XIV

da prevosto a leone
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25 luglio, 2013

Ultime da Trash-en-Provence: non c’è limite al… Carsen!


Per il suo ritorno in Provenza dopo 20 anni, Robert Carsen ci ha regalato una sua nuova opera, di una modernità sbudellante.

Ahilui, come gli accade con troppa frequenza, ha commesso un’imperdonabile leggerezza: fare scegliere il testo – e soprattutto la musica – del suo capolavoro ad un perfetto idiota.

23 luglio, 2013

Bayreuth 2013: che anello si fabbrica Alberich?


Già affidare la regìa del Ring a un tale Castorf è come far recitare la Divina Commedia a Borghezio… E queste foto e questi resoconti sommari non lasciano dubbi in proposito.

Anche un bambino riesce a capire al volo il Konzept che si nasconde dietro questa genialissima interpretazione di quella cosuccia da teatrino underground che ha nome Der Ring des Nibelungen: stazioni di servizio con annesso motel, pozzi di trivellazione e, naturalmente, Wall Street. Come no! L’oro di Castorf è quello nero!  

Domanda stupida: dal petrolio, che anello si può ricavare?

Solo di plastica. Insomma: una patacca

(beati noi che per radio ascolteremo solo i suoni…)

09 dicembre, 2012

Cosa non va nel Lohengrin di Guth?


Sì, sì, lo so che farei prima a dire cosa va… me la caverei in mezza riga. Ma siamo qui per cazzeggiare, giusto?

Intanto è doveroso precisare (non vorrei ricevere una richiesta di rettifica, smile!, da parte del drammaturgo) che il Konzept del Lohengrin scaligero è il risultato di una fatica a due mani, compiuta dal regista e dal suo compare Ronny Dietrich.

Il quale pare sia andato a scovare, con perspicacia degna di miglior causa, il vero elemento scatenante del dramma di Lohengrin, nella testa di Wagner. Altro che leggende medievali, come credevamo da 160 anni noi poveri pirla (inclusi individui come Dahlhaus, Newman, Nattiez, Mila, Principe, Serpa…) no no, ciò che ha mosso l’immaginazione di Wagner fu la storia del Fanciullo d’Europa, a nome Kaspar Hauser.

Costui fu un povero ragazzo (quasi coetaneo di Wagner) cresciuto fino ai 15-16 anni fra maltrattamenti e sevizie (sempre chiuso, incatenato, in una fossa buia) che avevano lasciato segni evidenti ed indelebili sulla sua psiche (non sapeva chi fosse, né da dove venisse, e trovava inspiegabile qualunque cosa e minacciosa qualunque persona vedesse intorno a sé) e che Wagner pare avesse incontrato di persona (a 20 anni) a Norimberga poco prima che venisse assassinato. Per di più, il ragazzo era stato affidato per un certo tempo ad un avvocato che per caso era il padre di Ludwig Feuerbach, il filosofo di cui Wagner aveva provvisoriamente abbracciato le idee (prima di traslocare c/o… Schopenhauer).

Ecco allora come la coppia Guth-Dietrich ha costruito il suo sofisma: accertato che Wagner fu colpito profondamente dalla vicenda di Hauser, ne viene di conseguenza che lo stesso è il vero ispiratore - magari nell’inconscio dell’artista (così ci mettiamo anche un po’ di Freud, che non guasta mai) - della figura dell’argenteo cavaliere. Ergo, se Lohengrin è Hauser, allora anche Lohengrin deve essere uno che non sa chi sia, da dove venga, cosa stia a farci al mondo, e perché sia capitato dalle parti di Elsa. Ecco, da questa premessa imbecille (perché totalmente, radicalmente contraddetta dal testo – e soprattutto dalla musica! – del Lohengrin di Wagner) derivano tutte le scemenze di questo allestimento.

Un esempio lampante: ecco come Guth-Dietrich giustificano la loro visione della personalità (Hauser-like) di Lohengrin:

La potente esplosione musicale che accompagna l’entrata in scena di Lohengrin è in sorprendente contraddizione con le sommesse, introverse prime parole da lui pronunciate, che fanno pensare a un uomo confuso più che a uno consapevole del proprio compito.

Ora, a parte che nel terzo atto Lohengrin racconterà - per filo e per segno e con dovizia di particolari - tutto, ma proprio tutto di sé, di Monsalvat, del Gral, di Parzival e dei propri compiti (quando e da chi avrebbe appreso tutto ciò, nel frattempo, devono saperlo solo Guth e Dietrich…) leggiamo il libretto di Wagner in quel punto dove Lohengrin apparirebbe come un uomo confuso, più che consapevole:

(Non appena Lohengrin fa il primo movimento per abbandonare la navicella, su tutti scende un silenzio carico di tensione.)
Lohengrin
(con un piede ancora sulla navicella, si china verso il cigno)
Grazie a te, mio caro cigno!
Attraverso l’ampia distesa dei flutti, ritorna
là donde mi ha portato la tua navicella!
Ritorna, mira soltanto alla nostra felicità,
e così fedelmente si compia il tuo servizio!
Addio! Addio, mio caro cigno!
(Il cigno volge lentamente la direzione della navicella e, nuotando, si allontana dalla riva. Lohengrin lo osserva per un po’, con malinconia.)

Allora, questo sarebbe un uomo confuso e inconsapevole? In preda a convulsioni isteriche, raggomitolato per terra proprio nella posizione cui il suo modello Kaspar era stato costretto  per anni e anni, rinchiuso e incatenato, a piedi nudi (!) in una fossa?

E 20 secondi dopo ecco come Lohengrin scambia i saluti con Re Heinrich:

Lohengrin
(s’inchina dinanzi al Re)
Salute, re Enrico! Propizio e presente
sia Dio accanto alla tua spada!
Glorioso e grande, il tuo nome
mai svanisca da questa terra!
Re
Grazie! Perché io intenda quale sia la forza
che in questa terra ti ha portato, dimmi:
è per voler di Dio che ti avvicini a noi?
Lohengrin
Mia missione, mio compito è scendere in campo
per una fanciulla gravemente
accusata. È tempo che io veda se si fondi
il mio impegno per lei su buon diritto.

