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22 agosto, 2024

ROF-2024 live: L’equivoco stravagante.

Ieri L’equivoco stravagante, una ripresa della fortunata produzione del 2019 affidata alla coppia registica di Moshe Leiser e Patrice Caurier (che allora avevo personalmente apprezzato assai) ha chiuso il suo ciclo di quattro recite a questo ROF-45. Dico subito che mi sento di riconfermare in pieno quell’apprezzamento, anzi di innalzarlo ulteriormente, grazie anche allo spostamento delle recite dalla dispersiva Vitrifrigo Arena all’ambiente più raccolto, cittadino e quindi familiare del glorioso Teatro Rossini, riaperto per l’occasione.

Sul pruriginoso soggetto di Gasbarri e sulla regìa non sto quindi a dilungarmi oltre rispetto a quanto scritto allora. Manche perché molto più e molto meglio ne scrisse il venerabile Alberto Zedda.

Ma buone notizie sono arrivate anche dal nuovo apparato musicale, interamente rinnovato rispetto a quello ben distintosi nel 2019, che poteva contare sull’apporto della OSN-RAI e del coro del Ventidio Basso. Che la meno blasonata ma agguerrita Filarmonica Rossini e la piccola pattuglia del coro (14 tenori-baritoni-bassi, interpreti di contadini, letterati e soldati) del Teatro della Fortuna di Mirca Rosciani non hanno fatto per nulla rimpiangere.

Tutti guidati dalla bacchetta di Michele Spotti, che dall’anonima Cesano Maderno che gli ha dato i natali 30 anni orsono è oggi arrivato a dirigere l’importante teatro e la filarmonica di Marsiglia e a calcare podi in giro per il mondo. Rimarchevole la sua capacità di far emergere tutta l’accattivante freschezza di questa terza partitura di Rossini, che tanti bei momenti trasferirà ad opere successive. Gesto a volte enfatico o lezioso, ma evidentemente efficace, a giudicare dal consenso manifestatogli non solo del pubblico, ma degli stessi strumentisti.    

Nicola Alaimo è il motore assoluto dello spettacolo: il baritono palermitano, (all’ottava presenza nel cartellone principale del ROF, dopo l’esordio nel lontano 2010 in Cenerentola) ha incantato con la sua verve sempre raffinata, la sua presenza scenica mai sopra le righe e – superfluo aggiungerlo – la sua splendida voce! Ammirata già nell’iniziale duetto con Buralicchio (Ah, vieni al mio seno) poi nelle due arie (Talpa in mortale ammanto e Il mio germe) come nei pezzi d’insieme (Quartetto Ti presento a un tempo istesso e Quintetto Speme soave) oltre che nei due movimentati finali. È senza dubbio lui il trionfatore di questa riproposta dell’Equivoco.      

L’esordiente Maria Barakova (passata per l’Accademia nel 2018) veste i pani della protagonista Ernestina, la ragazza saputella e svampitella che vive nel mondo dei sogni per poi migrare in quello della realtà, complice… l’amore. Davvero apprezzabile la sua prestazione, a partire dalla cavatina d’esordio (Nel cor un vuoto) e poi nel Duetto con Ermanno (Se una speme). Nel second’atto si distingue nel Duetto con Buralicchio (Vieni pur) e nel Rondò con coro (Se per te lieta ritorno) che precede il finale. Importante anche il suo contributo ai pezzi d’insieme. (Se proprio devo trovarle il pelo nell’uovo, è qualche decibel che manca nell’ottava bassa.)

Al Nemorino-ante-litteram della situazione (il romantico Ermanno) ha prestato la sua limpida voce Pietro Adaìni (alla sua terza importante presenza al ROF). Acuti svettanti (fino al DO#) e bella proiezione di suono, unite a perfetta immedesimazione nel personaggio. Oltre all’esordio a freddo (Si cela in quelle mura) e al citato duetto con Ernestina (Sì, trovar potete) e ai pezzi concertati, ha pienamente convinto nella sua concitata aria (Sento da mille furie) e nella successiva cavatina (D’un tenero ardore).  

Il ricco nullafacente Buralicchio (l’altro buffo della situazione) è il quasi esordiente Carles Pachòn, che si è subito messo in mostra nella sua cavatina d’esordio (Occhietti miei vezzosi) e poi si è distinto nel citato duettino con Gamberotto (Ah padre! Mi stringi). Nel second’atto poi ha degnamente assecondato Ernestina nel duetto (Più la guardo) oltre a dare il suo valido contributo ai pezzi concertati.  

Bella figura hanno fatto anche i due comprimari, servitori di Gamberotto e alleati di Ermanno alla conquista del cuore di Ernestina. Patricia Calvache, voce per la verità non molto penetrante, si distingue nella sua arietta Quel furbarel d’amore, oltre che nel quintetto e nei finali d’atto. Matteo Macchioni è a sua volta un simpatico (e geniale ideatore dell’Equivoco!) Frontino, cui Rossini riserve la sua applaudita aria di sorbetto (Vedrai fra poco nascere).

Ma a parte i numeri solistici o concertati, la compagnia di canto ha sempre mantenuto alti il ritmo e la tensione della commedia, in ogni scena, proprio senza un solo momento di stasi, dall’inizio alla fine.  

Pubblico entusiasta, che ha accolto ogni numero con applausi a scena aperta, per poi decretare un trionfo generale – con punte al calor bianco per Alaimo - alla fine dello spettacolo. 


