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18 agosto, 2019

ROF-XL live: Semiramide, ovvero: Vick in galera!


Eccomi quindi a commentare la (terza recita di) Semiramide, in una Vitrifrigo-Arena con diverse poltrone vuote.

Ascoltare uno dei più grandi monumenti musicali di ogni tempo più che discretamente eseguito da Direttore, Orchestra e Voci, ma rappresentato in scena come un esercizio da oratorio parrocchiale non è proprio il massimo... ma si sa, i Festival son fatti per stupire e scandalizzare (o almeno così dice la vulgata). Quindi take-it-easy e ridiamoci sopra!

Testuali parole di Vick: Nel 2019 mi pare imbarazzante fare l'imitazione di un uomo interpretato da una donna, magari con le gambe aperte. È una convenzione tramontata.

Ah davvero? A parte il fatto che il nostro mondo del 2019 (e la tendenza è a crescere...) è pieno di travestiti nobili e proletari, ricchi e poveri, e di gente che cerca la loro compagnia, dall’imbambagiato in Ferrari Lapo Elkann al più sfigato dei derelitti, e quindi non si vede cosa ci sarebbe di imbarazzante in tutto ciò... il problema, caro il mio Graham, è di una semplicità disarmante: It’s the music, stupid!

Tu, caro Grahm, sarai anche un grande uomo di teatro (nessuno te lo nega) ma di MUSICA  capisci poco o nulla, o meglio, temo io, tu la musica - questa, per lo meno - la disprezzi! Come hai fatto, sempre qui a Pesaro nel 2011, impiegando quella del Mosè per rifilarci la storia della nascita dello Stato di Israele (Mosè=Jabotinski!) e nel 2013 travisando completamente l’estetica del Tell, ridotto a strumento di propaganda politico-ideologica di bassa lega.   

E quindi - tanto per limitarci a Rossini - immagino che sarai ben lieto in futuro di farci conoscere (basta che ti appaltino, a fronte di laute parcelle pagate da NOI, la regìa delle rispettive opere) anche l’eroina Tancreda, la regina Cira di Babilonia, la regina sfigata Sigismonda, la Pippa della Gazza ladra... e mi fermo qui per non coprire di ridicolo un’altra mezza dozzina di straordinari protagonisti en-travesti di opere del Gioachino. Che per te era evidentemente un depravato sessuale il quale, rimasto a secco con i poveri castrati, rivolse le sue morbose attenzioni ad altri esemplari targati LGBT...  Ascpide! L’idea che la scelta delle voci cui affidare i caratteri dei personaggi fosse per Rossini di natura squisitamente estetica non ti sfiora nemmeno, vero? Oppure, dato che l’estetica può cambiare - e cambia - nel tempo, ecco che tu ti permetti allegramente di adulterare l’opera originale per adattarla ad una presunta estetica di oggi! Quindi metti un piercing alla Gioconda e il tanga alla Primavera! Apperò! La tua Semiramide si trasforma nella storia in una catena lesbica: Semiramide-Arsace e Arsace-Azema. Geniale!
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Ma Arsace femmina è solo la punta dell’iceberg del colossale travisamento del soggetto perpetrato dal regista albionico che - forse per ammortizzare i costi delle sue fatiche - deve aver trattato Semiramide come corollario della Tote Stadt da lui recentemente inscenata alla Scala: tutta Freud, complessi edipici, visioni oniriche, isterie, allucinazioni (ma là ci stava bene, trovandosi precisamente nel libretto, prima che nella musica!) Il tutto in una strampalata ambientazione moderna, altro che la sontuosa e sfarzosa Babilonia! E dove il tragico, il magico e il soprannaturale - non si è sempre detto che con Semiramide Rossini abbandonò il suo innivativo modello di opera seria sperimentato a Napoli per tornare al tardo-barocco? - cedono il posto alla più ritrita riproposizione freudiana di turbe psichiche ingenerate in un infante, per il resto alle prese con orsacchiotti e gessetti: questo per spiegarci una... belinata, cioè come Arsace sia stato testimone oculare dell’omicidio del padre (azione oltretutto cruenta, come mostra il coltellaccio che lui pargoletto vede nelle mani insanguinate della madre!) e come quel ricordo continui ad emergere dal suo subconscio. Auto-imprestito, si dovrebbe dire (visto che siamo da Rossini): avendo Vick copiato se stesso, vedi l’Arnold del suo Tell che guarda i filmetti dell’infanzia. Così Arsace diventa ossessionato dal desiderio di vendicare la madre, cosa che finalmente gli riuscirà: e lo farà in piena luce, avendola ben visibilmente a tiro, non certo per sbaglio (mano divina) e nella completa oscurità del mausoleo di Nino.

In poche parole: una storia inventata di sana pianta, che contraddice alla grande il testo di Rossi (dove Arsace fino all’ultimo rifiuta ritorsioni sulla madre per rivolgere la sua sete di vendetta esclusivamente su Assur) e - soprattutto - la MUSICA di Rossini, che a quel testo e a quel soggetto si è mirabilmente ispirata. Se a Rossini fosse stata mostrata la messinscena di Vick, ammesso che non fosse scoppiato a ridere ed avesse acconsentito a musicarla, vi avrebbe composto musica totalmente diversa da quella che scrisse per la tragedia di Rossi, mutuata da Voltaire, se ne può star certi.

