percorsi

da stellantis a stallantis

17 agosto, 2010

Il ROF-2010: Demetrio e Polibio

Ieri sera, terza e penultima rappresentazione di Demetrio&Polibio per il ROF, al Teatro Rossini, direi affollato, anche se forse non gremito all'inverosimile nei suoi (ad occhio e croce) meno di 800 posti. Pubblico, come vedremo, assai ben disposto e - direbbero i maligni - di bocca fin troppo buona.

La recita comincia con… la fine di un'altra, svoltasi in un teatro virtuale situato al di là del fondo scena: vediamo il protagonista (di spalle) che raccoglie gli applausi del pubblico e quelli dei macchinisti dietro di lui, fa gesti di giubilo a mo' di centravanti dopo un gol, finchè il sipario del suo teatro si chiude. Entrano ora gli addetti alle operazioni di chiusura del teatro. Tutto ciò mentre si suona la sinfonia dell'opera da rappresentare per davvero, il Demetrio&Polibio, per l'appunto.

È chiaro che è tutto invenzione del regista, il fantasioso professor Livermore (che fa opportunamente rima con Stranamore… e non per nulla si avvale dei trucchi del mago Alexander) e non certo dell'autrice del libretto, tale Vincenzina Viganò Mombelli, che ci mise tutta la sua (più o meno povera) immaginazione per ambientare l'opera nella reggia di Polibio, Re dei Parti! Ma sappiamo che la musica di Rossini è talmente flessibile, malleabile e scenario-independent (direbbe un albionico) da farsi apprezzare qualunque cosa le si appiccichi addosso. Peraltro notiamo che il testo – un poema degno in verità della vispa-teresa – viene invece rispettato alla lettera, anche quando contiene profondità filosofiche del tipo: Non assiste ragion i sensi tuoi, ma ben chiami ragion ciò che tu vuoi.

Ignorati del tutto – e meno male – i due comprimari Onao(Alcandro) e Olmira che, in una versione dell'opera, intervengono – con soli recitativi – all'inizio della seconda scena, alla fine della terza e, nell'atto II, all'inizio della seconda, quarta e quinta scena.

Dicevamo, la sinfonia: è un po' come rivedere un filmato dei palleggi di Maradona quindicenne… si capisce già cosa ne verrà fuori a breve! Peccato che i lodevoli sforzi di Corrado Rovaris e dei bravi ragazzi dell'Orchestra Rossini siano alquanto vanificati dallo strampalato vai-e-vieni che imperversa in scena, che finisce per distrarre lo spettatore. Domanda: come mai una tradizione pluricentenaria prevedeva che – durante la sinfonia – il sipario rimanesse rigorosamente chiuso? Vuoi vedere che era per far sì che il pubblico si concentrasse completamente sulla musica? Comunque l'esecuzione è accolta da discreti applausi.

Allontanatisi gli addetti e i pompieri, al termine dell'ispezione di routine, da alcuni bauli e cassoni fuoriescono ora – a mo' di fantasmi – i personaggi dell'opera da rappresentare, vestiti con costumi da primo ottocento (1800, dopo, non prima, di Cristo!) A proposito, scene e costumi sono opera degli studenti dell'Accademia di Belle Arti di Urbino.

I primi a cimentarsi sono Mirco Palazzi (Polibio ) e Victoria Zaytseva (Siveno) che vengono subito messi alla prova, con le arie della prima scena (Mio figlio non sei e Laccio sì caro) in cui il Re dei Parti e il figlio adottivo arrivato dalla Siria esternano il reciproco amore suggellato poi dalla promessa di Polibio di dare in sposa a Siveno la figlia Lisinga, al che la Zaytseva canta la bellissima Pien di contento in seno. I due se la cavano discretamente e gli applausi non mancano. Già da questo abbrivio compare qualche modesto trucco del mago Alexander, come lo sdoppiamento dei personaggi (ottenuto facendo entrare e muovere in scena delle loro controfigure) o la levitazione di candele e candelabri, che vagano su e giù nello spazio, o lingue di fuoco che si sprigionano dal palmo delle mani dei protagonisti.

