenza nel cartellone principale del Festival. E Carlo Fassi, esordiente al ROF ma già passato da teatri importanti (Scala, Carlo Felice, Vienna...)

Fra i momenti salienti dell’esibizione canora ricorderò la bellissima Pien di contento in seno (Molinari) poi il rapinoso duetto Odio, furor, dispetto (Fassi e Gatell); quindi la Pratt in Alla pompa già m’appresso e (con la Molinari) nell’ispirato duetto Questo cor ti giura amore; ancora la Pratt alle prese con i virtuosismi di cui è costellata Sempre teco ognor contenta. Gatell convince nell’impegnativa aria con coro All’alta impresa tutti, e a chiusura del primo atto ecco la coppia Pratt-Gatell con Ohimè, crudel, che tenti, prima del grande concertato di chiusura.

Nell second’atto da rimarcare Come sperar riposo (Fassi) e il successivo duetto con Molinari Venite, o fidi miei. Poi il grande quartetto Donami omai Siveno. Una vera perla è l’aria davvero irta di difficoltà e costellata di acuti (Superbo, ah tu vedrai) dove la Pratt si ritrova proprio... a casa sua, suscitando entusiasmi.

Infine è sempre alla Pratt cui tocca ancora di aprire il coro finale (Quai moti al cor io sento) sul quale si chiude in bellezza.

Aggiungo lodi per i 20 componenti del coro di Mirca Rosciani  e per i ragazzi della Filarmonica Rossini, che Paolo Arrivabeni ha guidato con leggerezza e leziosità proprio... settecentesche.

Trionfo per tutti, con ripetute chiamate e ovazioni per i quattro protagonisti e per Arrivabeni e Rosciani.
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Ecco, anche per quest’anno, alle 22:38, il vetusto portone ligneo del Teatro Rossini si è chiuso sul ROF. In attesa di riaprire il giorno 8 agosto 2020 (ma sarà poi così... anche lo scorso anno la data annunciata fu quella, ma poi si è iniziato l’11) per l’edizione icsli (?!) che ci propinerà Moïse et Pharaon (allestito da Pier Luigi Pizzi, ieri sera in platea per... imparare il mestiere, haha) Elisabetta e Cambiale. E magari... un’altra crisi di governo balneare, perchè no?

12 agosto, 2019

ROF-XL alla radio


Ieri sera il ROF del quarantesimo (significativamente dedicato a due grandi personaggi - del canto e della scienza musicale - da poco scomparsi, Monserrat Caballè e Bruno Cagli) ha aperto i battenti con una della bestie-nere (in senso buono, of course...) del catalogo rossiniano: Semiramide.

Dirò subito che il livello musicale dello spettacolo (per quanto si può giudicare per radio) mi è parso di alta qualità, se non proprio di eccellenza. Il profeta-in-patria Michele Mariotti ha confermato - ce ne fosse bisogno - di padroneggiare il complesso e difficile materiale rossiniano con assoluta perizia: certo, lui ha avuto il vantaggio di lavorare per anni con super-esperti come Zedda, e... si sente! La OSN-RAI non gli è stata da meno, con una prestazione impeccabile in tutte le sezioni, già manifestatasi fin dalla colossale Sinfonia.

Fra le voci mi ha sorpreso assai positivamente Varduhi Abrahamyan, un contralto che ha doti naturali degne di una Podles (!) Il suo Arsace ha la necessaria profondità di accenti e sono curioso di ascoltarla dal vivo per confermare questo giudizio.

Bene anche la beniamina del ROF Salome Jicia, che non sarà proprio la Colbran... ma che ha dimostrato di essere assai cresciuta in questi pochi anni, dopo il suo esordio in Elena.

Antonino Siragusa ha pure confermato alle mie orecchie la sua propensione per questi ruoli rossiniani: voce squillante, acuti staccati (quasi sempre) con sicurezza, dai DO e RE del primo atto, fino ai due DO# non scritti della sua aria di... addio-al-celibato, prima del viaggio di nozze.

