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19 marzo, 2025

Scala: Bruckner può aspettare…

Un’indisposizione di Riccardo Chailly ci ha mandato a meretrici (almeno per il momento) il privilegio di poter godere di una delle tradizionali primizie che il Direttore Musicale è solito propinarci: in questo caso la prima esecuzione italiana della Nona di Bruckner arricchita del Finale ricostruito (o forse… immaginato?) da John A.Phillips, sulla scia di altre analoghe fatiche di addetti ai lavori. [Chissà se saranno più fortunati a Reggio Emilia, dove l’evento è in programma per il prossimo 12 maggio.]

E così abbiamo dovuto accontentarci (ma chissà che non sia stata una fortuna!) di un sempre grande e sempre più… ieratico Myung-Whun Chung, che ci ha portato in paradiso con Schubert e Beethoven!

Un programma che, date le circostanze, è evidentemente stato approntato cercando innanzitutto di andare-sul-sicuro, minimizzando i rischi e quindi scegliendo due opere perfettamente familiari a Direttore e Orchestra e indubitabilmente gradite al vasto pubblico, che avrebbe potuto considerare la proposta originaria come rivolta a pochi (relativamente) addetti-ai lavori.

E così ci siamo goduti queste musiche che non rischiano mai di restare… sullo stomaco! Soprattutto se dirette ed eseguite in modo davvero impeccabile, per non dire eccellente. 


Il Maestro coreano si è presentato sul podio in tenuta da jogger, precisamente la stessa che indossava l’ultima volta che l’ho visto dirigere, la scorsa estate alla sagra riminese.

Il suo Schubert mi sentirei di definirlo proprio confuciano: un Allegro moderato con il primo tema dolente, sforzato, con corone puntate a dividere le frasi, poi l’Andante con moto quasi una catarsi, quella che i tedeschi chiamano Verklärung. Memorabile!

Il Beethoven della Settima più che una danza (copyright Wagner) è un viaggio nell’eros, direi. Nel quale spicca l’Allegretto, quasi una presa di fiato e di… recupero di energie vitali per precipitarsi nelle due restanti orge sonore.

Tifo da stadio per Chung, che ha chiamato il pubblico agli applausi per ogni sezione dell’Orchestra, che evidentemente ha condiviso con lui (e con noi!) questa emozionante serata. [Della serie: non tutto il male vien per nuocere.]


01 marzo, 2025

Orchestra Sinfonica di Milano - 24-25.18 – Xian Zhang

Atteso ritorno in Largo Mahler per la Direttrice Emerita dell’Orchestra Sinfonica di Milano, che trascorse qui alcuni anni (09-16) assai particolari della sua carriera: inclusa la nascita del suo secondo figlio, che lei si portò dietro dentro anche sul podio fino all’ultimo giorno!

Il brano di apertura serve precisamente per scaldare l’uditorio per ciò che verrà poi, due composizioni fra loro legate dalla stessa paternità russa: Stravinski e Ciajkovski.

Quindi, ascoltiamo dapprima lOuverture dalle musiche per Die Weihe des Hauses (op.124) che occupa una posizione assai scomoda nel catalogo beethoveniano, stretta com’è nella stritolante tenaglia di Missa (op.123) e Nona (op.125). E sono anche gli anni delle ultime tre sonate pianistiche e delle variazioni Diabelli!

Il titolo del lavoro è stato tradotto in italiano in modo letterale (La consacrazione della casa) il che porta francamente fuori strada chi non sia informato delle circostanze che ne determinarono la composizione. Chiunque infatti penserebbe subito alla casa nell’accezione di dimora e quindi, in senso lato, di famiglia: quindi immaginerebbe che si tratti della solennizzazione della classica benedizione delle famiglie (a pochi verrebbe in mente di pensare all’inaugurazione di una... ditta!)

Invece Haus in crucco (così come House in albionico) è un termine impiegato (anche) per definire i teatri (es.: Royal Opera House, Opernhaus Zürich); ed è proprio l’inaugurazione di un teatro viennese (Theater in der Josefstadt) che fece arrivare a Beethoven la commissione di musiche di scena per il lavoro teatrale che doveva celebrare l’avvenimento. Per risparmiare tempo e fatica Beethoven propose l’impiego de Le Rovine di Atene (altra musica di circostanza composta 11 anni prima per l’inaugurazione di un teatro tedesco a Pest).  

Alla fine Beethoven si risolse di comporre tre nuovi pezzi (da incastrare nelle Rovine) fra i quali la nuova Ouverture (ironia della sorte, non eseguita all’inaugurazione, perché… non pronta!) Per la quale si dice che l’ispirazione estetico-formale sia venuta a Beethoven da Händel, ed in effetti sentiamo atmosfere da pomposità tipiche delle musiche che il tedesco trapiantato in Albione componeva per i Reali di lassù, ma anche un complesso contrappunto che caratterizza il nucleo della composizione.

Dandole però anche un retrogusto di pedanteria fiamminga, tecnicamente ammirevole ma che, unita alla persistente staticità tonale (DO-SOL e nulla più…) e alle dinamiche fin troppo invadenti, rischia di rendercela, in tutta franchezza, un tantino pesantuccia da digerire.

Ovviamente nulla di cui incolpare l’Orchestra, che ha fatto interamente il suo dovere!   