Adesso si presenta Yijie Shi nei panni di Eumene (Demetrio, Re di Siria sotto mentite spoglie) per avanzare a Polibio la richiesta – sdegnosamente respinta - di riavere Siveno (per riconsegnarlo appunto al Re di Siria): tutto ciò viene esposto in un lungo recitativo, a cui segue il duetto Non cimentar lo sdegno concluso da un rapinoso Odio, furor, dispetto, in cui esplode la reciproca avversione tra i due sovrani. Quest'ultima parte della seconda scena è presentata invero bene, e i due (Palazzi-Shi) si meritano applausi. Il mago Alexander qui usa degli specchi trasparenti per mostrarci i personaggi, che vi si specchiano, e le loro controfigure, che traspaiono da dietro (?!)

La terza scena è dedicata alla cerimonia dello sposalizio fra Siveno e Lisinga. L'ambiente sembra una lavanderia industriale, con centinaia di abiti appesi a lunghe funi ad altezze diverse (ambientazione che tornerà anche più avanti). Il coro Nobil, gentil donzella (discreto l'esordio dei praghesi di Lubomìr Màtl) introduce la giovane, al secolo Marìa Josè Moreno, che subito deve affrontare una delle diverse prove assai difficili di cui Rossini la gratifica: Alla pompa già m'appresso. Portata a termine non senza affanno, ma generosamente premiata dal pubblico. Poi lei e la Zaytseva si esibiscono nel bellissimo e ispirato duetto Questo cor ti giura amore, ben portato e accolto con grande favore dal pubblico. Segue poi il recitativo in cui Polibio esterna agli sposi i suoi timori (riguardo ad Eumene) al che Siveno, ma più ancor Lisinga promettono di combattere fieramente per opporsi ai siriani. E qui c'è il terzetto con coro Sempre teco ognor contenta che in realtà poggia in prevalenza sulle spalle della Moreno, che in certi momenti sembra faticare a tener botta agli innumerevoli virtuosismi di cui il brano è disseminato e mostra anche qualche calo di troppo. Applausi comunque per tutti, poi la scena si chiude con il recitativo di Polibio e Siveno, che pregano che il pericolo passi.

Nella quarta scena torniamo da Eumene, che organizza con i suoi il rapimento di Siveno (coro Andiamo taciti). I seguaci del siriano recano delle fiaccole, e ciò è effettivamente in linea con il libretto, visto che poi appiccheranno incendi alla reggia di Polibio. Eumene spiega, nel recitativo, di aver corrotto tutti gli uomini di Polibio e poi impartisce gli ordini per l'azione (sembra il dapontiano metà di voi qua vadano, ed altri vadan là…) prima di attaccare la grande e impegnativa aria (con coro) All'alta impresa tutti, che Shi porta a termine con buona sicurezza, meritandosi un grande applauso.

Ora arriviamo alla quinta scena, dove troviamo Lisinga in atto di mettersi a letto. In realtà è sdraiata su un pianoforte a coda, che si libra a mezz'aria (!?) La breve aria Mi scende sull'alma è un'altra perla degna del Rossini maturo: la Moreno qui non va affatto male, e viene gratificata da applausi a scena aperta. Eumene, che era lì accanto fin da prima con i suoi, li ferma – nel recitativo accompagnato - e si appresta a rapire quello che pensa essere Siveno. Invece scopre trattarsi di Lisinga, che prende comunque in ostaggio. Qui inizia il duetto Eumene-Lisinga (Ohimè, crudel, che tenti) che poi sfocia direttamente, con l'arrivo di Polibio e Siveno e del coro - e mentre divampa un incendio appiccato dai seguaci di Eumene - nel grande concertato del finale primo, dove è sempre la Moreno ad aver la parte più ardua. Grandi applausi al termine dell'atto, mentre arrivano in scena i vigili del fuoco, a spegnere l'incendio.

Il secondo atto si apre con il coro Ah che la doglia amara, nobile e mesto, che compiange il povero Polibio, privato della figlia. Tutti sono sdraiati a terra, come moribondi per il dolore. Polibio ora canta (per bocca di Palazzi) Come sperar riposo, un'aria assai difficile, che poi trasmuta in duetto, per l'intervento di Siveno (Venite, o fidi miei) cui si aggiunge ulteriormente il coro (Si voli dunque a lei). Buona prestazione di Palazzi-Zaytseva e scroscianti applausi.