La sua mogliettina non troppo convinta era Martiniana Antonie, che si è ben difesa, in una parte non proprio impossibile.  

Più che discrete le due voci basse, Nahuel Di Pierro è stato un efficace Assur, anche a livello di espresività, come dimostra la scena degli incubi, prima del finale; Carlo Cigni è stato un autorevole Oroe, anche se forse l’emozione di dover aprire l’opera gli ha creato qualche problema all’inizio. Oneste le prestazioni di Alex Luciano e Sergey Artamonov.

Il Coro del Ventidio Basso guidato da Giovanni Farina ha meritoriamente completato l’opera sul fronte musicale, accolto da un successo incondizionato, almeno a giudicare dagli applausi finali. Grandi contestazioni invece al team di Graham Vick, la cui regìa, secondo l’inviato di radio3 Oreste Bossini peccherebbe di eccessivo e indigesto cerebralismo (ma converrà giudicarla dal vivo).
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13 agosto - Demetrio&Polibio

Brillante davvero questa ripresa dell’opera prima di Rossini, comparsa al ROF nell’ormai lontano 2010, che ieri ha ottenuto (almeno a giudicare da ciò che l’etere ci ha portato alle orecchie dalla piccola bomboniera del Teatro cittadino) un gran successo di pubblico, con applausi dopo ogni numero e ovazioni finali.

Regina della serata (ma c’era da prevederlo) è stata una delle beniamine del ROF, Jessica Pratt, che in una parte che pare proprio scritta per lei e per le sue straordinarie doti naturali ha inebriato i suoi fan, sciorinando virtuosismi e sovracuti da brivido.

Ma bene anche Cecila Molinari (alla sua terza comparsa in 4 stagioni) e l’ormai veterano Juan Francisco Gatell, cui si è degnamente affiancato Riccardo Fassi.

Ripettando un’alternanza che vede le due Orchestre locali avvicendarsi di anno in anno in un’opera del cartellone principale, è toccato alla Filarmonica Rossini (da tempo affidata alle amorevoli cure di Donato Renzetti) accompagnare le voci sotto la guida del solido Paolo Arrivabeni, tornato al ROF dopo 16 anni. Meritevole di apprezamento anche il Coro della Fortuna diretto da Mirca Rosciani

In attesa dell’Equivoco, mi sento di dire che il livello strettamente musicale di questo quarantenne Festival è davvero ragguardevole.
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Titolo appropriato per le vicende politiche di attualità ferragostana: Buralicchio Salvini buggerato da Frontino Renzi... (che Dio ce la mandi buona!)

Chiusura scoppiettante delle tre prime del ROF-XL, con il dramma giocoso che occupa il terzo posto del catalogo rossiniano, subito dopo la Cambiale (di cui mutua la Sinfonia, inaugurando così immediatamente la prassi degli auto-imprestiti).

Anche ieri sera Radio3 ci ha portato belle notizie sul fronte dei suoni, con una compagnia di canto ben assortita (Iervolino e Bordogna su tutti) e una direzione (Carlo Rizzi) che ha saputo valorizzare al meglio le qualità di questa spumeggiante partitura del 19enne Gioachino. Accoglienza poco meno che trionfale, a testimonianza del gradimento del pubblico, fra il quale si è mescolato tale... Richard Bonynge!
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Ora non resta che l’esperimento in corpore vili... prossimamente.

17 agosto, 2010

Il ROF-2010: Demetrio e Polibio

Ieri sera, terza e penultima rappresentazione di Demetrio&Polibio per il ROF, al Teatro Rossini, direi affollato, anche se forse non gremito all'inverosimile nei suoi (ad occhio e croce) meno di 800 posti. Pubblico, come vedremo, assai ben disposto e - direbbero i maligni - di bocca fin troppo buona.