Oh, in certi momenti Vick è però rispettosissimo del libretto, come quando, nel drammatico confronto fra Semiramide e Assur del second’atto (da lui peraltro trasformato in una scena-di-petting-sul-divano da filmetto osé) ci mostra lei che, cantando La forza primiera ripiglia il mio core, Regina e guerriera punirti saprò, afferra e strizza ben bene i... coglioni di Assur! Quale poesia, quanta profondità di scavo psicologico...

Insomma, non saprei se definire questo spettacolo come irridente o irrispettoso, dissacrante o provocatorio, o semplicemente... una sciocchezza.   
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Beh, chiuso il discorso sulla carnevalata, veniamo alle cose serie, e per fortuna ad aspetti che giustificano (alle mie orecchie, per lo meno, visto che gli occhi sono stati... torturati) la spesa del biglietto. Mariotti si conferma ormai solido interprete di queste impervie partiture rossiniane, guidando la OSN-RAI con il suo proverbiale (quanto abbadiano) gesto della mano sinistra a dettare attacchi e sfumature. Cosa che fa anche con le voci, quasi sempre rispettate (cioè non coperte da fracassi orchestrali) e in particolare con i cori, che qui hanno un ruolo da protagonisti. E il Coro di Giovannni Farina si è da parte sua distinto in tutte le diverse apparizioni e configurazioni, meritandosi un lungo applauso alla riapertura del sipario dopo la fine dell’opera.

La voce che mi ha più impressionato è stata quella di Carlo Cigni (Oroe): grande potenza e profondità, ha piacevolmente invaso gli spazi dell’Arena, caratterizzando al meglio il personaggio del santone talebano che pilota tutta la vicenda, fino al suo tragico epilogo.

La diffusione radiofonica tende ad appiattire tutto, ed anche in questo caso è stato così: voci che dall’etere parevano corpose, dal vivo si rivelano assai meno penetranti. Così è stato per Nahuel Di Pierro, oltretutto esibitosi in alcuni schiamazzi molesti. Nel duetto del primo atto con Arsace, forse temendo di calare, ha invece stonato parecchio per eccesso, con acuti francamente sgradevoli. A lui darò una sufficienza risicata.

Salome Jicia è pure rimasta un filino al di sotto rispetto a quanto udito per radio alla prima: una prestazione onorevole la sua, ma inquinata da alcuni acuti sparati alla sperindio e da un paio di virtuosismi piuttosto approssimativi.

Meglio di lei Varduhi Abrahamyan, la cui voce dal vivo mi è apparsa meno penetrante, ma sempre ben impostata e senza sbavature. Si notano comunque progressi evidenti rispetto al suo esordio di qualche anno fa, quando vestì i panni di Malcom: segno che il mezzosoprano armeno non sta dormendo sugli allori...

Il trionfatore della serata è stato curiosamente... l’intruso (parlando di soggetto letterario): l’Idreno di Antonino Siragusa, che rivaleggia, anche per vetustà di presenza al ROF) con il leggendario JDF. Ha sciorinato le sue due arie con grande sicurezza, ricevendo lunghe ovazioni a scena aperta. La sfilza di DO, RE e DO# acuti (scritti dal signor Rossini o dalla signora... tradizione) gli è uscita alla grande, sia pur non senza evidenti sforzi.

Su discreti standard gli altri interpreti, che metterei in quest’ordine di merito (anche rispetto alla consistenza delle parti): Alessandro Luciano, Sergey Artamonov e Martiniana Antonie.

Per tutti accoglienza assai calorosa, con punte trionfali per Siragusa e Mariotti. Vick... non pervenuto.

12 agosto, 2019

ROF-XL alla radio


Ieri sera il ROF del quarantesimo (significativamente dedicato a due grandi personaggi - del canto e della scienza musicale - da poco scomparsi, Monserrat Caballè e Bruno Cagli) ha aperto i battenti con una della bestie-nere (in senso buono, of course...) del catalogo rossiniano: Semiramide.

Dirò subito che il livello musicale dello spettacolo (per quanto si può giudicare per radio) mi è parso di alta qualità, se non proprio di eccellenza. Il profeta-in-patria Michele Mariotti ha confermato - ce ne fosse bisogno - di padroneggiare il complesso e difficile materiale rossiniano con assoluta perizia: certo, lui ha avuto il vantaggio di lavorare per anni con super-esperti come Zedda, e... si sente! La OSN-RAI non gli è stata da meno, con una prestazione impeccabile in tutte le sezioni, già manifestatasi fin dalla colossale Sinfonia.

Fra le voci mi ha sorpreso assai positivamente Varduhi Abrahamyan, un contralto che ha doti naturali degne di una Podles (!) Il suo Arsace ha la necessaria profondità di accenti e sono curioso di ascoltarla dal vivo per confermare questo giudizio.

Bene anche la beniamina del ROF Salome Jicia, che non sarà proprio la Colbran... ma che ha dimostrato di essere assai cresciuta in questi pochi anni, dopo il suo esordio in Elena.

