25 luglio, 2013
Ultime da Trash-en-Provence: non c’è limite al… Carsen!
23 luglio, 2013
Bayreuth 2013: che anello si fabbrica Alberich?
09 dicembre, 2012
Cosa non va nel Lohengrin di Guth?
07 dicembre, 2012
Davvero notevole questo… Kaspar Hauser!
05 settembre, 2012
27 luglio, 2010
Il Lohengrin di Neuenfels: perché è Eurotrash
29 marzo, 2010
Il Parsifal di Bieito, al prezzo di quello di Wagner
Mai definizione più appropriata fu data del fenomeno deteriore del Regietheater.
Il signor Bieito ha dei pensieri? Ha delle sensazioni? Le vuole/deve comunicare. Fantastico, siamo tutti occhi e orecchie!
Ma che ti combina il furbastro? Mica si mette a faticare per comporre testi e musica di un dramma, che ci comunichi i suoi pensieri e sensazioni, no!
Lui prende testi e – soprattutto – musica di un'opera d'arte ormai da secoli (si può dire) entrata nell'Olimpo, e li usa per vestirci i suoi brillanti pensieri e sensazioni!
E il pubblico paga per vedere il suo Parsifal, come per vedere quello di Wagner!
Ecco alcune sentenze del maestro da incorniciare:
Per me Parsifal tratta della crisi della religione. All'inizio del ventesimo secolo i simboli religiosi erano molto importanti. Oggi li abbiamo persi, ne abbiamo altri: Cristiano Ronaldo e David Beckam, in questa direzione si muove la nostra società.
La musica di Wagner sottintende un'architettura di arte. In scena presentiamo un'architettura, che simbolizza la fine del mondo. Ciò è appropriato per Wagner, che si spinse sempre ai confini per guardare nell'abisso. Ciò dà l'impressione dell'Apocalisse: un'architettura della fine del mondo.
Per me Parsifal rappresenta il poveraccio, culturalmente rozzo. Verrà stilizzato come un eroe, un nuovo Gesù Cristo. È il nuovo super-modello della società.
Sì, sono considerazioni davvero siderali; dico, chi sono al confronto Hegel, Goethe, Schopenhauer, Freud, Baricco?
Interessante la nota sulla locandina del Teatro: avvertiamo il nostro pubblico che in questo allestimento sono presenti scene di esplicita violenza, per cui preghiamo di tenerne conto in caso di presenza di minori o bambini.
Qualcuno (non molti) cerca ancora di dissentire.
11 marzo, 2010
Eurotrash revival
Divertente questa recensione, fatta da un musicista del Wiltshire, della Traviata ripresa quest'anno alla Komische Oper Berlin (si replica fino a maggio, per i patiti del genere).
Protagonista di questo trash (del 2008) il genialoide Hans Neuenfels, ovviamente osannato dalla critica (ma solo quella di cui si pubblicano estratti sul sito del teatro, toh!) per le sue geniali intuizioni.
Fra le quali il nostro Guy Edwards ci elenca la guardia del corpo di Violetta (per difenderla da se stessa, non dagli ammiratori) che Alfredo ammazza, e a cui poi strappa il cuore; Giorgio Germont che ha una zampa zoccolata di animale al posto del piede sinistro (in Provenza deve far comodo); Alfredo e Douphol che non giocano a carte, ma a chi meglio infilza un cuore (di Violetta?) messo su un vassoio.
Ma il meglio arriva alla fine, quando, durante il baccanale, la guardia del corpo di Violetta ricompare, provvisto di enormi coglioni gonfiabili, che poi infilza – prima di andarsene - con uno stiletto, facendoli così esplodere.
perdonami lo strazio recato al tuo bel core
11 aprile, 2009
A Berlino si sono montati la testa
Sì, certo, c’è stato il 1989, il muro fatto a pezzi, la Unter den Linden e la 17 Giugno senza più soluzione di continuità, Potsdamer Platz rimessa a lustro da Piano, il Bundestag tornato a casa dal paesino di provincia dov’era relegato dalla disfatta del Terzo Reich... ma forse a Berlino esagerano, credendosi l’ombelico del mondo.
Ecco come la Tageszeitung (TSZ) commenta l’ultima impresa artistica (l’Armida di Gluck) del solito Calixto: sotto il titolo - di per sè inequivocabile - sexy-teatro erotomane, si legge quanto segue: “...qualcosa di così radicale e disinibito che solo a Berlino è oggi possibile (vedere). Il sexy-teatro erotomane di Bieito in ogni altra città sarebbe uno scandalo, mentre a Berlino viene compreso ed acclamato.”
No, non vi montate la testa, amici berlinesi: il vero scandalo è che uno dei vostri tre teatri d’opera inviti - un giorno sì e l’altro pure - registi come Bieito a sfogare le loro turbe psichiche, e che tanta gente - evidentemente amante del porno e non dell’opera - paghi per assistere a simili idiozie.
04 aprile, 2009
Se Bardi l’avesse previsto...
Di certo v’è da chiedersi se Giovanni Bardi avrebbe deciso lo stesso di fondare la sua Camerata, se avesse previsto che fine avrebbe fatto l’opera lirica, anzi il dramma per musica da lui così fermamente voluto, a 500 anni di distanza.
Perchè - purtroppo - ciò che Bardi inventò è una cosa talmente speciale e unica al mondo che - unica, appunto, fra tutte le arti - si presta alle più stampalate (o anche serie a volte) manipolazioni, adulterazioni, ai più grotteschi o cervellotici stravolgimenti fra ciò che l’Artista autore aveva ideato e scritto sulla carta e ciò che un tizio, chiamato regista, si arroga il diritto di mettere in scena. Colui che dovrebbe essere il servo di quell’opera e quindi della volontà del suo Autore, è oggi assurto al ruolo di libero ricreatore dell’opera originale. E spesso e volentieri si tratta di ricreazioni che andrebbero gratificate mettendo il ricreatore a ricrearsi nell’ora d’aria di un carcere. Invece sono ricompensate con cachet milionari.
Tanto per fare un esempio, ve lo immaginate un regista che ambientasse l’Enrico IV ai giorni nostri, calando il Re d’Inghilterra, che so, nei panni del George W. Bush che si appresta a far guerra all’Iraq, dopo aver messo a ferro e fuoco l’Afghanistan? Sentite come esordirebbe il 43:
Scossi ancor come siamo
Una gran farsa, diciamolo pure, nulla più. E infatti nessuno ha avuto - per ora almeno - il coraggio di proporre una simile stupidaggine.
Invece un Bieito qualunque può impunemente rappresentare il Ratto ambientandolo in un postribolo, con sesso orale esplicito... tanto c’è la musica di Mozart che lo salva, e il pubblico medio poco bada alla “trama”, addirittura alle parole e al fatto che il regista abbia stravolto la prima e manipolato le seconde. Perchè se la performance musicale è di livello, si passa sopra anche alle più bieche idiozie del regista, anzi quasi le si apprezza perchè allora sembrano dare un tocco di vita e di novità ad oggetti che altrimenti apparirebbero, appunto, come ammuffiti in un museo (oh, che barba, rivedere la Gioconda di Leonardo per la ventesima volta; godiamoci quella baffuta di Duchamp, che è più moderna!) Sembra poi un paradosso, ma quanto più le regìe sono strampalate ed arbitrarie, tanto più necessitano di un’esecuzione musicale (canto e orchestra) di primissimo ordine, poichè il pubblico in fin dei conti è andato lì principalmente per ascoltare la musica e apprezzare il canto, non perchè attirato dalla profondità dei testi o dalla plausibilità della trama (manco per Wagner... che è tutto dire).
