Eccomi quindi a commentare la (terza
recita di) Semiramide,
in una Vitrifrigo-Arena con diverse poltrone vuote.
Ascoltare uno dei più grandi monumenti
musicali di ogni tempo più che discretamente eseguito da Direttore, Orchestra e
Voci, ma rappresentato in scena come un esercizio da oratorio parrocchiale non
è proprio il massimo... ma si sa, i Festival son fatti per stupire e scandalizzare
(o almeno così dice la vulgata). Quindi take-it-easy
e ridiamoci sopra!
Testuali parole di Vick: Nel 2019 mi pare imbarazzante fare l'imitazione di un
uomo interpretato da una donna, magari con le gambe aperte. È una convenzione
tramontata.
Ah davvero? A parte il fatto che il nostro mondo del 2019 (e la tendenza
è a crescere...) è pieno di travestiti nobili e proletari, ricchi e poveri, e
di gente che cerca la loro compagnia, dall’imbambagiato in Ferrari Lapo Elkann
al più sfigato dei derelitti, e quindi non si vede cosa ci sarebbe di
imbarazzante in tutto ciò... il problema, caro il mio Graham, è di una
semplicità disarmante: It’s the music,
stupid!
Tu, caro Grahm, sarai anche un grande uomo di teatro (nessuno te lo
nega) ma di MUSICA capisci poco o nulla, o meglio, temo io, tu la musica - questa,
per lo meno - la disprezzi! Come hai fatto,
sempre qui a Pesaro nel 2011, impiegando quella del Mosè per rifilarci la
storia della nascita dello Stato di Israele (Mosè=Jabotinski!) e nel 2013
travisando completamente l’estetica del Tell, ridotto a strumento di propaganda
politico-ideologica di bassa lega.
E quindi - tanto per limitarci a Rossini
- immagino che sarai ben lieto in futuro di farci conoscere (basta che ti
appaltino, a fronte di laute parcelle pagate da NOI, la regìa delle rispettive
opere) anche l’eroina Tancreda, la regina Cira di Babilonia, la regina sfigata Sigismonda, la Pippa della Gazza ladra... e mi fermo qui per non coprire di
ridicolo un’altra mezza dozzina di straordinari protagonisti en-travesti di opere del Gioachino. Che
per te era evidentemente un depravato sessuale il quale, rimasto a secco con i
poveri castrati, rivolse le sue morbose attenzioni ad altri esemplari targati LGBT... Ascpide! L’idea che la scelta delle voci cui
affidare i caratteri dei personaggi fosse per Rossini di natura squisitamente estetica non ti sfiora
nemmeno, vero? Oppure, dato che l’estetica può cambiare - e cambia - nel tempo,
ecco che tu ti permetti allegramente di adulterare
l’opera originale per adattarla ad una presunta estetica di oggi! Quindi metti
un piercing alla Gioconda e il tanga alla Primavera! Apperò! La tua Semiramide
si trasforma nella storia in una catena
lesbica: Semiramide-Arsace e Arsace-Azema. Geniale!
___
Ma Arsace femmina è solo la punta
dell’iceberg del colossale travisamento del soggetto perpetrato dal regista
albionico che - forse per ammortizzare i costi delle sue fatiche - deve aver
trattato Semiramide come corollario della Tote
Stadt da lui recentemente inscenata alla Scala: tutta Freud, complessi
edipici, visioni oniriche, isterie, allucinazioni (ma là ci stava bene, trovandosi
precisamente nel libretto, prima che nella musica!) Il tutto in una strampalata
ambientazione moderna, altro che la sontuosa e sfarzosa Babilonia! E dove il
tragico, il magico e il soprannaturale - non si è sempre detto che con
Semiramide Rossini abbandonò il suo innivativo modello di opera seria sperimentato a Napoli per tornare al tardo-barocco? - cedono il posto alla
più ritrita riproposizione freudiana di turbe psichiche ingenerate in un
infante, per il resto alle prese con orsacchiotti e gessetti: questo per
spiegarci una... belinata, cioè come
Arsace sia stato testimone oculare dell’omicidio del padre (azione oltretutto cruenta,
come mostra il coltellaccio che lui pargoletto vede nelle mani insanguinate
della madre!) e come quel ricordo continui ad emergere dal suo subconscio.
Auto-imprestito, si dovrebbe dire (visto che siamo da Rossini): avendo Vick copiato
se stesso, vedi l’Arnold del suo Tell che guarda i filmetti dell’infanzia. Così
Arsace diventa ossessionato dal desiderio di vendicare la madre, cosa che
finalmente gli riuscirà: e lo farà in piena luce, avendola ben visibilmente a
tiro, non certo per sbaglio (mano divina) e nella completa oscurità del mausoleo
di Nino.