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Il brano centrale della serata è targato Igor Stravinski: si tratta del suo Divertissement dal balletto (non proprio passato alla storia) Le baiser de la fée. Balletto commissionatogli nel 1928 da Ida Rubinstein, che prendeva spunto dalla fiaba di Andersen La vergine dei ghiacci

Per la composizione del quale Stravinski si ispirò apertamente all’Autore dell’opera che chiude la serata: Ciajkovski, al quale la partitura è dedicata:

Nel 1873, proprio lo stesso periodo di creazione della Seconda Sinfonia, Ciajkovski aveva composto, su richiesta del teatro Malyj di Mosca, le musiche di scena (19 numeri per il Prologo e i 4 atti) per la fiaba popolare (messa in versi da Alexander Ostrovski) intitolata La fanciulla di neve. E da queste musiche, e da altre opere giovanili di Ciajkovski, prese spunto Stravinski per il balletto.

Nel 1934 poi Stravinski derivò dall’intero balletto il Divertissement, una specie di Suite che riprende circa il 50% (anche come durata) della musica del balletto:


Balletto
Divertissement
1. Prologo – Ninna-nanna nella tempesta
I. Sinfonia (meno n. 27-39)
2. Una festa al villaggio
II. Danze svizzere (troncato al n. 96)
3. Al mulino –
Passo a due (Entrata-Adagio–Variazione–Coda) –
Scena
III. Scherzo (meno n. 122-130 e 154-155)
IV. Passo a due (Adagio–Variazione–Coda)
(più 14 battute)
4. Epilogo – Berceuse delle dimore eterne
 

Come si vede, c’è un taglio nel Prologo (Sinfonia); un altro al termine della Festa (Danze svizzere); due tagli nella scena Al mulino (Scherzo); il taglio dell’Entrata del Passo a due; un’aggiunta in chiusura del Passo a due per chiudere il Divertissement; omessi quindi la Scena finale del brano 3 e l’intero Epilogo.

Sono 25 minuti di musica accattivante, dello Stravinski che si suol catalogare come neo-classico, ma che qui – grazie ai riferimenti all’amato Ciajkovski – in realtà sconfina ampiamente nel romanticismo. 

Xian però di romantico lascia poco, sottolineando i connotati più jazzistici della partitura, e trascinando il pubblico all’entusiasmo. 

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In chiusura ecco Ciajkovski e la sua Sinfonia n. 2, detta Piccola Russia dal nomignolo (di significato bifronte…) con il quale veniva apostrofata ai suoi tempi l’Ukraina, dove il compositore passò diverse estati e compose proprio questa Sinfonia.

In questo articolo scritto in occasione della precedente esecuzione qui della Sinfonia (sempre con Xian, nel settembre 2014) avevo proposto qualche nota introduttiva di carattere geo-politico sull’Ukraina ai tempi di Ciajkovski, proprio nei giorni in cui il Paese viveva i postumi della crisi (EuroMaidan) che aveva scalzato il Presidente filo-russo Janukovich, sostituito da un governo filo-occidentale, e provocato così la reazione russa culminata nell’annessione della Crimea, dando inizio a 8 anni di guerra civile nel Donbass, culminati nell’invasione russa del febbraio ’22, cui il faro della Meloni – come si è visto proprio ieri sera in mondovisione - proclama di metter fine senza badare all’etichetta…

Per curiosità ho interpellato l’omnisciente Intelligenza Artificiale per sottoporle una bizzarra domanda: Se Ciajkovski fosse vivo oggi, sull'Ukraina starebbe con Putin o con Mattarella? Devo dire che la risposta dell’oracolo (che ci ha dedicato ben 87 secondi del suo preziosissimo tempo!) mi è sembrata interessante, pur se venata da un certo fastidio per la pretesa inconsistenza della domanda, che vorrebbe mettere in relazione fatti e idee di momenti e personaggi storici così lontani e inconfrontabili. Quindi, giustamente, l’oracolo rifiuta di sbilanciarsi, limitandosi a fare ipotesi più o meno generiche.

Ma la cosa che mi sento di condividere totalmente è proprio l’ultimissima conclusione della risposta: Meglio concentrarsi sulla sua (di Ciajkovski, ndr) eredità artistica, che unisce Russia, Ucraina ed Europa.

Bene, non saprei dire se dall’interpretazione della Xian sia emersa precisamente questa eredità artistica, ma di sicuro se ne è potuta apprezzare la freschezza e l’assenza di retorica (rischio che si corre soprattutto nei due movimenti esterni). Come suo costume, la Direttrice sino-americana tende sempre all’essenziale, a prosciugare più che a rimpolpare (lei è nemica dei da-capo, per dire, e anche ieri ha omesso quello della seconda sezione dello Scherzo).

Risultato comunque elettrizzante, grazie ovviamente anche allo stato di grazia dell’Orchestra (mia menzione particolare per il corno di Amatulli nella lunga Introduzione con il tema del Volga). Pubblico folto prodigo di uragani di applausi per l'Orchestra e di ripetute chiamate per la rediviva Xian.


01 febbraio, 2025

Orchestra Sinfonica di Milano - 24-25.14 - Axelrod

Il classicismo viennese occupa la locandina di questo 14° concerto della stagione principale dell’Orchestra Sinfonica di Milano che vede il gradito ritorno sul podio dell’Auditorium di John Axelrod. In programma Mozart e Beethoven!

Del sommo Teofilo riascoltiamo, dopo più di sei anni (novembre ’18, dir. Fournillier) il Concerto per flauto e arpa (K299). E come allora i due solisti sono le rispettive prime parti dell’Orchestra, Nicolò Manachino ed Elena Piva.

Concerto composto a Parigi (durante il lungo viaggio del 1778, funestato alla fine dalla morte della madre) su commissione del Duca di Guines, che era discreto flautista ed aveva una figlia che si dilettava con l’arpa (Mozart fu suo maestro ma, a dirla tutta, dopo un’iniziale apprezzamento, finì per considerarla musicalmente una nullità…)

Ma non per questo si tratta di un brano povero di contenuti, caso mai si può pensare che Mozart abbia privilegiato nella composizione uno stile galante e lezioso, evitando arditezze eccessive per i due commisionanti-dedicatari dell’opera. Lo testimoniano anche le tonalità (DO di impianto, SOL e FA ancillari) con il minimo di accidenti. Che abbondano nelle famose cadenze di Carl Reinecke, assai ricche di cromatismi… ma non impiegate qui, in favore di altre più vicine allo spirito mozartiano.

Grande prestazione del duo dei campioni di casa, calorosamente applauditi da un pubblico foltissimo e, soprattutto, con ampia e confortante rappresentanza di giovani e giovanissimi, ricambiati da una pregevole Elegia

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Ecco, infine, la più celebre delle Pastorali, che riascoltiamo in Auditorium a distanza di quasi otto anni: luglio ’17, ciclo delle 9 sinfonie dirette da Flor (qui una mia notazione, più che altro statistica, scritta a quel tempo e purtroppo – ah, il progresso! - infarcita di web-link andati nel frattempo a meretrici…)

Come sappiamo, fu proprio lo stesso Beethoven, seguendo illustri esempi provenienti dal passato, ad introdurre nel corpo della Sinfonia qualcosa di extramusicale, addirittura dotando l’opera e i suoi cinque movimenti di dettagliati titoli descrittivi: Ricordi di vita campestre (più espressione di sentimenti che pittura); (1) Gradevoli, serene sensazioni che si risvegliano nell’uomo all’arrivo in campagna; (2) Presso un ruscello; (3) Allegra riunione di paesani; (4) Tuoni. Uragano; (5) Canto di pastori. Benefici sentimenti accompagnati da ringraziamenti alla divinità, dopo l’uragano.  

Si premurò di precisare che non trattavasi di pittura (leggasi: descrizione di luoghi o fenomeni) ma di espressione di sensazioni provate al cospetto di tali luoghi o fenomeni. Poi però, temendo di non essere abbastanza chiaro, sentì il bisogno di scrivere esplicitamente fra i righi musicali i nomi di tre volatili colà rappresentati da suoni di strumenti dell’orchestra: usignolo, quaglia e cuculo!

Insomma, con la sua Sesta, Beethoven cominciò a sdoganare l’idea che una composizione sinfonica potesse avere, oltre a quello tutto interno e privato dell’Autore, anche un programma esplicitamente extra-musicale. Aprendo quindi la strada a Berlioz, Liszt e a tutti i loro epigoni cresciuti lungo l’800 e pure dopo. Uno dei quali (tale Mahler) dopo aver spiegato pubblicamente i programmi extramusicali delle sue prime cinque Sinfonie (così sperando di convincere il pubblico a comprenderle e digerirle meglio!) ritirò tutti quei programmi per invitare il pubblico stesso ad abbandonarsi al rapsodo, senza far caso ad alcun esplicito riferimento! [Fra poco vedremo come Axelrod applichi un concetto analogo alla Pastorale.]

Ripropongo qui il link ad un fulminante, gustosissimo articolo di John Simon, che ridicolizza il concetto stesso di musica descrittiva… Al quale ne aggiungo uno mio personale: È la musica in grado di descrivere alcunchè?  

Ma, tornando a bomba, assai più interessante è stata invece la chiacchierata che Axelrod in persona ci ha propinato prima del concerto, nella consueta conferenza delle 18:30 organizzata da Pasquale Guadagnolo, nella quale il direttore texano ha esposto la sua vision dell’opera.

Che è mutuata dai contenuti di un testo scientifico della psichiatra svizzera, naturalizzata statunitense, Elisabeth Kübler-Ross che, avendo per ragioni professionali seguito diversi casi clinici, ha schematizzato l’ideale percorso psicologico di persone che scoprono di essere affette da malattie incurabili, suddividendolo in 5 fasi distinte (proprio come i 5 movimenti della Sinfonia, osserva Axelrod): si va dalla fase (1) di Negazione (della malattia) ed isolamento; alla (2) di Rabbia (indotta dalla consapevolezza); alla (3) di Contrattazione (promettere qualcosa in cambio di sollievo dalla malattia); alla (4) di Depressione (per la perdita irreparabile di parti di se stesso); e infine alla (5) di Accettazione (e isolamento in attesa della fine).

Ecco, alla luce di questa teorizzazione dei comportamenti umani di fronte alla prospettiva esistenziale legata alle conseguenze di malattie incurabili, Axelrod - invertendo peraltro le posizioni delle fasi (2) e (4) - prova ad interpretare, anche con precisi riferimenti alla partitura, i cinque movimenti della Pastorale come il percorso psicologico di Beethoven, condizionato dalla sua irreparabile sordità: la messa su pentagramma di quei suoni di natura (ecco il riferimento a Mahler e ai suoi programmi ripudiati) che ormai poteva ascoltare soltanto nella sua mente…

Interpretazione accattivante, anche se forse un po’ troppo… freudiana, oltre che strettamente legata alla condizione esistenziale di Beethoven (la sordità): quasi che la sinfonia non fosse il frutto di ciò che Beethoven voleva dirci (e ci ha chiaramente descritto in partitura) ma di ciò che il suo inconscio gli abbia dettato, sotto la pressione della malattia. Ma allora non si spiegherebbe come Beethoven abbia poi composto la Settima (francamente in-interpretabile secondo il metodo psicanalitico della Kübler-Ross, così come l’Ottava e la Nona).

