La stagione scaligera 24-25 ha il privilegio particolare di offrire al pubblico la prima assoluta di una nuova opera (quasi) tutta italiana: a parte il Concertatore (Metzmacher) sono italiani l’ispiratore (Eco), il compositore-librettista (Filidei) e il regista (Michieletto).
[Stante
la natura anche esoterica del romanzo, si può osservare come esista un legame,
appunto… cabalistico, fra il cognome del compositore e un’esternazione che Eco
mette in bocca a Salvatore: Filii
Dei, sono! riferita ai poveri
abitanti del villaggio che il vice-cellario rifornisce sottobanco di cibarie.]
Il romanzo di Umberto Eco compie precisamente 45 anni e la sua fama è stata ingigantita dal fiorire di trasposizioni cinematografiche, teatrali, televisive. Oltre che da una serie di Postille, che l’Autore pubblicò pochi anni dopo il romanzo, in cui fornì dettagli sullo stesso titolo, sulle ragioni dell’ambientazione (tardo-, e non alto-) medievale, sulla stagione in cui si dipana la vicenda, dalla quale dipende nientemeno che il luogo in cui si svolge… E poi da chi far narrare la storia (Adso e non… Umberto?) e come corredarla di dettagli, anche apparentemente barbosi, ma utili a far calare il lettore nello scenario altrimenti gratuito cui si riferisce la narrazione.
E tante, ancora tante altre profondissime considerazioni, incluse quelle sulle caratteristiche di thriller del romanzo. Ma un thriller che va ben oltre il classico stereotipo del tipo ma chi sarà il serial-killer? Che infatti c’è e non c’è, e comunque fa lui stesso una pessima fine!
E infine, lo Sherlock Holmes medievale, giustamente arrivato dalla Baskerville Hall di Conan Doyle, e di cui Adso ci sembra impersonare l’aiutante dott. Watson… Ma Guglielmo, essendo Inquisitore del Sacro Romano Impero, si occupa specialmente di reati che hanno a che fare con la Religione, proprio come il suo collega Bernardo Gui, che opera nel campo nemico, ad Avignone. Ed ecco allora che il romanzo si dilunga su (o si arricchisce di?) una copiosa dote di concioni di carattere metafisico, o secolare travestito da tale. Che finiscono quasi con il trasformare il thriller in una disputa tutta politico-religiosa fra le due fazioni principali (Papa e Imperatore) affiancate da ordini monastici (Domenicani e Francescani/Benedettini).
Detto ciò (e molto altro ci sarebbe da dire) la domanda che viene spontanea è: l’opera musicale di Filidei (con la direzione di Metzmacher e la regìa di Michieletto) cosa ci dirà di quella di Eco? Si fermerà (come il film con Sean Connery) al thriller (cioè alla superficie) o saprà spingersi oltre, in realtà un po’ più in alto?
Una prima risposta alla domanda ci è stata fornita dallo stesso Autore, intervenuto giorni fa alla consueta conferenza Prima delle Prime, spalleggiato dal musicologo Gianluigi Mattietti. Ed è una risposta rassicurante, nel senso che Filidei ha dichiarato di aver voluto portare nella sua opera tutti i diversi aspetti del romanzo, pur con le costrizioni che caratterizzano sempre operazioni di questo tipo. Ha suddiviso lo spettacolo in due Atti, con l’intervallo posto poco prima della fine del giorno 3, cioè dopo il romantico-erotico incontro di Adso con la ragazza innominata. Ciascun atto comprende 12 sezioni, rispetto ai 50 capitoli del romanzo, con parecchie simmetrie musicali che Filidei ha cercato di spiegare anche meglio in un’altra illuminante intervista rilasciata al canale youtube di Mario Calabresi.
