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30 marzo, 2012

Orchestraverdi – concerto n 26


Ieri è tornato sul podio dell'Auditorium il grande sir Neville Marriner con un programma che spazia su tre secoli di musica.

Si parte infatti dal secolo XX (quasi esattamente 100 anni orsono, peraltro) con Ralph Vaughan-Williams, di cui ascoltiamo la Fantasia su un tema di Thomas Tallis. Tallis fu un musicista rinascimentale (1500) che fra l'altro compose 9 salmi per l'arcivescovo Matthew Parker, di cui il terzo (Why Fum'th In Fight) è stato preso da RVW come base per la sua fantasia, composta dopo una proficua residenza a Parigi per… sciacquare i panni chèz-Ravel

L'Autore prescrive di distribuire le parti su tre diversi complessi, esclusivamente formati da archi: due orchestre, una corposa, l'altra smagrita (di soli 9 elementi: 2+2+2+2+1) e il classico quartetto (violini I-II, viola e violoncello). La cosa ha un senso pratico solo se i tre complessi vengono dislocati in posizioni ben diverse, in modo da creare effetti eco-stereo come quelli che si hanno in chiesa quando i cori vi cantano le antifone… altrimenti la suddivisione serve a ben poco. E in effetti la prima della Fantasia fu eseguita nella cattedrale di Gloucester, nel 1910, in occasione di un celebre festival.
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La melodia originale è in modo frigio (la scala che parte dal MI, in pratica, e percorre i tasti bianchi) che secondo gli antichi greci era il modo collerico (non per nulla melodie frigie venivano suonate per dar la carica ai soldati in battaglia!) che ben supporta il testo di Tallis, che tratta di guerre e odio. Consta di 20 battute, suddivise in 4 (quanti sono i versi del salmo) sezioni di 5:

Vaughan la presenta trasposta sulla tonica di SOL (minore-maggiore) e impiega soprattutto le linee melodiche di soprano e tenore (1° e 3° rigo). Mirabile l'uso del contrappunto per creare atmosfere armoniche continuamente cangianti, dal modo frigio al minore e maggiore del SOL, quindi mescolando intelligentemente stilemi musicali antichi con moderni. 

In tempo Largo, sostenuto, già alla quarta battuta - dopo i cinque accordi iniziali e il RE in unisono - viole, violoncelli e contrabbassi presentano in pizzicato il primo frammento del tenore, e subito dopo la chiusa del primo verso:

Poco più avanti ecco motivi ricavati dal terzo verso e dal quarto, fino alla conclusione in maggiore:

Quindi l'esposizione dei temi continua con l'insieme degli strumenti e con arpeggi in semicrome dei secondi violini. 

Poi si distinguono tre episodi: nel primo (Largamente) sono le due orchestre che si fronteggiano con domande-risposte; nel secondo (Poco più animato) è la viola solista ad esporre la melodia, subito seguita dal violino e poi dagli altri due strumenti solisti, contrappuntati dalle due orchestre; quindi un terzo episodio, assai lungo (Ancora più animato) di cui è protagonista il quartetto dei solisti supportato dall'orchestra da camera e poi anche dalla principale, fino a sfociare in un tutti

Improvvisamente il tempo rallenta, con quattro battute in Molto adagio. Poi ancora violino e quindi viola solisti, sul Tempo del principio, ripropongono il tema, con sommessi interventi delle orchestre.

Infine la coda, col suono che subisce una progressiva rarefazione, sia nel tempo (Molto ritardando) che nel volume, fino al conclusivo accordo (in pppp) di SOL maggiore.
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Intanto, come ha disposto le orchestre Marriner? Allora, la seconda è stata dislocata sul fondo (area solitamente occupata dalle percussioni): contrabbasso al centro, a sinistra (per l'osservatore) i quattro violini (2 primi e 2 secondi) e a destra i 2 violoncelli e le 2 viole; l'orchestra principale disposta secondo tradizione moderna; i solisti del quartetto erano in realtà le prime parti dell'orchestra principale. Tutto sommato mi è parsa una scelta più che opportuna ed efficace.