La seconda scena principia con il recitativo di Lisinga ed Eumene (che tiene in ostaggio la ragazza) che precede il sopraggiungere di Polibio e Siveno. Siamo ancora in una tintoria-lavanderia, anche se gli abiti appesi sembrano sgualciti e sbrindellati. Qui abbiamo il grande quartetto Donami omai Siveno, che si può così sommariamente articolare: battibecco Eumene-Polibio, ciascuno dei quali punta un pugnale alla gola del/la figlio/a dell'altro; Lisinga e Siveno che si offrono come vittime, pur di salvare l'altro/a; esternazione di Eumene, che dichiara essere il padre di Siveno; scambio di prigionieri e quartetto Padre/figlia/figlio qual gioia io provo, dove i padri si rallegrano per aver riavuto i figli e questi sperano (illusi!) in una generale riappacificazione; Eumene che rifiuta di riconciliarsi con Polibio (All'armi, o fidi miei) e trascina via Siveno, che si dispera con l'amata (Tu mi dividi, o dèi!) Una cosa musicalmente strabiliante, se si pensa che fu composta da un ragazzo! Qui i quattro protagonisti e Rovaris con l'orchestra ce la mettono davvero tutta e – in un modo o nell'altro, mentre i cantanti sono appollaiati sulla catasta di bauli fatti vorticosamente ruotare dalle loro controfigure e da altre comparse – riescono a sfangarla senza troppi danni, così meritandosi l'apprezzamento del pubblico.

Si passa alla terza scena, dove Eumene racconta a Siveno di come lo fece trasferire, sotto mentita paternità, dalla Siria, per salvarlo da una sanguinosa rivoluzione. Siveno comprende, ma confessa di non poter vivere ormai lontano dalla sua famiglia acquisita (Perdon ti chiedo, o padre). Qui la Zaytseva è abbastanza convincente, per lo meno sul pubblico presente in sala, che non lesina gli applausi.

All'inizio della quarta scena troviamo Lisinga che lamenta l'assenza dello sposo, invocando la morte. Ma suo padre l'avverte che Eumene non è lontano, e Lisinga si offre di combattere in prima persona, per liberare Siveno. Dopo aver arringato i suoi, canta – contrappuntata dal coro - un'aria davvero irta di difficoltà e costellata di acuti: Superbo, ah tu vedrai. Forse non è l'ideale per la volonterosa Moreno, che tuttavia riesce a non andare in tilt e il generoso pubblico non le fa mancare il suo applauso.

All'inizio della quinta scena troviamo un Eumene vaneggiante, essendo stato abbandonato dal figlio Siveno, andato in cerca di Lisinga. Lungi dal figlio amato è cantata da Shi con sufficiente portamento, ben sostenuto anche dal coro. Sopraggiungono Lisinga e i suoi (Eumene scellerato) e si apprestano a trucidare il siriano, quando subentra Siveno, a difendere il padre, frapponendosi fra lui e la punta di una sciabola (!?) brandita da Lisinga. Eumene finalmente si decide ad arrendersi e benedice gli sposi, mentre i cori inneggiano a Siria e Persia. Applausi per tutti.

La scena finale si apre col coro Festosi al Re si vada. Polibio resta interdetto vedendo Lisinga con Eumene, ma questi svela finalmente la sua vera identità: è Re Demetrio. Che chiude la sua esternazione con due versi da antologia: La nostra fede con più tenaci nodi ora si stringa / Siven viva felice con Lisinga. Poi tocca ancora all'ormai esausta Moreno aprire il coro finale (Quai moti al cor io sento) sul quale si chiude in bellezza. Trionfo per tutti, con ovazioni per i quattro protagonisti e per Rovaris e Màtl.

Tutto sommato, uno spettacolo dignitoso, in linea con la definizione datane dagli stessi organizzatori: low-cost. Senza privare di nulla il pubblico, e senza offesa per Livermore e gli accademici di Urbino, poteva diventare benissimo anche un low-low-cost, se presentato in forma di concerto (ma in tal caso, col pubblico meno distratto dalle magìe, per voci e suoni sarebbe stata davvero un'altra musica…)

Nessun commento: