ricongiungimenti

Maurizio & Claudio

09 ottobre, 2009

Stagione dell’OrchestraVerdi - 4

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Il quarto concerto della stagione ha un programma di opere di compositori nordico-orientali, ma profondamente legati alla tradizione occidentale.

Si comincia con la ventenne Francesca Dego (oltre che brava è pure una gran bella ragazza, lunghe chiome bionde, fisico da modella, ieri fasciata di porpora…) a interpretare Sibelius e il suo concerto per violino. Che dal punto di vista formale, almeno a prima vista, sembrerebbe rispettare la struttura classica dei concerti ottocenteschi. Ma in realtà si era all’inizio del ‘900, con Mahler che mescolava sinfonia e opera, stirava fino all’estremo la tonalità, con Schönberg che la tonalità si preparava ad abbandonarla del tutto, con Strauss che irrideva le forme canoniche per sfogare la sua fantasia con i poemi sinfonici. Insomma, scrivere un concerto dai tratti spiccatamente ottocenteschi forse sembrò a Sibelius un pochino disonorevole e démodé. Però, non avendo l’inventiva di Mahler, né la fantasia di Strauss, né la temerarietà di Schönberg, trovò un modo bizzarro per fare qualcosa di innovativo: stravolgere, sul piano formale e tonale, i sacri canoni della forma-sonata nel suo primo movimento.

E così al primo tema, nella tonalità di impianto (RE minore) ne seguono due in tonalità totalmente aliene (SIb e REb). Qui Sibelius, dopo che il violino ha richiamato il primo tema in SOL minore, infila la cadenza solista che di fatto costituisce lo sviluppo, chiudendo proprio in SOL minore. Tonalità da cui muove il primo tema nella ricapitolazione, che deve poi faticosamente raggiungere il RE minore canonico. Insomma, quasi una fantasia, si potrebbe dire. Qui la Dego se la cava davvero egregiamente, anche dal punto di vista strettamente virtuosistico, con tutti quei passaggi (ottave e seste) in corda doppia (alcuni anche in tripla) di cui la partitura è ricolma. Il suo violino ha una voce calda, che ben si adatta a questo concerto. Marshall tiene al guinzaglio l’orchestra, lasciando sempre la voce solista in primo piano, limitandosi a scatenare tutti - ottoni in primis - nel fff della transizione orchestrale in SI maggiore.

Nel secondo movimento, adagio di molto in SIb, Sibelius torna al più profondo ‘800, con abbondanti manciate di Bruch, che il suo primo e strafamoso concerto l’aveva scritto quando Sibelius aveva sì e no tre anni. Ci fa capolino anche Wagner (una reminiscenza dall’incipit del secondo atto di Walküre, in una battuta del violino, al n°3 della partitura). E la solista asseconda in pieno questo ritorno al passato, con un’interpretazione leggera e cantabilissima. Anche qui, come in tutto il concerto, non mancano difficoltà virtuosistiche, quale la doppia melodia che il violino deve suonare nella sezione in minore, che Francesca restituisce proprio con tutto il possibile romanticismo.

Nel finale allegro (RE maggiore, con divagazioni a SOL minore e RE minore) la Dego tiene – mi pare - un tempo nella fascia inferiore del metronomo prescritto (108-116 semiminime) il che forse non restituisce tutta la grinta di questo pezzo: la stessa chiusa non è così tagliente come ci si aspetterebbe dal tutto crescendo possibile. Rimarchevole comunque la sua prestazione virtuosistica (anche qui la partitura comporta passaggi in corda tripla e, nella sezione in RE minore, armonici artificiali).

Alla fine, grande e strameritato trionfo per questa giovane realtà italiana del violinismo internazionale, che ha generosamente concesso due bis (Ysaÿe e Bach).

Wayne Marshall ha assemblato una sua personale suite – con numeri presi dalle tre pubblicate - del Romeo e Giulietta di Prokofiev. Una musica di altissimo contenuto, questa, certo fra le più interessanti scritte nel ‘900, oltretutto in uno scenario per Prokofiev non proprio gratificante, a Parigi prima, a Mosca poi. E anche musica difficile: certo chi non la conosce e pensa ai balletti di Ciajkovski o di Delibes può rimanere perplesso (cosa che successe proprio ai primi corpi di ballo che furono chiamati a danzare su queste note…)

Grande prestazione dell’Orchestra, sia nei fracassi (incipit dei Capuleti e Montecchi, in apertura, e chiusa del Tebaldo, alla fine) che – e direi soprattutto - nei delicatissimi passaggi riservati ai due giovani amanti, dove strumentini e arpa, con la celesta, la fanno da padroni. Convinti applausi per professori e direttore.

Dopo la Svizzera, adesso inizia un altro tour dell’intero baraccone, stavolta in Italia, da Torino a Mantova, Mestre, Roma per finire, significativamente, il 18 a L’Aquila. Guarda caso, il 16 l’Orchestra Sinfonica Abruzzese sarà ospite della Scala: una specie di staffetta L’Aquila-Milano nel segno della solidarietà e della grande musica. All’Auditorium si torna il 22 con un programma colmo di lungaggini.
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