Allora, è uno che non sa chi è, né cosa ci stia a fare lì? E che diffida di chiunque lo avvicini e cerca di scansarlo e di nascondersi in tutti i modi? Uno che si muove barcollando come un idiota, mentre il popolo che lo sta accogliendo così lo descrive:

Gli uomini e le donne
(pieni di commozione, sottovoce, sussurrando)
Un dolce, santo brivido ci afferra!
Quale amabile forza ci tiene avvinti!
(Lohengrin si allontana dalla riva e procede lento e solenne verso il proscenio.)
Com’è bello a vedersi, come incede sovrano,
colui che un simile prodigio portò alla nostra terra!

??? E così via, non c’è bisogno di altri dettagli, quindi passiamo a Elsa, così inquadrata dal duo di geni Guth-Dietrich:

Elsa, un essere apparentemente angelico, che si rivela progressivamente come una giovane donna segnata dal suo passato. Proprio all’inizio dell’opera apprendiamo, attraverso Telramund, quali traumatici eventi abbiano marchiato la sua infanzia: la perdita dei genitori, la scomparsa del fratello, di cui per di più è stata incolpata. E lo stesso Telramund, al quale il padre in punto di morte aveva affidato la tutela dei figli, abusa della fiducia di Elsa negli adulti nel momento in cui la vuole come sposa.

Conseguenze di tutto ciò sono, per Elsa, un forte senso di colpa a causa del proprio presunto fallimento nonché un’esagerata ansia da abbandono, il che a sua volta la porta a un’eccessiva idealizzazione del partner. Tra le facoltà caratteristiche di personalità gravate da simili esperienze rientra il “pensiero magico”, analizzato, tra gli altri, da Sigmund Freud. Tale concetto identifica una forma dello sviluppo infantile per cui una persona ritiene che i suoi pensieri, le sue parole o i suoi atti possano influire su eventi che in realtà hanno altre cause, o addirittura provocare un determinato evento.

Quindi: il pensiero magico di Freud? E quindi: l’arrivo di Lohengrin avrebbe altre cause? E quali sarebbero, cari Guth-Dietrich, queste altre cause? Il puro caso, che fa incontrare il povero Hauser e la povera Elsa in un parco (con laghetti e canne) di Norimberga? Oppure dovremmo pensare che tutto ciò che Wagner ci vuol proporre sia null’altro che un sogno di Elsa? Compresi i fatti storici (Heinrich) e il conflitto religioso paganesimo-cristianesimo (Ortrud)?

Ridicolo. In compenso, ecco come Elsa viene descritta dal popolo, mentre si presenta al processo

(Elsa entra. Indugia un po’ nel fondo della scena; poi avanza molto lentamente, con grande timidezza, verso il centro del proscenio. La seguono alcune donne, che però, in un primo tempo, rimangono sul fondo, all’estremo limite della Corte di Giustizia.)
Tutti gli uomini
Guardate! si avvicina, con il suo peso di severe accuse.
Ah! come appare luminosa e pura!
Chi osa darle carico di tanto gravi crimini
dev’essere davvero ben certo della sua colpa.

Ecco, questa sarebbe la descrizione (luminosa e pura!) di una poveretta che ci viene mostrata come una qualunque drogata, e per di più colpevole di qualche misfatto, manifestando i classici tic di queste condizioni, come il grattarsi nervosamente e il cercare perennemente di nascondersi?

Anche qui, non serve entrare in ulteriori particolari per stigmatizzare questa concezione dissacrante e – in fin dei conti – sprezzante, che Guth-Dietrich hanno del capolavoro wagneriano. Il quale viene da loro letteralmente sequestrato, rivoltato come un calzino e rimontato secondo le loro idee lunatiche.

Insomma, un ennesimo caso di volgare adulterazione. Qui sì che ci sarebbe da chiamare i carabinieri, mica - come vorrebbe qualche zelante - per zittire quattro (o quaranta) buhatori di loggione. Dico e ripeto: chi fabbrica e smercia Lacoste e Rolex (o VanGogh) contraffatti, secondo le nostre leggi rischia la galera, o sbaglio? E anche nel caso che i falsi siano più apprezzati, agli occhi di qualche snob, degli originali.   

07 dicembre, 2012

Davvero notevole questo… Kaspar Hauser!


Decisamente, questa nuova opera che la Scala ha commissionato a Claus Guth ha un soggetto intelligente, interessante, di una sconvolgente attualità e di un’assoluta modernità; e per di più è messo in scena in maniera superlativa.

Salta però subito all’orecchio che le parole e la musica di questo mirabile dramma del terzo millennio siano copiate – ma proprio alla lettera, incredibile! – da quelle di un’opera semi-sconosciuta (il cui soggetto sta peraltro agli antipodi rispetto a questo di Guth) di tale Richard Wagner: un vecchio rudere, un residuato bellico di quasi due secoli fa, un’opera romantica (hahaha!) dissepolta da metri di polvere che la ricoprivano in un qualche scantinato di un qualche museo tedesco. Un testo ridicolo e inutilizzabile anche come coadiuvante soporifero per bambini ingenui, e una musica stomachevole, al cui confronto Papaveri e Papere pare Gruppen di Stockhausen… 

Peccato davvero perchè, con un testo e una musica adeguati, questo soggetto di Guth avrebbe tutte le carte in regola per diventare un autentico capolavoro: possibile che non si riesca a trovare un librettista e un compositore in grado di rivestirlo con qualcosa di meno imbarazzante, in modo da farne un’opera immortale?