Antonino Siragusa ha pure confermato alle mie orecchie la sua propensione per questi ruoli rossiniani: voce squillante, acuti staccati (quasi sempre) con sicurezza, dai DO e RE del primo atto, fino ai due DO# non scritti della sua aria di... addio-al-celibato, prima del viaggio di nozze.

La sua mogliettina non troppo convinta era Martiniana Antonie, che si è ben difesa, in una parte non proprio impossibile.  

Più che discrete le due voci basse, Nahuel Di Pierro è stato un efficace Assur, anche a livello di espresività, come dimostra la scena degli incubi, prima del finale; Carlo Cigni è stato un autorevole Oroe, anche se forse l’emozione di dover aprire l’opera gli ha creato qualche problema all’inizio. Oneste le prestazioni di Alex Luciano e Sergey Artamonov.

Il Coro del Ventidio Basso guidato da Giovanni Farina ha meritoriamente completato l’opera sul fronte musicale, accolto da un successo incondizionato, almeno a giudicare dagli applausi finali. Grandi contestazioni invece al team di Graham Vick, la cui regìa, secondo l’inviato di radio3 Oreste Bossini peccherebbe di eccessivo e indigesto cerebralismo (ma converrà giudicarla dal vivo).
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13 agosto - Demetrio&Polibio

Brillante davvero questa ripresa dell’opera prima di Rossini, comparsa al ROF nell’ormai lontano 2010, che ieri ha ottenuto (almeno a giudicare da ciò che l’etere ci ha portato alle orecchie dalla piccola bomboniera del Teatro cittadino) un gran successo di pubblico, con applausi dopo ogni numero e ovazioni finali.

Regina della serata (ma c’era da prevederlo) è stata una delle beniamine del ROF, Jessica Pratt, che in una parte che pare proprio scritta per lei e per le sue straordinarie doti naturali ha inebriato i suoi fan, sciorinando virtuosismi e sovracuti da brivido.

Ma bene anche Cecila Molinari (alla sua terza comparsa in 4 stagioni) e l’ormai veterano Juan Francisco Gatell, cui si è degnamente affiancato Riccardo Fassi.

Ripettando un’alternanza che vede le due Orchestre locali avvicendarsi di anno in anno in un’opera del cartellone principale, è toccato alla Filarmonica Rossini (da tempo affidata alle amorevoli cure di Donato Renzetti) accompagnare le voci sotto la guida del solido Paolo Arrivabeni, tornato al ROF dopo 16 anni. Meritevole di apprezamento anche il Coro della Fortuna diretto da Mirca Rosciani

In attesa dell’Equivoco, mi sento di dire che il livello strettamente musicale di questo quarantenne Festival è davvero ragguardevole.
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Titolo appropriato per le vicende politiche di attualità ferragostana: Buralicchio Salvini buggerato da Frontino Renzi... (che Dio ce la mandi buona!)

Chiusura scoppiettante delle tre prime del ROF-XL, con il dramma giocoso che occupa il terzo posto del catalogo rossiniano, subito dopo la Cambiale (di cui mutua la Sinfonia, inaugurando così immediatamente la prassi degli auto-imprestiti).

Anche ieri sera Radio3 ci ha portato belle notizie sul fronte dei suoni, con una compagnia di canto ben assortita (Iervolino e Bordogna su tutti) e una direzione (Carlo Rizzi) che ha saputo valorizzare al meglio le qualità di questa spumeggiante partitura del 19enne Gioachino. Accoglienza poco meno che trionfale, a testimonianza del gradimento del pubblico, fra il quale si è mescolato tale... Richard Bonynge!
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Ora non resta che l’esperimento in corpore vili... prossimamente.

22 ottobre, 2018

Semiramide rinasce in laguna


È tornata nella sua casa natale la più grande opera (escludendo magari il Tell) di Rossini. Dopo la prima di venerdi scorso (trasmessa da Radio3) ieri pomeriggio(-sera...) è andata in scena la seconda recita, in un teatro non propriamente esaurito.

Prima dell’inizio ho fatto un giretto nella Sala Ammannati per dare un’occhiata a quell’autentico cimelio ivi esposto in questi giorni: la partitura autografa dell’opera. E si prova una certa emozione nel contemplare da vicino quelle carte da musica sulle quali il genio pesarese vergò le strabilianti note del suo capolavoro. Note che hanno ancora riempito gli spazi della Fenice, proprio come accadde per la prima volta quel lunedì 3 febbraio del 1823.   

Sulle diverse bizzarrie del libretto, che il Rossi ricavò da Voltaire (peggiorandolo assai) ho già scritto la mia un paio d’anni orsono, in occasione di una produzione del Maggio, quando ho anche sintetizzato la struttura dell’opera, appoggiandomi ad un’esecuzione in terra vallone del padreterno Zedda (che insieme al co-padreterno Gossett approntò l’edizione critica per la Fondazione Rossini). E ciò che viene presentato oggi è la versione praticamente integrale del lavoro, come testimoniano ampiamente le quasi 4 ore di durata netta della rappresentazione, che eguaglia praticamente al minuto secondo (anche nei singoli atti) quella della citata edizione di Zedda. 
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Segnalo subito la recensione di Amfortas, che mi sento di condividere largamente nella sostanza. 