Va dato atto all’onestà intellettuale del Direttore di non pretendere di avere la verità in tasca: ciascuno è libero di condividere o meno questa sua interpretazione psicanalitica. Dopodichè l’esecuzione è stata trascinante ed ha portato tutto il pubblico (comunque l’abbia vissuta) ad apprezzarla al massimo grado, almeno a giudicare dalle ovazioni e applausi ritmati rivolti a Direttore e strumentisti.

31 dicembre, 2024

Orchestra Sinfonica di Milano - 24-25.11

Fedeli all’ormai lunghissima tradizione, l’Orchestra Sinfonica e il Coro Sinfonico di Milano celebrano il Nuovo Anno con 4 esecuzioni della Nona Sinfonia di Beethoven, della quale quest’anno si celebra il 200° compleanno.

Dopo il battesimo di domenica, ieri c’è stata la prima replica, cui seguiranno le  altre due, oggi e domani.

A guidare strumenti e voci il Direttore Musicale Emmanuel Tjeknavorian, coadiuvato dal preparatore del Coro, Massimo Fiocchi Malaspina.

Sappiamo che Emmanuel è figlio d’arte, e qui possiamo ascoltare e vedere il paparino  Loris (oggi 87enne) mentre dirige proprio la nona ad Yerevan, capitale di quell’Armenia che aveva dato i natali ai suoi genitori, poi sfollati in Iran, dove lui è nato e da dove ha intrapreso le sue innumerevoli peregrinazioni in giro per il mondo, e in particolare a Vienna, dove nel 1995 è venuto alla luce Emmanuel, che oggi ne sta brillantemente seguendo le orme.

Come dimostra la sicurezza quasi irriverente con la quale ha affrontato questo autentico mostro, mandato tutto a memoria!

A partire dall’Allegro ma non troppo iniziale, con la misteriosa emersione del primo tema dalle brume della quinta vuota di RE minore, per far poi spazio alla delicata melodia in SIb maggiore e poi al dipanarsi di questa lunga, complessa e ardita costruzione in forma-sonata.

Poi lo Scherzo, che in particolare esercita sempre un fascino quasi sinistro: quel ritmo ossessivo lo rende simile ad un moto perpetuo che toglie il respiro. E il Trio, solo apparentemente più tranquillo, non fa che sostenere questa continua tensione (forse solo lo Scherzo dell’ottava di Bruckner è altrettanto invadente). Qui però mi tocca di fare una modesta critica al Tjek: averci risparmiato (proprio come papà Loris nella citata registrazione) i da-capo delle due sezioni dello Scherzo. A qualcuno potranno sembrare delle inutili lungaggini: in effetti sono almeno 5 minuti di musica, ma personalmente sono sempre felice di ascoltarli, e deluso se mancano all’appello.

Poi il Tjek si è rifatto ampiamente con l’emozionante Adagio.Andante, con le sue celestiali melodie che creano un’oasi di raccoglimento prima dell’esplosione del Finale. Dove celli e bassi si sono ancora una volta superati nel proporci a mo’ di austero recitativo quel Freude, schöner Götterfunken che poi le voci si incaricheranno d’innalzare al cielo nell’apoteosi conclusiva.  

E, a proposito di voci, I quattro solisti SATB (presentatisi, come consuetudine, prima dell’Adagio e dislocati al proscenio) hanno complessivamente ben meritato, a partire dal baritono coreano Jusung Gabriel Park che si è distinto nel recitativo che apre l’Ode schilleriana. Bene anche le due voci femminili, Elisabeth Breuer (soprano) e Caterina Piva (mezzosoprano, già ben nota ai palcoscenici italiani). Quanto al sudafricano di colore Katleho Mokhoabane, ha mostrato voce ben impostata, peccato però che manchi di qualche decibel: la sua frase che chiude con freudig, wie ein Held zum Siegen è stata purtroppo inghiottita dal pieno di orchestra e coro.

Il quale coro ha mostrato ancora una volta di cosa è capace, e giustamente Fiocchi Malaspina al termine è stato, come tutti, ampiamente ovazionato.

Serata davvero magica e trionfale, in un Auditorium pieno più di un uovo e con l’entusiasmo del pubblico che ha raggiunto il calor bianco. 


26 ottobre, 2024

Orchestra Sinfonica di Milano - 24-25.4

Ancora un programma dall’impaginazione tradizionale per il settimanale appuntamento in Auditorium, dove ha esordito sul podio Pablo González, assai noto in Spagna (Madrid, Barcellona in particolare) ed esperto (come laVerdi del resto) del repertorio romantico.  

Ha aperto la serata l’Ouverture Coriolan di Beethoven. Che trasse l’ispirazione per questo brano dalla vicenda, narrata in un dramma di Heinrich Joseph von Collin, di questo guerriero romano ribellatosi alla Città eterna e passato a guidare l’armata dei nemici Volsci con l’intenzione di fare una… marcia su Roma. Dissuaso dalla patriottica madre, se la cavò togliendosi la vita (mah).

La breve composizione distilla tutto in due temi musicali, adatti ad essere messi sinfonicamente in contrasto: uno maschio e duro (DO minore), l’altro implorante (la relativa MIb maggiore), cioè figlio e madre.

I diversamente giovani ricorderanno forse l’incipit del brano, impiegato lustri orsono per pubblicizzare un prodotto dello… spirito!