In poche parole: una storia inventata di sana pianta, che contraddice alla grande il
testo di Rossi (dove Arsace fino all’ultimo rifiuta ritorsioni sulla madre per
rivolgere la sua sete di vendetta esclusivamente su Assur) e - soprattutto - la
MUSICA di Rossini, che a quel testo e a quel soggetto si è mirabilmente ispirata.
Se a Rossini fosse stata mostrata la messinscena di Vick, ammesso che non fosse
scoppiato a ridere ed avesse acconsentito a musicarla, vi avrebbe composto musica totalmente diversa da quella che scrisse
per la tragedia di Rossi, mutuata da Voltaire, se ne può star certi.
Oh, in certi momenti Vick è però
rispettosissimo del libretto, come quando, nel drammatico confronto fra Semiramide
e Assur del second’atto (da lui peraltro trasformato in una scena-di-petting-sul-divano
da filmetto osé) ci mostra lei che, cantando
La forza
primiera ripiglia il mio core, Regina e guerriera punirti saprò, afferra
e strizza ben bene i... coglioni di Assur! Quale poesia, quanta profondità di
scavo psicologico...
Insomma, non saprei se definire questo
spettacolo come irridente o irrispettoso, dissacrante o provocatorio, o
semplicemente... una sciocchezza.
___
Beh, chiuso il discorso sulla carnevalata,
veniamo alle cose serie, e per fortuna ad aspetti che giustificano (alle mie orecchie, per lo meno, visto che gli occhi sono stati... torturati) la spesa
del biglietto. Mariotti si conferma ormai
solido interprete di queste impervie partiture rossiniane, guidando la OSN-RAI
con il suo proverbiale (quanto abbadiano)
gesto della mano sinistra a dettare attacchi e sfumature. Cosa che fa anche con
le voci, quasi sempre rispettate (cioè non coperte da fracassi orchestrali) e in
particolare con i cori, che qui hanno un ruolo da protagonisti. E il Coro di Giovannni Farina si è da parte sua
distinto in tutte le diverse apparizioni e configurazioni, meritandosi un lungo
applauso alla riapertura del sipario dopo la fine dell’opera.
La voce che mi ha più impressionato è
stata quella di Carlo Cigni (Oroe):
grande potenza e profondità, ha piacevolmente invaso gli spazi dell’Arena,
caratterizzando al meglio il personaggio del santone talebano che pilota tutta
la vicenda, fino al suo tragico epilogo.
La diffusione radiofonica tende ad
appiattire tutto, ed anche in questo caso è stato così: voci che dall’etere
parevano corpose, dal vivo si rivelano assai meno penetranti. Così è stato per Nahuel Di Pierro, oltretutto esibitosi
in alcuni schiamazzi molesti. Nel duetto del primo atto con Arsace, forse
temendo di calare, ha invece stonato
parecchio per eccesso, con acuti francamente sgradevoli. A lui darò una sufficienza
risicata.
Salome
Jicia
è pure rimasta un filino al di sotto rispetto a quanto udito per radio alla prima: una prestazione onorevole la sua,
ma inquinata da alcuni acuti sparati alla sperindio e da un paio di virtuosismi
piuttosto approssimativi.
Meglio di lei Varduhi Abrahamyan, la cui voce dal vivo mi è apparsa meno
penetrante, ma sempre ben impostata e senza sbavature. Si notano comunque
progressi evidenti rispetto al suo esordio di qualche anno fa, quando vestì i panni
di Malcom: segno che il mezzosoprano armeno non sta dormendo sugli allori...
Il trionfatore della serata è stato curiosamente...
l’intruso (parlando di soggetto letterario): l’Idreno di Antonino Siragusa, che rivaleggia, anche per vetustà di presenza al
ROF) con il leggendario JDF. Ha sciorinato le sue due arie con grande sicurezza,
ricevendo lunghe ovazioni a scena aperta. La sfilza di DO, RE e DO# acuti (scritti
dal signor Rossini o dalla signora... tradizione) gli è uscita alla grande, sia
pur non senza evidenti sforzi.
Su discreti standard gli altri
interpreti, che metterei in quest’ordine di merito (anche rispetto alla
consistenza delle parti): Alessandro Luciano,
Sergey Artamonov e Martiniana Antonie.
Per tutti accoglienza assai calorosa,
con punte trionfali per Siragusa e Mariotti. Vick... non pervenuto.
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