Di Riccardo Frizza - da bresciano tifo per lui - non posso dir che bene: non che non lo conoscessi, ma qui passava dal cockpit di un chessna a quello di un A380! Che ha guidato con grande sicurezza e padronanza della... materia. E l’Orchestra della Fenice lo ha pienamente assecondato, reagendo sempre con precisione e compattezza ai suoi comandi.

Ottima anche la prestazione del coro di Claudio Marino Moretti, che è impegnato (maschi e femmine) in misura quantitativamente (nulla è tagliato) e qualitativamente massiccia. 

Jessica Pratt è ormai una beniamina della Fenice ed ha ottenuto un gran trionfo. Personalmente, riconosciuta la sua strabiliante forma, torno a manifestare le mie perplessità sull’aderenza vocale del soprano anglo-australiano al ruolo di Semiramide. Qui non si tratta di fare impropri e impossibili paragoni con una tale Isabella, però ci son pochi dubbi che Rossini abbia scelto il personaggio proprio per il profilo chiaramente drammatico, che richiederebbe una voce diversa da quella adatta ad una Astrifiammante, per dire. E così la voce spiccatamente lirica e i MI naturali e MIb sovracuti che la Jessica ha splendidamente sciorinato fanno restare il pubblico a bocca aperta, ma non sono - sempre a parer mio - perfettamente appropriati alla personalità del ruolo-titolo: una femmina che - contrariamente a ciò che certa tradizione tramanda, di ninfomane incallita - per Voltaire e Rossi-Rossini è una fredda creatura avida di potere, e quasi di null’altro. Gli uomini sembrano interessarla solo come marionette da impiegare ai suoi fini: Assur per farsi aiutare da lui a far secco il marito che la stava ripudiando... adesso Arsace (che lei crede un proletario fedelissimo e pronto a tutto per lei) da nominare Re (travicello) solo per garantire a se stessa la perpetuazione del suo potere. 

Chi invece mi ha abbastanza impressionato è la Teresa Iervolino, un Arsace dalla voce morbida ed intonata, cui manca (ancora?) un po’ più di profondità e di robustezza. Purtroppo di Podles non ne nascono tutti i giorni, ma il contralto romano (non ancora 30enne) è sulla buona strada per emergere nel panorama musicale. 

Alex Esposito è un Assur sufficientemente autorevole: la sua voce è forse un filino troppo chiara (sempre per i miei gusti) ma lui compensa con la sua proverbiale presenza scenica. A proposito: la regista lo presenta dapprima con problemi di deambulazione (bastone da passeggio perennemente imbracciato) poi nel finale il nostro mostra doti addirittura da acrobata (?!) 

Il ragusano (trapiantato per l’occasione in India) Enea Scala se la cava discretamente come Idreno, parte affatto facile, sia detto, anche se gli acuti (fino al RE, peraltro) sembrano un po’ ghermiti... alla sperindio. La sua partner... poco convinta, Azema, è una Marta Mari ben dotata di mezzi naturali, che deve (come il tenore) mettere meglio a partito. 

Rimarchevole, soprattutto per presenza (un filino meno per portamento vocale, stante qualche berciata di troppo) l’Oroe di Simon Lim

Completano degnamente il cast il Mitrane di Enrico Iviglia e (invisibile ma... ampiamente controfigurato) Francesco Milanese che dà voce alla spaventevole ombra di Nino, che si aggira minacciosa a partire dalla fine del prim’atto. 
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L’allestimento della giovane Cecilia Ligorio è essenziale nella scenografia (di Nicolas Bovey) che nel primo atto si riduce a uno scorcio di banlieu di Babilonia, che funge da tempio di Belo e poi da reggia di Semiramide, con ampio sfoggio di ori e piante... pensili; e nel secondo si riduce ad una piattaforma circolare all’interno di una scena totalmente buia e nera, direi appropriata allo scenario generale, che vede il compiersi della tragedia. Che anche l’intermezzo (teoricamente) idilliaco della definitiva unione (e conseguente... scomparsa) di Azema e Idreno sia ambientato in questa specie di girone infernale non è poi del tutto fuori luogo: credo che da buona femminista la Ligorio abbia voluto sottolineare come per una donna il dover seguire un uomo controvoglia sia, appunto, un inferno (qui però la regista ha dato retta più a Voltaire che a Rossi-Rossini, per i quali la fanciulla parrebbe accontentarsi anche di uno che fa l’indiano). 

Le luci di Fabio Barettin si adeguano perfettamente alla duplicità dello scenario: abbaglianti per rendere al meglio lo sfarzo della sfolgorante Babilonia e poi... assenti o quasi nel second’atto. 

I costumi di Marco Piemontese sono un pot-pourri di stili, mode ed epoche, una maniera come un’altra per rappresentare degli archètipi, senza dare precisi riferimenti: si va da abbigliamenti più o meno plausibilmente babilonesi (il popolo del primo atto) a uniformi militari austro-ungariche (Idreno) ad acconciature da barbie (Semiramide, Azema) e Rasputin (Assur); al bizzarro vestimento guerresco di Arsace, per finire ai completi neri (cappelli inclusi) degli scagnozzi di Assur, un autentico branco di pipistrelloni. 