González, ben coadiuvato dall’Orchestra, ne ha messo in risalto proprio le due opposte facce, eroica e romantica, aggressiva e contemplativa. E il pubblico (ieri abbastanza folto)  non ha lesinato applausi.

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Ecco poi arrivare il cornista Martin Owen (prima parte dell’Orchestra BBC) per interpretare il Secondo concerto per corno di Richard Strauss. Concerto composto a Vienna nel 1942, a distanza di ben 60 anni dal primo!

Strauss aveva chiuso da pochissimo la sua produzione di opere, con Capriccio (Monaco, 28/10/1942) ed ebbe a dire che quella era stata l’ultima sua composizione impegnata: di lì in avanti avrebbe scritto musica solo per suo proprio diletto, nulla di degno di essere ricordato.

Beh, di musica da ricordare (e addirittura passata alla storia!) ne scrisse ancora parecchia (tanto per citare: Metamorphosen, Concerto per oboe, Vier letzte Lieder…) ma la prima sua composizione dopo Capriccio fu proprio questo Concerto, che già pare smentire la minimizzante confessione dell’Autore, pur non potendo certo considerarsi una pietra miliare nella storia della musica.

Ma che sia Strauss lo si sente da lontano, come ci conferma la presenza di motivi, atmosfere e stilemi che vengono dagli ottocenteschi Tondichtungen o da quel sommo capolavoro che risponde al nome di Rosenkavalier… Rimando all’Appendice una breve sinossi del brano.


Insomma, non proprio una cosuccia da niente, che Martin Owen ha mostrato di padroneggiare alla grande. In questo video (da 11’14” a 15’12”) ci parla (e suona…) proprio dei due concerti (ma poi anche del micidiale attacco del Till) di Strauss.

Ieri sera gli perdoneremo un paio di… acciaccature di troppo, ma la sua prestazione è stata davvero encomiabile. E così non ci ha fatto mancare, come bis, questo strabiliante pezzo di bravura! Dove dal corno escono suoni davvero impensabili...

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È ancora Strauss a chiudere la serata con il Poema sinfonico Tod und Verklärung del 1889. Una sinossi del quale ho proposto tempo addietro.

L’Orchestra era (stando alle statistiche) al terzo incontro con questo brano (il precedente nel 2014) ed ha risposto alla grande alle sollecitazioni di González, che da parte sua deve conoscere questa partitura come le sue tasche, se la dirige senza la… carta sotto gli occhi.

Mirabile la resa della colossale Verklärung che chiude il poema, riprendendo e sublimando il tema dell’Ideale già comparso, ma sempre rimasto incompiuto, nella prima parte (quella della vita terrena): splendida allegoria delle straordinarie capacità della musica di – appunto – trasfigurarsi!

Insomma, una bella serata di musica, buona per contrastare l’uggia indotta dalla pioggerella autunnale che cade su Milano. 

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Appendice.  

Dietro l’apparente struttura classica (Allegro – Andante con moto – Rondo) il lavoro presenta interessanti caratteristiche di innovazione, in specie nel primo movimento, che ignora lo scolastico impiego della forma-sonata in favore di un approccio che richiama una fantasia, in realtà un perenne sviluppo di alcune cellule tematiche esposte dal corno solista nelle primissime battute del Concerto e successivamente condivise dall’orchestra in un serrato dialogo con il corno. E poi diverse divagazioni tonali, dove si passa dal MIb a REb, poi SOL e SIb prima del ritorno a casa.

Il piglio brillante, a tratti virtuosistico (e pure scanzonato) dell’Allegro si spegne lentamente e una dolce modulazione (Tranquillo) alla sottodominante LAb introduce il sognante cullarsi del movimento centrale (Andante con moto, 6/8) di semplice struttura A-B-A’, il cui incipit nell’oboe non può non ricordarci il… Cavaliere.

Nella prima sezione sembra proprio che Strauss si voglia crogiolare nelle sue più facili melodie che si muovono su percorsi ancorati alla triade della tonalità di impianto.

Bizzarra forse la concatenazione tonale delle tre sezioni, che percorre un tritono (LAb-RE-LAb). Nella seconda sezione Strauss intende creare un certo contrasto con la prima, come conferma anche l’agogica (Più mosso) che caratterizza questo breve (16 battute) intermezzo.

Ne sono protagonisti gli archi, che intonano una melodia in RE maggiore con maggior tasso di cromatismo rispetto alla precedente, sulla quale il corno interviene con due perentori richiami che offuscano l’atmosfera, che poi si rasserena con il ritorno al LAb maggiore.

La terza sezione riprende nel corno solista la tranquilla melodia iniziale, ma qui contrappuntata negli archi da quella della seconda sezione, opportunamente trasposta nella tonalità della prima.

Il conclusivo Rondo (Allegro molto, 6/8 in MIb maggiore) si articola in 7 sezioni, quindi con struttura A-B-A’-C-A’’-D(B’)-A’’’ più una Coda. Come si nota, il ritornello A viene riesposto sempre variato e con riferimenti anche a incisi del movimento iniziale. La tonalità, dal MIb di impianto (sezioni A e B) passa a Sib maggiore nella sezione C e a LAb maggiore nella sezione D.

La sezione A impegna subito il solista nella presentazione del tema del ritornello, assai brillante e spigliato, imitato poi dagli archi. Dal MIb la tonalità si muove ripetutamente: a SOL minore, SIb, MI, SOL, RE minore per poi ritornare a casa.