Il pubblico, abbastanza folto anche se non proprio oceanico, ha mostrato di gradire quest'opera interessante certo, ma che si può definire un capolavoro solo se si restringe il campo alla perfida albione (smile!

Poi si fa un salto indietro di 2 secoli (in realtà di circa 120 anni) con il Quarto Concerto per corno di Mozart. Che si è scoperto essere per la verità il secondo in ordine di composizione (ma son problemi di scarsa rilevanza) dato che la numerazione di Köchel era imprecisa al proposito.

È il residente Radovan Vlatkovic a proporlo – dopo il Terzo eseguito un paio di mesi orsono - come sempre con grande sfoggio di virtuosismo e maestrìa. Qui lo vediamo impegnato qualche anno fa (ancora imberbe) in una specie di kermesse estiva pugliese, con contrappunto di gaie vocine da scuola materna (!)

Anche ieri prestazione di altissimo livello, accolta da ovazioni e scroscianti applausi, inclusi – ed è proprio una bella cosa – quelli del primo corno scaligero, Danilo Stagni, presente in platea e salito poi nel retropalco per salutare e – immagino – felicitare il virtuoso croato. 

Che ha concesso un bis collegiale (Reicha) insieme ai due cornisti che lo hanno accompagnato nel concerto.

Chiude la serata l'ottocentesca Scozzese di Mendelssohn. Forse – ma è solo la mia personalissima convinzione – la più ispirata delle cinque sinfonie del ragazzino-di-buona-famiglia nato più di 200 anni fa in quel di Amburgo e poi diventato quasi il re-di-Lipsia, oltre ad aver conquistato – more Handel – anche i cuori albionici. E del resto è anche l'ultima – a dispetto della numerazione – ad essere stata completata, quindi certo la più matura.

È noto come tale Richard Wagner – incallito antisemita – abbia detto e scritto peste e corna del mite Felix, considerato un traditore della… natura, che gli avrebbe dato enormi talenti da lui – in quanto ebreo - regolarmente dissipati (si legga il Das Judenthum in der Musik). 

Epperò quando si trattava di trovare spunti interessanti per le proprie creazioni, ecco che Wagner non esitava a saccheggiare anche la bisaccia dei suoi cosiddetti mostri. E la Terza Sinfonia ne è un eclatante esempio, laddove il suo tema introduttivo fu impiegato da Wagner per costruirci uno dei principali Leit-motive del Ring, quello che si ode all'inizio della quarta scena del second'atto di Walküre, passato alla storia come tema del presagio di morte (che Brünnhilde annuncia a Siegmund):

Mendelssohn trasse lo spunto per la sinfonia da sensazioni e ricordi di un suo viaggio giovanile in Scozia (così come accadde per l'Italiana, ispirata da un soggiorno romano) ma solo quasi al termine della sua breve esistenza vi mise mano con decisione. 

Uno dei punti più alti della sinfonia mi pare essere l'Adagio, che presenta questa sublime melodia:

Il Finale ha una conclusione inaspettata, almeno per Mendelssohn, solitamente poco propenso a gesti di smaccata teatralità (cosa invece normale in Schumann, tanto per dire): l'Allegro vivacissimo, 4/4 tagliato, in LA minore, invece di arrivare ad una prevedibile stretta finale, pare progressivamente arenarsi, fino a spegnersi sulla dominante grave dei violini. Da qui – a velocità più che dimezzata (Allegro maestoso assai, in 6/8) – parte un corale in LA maggiore, tanto enfatico quanto (apparentemente almeno) avulso dal contesto. Che ha peraltro il pregio di dare una chiusura solare ad un'opera su cui aveva imperato un notturno Ossian

Grande prestazione dell'orchestra, clarinetti e corni in primo piano, e trionfo per il Maestro, accolto con il classico pestone ritmato di tutti i professori.