20 agosto, 2019

ROF-XL live: L’equivoco stravagante


Ieri alla Vitrifrigo arena (non proprio esaurita) terza recita de L’equivoco stravagante. Non ho ancora visto il Demetrio (che però ricordo bene dal 2010) ma mi sento di affermare senza tema di smentita che lo spettacolo cui ho assistito ieri è di gran lunga il migliore di questo ROF e forse uno dei migliori in assoluto nella storia del Festival.

Con i soggetti seri o tragici il rischio che si corre oggi è di trovare un regista che si diverte (lui solo, però) ad interpretarli in modo diciamo... personale, spesso creando autentici mostri, come è accaduto proprio qui a Vick con la Semiramide. E come accadde anche a SantAmbrogio 2015 alla coppia Leiser-Caurier, responsabili di una Giovanna d’Arco invero... invereconda.

Viceversa, con le opere leggere (drammi giocosi, farse) il rischio è che vengano trasformate in volgari pezzi da avanspettacolo, e l’Equivoco ci si presta benissimo, con quel testo che Gasbarri infarcì (peraltro con raffinato humor) di doppi sensi, battute salaci e ammiccamenti da barzelletta sporca. Ci vorrebbe poco a trasformare l’opera in una goliardata tipo Ifigonia in Culide, ecco.

E invece - sorpresa sorpresa - il due registi hanno messo in piedi uno spettacolo di alto livello, senza mai cadere nel grossolano e nel becero, ma mantenendolo sempre su un piano di eleganza e buon gusto che davvero ha conquistato il pubblico.

Sobria ma intelligente ed efficace la scenografia di Christian Fenouillat: scena praticamente fissa, incorniciata come un grande quadro, nella casa di Gamberotto; pochissime suppellettili (tre sedie, un letto per parte del second’atto e nulla più); un (apparente) quadro gigante, raffigurante un paesaggio rurale con vacche pascolanti, che però si rivela essere un finestrone affacciato sulla campagna: lì circoleranno Ermanno ed Ernestina dopo la fuga dalla casamatta e soldati e servitori. Una quinta sulla destra della scena si apre temporaneamente per creare l’oscuro e angusto spazio della prigione in cui è chiusa Ernestina, poi liberata da Ermanno. Eleganti e simpatici i costumi di Agostino Cavalca. Elementari, ma ben gestite da Christophe Forey, le luci.

Molto curata la recitazione dei personaggi: Ernestina in particolare è efficacemente presentata come una ragazza un po’ snob, abbigliata (nella sua immaginazione) come una principessa e alla quale la cultura deve aver creato più complessi che maturità. Gamberotto e Buralicchio sono due ricchi, il primo però è un parvenu, grazie a tanto olio di gomito; l’altro probabilmente un nullafacente figlio-di-papà. Ermanno è il (futuro) Nemorino della situazione. Centrate anche le figure dei due domestici-amanti Frontino (che non si capisce dal libretto per quali ragioni sia confidente ed alleato del povero Ermanno) e Rosalia. Appropriati ed intelligenti i movimenti dei 14 coristi maschi, ora impersonanti la servitù di Gamberotto, ora i militari della guarnigione. Tutti i protagonisti sono dotati di lunghi nasi alla Cyrano, dei quali si disferanno platealmente sull’ultimo accordo di SIb maggiore dell’orchestra. 

In definitiva, un allestimento di gran classe (che sembra evocare certi spettacoli di Ponnelle...) che il pubblico ha mostrato di apprezzare assai. E che è auspicabile venga ripreso al ROF negli anni a venire.
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Ma altrettanto se non maggiore apprezzamento è andato alla prestazione musicale, che ha valorizzato in pieno questa partitura colma di cavatine, ariette, concertati e cori con la quale Rossini inaugurò la consuetudine dell’auto-imprestito, sia in... entrata (passaggi dal Demetrio e l’intera Sinfonia, più altri brani, dalla Cambiale); e poi (complice lo stop imposto all’Equivoco dalla censura) in... uscita, verso il vicino Inganno, ma anche verso una mezza dozzina di opere successive.

Le voci mi son parse tutte all’altezza del compito. Una classifica va comunque fatta (e l’ha fatta anche il pubblico con l’applausometro). Io ci metto in cima la Teresa Iervolino, che ha messo in mostra la sua bella voce contraltile, coniugata ad una efficace resa della bizzarra personalità della protagonista.

Poi Davide Luciano, un Buralicchio assai apprezzabile per sonorità e corposità di timbro. Con lui, benissimo l’ormai veterano Paolo Bordogna, una sicurezza assoluta in questi ruoli di buffo (dal 2005 ne ha interpretati qui quasi una dozzina!)

Pavel Kolgatin ha una voce piccola e con un timbro un pò chioccio, ma se l’è cavata più che discretamente, in una parte che non presenta le proverbiali arditezze cui Rossini costringerà i tenori in futuro.

Assai bene anche i due servitori-lenoni Claudia Musco e Manuel Amati. Perfetti i 14 esponenti del Ventidio Basso diretti da Giovanni Farina.

Carlo Rizzi ha guidato con sicurezza la splendida OSN-RAI (menzione speciale per il corno di Giovanni Urso nella Sinfonia). Dal Direttore avrei gradito solo un filino in più di verve nei passaggi più... tranquilli, ecco.

Per tutti applausi a scena aperta dopo (e anche all’interno di) ogni numero e poi finali ovazioni e ripetute chiamate al proscenio.