Nella sezione B, che permane in MIb, il corno espone un nobile motivo, più disteso ma sempre sostenuto da veloci terzine dei primi violini che tengono viva l’atmosfera.

Il ritornello A’ vede il tema (soprattutto l’incipit, la cui cellula viene continuamente riproposta e sviluppata) relegato principalmente in orchestra, salvo brevi interventi del corno all’inizio, ed è seguito dalla complessa sezione C, in Sib maggiore, poi virando a SI e RE maggiore, prima del ritorno al MIb.

Essa è aperta da un nuovo tema nel corno e poi costruita su un lungo, vero e proprio sviluppo sinfonico, protagonista l’orchestra, raggiunta verso la fine dal solista che prepara la nuova apparizione (A’’) del ritornello.

Si arriva alla sezione D(B’) caratterizzata da una melodia in LAb del corno che forma un lungo arco ascendente-discendente, un vago richiamo al tema della sezione B. È la sola orchestra a concluderlo, preparando l’ultima ricorrenza del ritornello (A’’’).  

La Coda si apre sulla riproposta del tema della sezione C, poi tutti i motivi vengono sapientemente ricapitolati fino all’esilarante conclusione.


12 ottobre, 2024

Orchestra Sinfonica di Milano - 24-25.2

Il secondo appuntamento della stagione 24-25 de laVerdi vede l’esordio sul podio dell’Auditorium del giovane (28 anni scarsi) Diego Ceretta, attuale Direttore Principale della rinomata Orchestra Regionale della Toscana.

Il programma, di struttura classica (breve brano di apertura, concerto solistico e sinfonia) si apre con la prima esecuzione italiana del compositore in residenza, che risponde al nome di Nicola Campogrande, intitolata per l’appunto Cinque modi per aprire un concerto. Opera del 2021 (in piena era-Covid) eseguita per la prima volta in Spagna al Festival Diacronias, che l’aveva commissionata.

Qui lo stesso Aurore ce ne descrive l’origine e il contenuto. Come ci anticipa il titolo della composizione, si tratta di cinque piccoli pezzi (meno di 8 minuti) dalle caratteristiche contrastanti, per evocare altrettanti scenari psicologici e/o naturalistici. Un pezzo assolutamente godibile (chiude con un walzer in piena regola!) che il pubblico (ieri abbastanza folto) ha mostrato di apprezzare.

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Ecco poi la sempre bella (e brava, ovviamente!) Francesca Dego proporci il monumentale Concerto per violino op.61 di Beethoven. La sua è una prestazione davvero eccellente, dal lunghissimo primo movimento, con la massacrante e difficilissima cadenza (dove Kreisler sviluppa i temi incastrandoli mirabilmente) al sognante Larghetto, una vera perla preziosa, al danzante Rondo finale, con vorticosa cadenza.

Ceretta la accompagna con discrezione, salvo lasciare (per me) troppa briglia sciolta all’orchestra nei passaggi di insieme, esagerando con i decibel (forse anticipando il successivo Ciajkovski…)

Gran festa per la neo-mamma, che ringrazia per l’accoglienza (27 volte!) e ci offre un bis mai suonato prima, il Capriccio polacco di Grażyna Bacewicz. Ma non si ferma qui: visto che il pubblico continua ad acclamarla, fa altri due encore di puro virtuosismo, con Bach (Giga dalla Partita in Re minore) e Paganini (Capriccio 16).

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Ha chiuso la serata Ciajkovski con la Prima Sinfonia, cui lo stesso compositore affibbiò il nickname di Sogni d’inverno. Opera ancora piuttosto acerba (come ho scritto a suo tempo…) anche se non priva di spunti interessanti ed apprezzabili.

Ceretta l’ha mandata a memoria (buon segno, indice di studio approfondito) e l’affronta con il giusto equilibrio (necessario di fronte a questa partitura piuttosto farraginosa…) Gesto sobrio, mai stucchevole o inutilmente enfatico, attacchi precisi e (qui ci sta tutto), libero sfogo ai momenti roboanti (in particolare il Finale) di questo giovanile lavoro. Ma assai bene anche il Trio dello Scherzo, per me la cosa migliore di tutta la sinfonia.

Convinti applausi per lui, per le prime parti e le sezioni dei fiati (molto impegnati da questo Ciajkovski piuttosto velleitario) e infine per tutta l’orchestra. 


16 settembre, 2024

Orchestra Sinfonica di Milano. Concerto inaugurale 24-25.

Anche quest’anno si è rinnovato il tradizionale appuntamento de laVerdi con la Scala, per l’apertura della nuova stagione. Su podio - per la prima volta, dopo tre presenze (19-21-23) al Piermarini come solista al violino - il nuovo Direttore Musicale, il vulcanico Emmanuel Tjeknavorian (30 anni non ancora compiuti!) viennese di origini armene e figlio d’arte (papà Loris è pure direttore).  

Sala piacevolmente affollata. Presenti in platea Riccardo Chailly, Direttore Onorario dell’Orchestra e mentore del suo giovane successore; e Ruben Jais, ex-Direttore Generale e Artistico, che ha introdotto Tieknavorian nell’ambiente prima di passare al più alto incarico di Sovrintendente della Toscanini di Parma.

I primi due brani del concerto sono stati scelti da Emmanuel in ricordo di quelli del suo primo podio (calcato a 17 anni, in un ospedale di Vienna!)