Non particolarmente eccitante la recitazione: salvo Esposito che ci mette del suo, gli altri paiono lasciati un po’ a se stessi e non è che brillino particolarmente. Brava la coreografa-ballerina Daisy Ransom Phillips con le quattro danzatrici che fungono da ancelle del gran sacerdote. 

In conclusione, uno spettacolo più che dignitoso, che il pubblico ha accolto con grande favore gratificando tutti e ciascuno di applausi e di bravi! Per me, una trasferta tutto sommato piacevole.

03 ottobre, 2016

La Semiramide al Maggio, ovvero la “tagliata alla fiorentina”


Ieri pomeriggio terza e penultima recita di Semiramide all’OF, per l’occasione piacevolmente presa d’assalto da un pubblico tanto folto quanto entusiasta (il che è già di per sè un bello spettacolo...)

Semiramide è opera di lunghezza... wagneriana (intonsa tocca come nulla le 3 ore e 3/4 nette) e per questo spaventa chi la deve allestire ancor più di chi la va ad ascoltare (personalmente vorrei che di ore ne durasse cinque o sei, tale è la grandezza della musica!) Così capita quasi sempre che venga fatta oggetto di tagli più o meno corposi e più o meno giustificati. Firenze non ha fatto eccezione con potature che saranno pure, come si usa dire, di tradizione, ma alcune purtroppo intaccano componenti non proprio marginali dell’opera e qualche piccolo o medio danno alla drammaturgia e all’equilibrio complessivo lo arrecano. Sarebbe come rimuovere dalla facciata del Duomo di Firenze le nicchie con relative statue e le raggiere dei rosoni e dal campanile le colonnine che impreziosiscono bifore e trifore: certo, il Duomo resterebbe lì in tutta la sua imponenza, ma insomma...

Tanto per essere esageratamente pignoli, ecco il menu completo (rilevazione – spartito Ricordi alla mano - dalla prima radiotrasmessa il 27) della tagliata fiorentina (stra-smile!) Nel primo atto abbiamo le seguenti cassazioni:
- N°1 (Coro di apertura): tutta la sezione Dal Gange aurato alla fine; poi (esordio Idreno): seconda delle tre ripetizioni del verso Un costante e vivo amor; poi (esordio Assur): seconda delle tre ripetizioni del verso La Regina sceglierà; poi (terzetto Assur-Idreno-Oroe, A quei detti): la prima parte di Oroe; poi (Coro Ah! Ti vediamo ancor): ripetizione di In lei, elementi dei; poi (insieme Ah già il sacro fuoco è spento): prima esposizione di Trema il Tempio, infausto evento;
- Tutto il recitativo dopo il N°1 (da Oh tu, de’ Magi fino all’ingresso di Arsace);
- N°2: brevissimo recitativo dopo la cabaletta di Arsace (Ministri, al gran Pontefice);
- N°4 (Aria di Idreno): dalla ripresa di Ah! Dov’è, dov’è il cimento fino alla cadenza conclusiva (che ognora Idreno adorerà);
- Breve recitativo di Azema dopo il N°4 (Se non avesse e meritasse Arsace);
- N°5: nell’Introduzione strumentale si salta il controsoggetto, da metà della battuta 7 a metà della battuta 23 (delle 31 totali);
- Recitativo dopo il N°5: tagliato dalla frase di Semiramide E voi dunque approvate, fino a Va’, Mitrane; poi da Oroe, co’ Magi fino all’entrata di Arsace; poi da Io ne conosco già la fè fino a inizio cantabile (Serbami ognor);
- Tutto il recitativo dopo il N°6 (Oroe dal tempio nella reggia?);
- N°7: soppresso il Coro di Magi (E dal ciel placati, o numi); poi (Coro finale Atto I): tagliata la ripetizione di Atro evento...

Nell’Atto II spariscono:
- Breve recitativo introduttivo di Mitrane (Alla reggia d’intorno cauto);
- Recitativo Semiramide-Assur: da A me restava allor un figlio, fino a inizio duetto;
- N°8 (Duetto Semiramide-Assur): ripetizione di Ah! Senti! Questa gioja! fino alla stretta conclusiva del duetto;
- N°9: dalla quinta battuta del Preludio, eliminato il Coro di Magi, fino all’ingresso di Arsace (Ebben, compiasi omai); poi la frase di Oroe Gli empi conosci omai... è il tuo dover e la risposta di Arsace (Ah tu gelar mi fai); poi (Arsace e Coro) l’interiezione fra le due ripetizioni di Al gran cimento;
- N°10 (Idreno-Coro): seconda delle tre ripetizioni del verso S’abbandoni il vostro cor;
- N°11 (Semiramide-Arsace): ponte e ripetizione di Tu serena intanto il ciglio;
- N°12 (Coro Oroe dal tempio uscì): soppressa la frase Sull’Assiria al nuovo dì fino a Non v’è soglio più per te;
- Recitativo dopo il N°12 (Mitrane);
- N°13: Coro di Magi (Un traditor con empio ardir) soppresso fino ad entrata di Arsace (Qual densa notte);
- N°13: soppresso il resto della scena da Il vostro Re mirate fino al Coro finale.  