05 settembre, 2012

Ecco il futuro del teatro musicale


È difficile immaginare una satira del Regietheater (meglio: Eurotrash) più feroce di questa
  

27 luglio, 2010

Il Lohengrin di Neuenfels: perché è Eurotrash


La nuova produzione bayreuthiana di Lohengrin, che ha aperto fra i buh (per il regista Hans Neuenfels) l'edizione 2010 dei Festspiele ha riportato (prevedibilmente) alla luce il problema delle regìe moderne, o post-moderne, del teatro musicale. Che sono in genere costruite con il seguente procedimento: il regista cerca nell'originale uno spunto (magari cui l'Autore stesso nemmeno aveva pensato!) interessante per lo spettatore moderno, ci costruisce sopra il suo Konzept, e poi ne trae tutte le conseguenze, poco o punto curandosi di quanto esse finiscano per allontanare la sua interpretazione dall'originale.
Prendiamo appunto il Lohengrin di Neuenfels. Come ha acutamente osservato A.C.Douglas (uno dei più autorevoli blogger americani in campo musicale) l'operazione di Neuenfels è assolutamente interessante e intelligente, ma salvo che per un piccolo particolare, come si vedrà.
Che spunto ha tratto Neuenfels dalla lettura del Lohengrin? Quello di una società – la nostra, perchè lo spettatore del 2010 non è quello del 1850, caspiterina! – che si avvia all'autodistruzione poiché priva di amore, dove ogni individuo è indifferente agli altri. E come rappresentarla? Come un laboratorio in cui si fanno esperimenti su una popolazione di topi (così vengono vestiti i coristi).
Poi accade che a noi, individui insignificanti di questa società senza amore, venga concessa una possibilità – come dire – di salvezza: possiamo finalmente diventare più umani, persone migliori ed avvicinarci all'utopìa della perfezione. Chi ci porta questa possibilità? Lohengrin!
Ma c'è una condizione (un trucco?): noi dobbiamo avere una fiducia cieca e totale in Lohengrin, e non chiedere spiegazioni. La cosa pare funzionare e infatti – alla fine del primo atto – i topi si tolgono la loro pelle di topo e sotto di essa appaiono dei moderni abiti gialli, che mostrano persone giovani, innocenti e credenti. Però sempre con mani e piedi da topo, perché deve essere chiaro che – sotto-sotto – sono sempre topi da laboratorio.
E infatti l'illusione svanisce e il dubbio insinuato da Ortrud in Elsa arriva come una bara piena di piume di cigno a metter fine all'utopìa. E poi, quando Lohengrin si prepara a partire, ecco che, invece del cigno, Lohengrin mostra un enorme uovo da cui esce un orribile e mostruoso neonato. Che si taglia il cordone ombelicale, lo fa a pezzi e li butta, come codini, agli individui lì convenuti, perché la festa è finita, e loro devono tornare topi quali erano in partenza.
Beh, conclude A.C.Douglas, in fin dei conti un'idea per nulla malvagia.
Qual è il piccolo, insignificante dettaglio che manda tutto a (meretrici) buh?
È la musica, stupido!

29 marzo, 2010

Il Parsifal di Bieito, al prezzo di quello di Wagner

Io devo condividere i miei pensieri e le mie sensazioni con il pubblico. Devo comunicarli, per questo sono diventato regista.

Mai definizione più appropriata fu data del fenomeno deteriore del Regietheater.

Il signor Bieito ha dei pensieri? Ha delle sensazioni? Le vuole/deve comunicare. Fantastico, siamo tutti occhi e orecchie!

Ma che ti combina il furbastro? Mica si mette a faticare per comporre testi e musica di un dramma, che ci comunichi i suoi pensieri e sensazioni, no!

Lui prende testi e – soprattutto – musica di un'opera d'arte ormai da secoli (si può dire) entrata nell'Olimpo, e li usa per vestirci i suoi brillanti pensieri e sensazioni!

E il pubblico paga per vedere il suo Parsifal, come per vedere quello di Wagner!

Ecco alcune sentenze del maestro da incorniciare:

Per me Parsifal tratta della crisi della religione. All'inizio del ventesimo secolo i simboli religiosi erano molto importanti. Oggi li abbiamo persi, ne abbiamo altri: Cristiano Ronaldo e David Beckam, in questa direzione si muove la nostra società.

La musica di Wagner sottintende un'architettura di arte. In scena presentiamo un'architettura, che simbolizza la fine del mondo. Ciò è appropriato per Wagner, che si spinse sempre ai confini per guardare nell'abisso. Ciò dà l'impressione dell'Apocalisse: un'architettura della fine del mondo.

Per me Parsifal rappresenta il poveraccio, culturalmente rozzo. Verrà stilizzato come un eroe, un nuovo Gesù Cristo. È il nuovo super-modello della società.

Sì, sono considerazioni davvero siderali; dico, chi sono al confronto Hegel, Goethe, Schopenhauer, Freud, Baricco?

Interessante la nota sulla locandina del Teatro: avvertiamo il nostro pubblico che in questo allestimento sono presenti scene di esplicita violenza, per cui preghiamo di tenerne conto in caso di presenza di minori o bambini.

Qualcuno (non molti) cerca ancora di dissentire.

11 marzo, 2010

Eurotrash revival

Divertente questa recensione, fatta da un musicista del Wiltshire, della Traviata ripresa quest'anno alla Komische Oper Berlin (si replica fino a maggio, per i patiti del genere).

Protagonista di questo trash (del 2008) il genialoide Hans Neuenfels, ovviamente osannato dalla critica (ma solo quella di cui si pubblicano estratti sul sito del teatro, toh!) per le sue geniali intuizioni.

Fra le quali il nostro Guy Edwards ci elenca la guardia del corpo di Violetta (per difenderla da se stessa, non dagli ammiratori) che Alfredo ammazza, e a cui poi strappa il cuore; Giorgio Germont che ha una zampa zoccolata di animale al posto del piede sinistro (in Provenza deve far comodo); Alfredo e Douphol che non giocano a carte, ma a chi meglio infilza un cuore (di Violetta?) messo su un vassoio.

Ma il meglio arriva alla fine, quando, durante il baccanale, la guardia del corpo di Violetta ricompare, provvisto di enormi coglioni gonfiabili, che poi infilza – prima di andarsene - con uno stiletto, facendoli così esplodere.

perdonami lo strazio recato al tuo bel core

11 aprile, 2009

A Berlino si sono montati la testa


Sì, certo, c’è stato il 1989, il muro fatto a pezzi, la Unter den Linden e la 17 Giugno senza più soluzione di continuità, Potsdamer Platz rimessa a lustro da Piano, il Bundestag tornato a casa dal paesino di provincia dov’era relegato dalla disfatta del Terzo Reich... ma forse a Berlino esagerano, credendosi l’ombelico del mondo.