La recita comincia con… la fine di un'altra, svoltasi in un teatro virtuale situato al di là del fondo scena: vediamo il protagonista (di spalle) che raccoglie gli applausi del pubblico e quelli dei macchinisti dietro di lui, fa gesti di giubilo a mo' di centravanti dopo un gol, finchè il sipario del suo teatro si chiude. Entrano ora gli addetti alle operazioni di chiusura del teatro. Tutto ciò mentre si suona la sinfonia dell'opera da rappresentare per davvero, il Demetrio&Polibio, per l'appunto.

È chiaro che è tutto invenzione del regista, il fantasioso professor Livermore (che fa opportunamente rima con Stranamore… e non per nulla si avvale dei trucchi del mago Alexander) e non certo dell'autrice del libretto, tale Vincenzina Viganò Mombelli, che ci mise tutta la sua (più o meno povera) immaginazione per ambientare l'opera nella reggia di Polibio, Re dei Parti! Ma sappiamo che la musica di Rossini è talmente flessibile, malleabile e scenario-independent (direbbe un albionico) da farsi apprezzare qualunque cosa le si appiccichi addosso. Peraltro notiamo che il testo – un poema degno in verità della vispa-teresa – viene invece rispettato alla lettera, anche quando contiene profondità filosofiche del tipo: Non assiste ragion i sensi tuoi, ma ben chiami ragion ciò che tu vuoi.

Ignorati del tutto – e meno male – i due comprimari Onao(Alcandro) e Olmira che, in una versione dell'opera, intervengono – con soli recitativi – all'inizio della seconda scena, alla fine della terza e, nell'atto II, all'inizio della seconda, quarta e quinta scena.

Dicevamo, la sinfonia: è un po' come rivedere un filmato dei palleggi di Maradona quindicenne… si capisce già cosa ne verrà fuori a breve! Peccato che i lodevoli sforzi di Corrado Rovaris e dei bravi ragazzi dell'Orchestra Rossini siano alquanto vanificati dallo strampalato vai-e-vieni che imperversa in scena, che finisce per distrarre lo spettatore. Domanda: come mai una tradizione pluricentenaria prevedeva che – durante la sinfonia – il sipario rimanesse rigorosamente chiuso? Vuoi vedere che era per far sì che il pubblico si concentrasse completamente sulla musica? Comunque l'esecuzione è accolta da discreti applausi.

Allontanatisi gli addetti e i pompieri, al termine dell'ispezione di routine, da alcuni bauli e cassoni fuoriescono ora – a mo' di fantasmi – i personaggi dell'opera da rappresentare, vestiti con costumi da primo ottocento (1800, dopo, non prima, di Cristo!) A proposito, scene e costumi sono opera degli studenti dell'Accademia di Belle Arti di Urbino.

I primi a cimentarsi sono Mirco Palazzi (Polibio ) e Victoria Zaytseva (Siveno) che vengono subito messi alla prova, con le arie della prima scena (Mio figlio non sei e Laccio sì caro) in cui il Re dei Parti e il figlio adottivo arrivato dalla Siria esternano il reciproco amore suggellato poi dalla promessa di Polibio di dare in sposa a Siveno la figlia Lisinga, al che la Zaytseva canta la bellissima Pien di contento in seno. I due se la cavano discretamente e gli applausi non mancano. Già da questo abbrivio compare qualche modesto trucco del mago Alexander, come lo sdoppiamento dei personaggi (ottenuto facendo entrare e muovere in scena delle loro controfigure) o la levitazione di candele e candelabri, che vagano su e giù nello spazio, o lingue di fuoco che si sprigionano dal palmo delle mani dei protagonisti.

Adesso si presenta Yijie Shi nei panni di Eumene (Demetrio, Re di Siria sotto mentite spoglie) per avanzare a Polibio la richiesta – sdegnosamente respinta - di riavere Siveno (per riconsegnarlo appunto al Re di Siria): tutto ciò viene esposto in un lungo recitativo, a cui segue il duetto Non cimentar lo sdegno concluso da un rapinoso Odio, furor, dispetto, in cui esplode la reciproca avversione tra i due sovrani. Quest'ultima parte della seconda scena è presentata invero bene, e i due (Palazzi-Shi) si meritano applausi. Il mago Alexander qui usa degli specchi trasparenti per mostrarci i personaggi, che vi si specchiano, e le loro controfigure, che traspaiono da dietro (?!)

