XIV

da prevosto a leone
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12 ottobre, 2024

Orchestra Sinfonica di Milano - 24-25.2

Il secondo appuntamento della stagione 24-25 de laVerdi vede l’esordio sul podio dell’Auditorium del giovane (28 anni scarsi) Diego Ceretta, attuale Direttore Principale della rinomata Orchestra Regionale della Toscana.

Il programma, di struttura classica (breve brano di apertura, concerto solistico e sinfonia) si apre con la prima esecuzione italiana del compositore in residenza, che risponde al nome di Nicola Campogrande, intitolata per l’appunto Cinque modi per aprire un concerto. Opera del 2021 (in piena era-Covid) eseguita per la prima volta in Spagna al Festival Diacronias, che l’aveva commissionata.

Qui lo stesso Aurore ce ne descrive l’origine e il contenuto. Come ci anticipa il titolo della composizione, si tratta di cinque piccoli pezzi (meno di 8 minuti) dalle caratteristiche contrastanti, per evocare altrettanti scenari psicologici e/o naturalistici. Un pezzo assolutamente godibile (chiude con un walzer in piena regola!) che il pubblico (ieri abbastanza folto) ha mostrato di apprezzare.

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Ecco poi la sempre bella (e brava, ovviamente!) Francesca Dego proporci il monumentale Concerto per violino op.61 di Beethoven. La sua è una prestazione davvero eccellente, dal lunghissimo primo movimento, con la massacrante e difficilissima cadenza (dove Kreisler sviluppa i temi incastrandoli mirabilmente) al sognante Larghetto, una vera perla preziosa, al danzante Rondo finale, con vorticosa cadenza.

Ceretta la accompagna con discrezione, salvo lasciare (per me) troppa briglia sciolta all’orchestra nei passaggi di insieme, esagerando con i decibel (forse anticipando il successivo Ciajkovski…)

Gran festa per la neo-mamma, che ringrazia per l’accoglienza (27 volte!) e ci offre un bis mai suonato prima, il Capriccio polacco di Grażyna Bacewicz. Ma non si ferma qui: visto che il pubblico continua ad acclamarla, fa altri due encore di puro virtuosismo, con Bach (Giga dalla Partita in Re minore) e Paganini (Capriccio 16).

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Ha chiuso la serata Ciajkovski con la Prima Sinfonia, cui lo stesso compositore affibbiò il nickname di Sogni d’inverno. Opera ancora piuttosto acerba (come ho scritto a suo tempo…) anche se non priva di spunti interessanti ed apprezzabili.

Ceretta l’ha mandata a memoria (buon segno, indice di studio approfondito) e l’affronta con il giusto equilibrio (necessario di fronte a questa partitura piuttosto farraginosa…) Gesto sobrio, mai stucchevole o inutilmente enfatico, attacchi precisi e (qui ci sta tutto), libero sfogo ai momenti roboanti (in particolare il Finale) di questo giovanile lavoro. Ma assai bene anche il Trio dello Scherzo, per me la cosa migliore di tutta la sinfonia.

Convinti applausi per lui, per le prime parti e le sezioni dei fiati (molto impegnati da questo Ciajkovski piuttosto velleitario) e infine per tutta l’orchestra. 


22 aprile, 2022

laVerdi 21-22. Concerto 26

Il Direttore Musicale fa il suo ritorno sul podio - in un Auditorium preso d’assalto da frotte di giovani e giovanissimi !!! - per una nuova offerta basata sulla premiata coppia Mozart-Beethoven, dei quali si presentano però composizioni non proprio eseguite ad ogni piè sospinto.

Del sommo Teofilo ascoltiamo infatti un’opera tanto preziosa quanto poco presente nei cartelloni delle grandi Orchestre, la Serenata K 361, nota con l’apocrifo sottotitolo di Gran Partita, che impegna (a parte il contrabbasso) una compagine di soli 12 fiati (in 6 coppie): la cosiddetta Königliche-Kaiserliche Harmonie voluta nel 1782 dall’Imperatore Giuseppe II (2 oboi, 2 clarinetti in SIb, 2 corni in FA e 2 fagotti) arricchita da 2 corni di bassetto in FA e 2 corni in SIb.

Tanto incerte sono le informazioni sulle origini e sulle prime esecuzioni dell’opera, quanto certissime e unanimi sono invece le espressioni di ammirazione di tutta la critica (e dei musicofili) nei confronti di questa musica, considerata uno dei vertici dell’arte mozartiana.

Si tratta in effetti di un’opera monumentale (circa 50’ di durata) articolata in 7 movimenti nei quali Mozart sfrutta a fondo ogni possibile prerogativa degli strumenti e realizza ogni possibile colore dei relativi impasti.

1. La Serenata è aperta da un corposo movimento in forma-sonata monotematica, tonalità SIb maggiore. La introduce un Largo di 14 battute che si chiude sospeso sull’accordo di dominante; cui segue l’esposizione in Allegro molto del tema principale il cui incipit qualcuno ha scoperto essere la possibile reminiscenza (tonalità inclusa) dalla terza scena di un’opera di François-André Danican Philidor, intitolata Le maréchal ferrant, che verosimilmente Mozart aveva conosciuto durante il suo viaggio e soggiorno a Parigi:

Dopo 10 battute di transizione ecco il tema riproposto - sottilmente variato! - sulla dominante FA, cui seguono due motivi di chiusura, sempre sul FA. L’esposizione viene riproposta da-capo ed è seguita dallo sviluppo, che presenta due diverse varianti del tema e il breve motivo di chiusura.

Ecco poi la ricapitolazione, con il motivo presentato in SIb - secondo le regole - anche alla seconda entrata, come pure i due motivi di chiusura. Una coda in cui ricompare fugacemente il tema, seguito dal secondo motivo di chiusura dell’esposizione, pone fine al movimento.

2. Ecco ora un Menuetto (primo dei due) strutturato simmetricamente (quasi uno stringato Rondo) come Menuetto - Trio1 - Menuetto - Trio2 - Menuetto. Sia Menuetto che Trii sono in due sezioni, ripetute. La tonalità del Menuetto è SIb maggiore, quella e dei due Trii rispettivamente MIb maggiore (sottodominante) e SOL minore (relativa).

3. Segue poi il brano più famoso dell’opera, un Adagio in MIb maggiore nel quale si racconta (vedi il film di Schaffer) che Salieri udisse nientemeno che... la voce di Dio!

4. Qui abbiamo il secondo Menuetto, in SIb maggiore, che ha la stessa struttura del precedente, con due Trii, in SIb minore e FA maggiore.  

5. Ecco ora la Romanze, che si presenta con una struttura A-B-A (più una coda). É un Adagio in MIb maggiore che incastona un Allegretto in DO minore, che poi si riporta al SIb, dominante del MIb per la ripresa dell’Adagio.

6. Thema mit Variationen. Il tema è in Andante, SIb maggiore ed è un auto-imprestito mozartiano, dal Quartetto con flauto K171 (K285b): il quale a sua volta si richiamava ad Haydn (Sinfonia 47):

É seguito da 6 variazioni (tutte in SIb maggiore, eccezion fatta per la IV, in minore) che danno modo a Mozart di sfruttare mirabilmente ogni possibile prerogativa di ciascuno strumento e delle combinazioni di atmosfere sonore che se ne possono ottenere.

7. É un Rondo in Allegro molto, in SIb maggiore. Il motivo del ritornello è derivato per auto-imprestito da una giovanile Sonatina in DO per piano a 4 mani, la K19d:

Una conclusione davvero indiavolata e strepitosa, che non può non suscitare nel pubblico ovazioni quasi deliranti.

E così è stato puntualmente anche ieri sera, dopo una prestazione davvero di assoluta eccellenza, in una cornice simpaticamente settecentesca, con il Kapellmeister seduto su una poltrona avvolgente e circondato dai 13 strumentisti in questa configurazione:

Direttore che ha scandito gli ultimi accordi emergendo dalla poltrona e imbracciando... il leggìo! Accoglienza a dir poco trionfale.
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La seconda parte della serata è dedicata al beethoveniano Triplo Concerto, l’Op.56, la cui ultima comparsa qui in Auditorium risale a più di 5 anni orsono, quando ad interpretarlo erano stati due alfieri de laVerdi (Santaniello-Grigolato) più il grande Cominati(In quell’occasione mi ero anche permesso di proporre questa sintetica analisi del brano.)

Oggi vi sono impegnati Francesca Dego al violino, Edgar Moreau al cello e Filippo Gorini alla tastiera. Devo dire che mi è parsa una prestazione un filino contratta all’inizio e per tutto il primo movimento, dove anche Flor mi ha dato l’impressione di evitare i contrasti privilegiando un accompagnamento fin troppo discreto. Poi già nel Larghetto le cose sono assai migliorate e il Rondo ha chiuso in bellezza (in particolare ho personalmente apprezzato la sezione centrale).

Lunghi applausi anche qui e così i tre si congedano con il terzo tempo (Duett, Langsam und mit Ausdruck) dalla Phantasiestücke op.88 di Schumann.

12 marzo, 2021

C.P.I.

Come Potevasi Immaginare

Non c’è niente da fare: siamo intrappolati in una sbifida sinusoide.

I contagi aumentano? Si chiude (e la curva va giù...)

La curva va giù? Si apre (e la curva va su...)

La curva va su? Si richiude (e la curva torna giù)

La curva torna giù? Si riapre (e la curva... indovina indovinello?)  

La sinusoide si appiattirà soltanto con la vaccinazione universale (non solo italiana) e quindi prepariamoci a vivere enne ultime ondate.

Intanto il 27/3 si avvicina e l’impegno solenne di Franceschini si realizzerà (salvo... imprevisti) solo in Sardegna: beati loro che potranno far traslocare nell’isola (previo passaporto sanitario) teatri, compagnie, produzioni e cartelloni da tutta Italia e così fare indigestione di cultura. Loro, perchè noi di Milano, Roma, Torino, Napoli, Bologna, Venezia, Genova, Firenze, Palermo, Bari e così via restiamo bloccati in casa e dobbiamo accontentarci di qualche asettico streaming.

Come quello, invero pregevole, che laVerdi ci ha appena offerto, con la premiata coppia Dego-Bignamini in Shostakovich (una rimpatriata dopo l’analoga prestazione - in presenza però - del maggio 2019... pare passata un’eternità).

A proposito di sinusoidi, anche la vita artistico-privata di Shostakovich fu tutto un su-e-giù: su nel ’34, giù nel ’36, risu nel ’41, rigiù nel ’48, ririsù nel ’54... ecc. ecc. 

25 maggio, 2019

laVerdi 18-19 - Concerto n°30


Per il terz’ultimo concerto della stagione torna in Auditorium il residente (!?) Jader Bignamini per guidare non una, ma ben due orchestre insieme! Si mescola infatti alla sua laVerdi la Filarmonica Arturo Toscanini, soprattutto per moltiplicare il volume di suono richiesto dallo Strauss che riempie la seconda parte del concerto.

Ma il programma è aperto da una vecchia frequentatrice dell’Auditorium, la sempre affascinante (nel fisico e nel... sonoro!) Francesca Dego, che ci propone il Primo concerto di Shostakovich. Opera composta (1947-48) in piena era Stalin-Zdanov e quindi prudentemente tenuta nel cassetto - onde evitare fastidiosi trasferimenti nella lontana Siberia, se non qualcosa di peggio - dal quale fu estratta dopo anni, dopo la presentazione della famosa e apprezzata Decima Sinfonia e in presenza al Kremlino del più mite (si fa per dire... chiedere in proposito agli ukraini) Kruscev. Questo spiega perchè alla sua comparsa le sia stato affibbiato il numero d’opera 99 e successivamente l’originale 77, numero più congruo rispetto al periodo di composizione.

Il dedicatario David Oistrakh e l’amico fraterno Evgeny Mravinski portarono alla luce il concerto sabato 29 ottobre del 1955 a Leningrado. Concerto piuttosto eterodosso (quanto meno rispetto ai canoni classici) a partire dal numero (4) dei movimenti e da contenuti (Notturno-Scherzo-Passacaglia-Burlesque) che lo avvicinano piuttosto ad una suite dove si alternano movimenti lenti e veloci. Orchestra privata degli ottoni più invadenti (trombe e tromboni) per mantenere la massima trasparenza di suono; solista che ha pochissime pause, essendo quasi costantemente protagonista, fra l’altro di una interminabile cadenza che separa e collega i due movimenti conclusivi. Quanto alle tonalità, le armature di chiave sono poco significative: il LA (minore) apre la sinfonia e il LA (maggiore) la chiude; in mezzo troviamo SIb e LAb, ma in realtà abbiamo atmosfere continuamente cangianti.

Seguiamo l’evolversi del concerto proprio in compagnia dei due sommi artisti che lo presentarono per la prima volta al pubblico.
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Si apre con un Notturno, in tempo Moderato, 4/4. Brano assai ispirato e ricco di laica religiosità. Struttura che richiama quella di una fantasia, nulla a che vedere con la classica forma-sonata. Dopo 4 battute in ritmo puntato degli archi bassi, ecco il violino attaccare (17”) una melopea praticamente ininterrotta, basata pure su un motivo puntato, nel quale compaiono sporadiche quartine di crome. L’orchestra tiene un accompagnamento sommesso negli archi, mentre i fiati si inseriscono qua e là, ma sempre con la massima discrezione, come fanno il fagotto (1’27”) e i fiati (2’12”).

Ecco un primo sussulto (2’19”) con la melodia del violino che si apre a intervalli più ampi e con i clarinetti (e i violini) a contrappuntare con un ondeggiante motivo per terze. A 3’08” il solista riprende la sua lirica perorazione, con salite a note sovracute, chiusa da un poco ritardando che lascia un minimo di spazio (4’29”) ai fiati, prima del ritorno (4’51”) del solista che ripropone la melopea iniziale, allargando quindi molto i tempi e facendosi accompagnare da arpa in armonici e celesta, a creare un’atmosfera eterea e sognante.

A 6’12” un improvviso intervento di percussioni e tuba dà inizio ad una sezione più animata, dove la melodia del solista si muove prevalentemente per terzine. Altra breve pausa (6’54”) per il violino, occupata dai fiati e quindi (7’10”) riecco il solista con la sua melodia fatta di terzine, adesso però incalzato dagli archi e poi dall’intera orchestra, in un agitato ribollire di suoni, mentre il violino ancora allarga i propri tempi. È un crescendo che raggiunge un climax al quale fa seguito (8’19”) una nuova ripresa del motivo puntato nel violino, che fa una pausa (8’46”) per poi riprendersi il centro della scena (9’04”) con l’ultima esposizione che ricapitola i diversi spezzoni di motivi uditi in precedenza. A 11’25” ecco le ultime quattro battute del solista, tutte in armonici, con l’arpa e la celesta, morendo, a chiudere con lui questo mirabile sogno.

Segue quindi un movimento veloce, lo Scherzo, tempo Allegro, 3/8. Qui viene sostanzialmente rispettata la classica forma scherzo-trio, con la particolarità che il tema viene inizialmente esposto (11’52”) da flauto e clarinetto basso, con il solista a ritmarne l’accompagnamento, prima di prendere possesso (12’05”) della scena! A 12’48” il solista ripropone (come consuetudine classica) lo Scherzo, che poco dopo (13’03”) modula bruscamente, mentre i fiati espongono, innalzato di un semitono e lievemente storpiato verso il basso alla fine (RE#-MI-DO#-SI) il motto DSCH (RE-MIb-DO-SI, iniziali del compositore) che riascoltiamo subito dopo (13’17”) nei secchi strappi in doppia corda del violino.

Si arriva (13’37”) al Trio, Poco più mosso, 2/4, sempre dominato dal solista, con motivi e ritmo che ricordano il Klezmer (danza ebraica) comportando anche veloci scorribande, fino ad arrivare (15’36”) alla ripresa dello Scherzo, dove ascoltiamo impertinenti interventi dell’oboe prima, del flauto poi e infine dell’ottavino a contrappuntare il solista.

La scansione si fa sempre più frenetica fino a sfociare (17’27”) nella temporanea ripresa del tempo di Trio (2/4, Poco più mosso) che chiude (17’47”) tornando a 3/8 (tempo dello Scherzo) con una riproposizione del motto DSCH (adesso senza storpiature, ma trasposto di un tritono, a LAb-LA-SOLb-FA) e con il solista che insiste nel suonare quartine di crome sul tempo ternario, fino alla brusca chiusura.

Eccoci ora alla Passacaglia, Andante, 3/4. Il basso ricorrente (si ripeterà per 9 volte) copre 17 battute e viene inizialmente suonato (18’11”) dagli archi bassi, con corni a contrappuntare in ottave e timpani a scandire il ritmo. La seconda apparizione (19’06”) coinvolge la tuba e il fagotto, con gli altri fiati a cantare una specie di corale. Sulla terza (20’01”) affidata agli archi bassi ecco arrivare il violino solista, che intona una languida melodia (di atmosfera simile a quella del movimento iniziale). Il suo motivo viene ripreso dal corno inglese alla quarta tornata (20’56”) mentre il solista si lancia in volute più ampie. La quinta ripetizione (21’50”) vede al basso il primo corno, mentre il solista prosegue la sua melopea. Anche alla sesta reiterazione del basso (22’39”) affidata a corni, tuba, celli e contrabbassi, Il solista continua nel suo canto, sempre più accorato, animato ora da ripetute terzine.

La settima proposizione del tema di passacaglia (23’29”) è affidata ora direttamente al solista, con piglio stentoreo, mentre all’ottava (24’16”) sul basso tenuto da tuba e fagotti sono i clarinetti ad accompagnare la prima melodia tornata nel violino. Ai timpani (25’10”) spetta di guidare la nona ricorrenza dell’accompagnamento, con il solista sempre in primo piano, che arricchisce il suo tema di note ribattute. Seguono (26’12”) 12 battute di chiusura, con passaggi anche in doppia corda, che portano inaspettatamente (27’01”) ad una mastodontica Cadenza. Essa inizia riprendendo l’ultimo motivo suonato nella passacaglia, per poi svilupparsi in tempo Maestoso, con qualche moderata variazione agogica e dinamica. A 30’09” un primo Accelerando anima il ritmo e poi un secondo (31’15”) introduce la parte conclusiva, in Allegro, dove troviamo ogni artifizio virtuosistico, compresi passaggi in doppia, tripla ed anche quadrupla corda! 

E così, senza soluzione di continuità, a 31’42” attacca la conclusiva Burlesque, Allegro con brio, 2/4. É uno dei classici, inconfondibili, tarantolati pezzi di questo autore, dove solista e orchestra sembrano inseguirsi in una forsennata discesa senza freni. Il ritmo è spesso puntato, singhiozzante, oppure più regolare ma sempre forsennato. 

L’orchestra apre con 28 battute introduttive che preparano l’entrata (32’02”) del violino solista accompagnato dal clarinetto, con il quale innesca una specie di gioco a rincorrersi, chiuso da reiterati sussulti, quasi dei singhiozzi dei flauti. Il solista d’ora in poi avrà solo poche pause di respiro, alternando motivi in ritmo puntato ad altri (32’46”) più distesi, ma senza mai rallentare il passo. 

Dopo una sezione caratterizzata da passagi sincopati, a 33’18” il solista riprende il motivo dell’introduzione orchestrale, poi continua contrappuntato da strappi di flauti e clarinetti. A 33’50” si concede finalmente una pausa, lasciando momentaneamente spazio all’orchestra, per poi riprendere (34’21”) la sua corsa solitaria (accompagnato solo da violini e viole) e successivamente (34’43”) anche da clarinetti, corno e xilofono. Il passo adesso accelera, con volate di semicrome che portano (34’59”) a nuovi sussulti nei fiati, che accompagnano il solista fino a 35’36”. Qui il violino, ora sostenuto solo dagli archi, attacca una sezione con note ribattute, anche in corda doppia. 

A 35’46” ecco iniziare il Presto che ci conduce al repentino schianto conclusivo. 
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La bella Francesca ce lo ha porto mirabilmente, mettendone in risalto la grande nobiltà dei temi, in specie nei due movimenti lenti. In quelli veloci ha fatto valere le sue eccezionali doti tecniche.

Una prestazione davvero eccellente, salutata dal folto pubblico con grandi applausi. Che lei ha ricambiato, dopo l’impegno proibitivo del Concerto con ben tre encore, aperti da un ossessionato Ysaÿe.
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Ecco quindi la colossale Eine Alpensinfonie. Sui contenuti (naturalisticamente appariscenti o filosoficamente criptati) della quale non mi sto a dilungare, rimandando i curiosi a questo mio ormai lontano scritto di presentazione. Aggiungo solo che lo stesso Strauss, in una lettera ad Hofmannsthal poco dopo il grandioso successo del loro Rosenkavalier, ammise che il poema sinfonico alpestre gli procurava meno eccitazione dello scuotere maggiolini dai rami di un albero! Evidentemente anche le attività più prosaiche mettevano Strauss nelle condizioni ideali per creare grande musica!  

Musica che laVerdi ha eseguito in passato solo una volta (stagione 2006-7). Come detto, qui viene suonata da un organico derivato dall’assemblaggio di due compagini sinfoniche, in modo da rispettare (e forse nemmeno al 100%!) le prescrizioni dell’autore in fatto di strumentisti. Palco quindi affollato come non mai. Apprezzabile l’iniziativa di proiettare passo passo sui due schermi i 22 titoli programmatici delle sezioni del brano, accompagnati anche da fotografie che rimandano alle diverse fasi dell’escursione straussiana.

Bignamini attacca con grande sostenutezza, poi scatena l’orchestra nelle grandi campate sonore che costellano la Sinfonia. Apprezzabile la qualità dell’esecuzione, se si considera che due orchestre si sono dovute fondere, con poco tempo per provare. Gran successo, applausi ritmati per il Direttore, che da parte sua ha fatto alzare le singole prime parti e le intere sezioni per tributare loro il meritato trionfo.

14 settembre, 2012

Orchestraverdi – concerto n.1 (con fiocco azzurro!)


A Zhang Xian, e/o al pargoletto che si portava davanti in pancia, il terribile Ivan di domenica scorsa alla Scala deve aver proprio fatto un effetto particolare: ha anticipato di un mesetto abbondante l’arrivo del secondogenito!

Così è toccato al suo vice Jader Bignamini (ed è già la seconda volta che capita, dopo una 5a di Mahler di qualche mese fa) sostituire sul podio la direttora nel concerto inaugurale della stagione 12-13 de laVerdi, dopo che il giovane clarinettista aveva chiuso – con lo Chénier – anche quella precedente. Prima dell’inizio, Ruben Jais (Direttore artistico) dopo aver ricordato come questa sia la 20ma stagione dell’Orchestra, ha fatto gli auguri a Xian (che sarà assente, come minimo, anche la prossima settimana - e te credo!) e ha ringraziato Bignamini e Francesca Dego per la prontezza con cui hanno reagito all’improvvisa defezione della puerpera, alla quale sono andati calorosi applausi del pubblico.

Ad aprire la serata è l’Ouverture da Ruslan e Ljudmila di Glinka: un vero pezzo di bravura per le orchestre (archi in testa) che da sempre si sfidano a chi la sa suonare più velocemente. In partitura c’è l’indicazione metronomica di 140 minime (o 135, per i dilettanti, smile! – ed è già parecchio) che significa un tempo totale teorico di meno di 5’35” (l’intero brano in C tagliato è notato come Presto per 372 battute e Più mosso per le restanti 30). Quel demonio che rispondeva al nome di Yevgeny Mravinsky la fece eseguire ai Filarmonici di Leningrado (che qui gli tengono splendidamente bordone!) addirittura in 4’38”, equivalente a più di 173 minime, un vero record!

I ragazzi de laVerdi non sono in cerca di primati, ma di ottime esecuzioni: tengono un tempo come da indicazione dell’Autore e Luca Santaniello li trascina, con Bignamini, in un’esecuzione di tutto rispetto e senza alcuna sbavatura, accolta da scroscianti applausi.

Arriva poi, con un lungo dorato degno di una fatina, la giovane e bella Francesca Dego – non nuova a calcare il tavolato di Largo Mahler – per deliziarci con il Secondo Concerto per violino di Prokofiev.  
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Prima opera completata dal compositore ai tempi del ritorno in URSS, ha una struttura assolutamente tradizionale. L’iniziale Allegro moderato è rigorosamente in forma-sonata, presentando i canonici due temi: SOL minore il primo, scuro e pensoso, e SIb maggiore il secondo, più contemplativo  (che si adegua al SOL nella ricapitolazione):
Segue l’Andante assai, dove Prokofiev affida al caldo suono del violino una delle sue lunghissime e deliziose melodie (in MIb):


Nella sezione centrale, troviamo un Allegretto in RE, dove si raddoppia la velocità, prima del ritorno al tempo iniziale, e alla stupefacente cadenza finale di violoncelli e corni, chiusa dai clarinetti e da un contrabbasso.

Chiude in Allegro ben marcato in 3/4 un Rondo, il cui tema ricorrente (all’inizio in SIb, poi chiuderà in SOL) subito esposto dal solista, ha un che di sforzato e faticoso:
La struttura è assai semplice (A-B-A-C-A-B-A-Coda) dove B ha un andamento irregolare, con mutamenti di tempo da 3/4 a 2/2 e poi a 7/4. Anche la coda (66 misure) che è una vera e propria rincorsa a rotta di collo, cambia continuamente tempo, tra 5/4, 3/4, 2/2, 2/4, fino a chiudere in 3/4, con tre schiocchi di piatti colpiti con bacchette e una specie di tonfo del SOL grave del violino, accompagnato dalle trombe e dalla grancassa.   
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Splendida la prova di Francesca Dego, ben assecondata Bignamini e da tutta l’orchestra, e grande successo per lei, che ci regala subito un sensazionale bis paganiniano (l’ultimo dei Capricci op.1) e poi, per celebrare al meglio anniversari, ricorrenze e nascite, si fa affiancare da Luca Santaniello ed esegue con lui il primo movimento della Sonata per due violini di Prokofiev (qui i due Oistrakh).

Chiude il concerto una Suite dal balletto Romeo e Giulietta. Insieme al completamento del Secondo Concerto per violino, il balletto fu una delle prime composizioni del Prokofiev sovietico (che nel 1935 era in procinto di ristabilirsi in URSS dall’occidente) e guarda caso la sua gestazione fu assai travagliata, causa resistenze e intromissioni di varia natura. Tanto per cominciare, qualcuno se la prese con l’idea, considerata cervellotica e quasi blasfema verso Shakespeare, che il compositore aveva avuto di chiudere il balletto con un lieto fine: Romeo e Giulietta ricongiunti, grazie a Frate Lorenzo, e avviati ad un futuro di felicità… (a nulla valsero le giustificazioni di Prokofiev, che sosteneva che due morti non potevano danzare, smile!) Poi ci si mise anche il corpo di ballo del Kirov, protestando vivacemente contro una musica ritenuta indanzabile (!)

Insomma, la prima del balletto – che l’autore fu costretto a ritoccare, e non solo per rimettere le cose a posto con Shakespeare - dovette essere spostata all’estero (Brno, 1938…) e per la prima rappresentazione in URSS, al Kirov, si dovette aspettare il 1940. Recentemente il materiale originario (con il lieto fine, per intenderci) è stato riesumato dal musicologo Simon Morrison da polverosi cassetti dell’Archivio di Stato russo e impiegato per una messa in scena della versione originale del balletto ad opera della compagnia di Mark Morris.
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Contemporaneamente alla composizione del balletto (3 atti, 9 scene e 52 numeri, nella versione definitiva) Prokofiev ne estrasse due Suites (che recano lo stesso numero di Opus del balletto, 64bis e 64ter) costituite ciascuna da 7 numeri, che corrispondono a singoli numeri del balletto o a loro raggruppamenti. Esse furono eseguite in concerto – e con gran successo come ad esempio la seconda, qui diretta dall’Autore nel 1938 – già prima del balletto da cui derivavano. Parecchi anni dopo Prokofiev predispose una terza Suite (op.101) composta da 6 numeri. Ma prima aveva pubblicato (Op.75) Dieci pezzi per pianoforte, sempre estratti dal balletto. Le tre Suites presentano in tutto 20 numeri – derivati da 26 numeri del balletto - solo l'ultimo dei quali duplicato; invece i 10 Pezzi ripropongono 9 dei numeri delle prime due Suites (più Mercuzio). Inoltre la sequenza delle Suites e dei 10 Pezzi nulla ha a che vedere con quella del balletto (che invece rispetta – finale compreso, dopo le reprimende dei puristi - la trama della tragedia del mago di Stratford-upon-Avon).

In effetti è difficile decifrare il criterio usato da Prokofiev per strutturare le sue Suites, e ciò spiega anche perché in concerto e nelle incisioni si trovino oggi le più svariate… varianti. Nella tabella che segue sono indicati i numeri del balletto e quelli delle diverse Suites (la posizione nella riga stabilisce il numero, o i numeri, di provenienza dal balletto; si tenga presente che i titoli dei numeri delle Suites a volte differiscono da quelli del balletto; inoltre Prokofiev introdusse piccole varianti per ragioni di consistenza).


Spesso i Direttori si divertono a comporre proprie varianti delle Suite: il fatto è che questa musica è talmente grande – personalmente non trovo di meglio in tutto il ‘900! – da poter essere presentata in qualsivoglia sequenza, senza perdere un briciolo del suo fascino. Anche caricando i 52 numeri del balletto o delle Suites su iPod e riproducendoli con l’opzione random, si ottiene sempre un risultato straordinario!

Bignamini – credo proprio interpretando le intenzioni della Xian – carica l’esecuzione di spiccati chiaroscuri, a partire dagli accordi fracassoni dell’apertura (Montecchi e Capuleti) e per finire alla chiusa della Morte di Tebaldo, con i 15 colpi – proprio numerati in partitura, che paiono altrettante randellate sulla testa del malcapitato – esplosi dall’orchestra prima del definitivo schianto:


Ma nei brani intimistici (da Giulietta fanciulla al meraviglioso Romeo e Giulietta) vien fuori tutta la raffinatezza e trasparenza della musica del mago Prokofiev.

Successo calorosissimo per tutti e appuntamento in… Spagna, dove ci si trasferirà la settimana prossima. 

19 febbraio, 2010

Stagione dell’OrchestraVerdi - 19

Torna la cinesina a guidare la sua orchestra in un programma coi fiocchi, davanti ad un pubblico abbastanza folto.

Si apre con Brahms e il suo Concerto per violino. Contrariamente a quanto annunciato in sede di programmazione originaria, non è Daniel Hope ad interpretarlo, ma la brava Francesca Dego, già esibitasi qui poco tempo fa, nel concerto di Sibelius. Bella, oltre che brava, questa poco più che ventenne lecchese, ieri sera in un lungo nero scollato, con fascia bianca spiovente. E anche assai alta: la piccola Xian, per guardarla negli occhi, deve salire sul suo podio da 40 cm!

La tonalità del concerto di Brahms è RE, come anche lo è per Beethoven, Paganini (1° e 4°) Ciajkovski e Sibelius, per citare solo i più famosi. Ma anche per Mozart (2° e 4°) Prokofiev (1°) Lalo (sinfonia spagnola), Wieniawski (2°) e Schumann.

Solo qualche curiosità su quest'opera celeberrima. Per le prime 80 battute dell'Allegro non troppo il violino solista tace, poi finalmente entra con un lungo recitativo, che per altre 35 misure è accompagnato instancabilmente, in pianissimo, dal rullo del timpano della sempre impeccabile Viviana Mologni.

Brahms è assai parco di indicazioni agogiche per il solista, e così è ancora più singolare quell'isolato lusingando che compare alle misure 224 (esposizione, tonalità LA) e 467 (ripresa, tonalità FA#) e che sarebbe interessante capire come venga inteso da ciascun interprete, per poi essere tradotto in suoni. E se poi faccia proprio quell'effetto lusingante sull'ascoltatore!




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Francesca – chissà se riesce proprio a lusingarci… - lo esegue comunque con gran portamento e delicatezza, al pari di tutto il resto, va detto.

L'Adagio è aperto dal primo oboe, Emiliano Greci, che canta il dolcissimo tema principale in FA maggiore, che verrà poi ripreso dal solista.









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Il grande Sarasate si rifiutò sempre di eseguire questo concerto perché – a suo dire – di buono conteneva solo quel tema; e a lui avrebbe dato fastidio doverlo ascoltare standosene sfaccendato sulla sua pedana, a guardare il pubblico… La Dego invece ha tutta la pazienza di aspettare che arrivi il suo turno per esporci – variata – questa incantevole melodia.

Poi, con uno scarto cromatico dal FA al FA#, attacca l'Allegro giocoso conclusivo, caratterizzato da quel tema che nasce nervoso e scattante per poi – al poco più presto - addolcire di molto le sue spigolosità. Trionfo per la bravissima Francesca, che ci regala un gran bis paganiniano.

E dopo Brahms, ecco la Quarta di Ciajkovski. Sinfonia a sandwich, con i movimenti esterni enfatici, affettati e fracassoni che stritolano i due interni, di carattere più intimistico ed elegìaco.

Qualche passaggio non proprio impeccabile di corni e trombe nell'iniziale esposizione del millantato tema del destino, poi la Zhang dosa con sapienza i tempi del Moderato con anima negli archi, partendo un po' al rallentatore per poi ottenere un grande effetto con un crescendo generale. Bravi ancora tutti i legni nella sezione centrale Moderato assai, quasi andante, e brava ancora la Zhang a controllare lo stringendo di tutta l'orchestra, che porta alla riproposizione del tema del destino.

È ancora l'oboe protagonista dell'apertura dell'Andantino in modo di canzona, che crea uno stacco deciso dal fracasso del movimento iniziale. Efficace poi l'attacco della sezione centrale, dove clarinetti e fagotti presentano quel tema ostinatamente ondeggiante fra tonica e dominante (FA-DO) poi ripreso e rinforzato dagli archi e quindi contrappuntato dalle terzine degli ottoni. È poi nuovamente il fagotto a condurre alla chiusa, con la riproposizione del primo tema.

Il pizzicato ostinato è aggredito con la dovuta risolutezza da tutti gli archi, fino all'irruzione del lungo LA dell'oboe, anche qui protagonista, che introduce una specie di trio:





seguito poi da un concertino marziale, dove si mettono bene in mostra tutti gli ottoni.

Il finale Allegro con fuoco è una cosa invero tremenda per l'orecchio – mai peggio di certo Stockausen elicotterista, peraltro – e pieno di retorica a momenti quasi insopportabile. Nella battuta conclusiva Ciajkovski ci prende pure in giro, facendo tacere – nel generale triplo f - piatti, gran cassa e ottavino, bontà sua!

La piccola Xian cerca di non farsi mordere dalla tarantola, né dà in escandescenze come capita a molti direttori, che si fanno prendere la mano dalle turbe di zio Piotr. Va da sé che bisogna fare un monumento ai professori – dalla prima all'ultimo - per la loro stoica abnegazione.

È però il vecchio e caro Brahms ad avere l'ultima… nota: dato che la Zhang attacca – come bis – la quinta danza ungherese del burbero Johannes. Ancora ovazioni, e tutti a casa sotto la solita, fastidiosa pioggerella di questo febbraio meneghino.

