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21 agosto, 2010

Il ROF-2010: Cenerentola

Ier sera quarta ed ultima rappresentazione de La Cenerentola in un'affollatissima Adriatic Arena (una volta cattedrale-nel-deserto, ora circondata e soffocata da nord da edifici costruiti e costruendi) nella ripresa dell'allestimento di Ronconi.

Una regìa da lungo tempo apprezzata, che tornava per la terza volta al ROF. Prendendosi, come unica libertà rispetto all'originale di Ferretti-Rossini, di re-introdurre nella trama un pizzico – ma poco-poco, la cicogna che trasporta al ballo Cenerentola - della magìa di Perrault, da cui gli autori l'avevano invece accuratamente depurata, convinti che il pubblico moderno (dell'anno di grazia 1817) faticasse a digerirla (Ferretti stesso scrisse della delicatezza del gusto romano, che non soffre sul palcoscenico, ciò che lo diverte in una storiella accanto al fuoco). Evidentemente a noi (del terzo millennio) invece un poco di magìa non dispiace affatto… salvo però quando la si trova già nell'originale, chè allora applaudiamo a chi la toglie di mezzo - si veda l'Alcina di Carsen. (Come dice Wotan? Wandel und Wechsel liebt, wer lebt!)

In compenso la protagonista Marianna Pizzolato è una Cenerentola che più realista di così si muore: pare la Concettina, moglie della guardia-giurata Vito Catozzo (famosa macchietta di Faletti al Drive-in) cientoquaranta-pè-cientoquaranta, praticamente 'na scfera… Simpaticamente stridente il confronto con le due sorellastre (al secolo Manon Strauss Evrard e Cristina Faus) che hanno fisici da modelle (ma la voce purtroppo non altrettanto nobile). Ieri sera poi, nel primo atto, dovendosi destreggiare sulle cataste di mobili di cui Ronconi ha riempito il palco, la povera Marianna è incappata in una piccola caduta: lì per lì è parsa una cosa prevista dal copione, ma nell'intervallo è stato annunciato che la protagonista si era procurata una seria distorsione ad una caviglia, e avrebbe continuato la recita, ma con qualche handicap di carattere scenografico. Ed infatti lei è rientrata con la caviglia destra abbondantemente fasciata ed imbragata in uno stivaletto ortopedico (una piccola vendetta della scarpina di vetro di Perrault, bandita dagli autori?) zoppicando vistosamente. E così è apparsa a noi come una Cenerentola ancor più patetica e quindi simpatica. Però la voce è davvero bella, piena e calda, le manca solo un pizzico di potenza in più per essere quasi perfetta. Per lei un gran trionfo lungo l'intera serata.

Don Ramiro era Lawrence Brownlee, la cui vocina ha una potenza direttamente proporzionale alla sua stazza fisica, da peso-piuma. Peccato, perché intonazione, espressione ed acuti sono apparsi eccellenti.

Paolo Bordogna ha trionfato come Don Magnifico: sia sotto l'aspetto vocale che attoriale, una vera macchietta, perfettamente aderente al personaggio.

Nicola Alaimo, nei panni di Dandini, ha ricevuto un'autentica ovazione dopo la cavatina d'esordio. Per il resto: una prestazione vocalmente discreta, e ottima dal lato della presenza scenica.

Alex Esposito è stato un dignitoso Alidoro, che ha ben retto l'impatto con la nobile e difficile aria del primo atto, composta da Rossini in un secondo tempo, a rimpiazzare quella originale scritta in sua vece da Luca Agolini.

A proposito del quale, perfino la Strauss Evrard ha avuto la sua messe di applausi, dopo l'esecuzione dell'aria scritta appositamente per Clorinda.

Tutti insieme efficaci nei concertati; uno su tutti il sestetto del second'atto, con quell'inizio in versi di italica Stabreim: Questo è un nodo avviluppato / Questo è un gruppo rintrecciato / Chi sviluppa più inviluppa / Chi più sgruppa più raggruppa dove Rossini raggiunge vette davvero eccelse.

Sempre all'altezza della situazione il coro di Paolo Vero.

Yves Abel ha guidato l'Orchestra del Teatro Comunale di Bologna in modo pulito, pur senza suscitare entusiasmi.

Come sempre, applausi a scena… cangiante durante le due (principali) mutazioni di ambiente ideate dal duo Ronconi-Palli.

Al termine gran trionfo per tutti, con parecchi minuti di applausi, e fragor di tavolato: uno spettacolo ancora e sempre godibilissimo, al di là del livello non stratosferico degli interpreti. Insomma, ci voleva un allestimento vecchio di 12 anni e dai tratti assolutamente tradizionali per riscattare le regìe - più strampalate che interessanti - delle due novità di questo Festival.

Festival che chiude oggi il programma operistico, con l'ultima del Sigismondo. Domani lo Stabat Mater metterà il definitivo sigillo, e poi si guarderà al n° 32, i cui titoli sono di tutto rispetto: Mosè, Adelaide e Scala (più un Barbiere in forma di concerto).

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