Sul fronte più serio, i Carsen e gli Herheim, come i loro maestri-brechtiani-DDR-impastranati alla Götz Friedrich, mettono in scena spettacoli che sono - in se stessi - delle opere d’arte ma, appunto, sono il Parsifal di Herheim (non di Wagner) o l’Alcina di Carsen (non di Händel).
Oggi si arriva ormai (Carsen docet, proprio con Alcina) a far forza alla musica, con tagli anche sostanziali precisamente funzionali allo stravolgimento che il regista ha fatto del soggetto. Domani, per le stesse ragioni (modernità, appeal verso il pubblico, innovazione) si arriverà anche ad intervenire sui righi, sull’orchestrazione, e così via.
A ben pensarci, ne può uscire un business enorme: basta immaginare quante versioni diverse, una più interessante dell’altra, si potrebbero scrivere del Fidelio, del Lohengrin, dell’Otello!
14 ottobre, 2008
Chailly gira alla larga
“Ciò che abbiamo vissuto è stato penoso, avvilente ed umiliante” ha commentato il presidente dell’associazione wagneriana di Lipsia.
Chailly - come dargli torto! - se ne sta il più alla larga possibile da queste scelleratezze...
13 ottobre, 2008
Rienzi secondo Wagner (Kathi)
Da solerte e convinta adepta del Regietheater, la biondissima pronipotina di Richard ha presentato - stando alla recensione di Catherine Hickley di Bloomberg - un tribuno con parrucca e lustrini, agghindato, impettito, buffonesco, incline al kitsch e con un ego-fuori-di-testa... da ricordare Berlusconi!
Fanno parte della farsa anche saloni di coiffeur e moderni aspirapolvere impiegati come armi di distruzione.
L’unico merito riconosciuto alla nostra è di aver tagliato un paio di ore delle sei che occupa la versione originale del bisnonno.
01 settembre, 2008
Ancora e sempre sulle regie di opera...
Con Amfortas convengo che spesso si confonde regia con scenografia, prendendo la parte per il tutto (la seconda per la prima). È pur vero che la scenografia non può che essere funzionale alla, e quindi dipendente dalla, regia e dal regista, il quale è un po’ il capocommessa dell’allestimento, per tutto ciò che non è musica e canto (ma compresi gli interpreti, per la parte attoriale del loro ruolo). Sempre Amfortas, nel suo commento al mio post precedente, presenta il suo criterio di giudizio su una regia: l’importante è che “trasmetta (faccia capire) il messaggio del Compositore”. Personalmente aggiungerei subito che, oltre al messaggio (il contenuto) conta anche il mezzo espressivo (la forma) che l’Autore ha ideato e codificato sulla partitura: personaggi e loro psicologia, testi che gli vengono messi in bocca e, soprattutto, la musica che sorregge il tutto. Nell’esempio citato da Amfortas (Macbeth) non basta che si mostri il “concetto” (la lotta per il potere e l’ambizione portate alle estreme conseguenze) poichè allora i personaggi del Macbeth si potrebbero intercambiare con quelli del Ring, che contiene lo stesso concetto. Viceversa, riprendendo l’esempio citato da mozart2006 riguardo ad una Tosca ambientata nel fascismo, si rischia di fare davvero di ogni erba un fascio, inducendo lo spettatore ad improbabili (pure non impossibili) analogie fra un regime dittatoriale e il potere temporale papalino, che non è propriamente l’obiettivo che si poneva Puccini nel comporre il suo capolavoro, tutto focalizzato sul tema “dell’amore perseguitato”, più che sui tratti e sulle vicende del regime persecutorio... Comunque ammettiamo pure che, a patto che il concetto venga preservato, non dobbiamo poi sottilizzare troppo sulle forme, anzi apprezzarle se e quando hanno un buon livello artistico di per se stesse: caso mai valuteremo se la diversa forma, rispetto a quella originale, aggiunga, tolga o lasci inalterato il valore dell’opera.