Ecco come la Tageszeitung (TSZ) commenta l’ultima impresa artistica (l’Armida di Gluck) del solito Calixto: sotto il titolo - di per sè inequivocabile - sexy-teatro erotomane, si legge quanto segue: “...qualcosa di così radicale e disinibito che solo a Berlino è oggi possibile (vedere). Il sexy-teatro erotomane di Bieito in ogni altra città sarebbe uno scandalo, mentre a Berlino viene compreso ed acclamato.”

No, non vi montate la testa, amici berlinesi: il vero scandalo è che uno dei vostri tre teatri d’opera inviti - un giorno sì e l’altro pure - registi come Bieito a sfogare le loro turbe psichiche, e che tanta gente - evidentemente amante del porno e non dell’opera - paghi per assistere a simili idiozie.
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Qui da noi siamo più ruspanti: ai pornostar gli facciamo fare la pubblicità delle patatine.
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04 aprile, 2009

Se Bardi l’avesse previsto...

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Il Corriere della Grisi riporta in primo piano l’ormai annoso problema delle regìe di opera, pubblicando un decalogo di regole di comportamento cui i registi - e i loro datori di lavoro, sovrintendenti e direttori di teatri - dovrebbero attenersi, allo scopo di limitare, da un lato, il fenomeno della sistematica distorsione della natura delle opere, e dall’altro di calmierare i costi di allestimenti che coniugano la scelleratezza artistica con un ormai insostenibile sperpero di risorse del contribuente.

Di certo v’è da chiedersi se Giovanni Bardi avrebbe deciso lo stesso di fondare la sua Camerata, se avesse previsto che fine avrebbe fatto l’opera lirica, anzi il dramma per musica da lui così fermamente voluto, a 500 anni di distanza.

Perchè - purtroppo - ciò che Bardi inventò è una cosa talmente speciale e unica al mondo che - unica, appunto, fra tutte le arti - si presta alle più stampalate (o anche serie a volte) manipolazioni, adulterazioni, ai più grotteschi o cervellotici stravolgimenti fra ciò che l’Artista autore aveva ideato e scritto sulla carta e ciò che un tizio, chiamato regista, si arroga il diritto di mettere in scena. Colui che dovrebbe essere il servo di quell’opera e quindi della volontà del suo Autore, è oggi assurto al ruolo di libero ricreatore dell’opera originale. E spesso e volentieri si tratta di ricreazioni che andrebbero gratificate mettendo il ricreatore a ricrearsi nell’ora d’aria di un carcere. Invece sono ricompensate con cachet milionari.

Tanto per fare un esempio, ve lo immaginate un regista che ambientasse l’Enrico IV ai giorni nostri, calando il Re d’Inghilterra, che so, nei panni del George W. Bush che si appresta a far guerra all’Iraq, dopo aver messo a ferro e fuoco l’Afghanistan? Sentite come esordirebbe il 43:

Scossi ancor come siamo
e spalliditi dai recenti affanni,
non concediamo tuttavia respiro
a questa nostra spaurita pace
e, con voce pur rotta dall’affanno,
ritorniamo a parlar dell’altra guerra
da portare su più lontani lidi.

Una gran farsa, diciamolo pure, nulla più. E infatti nessuno ha avuto - per ora almeno - il coraggio di proporre una simile stupidaggine.

Invece un Bieito qualunque può impunemente rappresentare il Ratto ambientandolo in un postribolo, con sesso orale esplicito... tanto c’è la musica di Mozart che lo salva, e il pubblico medio poco bada alla “trama”, addirittura alle parole e al fatto che il regista abbia stravolto la prima e manipolato le seconde. Perchè se la performance musicale è di livello, si passa sopra anche alle più bieche idiozie del regista, anzi quasi le si apprezza perchè allora sembrano dare un tocco di vita e di novità ad oggetti che altrimenti apparirebbero, appunto, come ammuffiti in un museo (oh, che barba, rivedere la Gioconda di Leonardo per la ventesima volta; godiamoci quella baffuta di Duchamp, che è più moderna!) Sembra poi un paradosso, ma quanto più le regìe sono strampalate ed arbitrarie, tanto più necessitano di un’esecuzione musicale (canto e orchestra) di primissimo ordine, poichè il pubblico in fin dei conti è andato lì principalmente per ascoltare la musica e apprezzare il canto, non perchè attirato dalla profondità dei testi o dalla plausibilità della trama (manco per Wagner... che è tutto dire).

Sul fronte più serio, i Carsen e gli Herheim, come i loro maestri-brechtiani-DDR-impastranati alla Götz Friedrich, mettono in scena spettacoli che sono - in se stessi - delle opere d’arte ma, appunto, sono il Parsifal di Herheim (non di Wagner) o l’Alcina di Carsen (non di Händel).

Oggi si arriva ormai (Carsen docet, proprio con Alcina) a far forza alla musica, con tagli anche sostanziali precisamente funzionali allo stravolgimento che il regista ha fatto del soggetto. Domani, per le stesse ragioni (modernità, appeal verso il pubblico, innovazione) si arriverà anche ad intervenire sui righi, sull’orchestrazione, e così via.

A ben pensarci, ne può uscire un business enorme: basta immaginare quante versioni diverse, una più interessante dell’altra, si potrebbero scrivere del Fidelio, del Lohengrin, dell’Otello!
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14 ottobre, 2008

Chailly gira alla larga

Come ha segnalato Amfortas nel suo commento al post precedente, a Lipsia si è consumato l’ennesimo scempio da Regietheater. Questa volta a salire alla ribalta (ma c’è mancato poco che lo linciassero...) è stato un allievo di Peter Konwitschny, il ventinovenne Michael von zur Mühlen, che ha dato il meglio di sè in un allestimento del Fliegende Holländer che ha provocato - tanto per dire una quisquilia - l’abbandono del protagonista, James Johnson, che ha definito la messinscena disgustosa.