Prossimamente entriamo in clima pasquale con una celebre Passione.

26 marzo, 2012

Strehler va ancora a Nozze alla Scala


Nuovo – e gradito, a giudicare dall'accoglienza del pubblico non oceanico del Piermarini - revival alla Scala di una produzione storica, ma sempre di grande valore e di attualità: Le Nozze di Figaro del sommo Giorgio Strehler, ripresa per l'occasione da Marina Bianchi.

Poi, tanto per non smentire quella che ormai pare una ferrea regola del Teatro, ecco arrivare puntuale la defezione di uno dei protagonisti, Ildebrando D'Arcangelo, sostituito in Figaro da Nicola Ulivieri

Sul podio un ragazzino - si fa per dire, a 25 anni è incallito fumatore di sigaro e ha un curriculum impressionante, avendo già diretto oltremodo (sic!) la metà delle orchestre del pianeta - Andrea Battistoni da Verona: pare entri nel guinness come il più giovane direttore mai salito sul podio scaligero, beato lui… Forse perché invidiosi di questo primato, i loggionisti del lato destro gli hanno tributato, all'uscita singola finale, una salva di buh (unici della serata, in mezzo ad applausi non isterici, ma robusti). A me, che lo sentivo-vedevo per la prima volta, è parso assai sicuro di sè e per nulla sprovveduto; ha un piglio toscaniniano (vedi l'Ouverture, che ha diretto - non saprei se giudicarlo un pregio o un difetto – battendo il Presto in 4! certo molto diverso dalla compostezza di questo Levine) e persino il gesto (l'ampia sbracciata in chiusura di battuta) ricorda quello del Toscanini che si vede in tanti filmati d'epoca. 
In più ha diretto a memoria (salvo qualche pagina di partitura che ha sfogliato nel terzo atto) il che è comunque un segno di applicazione e di studio. Per lui devono aver fatto un'eccezione persino i famigerati corni filarmonici, con attacchi precisi e assenza di stecche o stonature, il che non è poco. E comunque lui ha almeno cinque anni di tempo davanti a sé per raggiungere (infallibilmente) l'età di altri colleghi che qualcuno fa già passare per fenomeni. Perciò… auguri.

Detto del Kindlein-Kapellmeister, buone notizie dal cast, a cominciare proprio da Nicola Ulivieri, che non ha fatto rimpiangere il forfait-tario D'Arcangelo. Ancor meglio di lui la Contessa, Dorothea Roschmann, che ha tuttora una bella voce e gran recitazione. Su un livello più che dignitoso il Conte di Fabio Capitanucci e la Susanna di Aleksandra Kurzak. Il Cherubino di Katija Dragojevic non ha demeritato, pur non destando entusiasmi (almeno nel sottoscritto). Degli altri, al solito bene la Pretty Yende (Barbarina) ma anche apprezzabili la Marcellina di Natalia Gavrilan e il Basilio di Carlo Bosi, gratificati da applausi dopo le rispettive arie sindacali (l'aggettivo è di Massimo Mila, smile!) del quarto atto. Maurizio Muraro come Bartolo, Emanuele Giannino il giudice don Curzio e Davide Pelissero Antonio: tutti all'altezza dei rispettivi compiti da comprimari. Il coro di Casoni, ultimamente parecchio criticato, non mi è sembrato demeritare, anche perché ha un ruolo francamente tutt'altro che tremendo. Alla fine applausi moderati ma convinti per tutti (cui si sono aggiunti i buh per Battistoni).

Dell'allestimento non si può parlar altro che bene, essendo uscito a suo tempo dalle mani e dalla testa di un maestro assoluto del teatro. Io devo dire che mi ero abbastanza divertito mesi fa alla moderna messinscena di Michieletto (alla Fenice); ma qui con Strehler siamo davvero su un altro pianeta. Francamente non so proprio quante delle regie di oggi verranno ancora riprese nel 2040!