La figura sottostante (che ho predisposto interpretando liberamente lo schema proposto da Filidei sul programma di sala) schematizza la macro-struttura dell’opera in termini squisitamente musicali: abbiamo le 24 scene, divise nei due atti, supportate dai 12 suoni della scala cromatica, che nella prima parte si muovono a ventaglio, come indicato dalle frecce, dal DO al FA# e nella seconda retrocedono dal FA# al DO, dove però un’ultima, faticosa salita al DO# (Filidei la sottolinea nelle due citate esternazioni, ma non la disegna nello schema pubblicato) sembra voler riaprire il discorso…
Insomma, un costrutto squisitamente… musicale (nel senso scientifico del termine). Staremo a vedere il risultato, se cioè si potrà dire che questa musica di Filidei sappia poetizzare l’intelletto (copyright Thomas Mann su Wagner).
È chiaro che sarebbe stato ridicolo replicare questa modalità in modo pedestre: chè allora i personaggi dell’opera si sarebbero ridotti al narratore ed al suo capo, se non addirittura al solo narratore. L’ovvia alternativa è stata di limitare al massimo (se non proprio di togliere di mezzo) gli interventi del narratore e far direttamente parlare (=cantare) i personaggi narrati. Ed infatti la locandina ci presenta 17 interpreti di 20 personaggi. Ecco una tabella che sommariamente ne inquadra le caratteristiche e le voci (i personaggi colorati sono gli ospiti temporanei (come Guglielmo e Adso) del monastero benedettino, arrivati per un incontro di natura diplomatica fra rappresentanti del Papa e dell’Imperatore: in giallo i primi, in verde i secondi):
Filidei
ha ignorato alcuni personaggi che popolano la vicenda narrata da Eco: alcuni
sono effettivamente poco influenti, come Giovanni Dalbena, membro della
delegazione papista (che figura nella locandina web, mentre è rimpiazzato da
Alborea nel libretto) ma altri stupisce che non compaiano nel cast: Alinardo
da Grottaferrata, vecchissimo monaco, le cui esternazioni sono di
determinante aiuto a Guglielmo e Adso in relazione sia ai misfatti che si
succedono, che a certi aspetti peculiari della labirintica biblioteca. E poi
sono ignorati Aymaro d’Alessandria, che aiuta gli investigatori con
informazioni sulla personalità dei reggitori dell’Abbazia; e ancora Nicola
da Morimondo, esperto vetraio, Pacifico da Tivoli e Pietro da
Sant’Albano, monaci che danno un più o meno forte contributo a definire il
quadro complessivo del microcosmo dell’Abbazia.
Ma
l’assenza più importante è quella del giovane Bencio da Upsala (che in
Eco sarà nominato vicebibliotecario al posto di Berengario) la cui
testimonianza è determinante ai fini di chiarire la morte per suicidio di Adelmo
da Otranto, la prima delle (sette!) vittime di cui veniamo a conoscenza. Costui
è già passato a miglior vita qualche giorno prima dei fatti narrati da
Eco, e di lui Adso ci parla attraverso racconti di altri personaggi che ebbero con
Adelmo un qualche rapporto, e magari ricordano qualche sua esternazione. Del
più drammatico di questi racconti è protagonista Berengario da Arundel,
che guarda caso si scoprirà aver avuto una relazione, ehm… equivoca, proprio
con Adelmo, con il quale (anzi, con lo spettro del quale) afferma di essere
stato protagonista di uno spaventevole incontro faccia a faccia, nel cimitero
dell’Abbazia, la notte in cui Adelmo morì.
Ma è un racconto poco convincente per Guglielmo e Adso, che scoprono la verità proprio con il successivo interrogatorio di Bencio, che è stato testimone dell’equivoco rapporto carnale fra Berengario e Adelmo, del rifugiarsi di quest’ultimo nella cella di Jorge per confessarsi e del suo successivo vagare disperato nel cimitero, inseguito da Berengario (e spiato da Venanzio); il che dà a Guglielmo la quasi certezza del suicidio di Adelmo, per l’insostenibile vergogna del peccato commesso.