Mi limito a commentare lapidariamente solo l’ultimo dei tagli: semplicemente da denuncia penale!

Domanda: ma ne vale davvero la pena? Per quale pro? Accorciare i tempi di circa 15 minuti su 225? (ma allora perchè non fare le cose in grande e, già che ci siamo, tagliarne 30 o 45 di minuti, tornando alla barbarie della pre-renaissance...?) Oppure risparmiare un po’ di fiato ai cantanti e fiato e fatica agli orchestrali? Mah...

Vengo ai protagonisti, cominciando ovviamente da madre e figlio. Che devo dire hanno cantato assai bene, corrette in tutti i passaggi, particolarmente nelle impervie fioriture (originali e/o predisposte all’uopo). Purtroppo sia Pratt che Santafé mi paiono, come dire, fuori-ruolo, avendo voci congenitamente assai più leggere di quanto non servirebbe per i due personaggi. Pratt trasporta spesso e volentieri dei passaggi (o singole note) all’ottava superiore; nel Bel Raggio si permette addirittura un paio di MI sovracuti, staccati perfettamente e che le procurano un diluvio di applausi, poi nel Giuri ognuno sale in agilità ad un MIb ghermito approssimativamente. Tutte note che Rossini si era ben guardato dallo scrivere, conoscendo alla perfezione i limiti della mogliettina, che mai e poi mai ci sarebbe potuta arrivare. La sua è quindi una Semiramide assai lirica ma assai meno drammatica, ecco. Idem per il contralto, che in effetti è un mezzo (adatto più per Azema che per Arsace?)  

L’Idreno di Gatell ha mostrato buone (e riconosciute) qualità, apparendo abbastanza omogeneo su tutta la gamma, con qualche affanno sugli acuti (il RE, scritto in partitura, questo, uscito un po’ sporco) nella sua prima aria. Inspiegabile pertanto (o sospetto) il taglio apportato al medesimo numero. Cionondimeno si è avuto un lungo applauso dopo l’aria con cui saluta tutti, dove tocca un bel SI (non scritto).

Palazzi è un più che discreto Assur, voce sempre ben impostata, con qualche affanno però sui diversi FA sopra il rigo, dove perde chiaramente potenza e si fa sommergere da coro e orchestra (vedi la chiusa della sua grande aria nel finale).

Gli altri (Tsybulko, Lee, Giovannini e Langella) su standard appena accettabili, così come il coro di Fratini (relegato in buca, faccia al palco e dietro al Direttore, per discutibili prescrizioni ronconiane) anch’esso gratificato di sconti da saldi di fine stagione...

Benino l’Orchestra, non indenne da svirgolamenti di corni e da qualche attacco approssimativo, e malino (malissimo per parte del pubblico) il Direttore Walker. Costui si è preso una serie di buh al rientro e poi è stato sommerso di improperi – unico dell’intera compagnia - all’uscita finale. Io sono di bocca buona e gli rimprovero una certa erraticità nello stacco dei tempi, spesso fin troppo compassati e talvolta eccessivamente stretti (il coro finale davvero incredibile: ci mancava solo che invece di Vieni Arsace cantassero Vecchio scarpone...) Anche le dinamiche non sempre erano a posto... però bisogna riconoscere che pilotare fino al porto un transatlantico (pur alleggerito) come questo non è comunque cosa da poco.
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Ronconi. Parlar male dei morti, lo so, non sta bene... ma quando ce vo’, ce vo’! poi era ancora vivo nel 2011 quando inventò questa genialata per il SanCarlo. Lui, come tutti i grandi, fa grandi anche le... cazzate, come questa messinscena davvero inaccettabile (per me, ovviamente).

Dico, va bene che Semiramide è un soggetto pieno zeppo di problematiche assai cupe: lei con i continui sensi di colpa, Assur frustrato per non riuscire a raggiungere il potere, Arsace disperato che vede sfumare sul più bello l’amore della sua vita, Oroe che sfoga le sue clericali inibizioni abbeverandosi di sangue... Però, accidenti, l’ambiente immaginato da Rossi-Rossini è quello della Babilonia fiorente, prospera, ricchissima e viziosa, proprio come la stessa Regina l’aveva modellata dopo aver fatto secco il marito che la stava ripudiando! E i numerosi cori che (se non vengono brutalmente tagliati) costellano l’intero svolgersi della vicenda sono proprio lì a mostrarcene la magnificenza e la gloria. Ed è precisamente il contrasto fra l’euforia dell’ambiente esterno e lo strazio che abita le anime dei protagonisti a rendere mirabile l’intero impianto estetico dell’opera, grazie ai suoni di cui Rossini l’ha rivestito.

Ronconi? Mentre il coro vero canta (per quel che gli lasciano cantare) la sua felicità restando invisibile, noi che vediamo sulla scena? Mura diroccate e catacombe dalle quali fuoriescono ospiti di un lebbrosario: mammamia!

Non aggiungo altro per non incappare nel reato di vilipendio di cadavere, ecco.
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Che dire, al tirar delle somme? Un’occasione sprecata.