“Ciò che abbiamo vissuto è stato penoso, avvilente ed umiliante” ha commentato il presidente dell’associazione wagneriana di Lipsia.

Chailly - come dargli torto! - se ne sta il più alla larga possibile da queste scelleratezze...

13 ottobre, 2008

Rienzi secondo Wagner (Kathi)

Avendo una mezza intenzione di portarlo a Bayreuth (forse non al Festspielhaus, ma al locale teatro cittadino...) la neo-direttrice-in-comproprietà del Festival più famoso e controverso del mondo si sta cimentando con Rienzi in quel di Brema.

Da solerte e convinta adepta del Regietheater, la biondissima pronipotina di Richard ha presentato - stando alla recensione di Catherine Hickley di Bloomberg - un tribuno con parrucca e lustrini, agghindato, impettito, buffonesco, incline al kitsch e con un ego-fuori-di-testa... da ricordare Berlusconi!

Fanno parte della farsa anche saloni di coiffeur e moderni aspirapolvere impiegati come armi di distruzione.

L’unico merito riconosciuto alla nostra è di aver tagliato un paio di ore delle sei che occupa la versione originale del bisnonno.

01 settembre, 2008

Ancora e sempre sulle regie di opera...

Ringrazio mozart2006 e Amfortas per i loro commenti al mio post precedente, che mi spingono a qualche ulteriore approfondimento.

Con Amfortas convengo che spesso si confonde regia con scenografia, prendendo la parte per il tutto (la seconda per la prima). È pur vero che la scenografia non può che essere funzionale alla, e quindi dipendente dalla, regia e dal regista, il quale è un po’ il capocommessa dell’allestimento, per tutto ciò che non è musica e canto (ma compresi gli interpreti, per la parte attoriale del loro ruolo). Sempre Amfortas, nel suo commento al mio post precedente, presenta il suo criterio di giudizio su una regia: l’importante è che “trasmetta (faccia capire) il messaggio del Compositore”. Personalmente aggiungerei subito che, oltre al messaggio (il contenuto) conta anche il mezzo espressivo (la forma) che l’Autore ha ideato e codificato sulla partitura: personaggi e loro psicologia, testi che gli vengono messi in bocca e, soprattutto, la musica che sorregge il tutto. Nell’esempio citato da Amfortas (Macbeth) non basta che si mostri il “concetto” (la lotta per il potere e l’ambizione portate alle estreme conseguenze) poichè allora i personaggi del Macbeth si potrebbero intercambiare con quelli del Ring, che contiene lo stesso concetto. Viceversa, riprendendo l’esempio citato da mozart2006 riguardo ad una Tosca ambientata nel fascismo, si rischia di fare davvero di ogni erba un fascio, inducendo lo spettatore ad improbabili (pure non impossibili) analogie fra un regime dittatoriale e il potere temporale papalino, che non è propriamente l’obiettivo che si poneva Puccini nel comporre il suo capolavoro, tutto focalizzato sul tema “dell’amore perseguitato”, più che sui tratti e sulle vicende del regime persecutorio... Comunque ammettiamo pure che, a patto che il concetto venga preservato, non dobbiamo poi sottilizzare troppo sulle forme, anzi apprezzarle se e quando hanno un buon livello artistico di per se stesse: caso mai valuteremo se la diversa forma, rispetto a quella originale, aggiunga, tolga o lasci inalterato il valore dell’opera.

Ma il vero problema - secondo il mio modesto parere - sta molto a monte. In sostanza la domanda che ci dobbiamo porre è: quali finalità aveva l’Autore nel mettersi a comporre la sua opera? Voleva sul serio e primariamente trasmettere un concetto, una filosofia, un’ideologia, una way-of-life, intendeva cioè porsi come maieuta dell’umanità, o invece era portato dalla sua ispirazione, sensibilità, estro, genio a comporre un’opera d’arte, tout cour, di un genere particolare, qual’è l’opera lirica, il melodramma, o il dramma musicale? Mozart scriveva forse la Zauberflöte per diffondere ideologia e prassi massonica? O il Ratto per informarci sul confronto di civiltà occidente-levante? Rossini componeva forse il Barbiere per mandare messaggi e contenuti? E siamo sicuri che il Tell, invece, avesse questo fine precipuo? O non era un soggetto “serio” usato sempre e comunque per scrivere musica sublime? Verdi aveva forse come obiettivo di comunicare al mondo concetti politico-filosofici, o quello di fare opere musicali dove esprimere tutta la sua vulcanica ispirazione? E anche Wagner, il più “concettuale” dei compositori, da cosa era spinto a comporre i suoi drammi? Dal bisogno di diffondere nel volgo la filosofia di Feuerbach o di Schopenhauer? Dal cinico disegno politico di preparare il terreno al nazismo? O invece dall’irresistibile impulso a creare - attraverso la musica - un intero universo, dove entrano certo filosofia, politica, psicanalisi, naturalismo, ma come oggetti, non soggetti, di espressione artistica?

La principale caratteristica delle scuole della regia-di-teatro risiede proprio nel voler considerare l’opera come una manifestazione di carattere politico, una cartina di tornasole della società in cui è stata creata, uno specchio dei rapporti sociali, politici, filosofici che percorrono una società; e che la sua rappresentazione debba anche - se non soprattutto - servire a scopi maieutici, a far “prendere coscienza” allo spettatore di quei problemi, mostrandogli come siano anche problemi suoi... e da qui la necessità di trasporre nell’attuale (tempi e luoghi) ciò che l’Autore aveva invece posto in tempi determinati, ma anteriori dalla contemporaneità, o addirittura “in nessun tempo”, come è il caso quasi costante in Wagner. Patrice Chéreau ha spiegato benissimo questo approccio, quando ha negato qualunque credibilità alla Zeitlösigkeit wagneriana, affermando che anche i miti sono figli della società che li produce: e quindi giustificando ad esempio la sua interpretazione “socialista” del Ring, calandolo di peso nella nostra società contemporanea, ma finendo con ciò col togliergli proprio la sua principale e straordinaria qualità, quella di “contenere il principio e la fine di ogni cosa”, quindi privando lo spettatore della possibilità di godere del “tutto”, in cambio di un’esperienza storicamente circoscritta, anche se accattivante e brillantemente presentata.