La terza scena è dedicata alla cerimonia dello sposalizio fra Siveno e Lisinga. L'ambiente sembra una lavanderia industriale, con centinaia di abiti appesi a lunghe funi ad altezze diverse (ambientazione che tornerà anche più avanti). Il coro Nobil, gentil donzella (discreto l'esordio dei praghesi di Lubomìr Màtl) introduce la giovane, al secolo Marìa Josè Moreno, che subito deve affrontare una delle diverse prove assai difficili di cui Rossini la gratifica: Alla pompa già m'appresso. Portata a termine non senza affanno, ma generosamente premiata dal pubblico. Poi lei e la Zaytseva si esibiscono nel bellissimo e ispirato duetto Questo cor ti giura amore, ben portato e accolto con grande favore dal pubblico. Segue poi il recitativo in cui Polibio esterna agli sposi i suoi timori (riguardo ad Eumene) al che Siveno, ma più ancor Lisinga promettono di combattere fieramente per opporsi ai siriani. E qui c'è il terzetto con coro Sempre teco ognor contenta che in realtà poggia in prevalenza sulle spalle della Moreno, che in certi momenti sembra faticare a tener botta agli innumerevoli virtuosismi di cui il brano è disseminato e mostra anche qualche calo di troppo. Applausi comunque per tutti, poi la scena si chiude con il recitativo di Polibio e Siveno, che pregano che il pericolo passi.

Nella quarta scena torniamo da Eumene, che organizza con i suoi il rapimento di Siveno (coro Andiamo taciti). I seguaci del siriano recano delle fiaccole, e ciò è effettivamente in linea con il libretto, visto che poi appiccheranno incendi alla reggia di Polibio. Eumene spiega, nel recitativo, di aver corrotto tutti gli uomini di Polibio e poi impartisce gli ordini per l'azione (sembra il dapontiano metà di voi qua vadano, ed altri vadan là…) prima di attaccare la grande e impegnativa aria (con coro) All'alta impresa tutti, che Shi porta a termine con buona sicurezza, meritandosi un grande applauso.

Ora arriviamo alla quinta scena, dove troviamo Lisinga in atto di mettersi a letto. In realtà è sdraiata su un pianoforte a coda, che si libra a mezz'aria (!?) La breve aria Mi scende sull'alma è un'altra perla degna del Rossini maturo: la Moreno qui non va affatto male, e viene gratificata da applausi a scena aperta. Eumene, che era lì accanto fin da prima con i suoi, li ferma – nel recitativo accompagnato - e si appresta a rapire quello che pensa essere Siveno. Invece scopre trattarsi di Lisinga, che prende comunque in ostaggio. Qui inizia il duetto Eumene-Lisinga (Ohimè, crudel, che tenti) che poi sfocia direttamente, con l'arrivo di Polibio e Siveno e del coro - e mentre divampa un incendio appiccato dai seguaci di Eumene - nel grande concertato del finale primo, dove è sempre la Moreno ad aver la parte più ardua. Grandi applausi al termine dell'atto, mentre arrivano in scena i vigili del fuoco, a spegnere l'incendio.

Il secondo atto si apre con il coro Ah che la doglia amara, nobile e mesto, che compiange il povero Polibio, privato della figlia. Tutti sono sdraiati a terra, come moribondi per il dolore. Polibio ora canta (per bocca di Palazzi) Come sperar riposo, un'aria assai difficile, che poi trasmuta in duetto, per l'intervento di Siveno (Venite, o fidi miei) cui si aggiunge ulteriormente il coro (Si voli dunque a lei). Buona prestazione di Palazzi-Zaytseva e scroscianti applausi.