Ma il vero problema - secondo il mio modesto parere - sta molto a monte. In sostanza la domanda che ci dobbiamo porre è: quali finalità aveva l’Autore nel mettersi a comporre la sua opera? Voleva sul serio e primariamente trasmettere un concetto, una filosofia, un’ideologia, una way-of-life, intendeva cioè porsi come maieuta dell’umanità, o invece era portato dalla sua ispirazione, sensibilità, estro, genio a comporre un’opera d’arte, tout cour, di un genere particolare, qual’è l’opera lirica, il melodramma, o il dramma musicale? Mozart scriveva forse la Zauberflöte per diffondere ideologia e prassi massonica? O il Ratto per informarci sul confronto di civiltà occidente-levante? Rossini componeva forse il Barbiere per mandare messaggi e contenuti? E siamo sicuri che il Tell, invece, avesse questo fine precipuo? O non era un soggetto “serio” usato sempre e comunque per scrivere musica sublime? Verdi aveva forse come obiettivo di comunicare al mondo concetti politico-filosofici, o quello di fare opere musicali dove esprimere tutta la sua vulcanica ispirazione? E anche Wagner, il più “concettuale” dei compositori, da cosa era spinto a comporre i suoi drammi? Dal bisogno di diffondere nel volgo la filosofia di Feuerbach o di Schopenhauer? Dal cinico disegno politico di preparare il terreno al nazismo? O invece dall’irresistibile impulso a creare - attraverso la musica - un intero universo, dove entrano certo filosofia, politica, psicanalisi, naturalismo, ma come oggetti, non soggetti, di espressione artistica?
La principale caratteristica delle scuole della regia-di-teatro risiede proprio nel voler considerare l’opera come una manifestazione di carattere politico, una cartina di tornasole della società in cui è stata creata, uno specchio dei rapporti sociali, politici, filosofici che percorrono una società; e che la sua rappresentazione debba anche - se non soprattutto - servire a scopi maieutici, a far “prendere coscienza” allo spettatore di quei problemi, mostrandogli come siano anche problemi suoi... e da qui la necessità di trasporre nell’attuale (tempi e luoghi) ciò che l’Autore aveva invece posto in tempi determinati, ma anteriori dalla contemporaneità, o addirittura “in nessun tempo”, come è il caso quasi costante in Wagner. Patrice Chéreau ha spiegato benissimo questo approccio, quando ha negato qualunque credibilità alla Zeitlösigkeit wagneriana, affermando che anche i miti sono figli della società che li produce: e quindi giustificando ad esempio la sua interpretazione “socialista” del Ring, calandolo di peso nella nostra società contemporanea, ma finendo con ciò col togliergli proprio la sua principale e straordinaria qualità, quella di “contenere il principio e la fine di ogni cosa”, quindi privando lo spettatore della possibilità di godere del “tutto”, in cambio di un’esperienza storicamente circoscritta, anche se accattivante e brillantemente presentata.
Tali scuole hanno anche indubbi meriti, tra i quali basterà ricordare l’attenzione volta alla componente attoriale dell’interpretazione: il cantante che diventa davvero personaggio, anzi persona, invece di piantarsi sul palcoscenico come una statua ed emettere i suoi gorgheggi. Andrebbe però precisato che certi generi musicali, il belcanto ad esempio, nacquero e si svilupparono principalmente con quest’ultima caratteristica, e il tentare di piegarli ad un maggior realismo è un’operazione velleitaria, quando non controproducente. Inoltre anche qui spesso si esagera, quando si costringe un interprete a cantare brani impervi stando in posizioni impossibili, al limite del soffocamento fisico. Oppure si commettono errori, come capitò sempre a Chéreau col suo Ring, dove vediamo un Wotan che, per essere consistente con la vision (socialista) del regista, si trasforma in una persona violenta, manesca, sgradevole, o al contrario assume atteggiamenti di gratuita debolezza... cioè non è più il Wotan di Wagner, puramente e semplicemente.