Tali scuole hanno anche indubbi meriti, tra i quali basterà ricordare l’attenzione volta alla componente attoriale dell’interpretazione: il cantante che diventa davvero personaggio, anzi persona, invece di piantarsi sul palcoscenico come una statua ed emettere i suoi gorgheggi. Andrebbe però precisato che certi generi musicali, il belcanto ad esempio, nacquero e si svilupparono principalmente con quest’ultima caratteristica, e il tentare di piegarli ad un maggior realismo è un’operazione velleitaria, quando non controproducente. Inoltre anche qui spesso si esagera, quando si costringe un interprete a cantare brani impervi stando in posizioni impossibili, al limite del soffocamento fisico. Oppure si commettono errori, come capitò sempre a Chéreau col suo Ring, dove vediamo un Wotan che, per essere consistente con la vision (socialista) del regista, si trasforma in una persona violenta, manesca, sgradevole, o al contrario assume atteggiamenti di gratuita debolezza... cioè non è più il Wotan di Wagner, puramente e semplicemente.

mozart2006 ricorda le qualità di Peter Konwitschny e il suo ricco pedigree musicale ed artistico. Benissimo, ma resta il fatto che il Parsifal da lui messo in scena a Monaco nel ’95 (e che sarà ora ripreso) non è per nulla il Parsifal di Wagner, anzi ne è l’autentico stravolgimento “concettuale” (precisamente nell’accezione di Amfortas): da dramma religioso ad ateistico, dalla ricerca di redenzione al nichilismo, dall’anelito verso la luce alla disperazione; certo, tutto all’interno di un geniale allestimento che - preso come opera di per se stessa - è di livello storico.

A novembre tornerà a Firenze, per il Siegfried diretto da Mehta, Padrissa con la Fura. Le rappresentazioni di Rheingold e Walküre, andate in onda nella scorsa stagione, sono un esempio per me non disprezzabile di come si possa approcciare il Ring da un punto di vista singolarissimo, impiegando mezzi e ambientazioni iper-moderne, magari esasperate ed esagerate nella spettacolarità da circo equestre, senza però travisare o surrogare o parodiare il “messaggio” wagneriano: molta scenografia e poca “regia-di-teatro”, una ricetta tutto sommato accettabile.

31 agosto, 2008

MaaZeff vs Carsen&C

In questi ultimi giorni di agosto il Corriere ha ospitato una polemica piuttosto accesa sul cosiddetto Regietheater (la regia teatrale di opere liriche e drammi musicali) anzi, più propriamente su quel fenomeno “di costume” che viene etichettato sprezzantemente (ma non senza ragione, secondo me) Eurotrash (spazzatura europea).

Da una parte due vecchi (in tutte le accezioni - buone-cattive - del termine): Lorin Maazel e Franco Zeffirelli; dall’altra un regista canadese (Robert Carsen) in rappresentanza della nutrita schiera dei giovani registi-di-teatro che, soprattutto in Europa, imperversa da anni in molti teatri - non solo tedeschi, dove la practice è nata - con allestimenti controversi e spesso davvero indecenti, di opere e drammi musicali.

MaaZeff sostengono il principio sacrosanto - che sulla carta nemmeno Carsen&C contestano, altrimenti passerebbero subito dalla parte del torto - della supremazia dell’opera d’arte originale e del rispetto che le si deve.

Casren&C - i C si chiamano Bieito, Herheim, McVicar, Guth, Decker, Sellars, Vick, Wilson, Barlow, Brockhaus, Wagner (Kathi), Schlingensief... e hanno come maestri-tutori i vari Konwitschny, Kupfer... e come più lontani campioni Chéreau, Friedrich e addirittura Wieland Wagner - sostengono la necessità che l’ambientazione di un’Opera vada rinnovata, rispetto all’originale e alla tradizione interpretativa, in modo da renderla meglio e più comprensibile e godibile da parte di un pubblico che ha sulle spalle 50 anni, o uno o due o tre secoli di storia, di esperienza e di evoluzione della civiltà, rispetto a quello dei tempi in cui l’Opera fu creata. Lo slogan che tipicamente viene impiegato per supportare tale necessità è: se non viene innovata, un’opera lirica (o un dramma musicale) si trasforma in un museo.

Aperta parentesi: già, un museo. Come quell’obbrobrio del Louvre, vero? dove tuttora ci si interstardisce ad esporre (ma perchè mai milioni di persone la vanno ancora e sempre a vedere?) la Gioconda, proprio come il maestro la dispinse, senza cambiarle una virgola, che so, l’antiquato abbigliamento, o la ridicola pettinatura. Oppure gli Uffizi, dove si può sostare per un tempo limitato (dalla massa di visitatori che premono) ad ammirare capolavori del passato. O l’Ermitage, il Museo Egizio di Torino (o del Cairo) e tutti gli altri musei grandi e piccoli sparsi in tutto il pianeta. Insomma, il museo - per l’opera lirica e il dramma musicale - sarebbe equiparabile ad una discarica maleodorante e impresentabile! Chiusa parentesi.

In sostanza, i campioni del Regietheater sostengono la necessità - quindi il diritto addirittura - di regista, scenografo e costumista (e aggiungiamo pure del responsabile delle luci) di intervenire di testa propria su regia, scene e costumi di un’Opera musicale, con il nobile scopo di mantenere alti l’interesse e la partecipazione del pubblico verso questo genere di Arte.

Tutto ciò rappresenta un fine per nulla disprezzabile. A patto che non si superi un certo limite: quale? Quello oltre il quale l’operazione si trasforma in un vero e proprio sequestro di un capolavoro (come tale universalmente riconosciuto) da parte del regista, allo scopo di promuoverne la sua propria (del regista) visione, con ciò distorcendo però quella del creatore dell’opera medesima, fino a renderla irriconoscibile, privando quindi l’opera delle qualità che ne hanno determinato, nel tempo, l’universale riconoscimento di capolavoro.
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E proprio Carsen ci ha dato quest’anno un’esemplificazione perfetta di cosa significhi valicare o meno quel limite: le sue interpretazioni italiane di Salome e di Elektra.