Fra una settimana ancora la simpatica cinesina in un vero monumento dell'arte musicale, già presentato da lei e dai complessi de laVerdi lo scorso settembre, al MI-TO.

09 ottobre, 2009

Stagione dell’OrchestraVerdi - 4

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Il quarto concerto della stagione ha un programma di opere di compositori nordico-orientali, ma profondamente legati alla tradizione occidentale.

Si comincia con la ventenne Francesca Dego (oltre che brava è pure una gran bella ragazza, lunghe chiome bionde, fisico da modella, ieri fasciata di porpora…) a interpretare Sibelius e il suo concerto per violino. Che dal punto di vista formale, almeno a prima vista, sembrerebbe rispettare la struttura classica dei concerti ottocenteschi. Ma in realtà si era all’inizio del ‘900, con Mahler che mescolava sinfonia e opera, stirava fino all’estremo la tonalità, con Schönberg che la tonalità si preparava ad abbandonarla del tutto, con Strauss che irrideva le forme canoniche per sfogare la sua fantasia con i poemi sinfonici. Insomma, scrivere un concerto dai tratti spiccatamente ottocenteschi forse sembrò a Sibelius un pochino disonorevole e démodé. Però, non avendo l’inventiva di Mahler, né la fantasia di Strauss, né la temerarietà di Schönberg, trovò un modo bizzarro per fare qualcosa di innovativo: stravolgere, sul piano formale e tonale, i sacri canoni della forma-sonata nel suo primo movimento.

E così al primo tema, nella tonalità di impianto (RE minore) ne seguono due in tonalità totalmente aliene (SIb e REb). Qui Sibelius, dopo che il violino ha richiamato il primo tema in SOL minore, infila la cadenza solista che di fatto costituisce lo sviluppo, chiudendo proprio in SOL minore. Tonalità da cui muove il primo tema nella ricapitolazione, che deve poi faticosamente raggiungere il RE minore canonico. Insomma, quasi una fantasia, si potrebbe dire. Qui la Dego se la cava davvero egregiamente, anche dal punto di vista strettamente virtuosistico, con tutti quei passaggi (ottave e seste) in corda doppia (alcuni anche in tripla) di cui la partitura è ricolma. Il suo violino ha una voce calda, che ben si adatta a questo concerto. Marshall tiene al guinzaglio l’orchestra, lasciando sempre la voce solista in primo piano, limitandosi a scatenare tutti - ottoni in primis - nel fff della transizione orchestrale in SI maggiore.

Nel secondo movimento, adagio di molto in SIb, Sibelius torna al più profondo ‘800, con abbondanti manciate di Bruch, che il suo primo e strafamoso concerto l’aveva scritto quando Sibelius aveva sì e no tre anni. Ci fa capolino anche Wagner (una reminiscenza dall’incipit del secondo atto di Walküre, in una battuta del violino, al n°3 della partitura). E la solista asseconda in pieno questo ritorno al passato, con un’interpretazione leggera e cantabilissima. Anche qui, come in tutto il concerto, non mancano difficoltà virtuosistiche, quale la doppia melodia che il violino deve suonare nella sezione in minore, che Francesca restituisce proprio con tutto il possibile romanticismo.

Nel finale allegro (RE maggiore, con divagazioni a SOL minore e RE minore) la Dego tiene – mi pare - un tempo nella fascia inferiore del metronomo prescritto (108-116 semiminime) il che forse non restituisce tutta la grinta di questo pezzo: la stessa chiusa non è così tagliente come ci si aspetterebbe dal tutto crescendo possibile. Rimarchevole comunque la sua prestazione virtuosistica (anche qui la partitura comporta passaggi in corda tripla e, nella sezione in RE minore, armonici artificiali).

Alla fine, grande e strameritato trionfo per questa giovane realtà italiana del violinismo internazionale, che ha generosamente concesso due bis (Ysaÿe e Bach).

Wayne Marshall ha assemblato una sua personale suite – con numeri presi dalle tre pubblicate - del Romeo e Giulietta di Prokofiev. Una musica di altissimo contenuto, questa, certo fra le più interessanti scritte nel ‘900, oltretutto in uno scenario per Prokofiev non proprio gratificante, a Parigi prima, a Mosca poi. E anche musica difficile: certo chi non la conosce e pensa ai balletti di Ciajkovski o di Delibes può rimanere perplesso (cosa che successe proprio ai primi corpi di ballo che furono chiamati a danzare su queste note…)

Grande prestazione dell’Orchestra, sia nei fracassi (incipit dei Capuleti e Montecchi, in apertura, e chiusa del Tebaldo, alla fine) che – e direi soprattutto - nei delicatissimi passaggi riservati ai due giovani amanti, dove strumentini e arpa, con la celesta, la fanno da padroni. Convinti applausi per professori e direttore.

Dopo la Svizzera, adesso inizia un altro tour dell’intero baraccone, stavolta in Italia, da Torino a Mantova, Mestre, Roma per finire, significativamente, il 18 a L’Aquila. Guarda caso, il 16 l’Orchestra Sinfonica Abruzzese sarà ospite della Scala: una specie di staffetta L’Aquila-Milano nel segno della solidarietà e della grande musica. All’Auditorium si torna il 22 con un programma colmo di lungaggini.
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