mozart2006 ricorda le qualità di Peter Konwitschny e il suo ricco pedigree musicale ed artistico. Benissimo, ma resta il fatto che il Parsifal da lui messo in scena a Monaco nel ’95 (e che sarà ora ripreso) non è per nulla il Parsifal di Wagner, anzi ne è l’autentico stravolgimento “concettuale” (precisamente nell’accezione di Amfortas): da dramma religioso ad ateistico, dalla ricerca di redenzione al nichilismo, dall’anelito verso la luce alla disperazione; certo, tutto all’interno di un geniale allestimento che - preso come opera di per se stessa - è di livello storico.
A novembre tornerà a Firenze, per il Siegfried diretto da Mehta, Padrissa con la Fura. Le rappresentazioni di Rheingold e Walküre, andate in onda nella scorsa stagione, sono un esempio per me non disprezzabile di come si possa approcciare il Ring da un punto di vista singolarissimo, impiegando mezzi e ambientazioni iper-moderne, magari esasperate ed esagerate nella spettacolarità da circo equestre, senza però travisare o surrogare o parodiare il “messaggio” wagneriano: molta scenografia e poca “regia-di-teatro”, una ricetta tutto sommato accettabile.
31 agosto, 2008
MaaZeff vs Carsen&C
Da una parte due vecchi (in tutte le accezioni - buone-cattive - del termine): Lorin Maazel e Franco Zeffirelli; dall’altra un regista canadese (Robert Carsen) in rappresentanza della nutrita schiera dei giovani registi-di-teatro che, soprattutto in Europa, imperversa da anni in molti teatri - non solo tedeschi, dove la practice è nata - con allestimenti controversi e spesso davvero indecenti, di opere e drammi musicali.
MaaZeff sostengono il principio sacrosanto - che sulla carta nemmeno Carsen&C contestano, altrimenti passerebbero subito dalla parte del torto - della supremazia dell’opera d’arte originale e del rispetto che le si deve.
Casren&C - i C si chiamano Bieito, Herheim, McVicar, Guth, Decker, Sellars, Vick, Wilson, Barlow, Brockhaus, Wagner (Kathi), Schlingensief... e hanno come maestri-tutori i vari Konwitschny, Kupfer... e come più lontani campioni Chéreau, Friedrich e addirittura Wieland Wagner - sostengono la necessità che l’ambientazione di un’Opera vada rinnovata, rispetto all’originale e alla tradizione interpretativa, in modo da renderla meglio e più comprensibile e godibile da parte di un pubblico che ha sulle spalle 50 anni, o uno o due o tre secoli di storia, di esperienza e di evoluzione della civiltà, rispetto a quello dei tempi in cui l’Opera fu creata. Lo slogan che tipicamente viene impiegato per supportare tale necessità è: se non viene innovata, un’opera lirica (o un dramma musicale) si trasforma in un museo.
Aperta parentesi: già, un museo. Come quell’obbrobrio del Louvre, vero? dove tuttora ci si interstardisce ad esporre (ma perchè mai milioni di persone la vanno ancora e sempre a vedere?) la Gioconda, proprio come il maestro la dispinse, senza cambiarle una virgola, che so, l’antiquato abbigliamento, o la ridicola pettinatura. Oppure gli Uffizi, dove si può sostare per un tempo limitato (dalla massa di visitatori che premono) ad ammirare capolavori del passato. O l’Ermitage, il Museo Egizio di Torino (o del Cairo) e tutti gli altri musei grandi e piccoli sparsi in tutto il pianeta. Insomma, il museo - per l’opera lirica e il dramma musicale - sarebbe equiparabile ad una discarica maleodorante e impresentabile! Chiusa parentesi.