Orbene, dato che Filidei ha tenuto Bencio fuori dalla storia, come ha risolto lo spinoso problema? Primo: durante il Prologo, mentre Guglielmo e Adso sono ancora in viaggio, ci mostra in un flashback Adelmo che si confessa da Jorge e ne viene cacciato senza misericordia; secondo: ci presenta successivamente il drammatico incontro fra Berengario e Adelmo (guarda caso interpretati dallo stesso cantante) sotto forma di racconto del primo, che però canta anche ciò che racconta il secondo!
Nelle sue citate Postille, lo scrittore paragona questo andamento altalenante della narrazione all’avvicendarsi, nel classico melodramma, di recitativi, dove si sviluppa l’azione, e di arie (o altri numeri musicali) dove il tempo si ferma per lasciare spazio a riflessioni di varia natura. E su questa similitudine di Eco il compositore rivela di aver fatto leva nella costruzione della sua opera.
Ebbene,
devo dire che la promessa è stata mantenuta solo in parte. Parliamoci chiaro,
pensare di riprodurre in musica le dottissime e lunghissime ecfrasi di Eco
sarebbe stato quasi impossibile, e allora Filidei per trarsi d’impaccio si è
rifugiato in corner nel… gregoriano. Ad esempio, rimpiazzando pagine
e pagine di descrizione del portale della Chiesa con qualche verso dell’Apocalisse
messo in bocca al coro; o impiegando antifone cantate da Adso e inni dal Salterio
che il coro canta alla scoperta del cadavere di Venanzio;
o impiegando parti del Cantico dei Cantici per sottolineare l’amplesso
fra Adso e la Ragazza innominata.
Sono
omesse quasi tutte le lunghe ecfrasi a contenuto rievocativo delle diatribe e
degli scontri fra guelfi e ghibellini e fra ordini monastici e papato, con
scambi di accuse di eresia e di secolarizzazione; resta, affidato al coro, un accenno
alle vicende dei dolciniani; e restano ovviamente gli accesi scambi di
vedute che accadono in presa diretta, tipicamente nella grande scena dell’incontro
a carattere diplomatico fra le due delegazioni convenute all’Abbazia.
Per
il resto l’opera si concentra sugli aspetti più strettamente thrilling
del romanzo, relativi alle visite nella labirintica biblioteca e alla decifrazione
dei diversi enigmi che porta progressivamente Guglielmo e Adso ad avvicinarsi
alla definitiva scoperta della verità.
Un’ultima curiosità: nella conclusione, Filidei ha inventato un… ritorno di fiamma in Adso che, tornato ormai vegliardo all’Abbazia diroccata, rivede la statua della Madonna e torna con il pensiero alla ragazza innominata… [Siamo o no nel melodramma?]
Qui
una sommaria
elencazione delle principali divergenze fra il testo di Eco e il libretto
di Filidei.
Ad esempio, ecco come Eco immagina il labirintico piano-biblioteca (secondo) dell’Edificio, la costruzione che ospita anche: scriptorium (primo) e cucine/refettorio (terra). La planimetria sottostante rappresenta il luogo del (pen)ultimo atto della storia: la sala eptagonale della biblioteca, detta Finis Africae, in cui si è barricato – protetto da una porta-specchio che ne dissimula uno dei due ingressi (l'altro, ancor più segreto, è raggiungibile salendo direttamente dall'ossario, sotto il piano terra) - l’autore morale (in un solo caso, l’ultimo, anche materiale) delle sei morti succedutesi nei sei giorni precedenti, cui si aggiungerà la sua (auto-avvelenamento, completato dalle fiamme) in quelle primissime ore del settimo giorno, dove si compirà il destino di distruzione dell’intero monastero.
Certo, in teatro sarà difficile riprodurre fedelmente quel labirinto, suddiviso in 11 sezioni fra loro imbricate: ANGLIA, GERMANI, GALLIA, HIBERNIA, ROMA, YSPANIA; LEONES, AEGYPTUS, IUDAEA, FONS ADAE e ACAIA. Dalle poche immagini pubblicate (dove il labirinto è semitrasparente e… si muove ruotando su se stesso) è anche difficile immaginare l’efficacia della scenografia: ci penseranno Michieletto e Fantin a risolvere da par loro il problema.