30 luglio, 2008

Bayreuth: AAA - cercasi aspirante nudo

La scapestratissima Kathi Wagner - candidata a sostituire il venerabile paparino Wolfgang alla testa dei Festspiele - non contenta delle scempiaggini di cui aveva già lo scorso anno infarcito la sua messinscena dei Meistersinger, per migliorare ulteriormente la sua opera d’arte (povero bisnonno!) quest’anno ha deciso di perfezionare la scena del finale dell’opera, dove Beckmesser plasma da un enorme ammasso di argilla un Adamo (ci sarà mica un’allusione alla Eva, protagonista dell’opera, per caso?)

Questo Adamo è un uomo in carne ed ossa, insomma, una comparsa (pare sia un negoziante di Bayreuth). Nudo come un verme - sennò che Adamo sarebbe? - deve saltare da una balaustra e scappare via. Cosa non ti succede? Che, umido come giustamente dev’essere l’argilla, scivola e inciampa. Per non cadere fa uno sforzo sovrumano, una contorsione impossibile, e scompare dietro le quinte. Risultato: è in ospedale, da operare di ernia al disco!

La prossima rappresentazione è lunedi 4 agosto: se c’è qualcuno disposto a togliersi le mutande, si può fare avanti. Tanto lo vedranno solo i 2.000 spettatori del Festspielhaus, e non - come sabato scorso - anche i 20.000 che seguivano dallo schermo gigante e i 15.000 collegati in streaming.

16 aprile, 2008

Ridiamoci sopra, ma la realtà supera la fantasia

Questa arriva dall’America, che non è propriamente la patria dell’humor... ma non è male.

Una nuova produzione del Ring - Dialogo fra il regista R e il kapellmeister K

R, impaziente: è ora che ci mettiamo daccordo una volta per tutte; perchè ormai mancano solo due settimane alla prima del Siegfried.

K, lamentandosi: tu la fai facile, anche se devo ammettere che è stata un’idea geniale quella di iniziare il ciclo con il Secondo Atto di Siegfried, invece di quella noiosa scena sul fondo del Reno: con quelle acque poi, che oggi sono diventate così melmose... Soltanto, non sono completamente convinto che il drago debba uscire dall’ingresso del grattacielo della “Food & Drug Administration”. Ma il mio compito è molto più gravoso del tuo...

Il regista R non era proprio nell’umore per dar retta alle depressioni del maestro K, e lo interruppe così: siamo almeno daccordo che il Walhall è una Torre di Controllo? Che ne dici di Wotan comandante e Loge capo dei Controllori di Volo? Mi sembra una conseguenza logica. Invece non sono ancora convinto che le Figlie del Reno debbano apparire come Hostess: temo che sia una cosa troppo banalmente realistica.

Sì sì, per te è tutto facile, riprese a mugugnare il maestro K.

Vedi - spiegò seriosamente il regista R - deve esserci un nesso credibile fra la Torre di Controllo e il temporaneo nascondiglio di Hunding, in quelle gole infernali dell’Afghanistan orientale. In fin dei conti, essendo un simbolo di Al-Qaeda... tu puoi trasporre il ritorno di Hunding in FA bemolle minore staccato. Con gli ottavini che suonano istericamente. È facile, è non e mai stato fatto prima! Onestamente, non capisco come fai a dire che è facile per me, quando invece ci sono complesse...

Sbotta il maestro K: ehi, visto che mi hai obbligato a eliminare i corni nella scena dell’Annuncio, adesso sono io nelle peste per trovare una tessitura orchestrale adatta. I controfagotti e il tamburo militare da soli non bastano proprio. Ah, com’era facile ai vecchi tempi, quando ancora non erano cadute le ultime barriere, prima che Mertens a Monaco decidesse che, per dare al Ring una forma presentabile al giorno d’oggi, bisognava intervenire anche sulla partitura, non solo sul testo!

Stranamente, il regista R si fece silenzioso.

E il maestro K continuò: se ci pensi bene, associare sempre la tuba al drago e l’ottavino al fuoco, come si faceva ai vecchi tempi, era davvero noioso. Tuttavia ci tocca la responsabilità di non scompigliare troppo le intenzioni originali di Wagner, mentre ne rinnoviamo il messaggio per i contemporanei.

Ormai il maestro K era un fiume in piena: Guarda solo il Götterdämmerung: a Zurigo hanno già rappresentato la Sala dei Ghibicunghi davanti ad una Centrale Nucleare, a BuenosAires era Wall Street, e a Detroit hanno usato vere Cadillac nere per la Marcia Funebre. Ma i Ghibicunghi come banchieri capitalisti sono totalmente passati di moda! Solo quando Furtmingler osò finalmente sostituire il motivo dell’avidità con il canto di quelle fanciulle-fiore della British Airways si ebbe una vera innovazione sul fronte musicale. E guarda come il pubblico si è velocemente adattato a nuove dimensioni, nuove idee, basta con quei vecchi riferimenti fra leit-motive caricati di simbologie!

Concluse il maestro K: ciò che intendo dire è che la mia responsabilità per la partitura è molto più grande della tua pura e semplice fedeltà al testo. Chi se ne frega, al giorno d’oggi, di sapere se Hagen è veramente figlio di Hunding e non, come si è sempre creduto...

Irritato, il regista R interruppe: perchè devi sempre cercare di minimizzare le mie responsabilità? Come oggi sappiamo bene, Wagner voleva che i suoi testi fossero duttili. L’anno prossimo faremo tutto in modo completamente diverso! Andiamo! È chiaro che la mia responsabilità di ricreare il Ring per il pubblico di oggi è molto più vasta della tua re-instrumentazione o magari della trasposizione dell’Addio di Wotan ad una progressione da SI bemolle minore ad un vero, infuocato DO maggiore da scuola di Darmstadt. Mi auguro che alla fine tu te ne renda conto!