In sostanza, i campioni del Regietheater sostengono la necessità - quindi il diritto addirittura - di regista, scenografo e costumista (e aggiungiamo pure del responsabile delle luci) di intervenire di testa propria su regia, scene e costumi di un’Opera musicale, con il nobile scopo di mantenere alti l’interesse e la partecipazione del pubblico verso questo genere di Arte.
Tutto ciò rappresenta un fine per nulla disprezzabile. A patto che non si superi un certo limite: quale? Quello oltre il quale l’operazione si trasforma in un vero e proprio sequestro di un capolavoro (come tale universalmente riconosciuto) da parte del regista, allo scopo di promuoverne la sua propria (del regista) visione, con ciò distorcendo però quella del creatore dell’opera medesima, fino a renderla irriconoscibile, privando quindi l’opera delle qualità che ne hanno determinato, nel tempo, l’universale riconoscimento di capolavoro.
30 luglio, 2008
Bayreuth: AAA - cercasi aspirante nudo
Questo Adamo è un uomo in carne ed ossa, insomma, una comparsa (pare sia un negoziante di Bayreuth). Nudo come un verme - sennò che Adamo sarebbe? - deve saltare da una balaustra e scappare via. Cosa non ti succede? Che, umido come giustamente dev’essere l’argilla, scivola e inciampa. Per non cadere fa uno sforzo sovrumano, una contorsione impossibile, e scompare dietro le quinte. Risultato: è in ospedale, da operare di ernia al disco!
La prossima rappresentazione è lunedi 4 agosto: se c’è qualcuno disposto a togliersi le mutande, si può fare avanti. Tanto lo vedranno solo i 2.000 spettatori del Festspielhaus, e non - come sabato scorso - anche i 20.000 che seguivano dallo schermo gigante e i 15.000 collegati in streaming.
16 aprile, 2008
Ridiamoci sopra, ma la realtà supera la fantasia
Una nuova produzione del Ring - Dialogo fra il regista R e il kapellmeister K
R, impaziente: è ora che ci mettiamo daccordo una volta per tutte; perchè ormai mancano solo due settimane alla prima del Siegfried.
K, lamentandosi: tu la fai facile, anche se devo ammettere che è stata un’idea geniale quella di iniziare il ciclo con il Secondo Atto di Siegfried, invece di quella noiosa scena sul fondo del Reno: con quelle acque poi, che oggi sono diventate così melmose... Soltanto, non sono completamente convinto che il drago debba uscire dall’ingresso del grattacielo della “Food & Drug Administration”. Ma il mio compito è molto più gravoso del tuo...
Il regista R non era proprio nell’umore per dar retta alle depressioni del maestro K, e lo interruppe così: siamo almeno daccordo che il Walhall è una Torre di Controllo? Che ne dici di Wotan comandante e Loge capo dei Controllori di Volo? Mi sembra una conseguenza logica. Invece non sono ancora convinto che le Figlie del Reno debbano apparire come Hostess: temo che sia una cosa troppo banalmente realistica.
Sì sì, per te è tutto facile, riprese a mugugnare il maestro K.
Vedi - spiegò seriosamente il regista R - deve esserci un nesso credibile fra la Torre di Controllo e il temporaneo nascondiglio di Hunding, in quelle gole infernali dell’Afghanistan orientale. In fin dei conti, essendo un simbolo di Al-Qaeda... tu puoi trasporre il ritorno di Hunding in FA bemolle minore staccato. Con gli ottavini che suonano istericamente. È facile, è non e mai stato fatto prima! Onestamente, non capisco come fai a dire che è facile per me, quando invece ci sono complesse...
Sbotta il maestro K: ehi, visto che mi hai obbligato a eliminare i corni nella scena dell’Annuncio, adesso sono io nelle peste per trovare una tessitura orchestrale adatta. I controfagotti e il tamburo militare da soli non bastano proprio. Ah, com’era facile ai vecchi tempi, quando ancora non erano cadute le ultime barriere, prima che Mertens a Monaco decidesse che, per dare al Ring una forma presentabile al giorno d’oggi, bisognava intervenire anche sulla partitura, non solo sul testo!