Si parte con Dmitri Shostakovic e la breve Ouverture Festiva, composta nel 1947 in occasione dei 30 anni della Rivoluzione. Il fatto che un brano come questo - abbastanza carico di facile retorica e di ingenuo entusiasmo - sia stato ideato da Shostakovich per iniziativa personale e non per compiacere all’establishment del PCUS (lo testimoniano la pubblicazione e la prima esecuzione, avvenute soltanto nel 1954, quindi parecchi anni dopo la composizione) è l’ennesima prova della sincerità dei sentimenti rivoluzionari del compositore, a dispetto di tutte le angherie che aveva dovuto (e ancora avrebbe dovuto) sopportare da parte dei bidelli (nonchè aguzzini) di quello stesso establishment.   

L’Ouverture ha una struttura assai semplice, essendo in forma-sonata priva di sviluppo. Inizia con 26 battute di solenne fanfara introduttiva di trombe, corni e tromboni (Allegretto, 3/4, LA maggiore) cui seguono i due temi dell’Esposizione (Presto, 4/4 alla breve): il primo è assai spiritato, nella tonalità d’impianto, esposto inizialmente dai clarinetti, subito raggiunti dai flauti, poi ripreso dagli archi.

Dopo un moderato ritorno della fanfara il primo tema viene ripetuto e infine sfocia nel secondo che, scolasticamente, è nella dominante MI maggiore. È un tema che giustamente contrasta con il primo anche nell’andamento, più sostenuto e severo, esposto da corni e celli e ripreso ancora dagli archi.

Si passa quasi subito, dopo breve transizione, alla Ricapitolazione: al primo tema in LA ecco seguire, secondo i sacri canoni codificati nell’800, il secondo, adeguatosi ossequiosamente alla tonalità del primo.

Arriva poi la Coda (Poco meno mosso, 3/2) sul Tema della fanfara Introduttiva; e infine la vorticosa Stretta finale (Presto, 4/4 alla breve) sul secondo tema assai accelerato.

Davvero un brano trascinante, assai utile per scaldare i motori di Orchestra e… pubblico che non risparmia applausi a tutti.

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La Seconda Sinfonia in RE maggiore di Beethoven (1800-03) ci riporta proprio agli anni in cui la forma-sonata, timidamente sbocciata nel Settecento, si faceva largo come struttura portante di movimenti di Sinfonie, Quartetti e Concerti. Sinfonia che meriterebbe miglior fama di quella che le si attribuisce, in quanto pari, da chi considera capolavori solo le sinfonie dispari

E invece Tjeknavorian ce ne ha sciorinato tutte le interessanti qualità, che già il pubblico delle prime esecuzioni aveva chiaramente percepito, rimanendone allo stesso tempo ammirato e disorientato.  

Insomma, un’opera che supera di slancio le fanciullaggini (copyright Berlioz) della Prima per inoltrarsi verso il futuro dell’Eroica!

A partire dall’introduzione lenta (Haydn faceva ancora scuola, in quegli anni…) che mostra però arditezze prima sconosciute, come la modulazione a SIb o la perentoria figurazione in RE minore a 11 battute prima dell’Allegro on brio, che anticipa addirittura i precipizi della nona!

L’Esposizione ci presenta il primo tema, in RE maggiore, dapprima nervoso e poi sfociante in maschie e decise cascate di accordi in staccato; dopo una divagazione a RE minore, gli fa da contraltare il secondo, nella dominante LA maggiore, che principia con leziosità femminile e tono scanzonato (come vorrebbe la tradizione) ma poi mostra a sua volta un suo lato più serioso e impegnato. Una cadenza in cui tornano lacerti del primo tema chiude l’esposizione.

Dopo la ripetizione (che Tjeknavorian ha lodevolmente rispettato) ecco lo Sviluppo, dove i due temi ricompaiono variati, in particolare il primo, in SOL minore, fugato, e poi il secondo che viene ora esposto nella sottodominante SOL maggiore; quindi il primo porta alla Ricapitolazione, con il secondo che si adegua al RE maggiore. Un’insolitamente corposa Coda, quasi un nuovo sviluppo del primo tema, conduce alla perentoria chiusura.    

Mirabile la resa del successivo Larghetto in LA maggiore, un movimento solo apparentemente settecentesco, lezioso e disimpegnato, con struttura bitematica (LA e MI maggiore, con soggetto e controsoggetto) in forma-sonata – esposizione-sviluppo-ripresa-coda - ma nel quale Beethoven innesta idee che lo proiettano decisamente nel futuro. Il Direttore sembra centellinarlo proprio come si fa con un vino pregiato, facendocene gustare e apprezzare ogni sfumatura.

E poi lo Scherzo, in RE maggiore, di per sè una sconvolgente novità – scalzare il Menuetto! - per quel periodo. Forse per questo Beethoven non ha poi esagerato con eccessive bizzarrie (un paio di modulazioni a SIb minore e DO, ma anche il Trio resta in RE maggiore) per sfogare poi tutte le sue energie nel concitato Allegro molto, sempre in forma-sonata, RE e LA maggiore.

Tjeknavorian – che ha diretto tutto il concerto a memoria, chiaro segno della cura dedicata allo studio e alla scrupolosa preparazione - ha dimostrato di padroneggiare il brano alla perfezione, ottenendo un meritato successo da un pubblico davvero tutto per lui.