26 settembre, 2016

A Firenze si aspetta Semiramide. (2)


Archiviata la questione, più o meno rilevante, concernente il processo di derivazione del libretto di Semiramide dalla Sémiramis di Voltaire, proviamo ad avvicinarci, dalla crosta e relative incrostazioni, alla polpa musicale di quest’opera, che è quanto mai succosa e appetibile.

Ci soccorre l’ascolto di una rappresentazione - praticamente integrale - diretta in quel di Liegi nell’ormai lontano 2001 dal venerabile Alberto Zedda alla testa di Orchestra e Coro dell’Opéra Royal de Wallonie e con una compagnia di canto di tutto rispetto: Darina Takova (Semiramide) – Ewa Podleś (Arsace) – Rockwell Blake (Idreno) – Boris Martinovich (Assur) – Léonard Graus (Oroe) – Laure Delcampe (Azema) – Laurent Koehl (Mitrane) – Roger Joakim (Nino).

Lo schema sottostante riassume con un certo dettaglio la struttura dell’opera, suddivisa nei suoi numeri e nelle relative componenti formali. Si noti che tutti i recitativi (che normalmente separano i diversi numeri) sono sempre accompagnati, ed in effetti non si distinguono quasi più, musicalmente, da ciò che si indica come scena (che in un certo senso è l’antesignano della melodia infinita che nel Wagner post-Lohengrin, da parte, diventerà tutto).

atto-n°
forma
personaggi
minutaggio - contenuto
Sinfonia



Introduzione
Allegro vivace
RE maggiore
20”

Andantino
54”
Esposizione
Allegro
1° tema – RE magg.
4’41”


2° tema – LA magg.
6’28”

crescendo (a)
LA maggiore
6’57”

crescendo (b)
7’16”
Ripresa
Allegro
1° tema – RE magg.
8’36”


2° tema – RE magg.
10’24”

crescendo (a)
RE maggiore
10’53”

crescendo (b)
11’11”
Atto I



1. Introduzione
Scena
Oroe
13’08” Sì... Gran Nume

Coro
Popolo
15’56” Belo si celebri

Tempo d'attacco
Idreno–Coro-Assur
19’30” Là dal Gange

Tempo di mezzo
Assur
22’53” La mia fede

Stretta
Assur-Idreno-Oroe
23’30” A quei detti

Coro
Popolo
25’19” Ma di plausi

Quartetto
Oroe-Semiramide-Idreno-Assur
27’21” Di tanti regi

Tempo di mezzo
Assur-Semiramide-Idreno-Oroe-Coro
30’46” Regina, all’ara

Stretta
Tutti
32’16” Trema il tempio
Recitativo

Semiramide-Oroe-Idreno-Assur
36’01” O tu de’ Magi
2. Arsace
Preludio

39’57”
 
Scena
Arsace
42’34” Eccomi alfine

Cantabile
45’31” Ah! quel giorno

Cabaletta
48’01” Oh! come da quel dì
Recitativo

Oroe-Arsace-Assur
52’11” Io t’attendeva
3. Duetto
Tempo d'attacco
Arsace-Assur
56’34” Bella imago

Cantabile
1h00’09” D’un tenero amor

Tempo di mezzo
1h03’08” Io tremar?

Cabaletta
1h04’08” Và, superbo
4. Aria Idreno
Scena
Azema-Idreno
1h07’57” O me felice!

Cantabile
Idreno
1h09’40” Ah dov’è

Cabaletta
1h13’09” E se ancor libero
Recitativo

Azema
1h17’25” Se non avesse
5. Semiramide
Coro
Donne
1h17’52” Serena i vaghi rai

Cantabile
Semiramide-Donne
1h21’33” Bel raggio lusinghier

Cabaletta
"
1h24’45” Dolce pensiero
Recitativo

Semiramide-Mitrane-Arsace
1h28’36” Non viene ancor
6. Duettino
Cantabile
Semiramide-Arsace
1h33’11” Serbami ognor

Cabaletta
Semiramide-Arsace
1h37’27” Alle più care immagini
Recitativo

Assur-Oroe
1h41’30” Oroe dal tempio
7. Finale I
Coro
Popolo
1h43’53” Ergi ormai

Scena
Semiramide - tutti
1h49’15” I vostri voti

Tempo d'attacco
"
1h55’49” L’alto eroe

Marcia funebre
Tutti
1h59’58” Qual mesto gemito

Tempo di mezzo
Semiramide-Assur-Idreno-Arsace-Nino
2h05’13” D’un semidio

Stretta
Tutti
2h08’40” Ah! sconvolta
Atto II



Recitativo

Mitrane-Semiramide-Assur
2h12’10” Alla reggia d’intorno
8. Duetto
Cantabile
Semiramide-Assur
2h16’12” Se la vita ancor

Tempo di mezzo
2h20’13” Quella ricordati

Cabaletta
2h25’41” La forza primiera
9. Ninia
Preludio

2h28’14”  