OK, OK, acconsentì il maestro K: tu puoi tenerti la tua Torre di Controllo. Ma almeno fammi avere in tempo i blip del radar, in modo che il mio oboista possa provare la transizione da staccato a legato quando la passerella dei passeggeri viene deposta alla fine del Rheingold.

R: Ma certo, mentre parliamo il mio assistente sta già lavorando sul simbolismo del blip. Quindi procediamo. Le Valchirie come paracadutiste le hanno già fatte a Bayreuth, che ne dici se invece gli facciamo dirottare l’aeroplano di Wotan? Come? Non è abbastanza originale? Capisco... R si sentì davvero insultato.

K: Senti, io devo lavorare sulla musica della scena del Nibelheim. Capisco che mostrare Nibelheim come un terminal affollato di un aeroporto è una bella allegoria, ma i tuoi continui annunci dell’altoparlante disturbano troppo i miei orchestrali. Devo trovare una strumentazione più forte e precisa.

Fai quello che devi fare, osservò il regista R. Per quel che mi riguarda, finalmente ho trovato la soluzione per le Tre Norne: negozieranno il legname del Frassino del Mondo come futures alla Borsa di Chicago. Con ciò possiamo finalmente procedere!

Il Mormorìo della Foresta mi è sempre sembrato eccessivamente romantico - annunciò eccitato il maestro K. Facendolo suonare ai tre Alpenhorn all’unisono avrà un effetto molto più arcano...

Penso che per il nostro Ring possiamo sicuramente mantenere la definizione di Bühnenfestspiel - disse il regista R. Dopotutto, Wagner sapeva bene ciò che faceva.

13 aprile, 2008

La nostra razione quotidiana di Regietheater

Oggi tocca a Johann Kresnik deliziare gli spettatori di Erfurt con un fantastico Ballo in Maschera.

Come si può notare... le maschere ci sono.

Per il resto, che gli frega a Kresnik di cosa c’è nell’Opera di Verdi? Secondo lui è tutta una faccenda di potere, mica di gelosia... e così , il nostro vetero-comunista non perde occasione per fare la sua requisitoria contro il mostro amerikano, lasciando intendere che l’11 settembre 2001 (nel cui post- lui ambienta il Ballo) fu una - tutto sommato meritata - punizione.
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C’è qualcuno che pensa che Verdi avrebbe potuto autorizzare una simile scempiaggine?

31 marzo, 2008

Ecco qua un’altra perla...

Non passa giorno senza leggere di una nuova scempiaggine perpetrata in nome del famigerato Regietheater.

Oggi tocca a Hans Neuenfels tornare alla ribalta con una sciagurata messinscena di Tannhäuser ad Essen.

Il bello è che - regolare - il regista si becca un fiume di buu e le rimostranze del pubblico... ma poi sovrintendenti, direttori artistici, manager teatrali continuano ad affidargli la regia di opere importanti.

Vien persino voglia di dar ragione a gente bizzarra e stravagante come questa, che interpreta i classici d’opera in forma rock: anche se dicono stupidaggini (del tipo: “Mozart era in fondo un rockettaro”) almeno sono sinceri e non prendono in giro nessuno, pretendendo di insegnargli qualcosa. E sono i più lucidi critici del Regietheater, quando affermano:

“Il problema di quegli allestimenti (le moderne regie, ndr) è che quei registi hanno paura di toccare la musica (...) Ambientano la scena iniziale della Traviata come un party nel 21° secolo, ma poi in questo party si suona un walzer con una orchestra d’archi! Ed ecco che ogni sforzo fatto per modernizzare l’Opera casca miseramente a terra”.

Ben detto.

25 marzo, 2008

Segnali negativi

Oggi capita di leggere commenti come questo (dal blog MostlyOpera):

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Riassumendo: Questo Parsifal non è degno della Semperoper. Mi riferisco alla messinscena di Theo Adam (datata 1988): con poche eccezioni assomiglia genuinamente alle produzioni originali di Wagner a Bayreuth: noioso e tetro, con i cantanti che fondamentalmente se ne stanno passivi sulla scena e cantano all’uditorio senza interazioni. Nessuna traccia qui di “regia dei personaggi” (Personenregie). Sembra che questa produzione aderisca a quasi tutte le indicazioni sceniche di Wagner e quindi dovrebbe essere ideale per coloro che avversano le nuove tendenze del Regietheater. Ma ho il sospetto (a giudicare da applausi non entusiastici e da qualche buh) che anche gli spettatori più tradizionalisti non fossero impressionati dalla messinscena, nonostante la realistica rappresentazione dei vari simboli (Lancia, Graal, ...)
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Ora, se prendiamo per buona l’affermazione che questa messinscena di Dresda davvero “assomigli genuinamente alle produzioni originali di Wagner a Bayreuth e aderisca a quasi tutte le indicazioni sceniche di Wagner”, dobbiamo concludere - amaramente - che più una produzione è fedele alle precise indicazioni dell’Autore, e meno viene apprezzata! A questo ha portato la sciagurata “moda” del cosiddetto Regietheater.

Se non si è più disposti ad accettare le precise indicazioni di scena di Wagner (cui si dovrebbe lo stesso rispetto che si porta alle parole dei poemi e alle note scritte sulla partitura, poichè ciò richiede l’idea stessa di Gesamtkunstwerk) ma addirittura si pretende che esse vengano ignorate, per far posto ad “interpretazioni” più moderne e stimolanti... significa che non se ne accetta più l’opera tout-cour.

E allora: perchè non cambiare anche i testi, che sono spesso, francamente, pesanti e pedanti? E, già che ci siamo, perchè non cambiare anche la musica, rendendola meno bayreuthiana e pallosa?

19 marzo, 2008

Segnali positivi

La premiére del Festival di Pasqua a Salisburgo prevedeva Die Walküre, con i mitici Berliner guidati da Rattle. Successo per orchestra, kapellmeister (un pò meno) e cantanti (su tutti la Sieglinde Eva-Maria Westbroek).
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Ma il segnale positivo è la sonora buata che si è preso Stéphane Braunschweig, rinomato regista eurotrash.