Stranamente, il regista R si fece silenzioso.
E il maestro K continuò: se ci pensi bene, associare sempre la tuba al drago e l’ottavino al fuoco, come si faceva ai vecchi tempi, era davvero noioso. Tuttavia ci tocca la responsabilità di non scompigliare troppo le intenzioni originali di Wagner, mentre ne rinnoviamo il messaggio per i contemporanei.
Ormai il maestro K era un fiume in piena: Guarda solo il Götterdämmerung: a Zurigo hanno già rappresentato la Sala dei Ghibicunghi davanti ad una Centrale Nucleare, a BuenosAires era Wall Street, e a Detroit hanno usato vere Cadillac nere per la Marcia Funebre. Ma i Ghibicunghi come banchieri capitalisti sono totalmente passati di moda! Solo quando Furtmingler osò finalmente sostituire il motivo dell’avidità con il canto di quelle fanciulle-fiore della British Airways si ebbe una vera innovazione sul fronte musicale. E guarda come il pubblico si è velocemente adattato a nuove dimensioni, nuove idee, basta con quei vecchi riferimenti fra leit-motive caricati di simbologie!
Concluse il maestro K: ciò che intendo dire è che la mia responsabilità per la partitura è molto più grande della tua pura e semplice fedeltà al testo. Chi se ne frega, al giorno d’oggi, di sapere se Hagen è veramente figlio di Hunding e non, come si è sempre creduto...
Irritato, il regista R interruppe: perchè devi sempre cercare di minimizzare le mie responsabilità? Come oggi sappiamo bene, Wagner voleva che i suoi testi fossero duttili. L’anno prossimo faremo tutto in modo completamente diverso! Andiamo! È chiaro che la mia responsabilità di ricreare il Ring per il pubblico di oggi è molto più vasta della tua re-instrumentazione o magari della trasposizione dell’Addio di Wotan ad una progressione da SI bemolle minore ad un vero, infuocato DO maggiore da scuola di Darmstadt. Mi auguro che alla fine tu te ne renda conto!
OK, OK, acconsentì il maestro K: tu puoi tenerti la tua Torre di Controllo. Ma almeno fammi avere in tempo i blip del radar, in modo che il mio oboista possa provare la transizione da staccato a legato quando la passerella dei passeggeri viene deposta alla fine del Rheingold.
R: Ma certo, mentre parliamo il mio assistente sta già lavorando sul simbolismo del blip. Quindi procediamo. Le Valchirie come paracadutiste le hanno già fatte a Bayreuth, che ne dici se invece gli facciamo dirottare l’aeroplano di Wotan? Come? Non è abbastanza originale? Capisco... R si sentì davvero insultato.
K: Senti, io devo lavorare sulla musica della scena del Nibelheim. Capisco che mostrare Nibelheim come un terminal affollato di un aeroporto è una bella allegoria, ma i tuoi continui annunci dell’altoparlante disturbano troppo i miei orchestrali. Devo trovare una strumentazione più forte e precisa.
Fai quello che devi fare, osservò il regista R. Per quel che mi riguarda, finalmente ho trovato la soluzione per le Tre Norne: negozieranno il legname del Frassino del Mondo come futures alla Borsa di Chicago. Con ciò possiamo finalmente procedere!
Il Mormorìo della Foresta mi è sempre sembrato eccessivamente romantico - annunciò eccitato il maestro K. Facendolo suonare ai tre Alpenhorn all’unisono avrà un effetto molto più arcano...
Penso che per il nostro Ring possiamo sicuramente mantenere la definizione di Bühnenfestspiel - disse il regista R. Dopotutto, Wagner sapeva bene ciò che faceva.