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Chiusura travolgente con la famigerata Quarta di Ciajkovskiuna Sinfonia che l’Autore stesso caricò, con le sue esegesi, di significati e contenuti francamente discutibili; e che potrebbe facilmente portare un giovane entusiasta a strafare, esaltandone l’esteriorità, la retorica e l’enfasi. Ma il simpatico Emmanuel ha mostrato di essere già più maturo di tanti colleghi più navigati di lui, misurando ogni passaggio con meticolosa attenzione: dalle sonorità abbaglianti degli ottoni nei movimenti esterni, alla composta liricità dell’Andantino, con la stupefacente irruzione di clarinetti e fagotti nel Più mosso che ne anima la parte centrale; all’altro lancinante contrasto (nello Scherzo) far il sotterraneo pizzicato ostinato degli archi e l’impertinente ingresso dell’oboe (Meno mosso).  

Insomma, una lettura convincente, coniugata con una piena sintonia fra podio e orchestra: tutti tesi come un sol corpo (e… anima!) per emozionarci una volta di più.

Il pubblico ha congedato tutti con ovazioni e applausi ritmati. Ecco, come esordio, dal Direttore Musicale non ci si poteva aspettare di meglio!


02 settembre, 2024

Chung e gli olandesi a Rimini.

La serie dei Concerti Sinfonici della 75ma Sagra Musicale Malatestiana è stata aperta ieri sera, nella monumentale cornice del Teatro Galli, dalla prestigiosa Concertgebouworkest diretta da Myung-whun Chung.

Ad aprire il programma è stata eseguita l’Ouverture del Freischütz di Carl Maria vonWeber, un’opera che deve essere assai cara al Maestro coreano, che ne diresse l’ultima apparizione alla Scala, nell’ottobre del 2017.

Si tratta di una mirabile sintesi del cuore filosofico dell’opera, incentrato sulla lotta fra il bene e il male, che abitano l’animo umano nell’arcano scenario della natura, a sua volta splendente, maestosa oppure oscura e minacciosa.

Inizia con un cupo motivo in DO (prima dalla tonica, poi dalla dominante) caratterizzato da ottave ascendenti e successiva discesa, che apre la strada alla seducente melodia in DO maggiore dei quattro corni, a introdurre lo scenario profondamente romantico di boschi e montagne. Essa si chiude però in modo minore, su un sinistro tremolo degli archi, con rintocchi di timpano e di contrabbassi in pizzicato, che annunciano la presenza rabbrividente di Samiel, il demonio rappresentante (non cantante!) del male.

Compare quindi un riferimento all’aria di Max, dalla quarta scena del primo atto (Doch mich umgarnen finstre Mächte), un motivo agitato, poiché Max sta subendo l’influsso sinistro di Samiel. È immediatamente seguita dal terrificante motivo del malefico Caspar, che si udrà nella gola del lupo, alla fine del second’atto.

Dopo che i corni hanno fatto risentire i loro squilli, modulando dal DO minore, che aveva occupato la scena, alla relativa MIb maggiore, ecco che, su un tremolo degli archi, è il clarinetto che presenta un dolce motivo, che deriva dall’esclamazione di Max di fronte alla gola del lupo, alla fine del second’atto (Ha! Furchtbar gähnt der düstre Abgrund!) ma qui introduce il tema che rappresenta il bene, impersonato dalla pia Agathe, e la sua nobile aria dalla seconda scena del second’atto (Süß entzükt gegen ihm) che lei canta all’arrivo dell’amato Max.

Ma ecco tornare il DO minore, con il truce motivo di Caspar, poi ricomparire Agathe, ora in SOL maggiore, ma in un’atmosfera sospesa e poco rassicurante, che infatti lascia spazio ancora al DO minore dei motivi di Max e Caspar, e poi ancora alla sinistra presenza di Samiel.

Dopo un drammatico, interminabile silenzio, una colossale esplosione di DO maggiore dà inizio alla coda, che è ovviamente occupata dal motivo di Agathe, adesso in forma enfatica e trionfale, poi ancora ripreso a chiudere in gloria.

Strepitosa invero, e accolta da un uragano di applausi, l’esecuzione dei tulipani, che Chung ha guidato con il suo proverbiale (apparentemente distaccato) atteggiamento ascetico.

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Avrebbe dovuto toccare ad András Schiff di sedersi alla tastiera per interpretare quello che è comunemente ritenuto il più difficile dei cinque concerti beethoveniani: l’Op.58, in SOL maggiore. Purtroppo, il pianista ungherese ha dovuto dare forfait per improvvisa indisposizione, e così il suo posto è stato preso da un conterraneo del Direttore, il trentenne Seong-Jin Cho, vincitore nel 2015 del più prestigioso concorso pianistico del pianeta, quello intitolato a Chopin

E lui non ha mancato di dare la sua impronta fin dalle cinque battute con le quali si apre – nel silenzio generale – questo autentico capolavoro.

Per poi farsi un pisolino mentre l’orchestra suona da sola (per 68 battute!) i temi principali dell’esposizione.

Da qui però il simpatico quanto riservato Seong ha avuto modo di inebriarci con il suo tocco delizioso, facendo sgorgare dallo strumento mirabili cascatelle di note, culminate nella massacrante cadenza dell’iniziale Allegro moderato. Quasi espressionista la resa del centrale Andante con moto, e nuovamente liquido il conclusivo Rondò, che Chung ha accompagnato evitando eccessiva enfasi.   

Gran trionfo per lui, che ringrazia suonando, anzi sognando, un (Kinder) Schumann!

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Chiusura davvero in bellezza con Brahms e la sua ultima Sinfonia, l’Op. 90. Che Chung cesella da par suo, coniugando la severità del burbero amburghese con il suo confuciano distacco.

Ovazioni per il Maestro e per tutta la splendida Orchestra, che ci mandano a nanna (…) con un altro Brahms: la prima Danza magiara!