La seconda scena principia con il recitativo di Lisinga ed Eumene (che tiene in ostaggio la ragazza) che precede il sopraggiungere di Polibio e Siveno. Siamo ancora in una tintoria-lavanderia, anche se gli abiti appesi sembrano sgualciti e sbrindellati. Qui abbiamo il grande quartetto Donami omai Siveno, che si può così sommariamente articolare: battibecco Eumene-Polibio, ciascuno dei quali punta un pugnale alla gola del/la figlio/a dell'altro; Lisinga e Siveno che si offrono come vittime, pur di salvare l'altro/a; esternazione di Eumene, che dichiara essere il padre di Siveno; scambio di prigionieri e quartetto Padre/figlia/figlio qual gioia io provo, dove i padri si rallegrano per aver riavuto i figli e questi sperano (illusi!) in una generale riappacificazione; Eumene che rifiuta di riconciliarsi con Polibio (All'armi, o fidi miei) e trascina via Siveno, che si dispera con l'amata (Tu mi dividi, o dèi!) Una cosa musicalmente strabiliante, se si pensa che fu composta da un ragazzo! Qui i quattro protagonisti e Rovaris con l'orchestra ce la mettono davvero tutta e – in un modo o nell'altro, mentre i cantanti sono appollaiati sulla catasta di bauli fatti vorticosamente ruotare dalle loro controfigure e da altre comparse – riescono a sfangarla senza troppi danni, così meritandosi l'apprezzamento del pubblico.

Si passa alla terza scena, dove Eumene racconta a Siveno di come lo fece trasferire, sotto mentita paternità, dalla Siria, per salvarlo da una sanguinosa rivoluzione. Siveno comprende, ma confessa di non poter vivere ormai lontano dalla sua famiglia acquisita (Perdon ti chiedo, o padre). Qui la Zaytseva è abbastanza convincente, per lo meno sul pubblico presente in sala, che non lesina gli applausi.

All'inizio della quarta scena troviamo Lisinga che lamenta l'assenza dello sposo, invocando la morte. Ma suo padre l'avverte che Eumene non è lontano, e Lisinga si offre di combattere in prima persona, per liberare Siveno. Dopo aver arringato i suoi, canta – contrappuntata dal coro - un'aria davvero irta di difficoltà e costellata di acuti: Superbo, ah tu vedrai. Forse non è l'ideale per la volonterosa Moreno, che tuttavia riesce a non andare in tilt e il generoso pubblico non le fa mancare il suo applauso.

All'inizio della quinta scena troviamo un Eumene vaneggiante, essendo stato abbandonato dal figlio Siveno, andato in cerca di Lisinga. Lungi dal figlio amato è cantata da Shi con sufficiente portamento, ben sostenuto anche dal coro. Sopraggiungono Lisinga e i suoi (Eumene scellerato) e si apprestano a trucidare il siriano, quando subentra Siveno, a difendere il padre, frapponendosi fra lui e la punta di una sciabola (!?) brandita da Lisinga. Eumene finalmente si decide ad arrendersi e benedice gli sposi, mentre i cori inneggiano a Siria e Persia. Applausi per tutti.

La scena finale si apre col coro Festosi al Re si vada. Polibio resta interdetto vedendo Lisinga con Eumene, ma questi svela finalmente la sua vera identità: è Re Demetrio. Che chiude la sua esternazione con due versi da antologia: La nostra fede con più tenaci nodi ora si stringa / Siven viva felice con Lisinga. Poi tocca ancora all'ormai esausta Moreno aprire il coro finale (Quai moti al cor io sento) sul quale si chiude in bellezza. Trionfo per tutti, con ovazioni per i quattro protagonisti e per Rovaris e Màtl.

Tutto sommato, uno spettacolo dignitoso, in linea con la definizione datane dagli stessi organizzatori: low-cost. Senza privare di nulla il pubblico, e senza offesa per Livermore e gli accademici di Urbino, poteva diventare benissimo anche un low-low-cost, se presentato in forma di concerto (ma in tal caso, col pubblico meno distratto dalle magìe, per voci e suoni sarebbe stata davvero un'altra musica…)