13 aprile, 2008
La nostra razione quotidiana di Regietheater
Per il resto, che gli frega a Kresnik di cosa c’è nell’Opera di Verdi? Secondo lui è tutta una faccenda di potere, mica di gelosia... e così , il nostro vetero-comunista non perde occasione per fare la sua requisitoria contro il mostro amerikano, lasciando intendere che l’11 settembre 2001 (nel cui post- lui ambienta il Ballo) fu una - tutto sommato meritata - punizione.
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C’è qualcuno che pensa che Verdi avrebbe potuto autorizzare una simile scempiaggine?
31 marzo, 2008
Ecco qua un’altra perla...
Oggi tocca a Hans Neuenfels tornare alla ribalta con una sciagurata messinscena di Tannhäuser ad Essen.
Il bello è che - regolare - il regista si becca un fiume di buu e le rimostranze del pubblico... ma poi sovrintendenti, direttori artistici, manager teatrali continuano ad affidargli la regia di opere importanti.
Vien persino voglia di dar ragione a gente bizzarra e stravagante come questa, che interpreta i classici d’opera in forma rock: anche se dicono stupidaggini (del tipo: “Mozart era in fondo un rockettaro”) almeno sono sinceri e non prendono in giro nessuno, pretendendo di insegnargli qualcosa. E sono i più lucidi critici del Regietheater, quando affermano:
“Il problema di quegli allestimenti (le moderne regie, ndr) è che quei registi hanno paura di toccare la musica (...) Ambientano la scena iniziale della Traviata come un party nel 21° secolo, ma poi in questo party si suona un walzer con una orchestra d’archi! Ed ecco che ogni sforzo fatto per modernizzare l’Opera casca miseramente a terra”.
Ben detto.
25 marzo, 2008
Segnali negativi
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Riassumendo: Questo Parsifal non è degno della Semperoper. Mi riferisco alla messinscena di Theo Adam (datata 1988): con poche eccezioni assomiglia genuinamente alle produzioni originali di Wagner a Bayreuth: noioso e tetro, con i cantanti che fondamentalmente se ne stanno passivi sulla scena e cantano all’uditorio senza interazioni. Nessuna traccia qui di “regia dei personaggi” (Personenregie). Sembra che questa produzione aderisca a quasi tutte le indicazioni sceniche di Wagner e quindi dovrebbe essere ideale per coloro che avversano le nuove tendenze del Regietheater. Ma ho il sospetto (a giudicare da applausi non entusiastici e da qualche buh) che anche gli spettatori più tradizionalisti non fossero impressionati dalla messinscena, nonostante la realistica rappresentazione dei vari simboli (Lancia, Graal, ...)
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Ora, se prendiamo per buona l’affermazione che questa messinscena di Dresda davvero “assomigli genuinamente alle produzioni originali di Wagner a Bayreuth e aderisca a quasi tutte le indicazioni sceniche di Wagner”, dobbiamo concludere - amaramente - che più una produzione è fedele alle precise indicazioni dell’Autore, e meno viene apprezzata! A questo ha portato la sciagurata “moda” del cosiddetto Regietheater.
Se non si è più disposti ad accettare le precise indicazioni di scena di Wagner (cui si dovrebbe lo stesso rispetto che si porta alle parole dei poemi e alle note scritte sulla partitura, poichè ciò richiede l’idea stessa di Gesamtkunstwerk) ma addirittura si pretende che esse vengano ignorate, per far posto ad “interpretazioni” più moderne e stimolanti... significa che non se ne accetta più l’opera tout-cour.
E allora: perchè non cambiare anche i testi, che sono spesso, francamente, pesanti e pedanti? E, già che ci siamo, perchè non cambiare anche la musica, rendendola meno bayreuthiana e pallosa?
19 marzo, 2008
Segnali positivi

Ma il segnale positivo è la sonora buata che si è preso Stéphane Braunschweig, rinomato regista eurotrash.