Coro
Magi-Oroe
2h30’21” In questo augusto

Scena
Arsace-Oroe
2h33’31” Ebben, compiasi omai

Cantabile
Arsace
2h35’33” In sì barbara sciagura

Tempo di mezzo
Oroe-Magi
2h38’39” Su, ti scuoti

Cabaletta
Arsace-Oroe-Magi
2h39’49” Tu ridesti il mio valore

Tempo di mezzo
Arsace
2h40’28” Ah! È mia madre

Cabaletta
Magi
2h41’14” Al gran cimento

"
Arsace-Oroe-Magi
2h41’48” Vendicato il genitore
Recitativo

Mitrane-Azema-Idreno
2h44’50” Calmati principessa
10. Aria Idreno
Cantabile
Idreno
2h46’59” La speranza più soave

Tempo di mezzo
Idreno-Coro
2h49’08” Tu mia sposa

Cabaletta
"
2h51’11” Sì, sperar voglio
Recitativo

Semiramide-Arsace
2h54’52” No, non ti lascio
11. Duetto
Tempo d'attacco
2h57’50” Ebbene... a te

Cantabile
3h03’30” Giorno d’orrore

Tempo di mezzo
3h08’37” Madre, addio

Cabaletta
3h09’34” Tu serena intanto
12. Aria Assur
Preludio

3h13’01”  

Scena
Assur
3h15’50” Il dì già cade

Coro
Satrapi
3h17’37” Ah! La sorte ci tradì

Tempo d’attacco
Assur
3h20’13” Sì, vi sarà vendetta

Cantabile
3h21’33” Deh! ti ferma

Tempo di mezzo
Satrapi-Assur
3h25’00” Ah! Signore! Assur!

Cabaletta
Assur-Satrapi
3h26’32” Que’ Numi furenti
Recitativo

Mitrane
3h28’31” Oh nero eccesso!
13. Finale II
Preludio

3h29’34”   

Coro
Magi
3h31’19” Un traditor

Scena
Arsace-Oroe
3h34’42” Qual densa notte

Assur
3h36’14” Fra questi orrori

Semiramide
3h36’49” Già il perfido discese

Preghiera
3h37’46” Al mio pregar

Scena
Arsace-Assur-Semiramide
3h40’50” Dèi! qual sospiro

Terzetto
3h41’21” L’usato ardir

Scena
Oroe-Assur-Arsace-Semiramide
3h43’48” Ninia, ferisci

Coro
Tutti
3h46’37” Vieni Arsace

L’architettura dell’opera – almeno nella sua versione integrale – presenta proporzioni pressochè perfette: dopo la corposa Sinfonia vi si collocano tre colonne portanti: l’Introduzione e i due Finali. Le quali incastonano due gruppi di 5 numeri (per ciascuno dei due atti) articolati per lo più secondo quella che prenderà poi il nome di solita forma: scena, tempo d’attacco, cantabile, tempo di mezzo, cabaletta (si noti: una forma mai stucchevolmente e pedestremente ripetuta, ma di volta in volta adattata allo scenario drammaturgico da sostenere). Abbiamo quindi una macro-struttura così rappresentabile (tempi riferiti sempre alla citata esecuzione di Zedda):



Come si vede, una costruzione dal mirabile equilibrio, che viene fatalmente alterato ogni volta (e capita purtroppo assai spesso) che si praticano alla partitura tagli più o meno barbari e con i più diversi pretesti. 

Rossini, dopo averla sostituita con semplici preludi, nel suo periodo napoletano, ritorna per l’occasione alla sinfonia, e che Sinfonia! È sempre in forma-sonata-senza-sviluppo, ma è un vero e proprio gioiello, e in più presenta almeno quattro motivi che ricompariranno in diverse scene dell’opera, della quale quindi non è una semplice e posticcia introduzione, avulsa dal contesto (vedi quella dell’Aureliano poi disinvoltamente appiccicata ad Elisabetta e quindi al Barbiere) ma una parte assolutamente integrante. L’Andantino dell’Introduzione lo ritroviamo infatti nella scena di Semiramide del Finale I (I vostri voti omai). Il primo tema compare reiteratamente nella prima parte del Finale II; il crescendo(a) torna nella cabaletta del N°9, mentre il crescendo(b) sottolinea il duetto Semiramide-Arsace del primo atto.

Rossini non rinuncia ai suoi tradizionali imprestiti: nella prima aria di Idreno (E se ancor libero) affiora un inciso (Più fida un’anima) che viene dai palpiti del Tancredi; nel recitativo di Assur-Oroe (Oroe dal tempio) fa capolino un motivo che Rossini aveva scritto per la Sinfonia de La Gazzetta (poi riciclata in Cenerentola). Nel coro dei Satrapi (Ah! La sorte ci tradì) par di sentire l’Introduzione a La donna del lago e poi un’anticipazione dell’atmosfera solenne del finale del Tell... e a proposito della Donna, come non avvertire la somiglianza fra il quartetto Di tanti Regi e Oh! Mattutini albori di Elena.

Insomma, sono 3 ore e 3/4 di grande musica, senza un solo attimo di caduta di tensione, che fanno passare in secondo piano le accuse di passatismo barocco (per via delle mirabolanti fioriture del canto) e le critiche di personaggi anche famosi (Stendhal e Bacchelli, per citarne un paio) che trovarono l’opera – bontà loro - sgradevole o addirittura noiosa!
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Domani 27, ore 20, la prima in diretta su Radio3. Più avanti le mie impressioni dal vivo.
(2. continua)