23 marzo, 2012

Orchestraverdi – concerto n 25


Ancora Zhang Xian sul podio, e ancora con Beethoven e Mahler.

Ma prima - una sorpresa rispetto alla frugale locandina originale - c'è un saporitissimo antipasto wagneriano, l'Ouverture del Rienzi, terza opera composta dal genio di Lipsia e suo primo grande successo (Dresda, 1842). Un grand-opéra gigantesco (3 ore e mezza abbondanti di musica nella versione tagliata!) in 5 atti e con 4 balletti, cori e fanfare a volontà, che Wagner sperò invano di far rappresentare a Parigi. 

Pare che fosse ascoltando Rienzi che Hitler (ancora ragazzo) avesse l'ispirazione per la sua futura carriera (si dice avesse con sé il manoscritto dell'opera al momento della fine, nel bunker di Berlino…) 

Un'opera che, se la si depura di tutta l'abbondante tara (80% del totale!) lascia affiorare grandi tesori musicali, che non a caso ritroveremo nelle opere e nei drammi successivi del sommo Richard. 

L'Ouverture, come era consuetudine a metà '800, è costruita come un corpo separato dall'Opera, di cui però impiega ed introduce alcuni dei motivi principali.
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Si apre (Molto sostenuto e maestoso) con un'introduzione che contiene tre richiami della trombetta (che si udranno nell'opera poco prima del finale del primo atto e poi anche nel terzo, e infine all'inizio del quinto) inframmezzati da due incisi degli archi bassi e poi dei fiati. Quindi violoncelli e contrabbassi presentano un recitativo che prepara l'esposizione (in violini e violoncelli, in RE maggiore) della stupenda preghiera che il protagonista canterà (in SIb) all'inizio del V Atto, all'avvicinarsi della catastrofe: Du stärktest mich, du gabst mir hohe Kraft, du liehest mir erhabne Eigenschaft:

Il motivo costituito dalle prime due note del tema (tonica-sesta) e dal gruppetto rovesciato che le congiunge, sarà impiegato da Wagner in tutt'altro contesto drammatico, oltre che musicale; precisamente nel Prologo di Götterdämmerung, allorquando ci verrà presentato per la prima volta il Leit-motiv di Brünnhilde adulta: anch'esso sale di una sesta – ma da sottodominante a sopratonica - attraverso il gruppetto (qui notato esplicitamente):
Il motivo della preghiera sfocia in un cupo inciso (che ricorda l'apertura del second'atto di Lohengrin) contenente un tritono e che viene ripetuto più volte ad altezze diverse e da diversi strumenti: 
Esso porta ad una riesposizione enfatica e maestosa del tema della preghiera, nelle trombe, con violini e viole ad abbellirlo e movimentarlo con svolazzanti gruppetti di semicrome-biscrome, che anticipano un procedimento usato nell'Ouverture di Tannhäuser. Ora però il tema sfocia in un tremendo accordo di tutta l'orchestra, seguito da un drammatico rullo di tamburino sul quale ricompare l'inciso minaccioso, pesantissimo, in tromboni e tube, cui risponde il triplice richiamo della tromba. La quale a sua volta introduce una fanfara, ancora in RE maggiore, e poi un motivo preso sempre dal finale del primo atto dell'opera, precisamente dall'introduzione alla scena della nomina di Rienzi a tribuno (Gegrüsst sei, hoher Tag). Ad esso si concatena, in tromboni e oficleide, un nuovo tema (che tornerà poi nel terzo atto, ad accompagnare l'invocazione Santo Spirito Cavaliere!):
Ecco ora una modulazione alla dominante LA maggiore, che prepara il ritorno del tema della preghiera, adesso in tempo Allegro energico, a velocità praticamente doppia rispetto alle precedenti esposizioni (qualcosa di simile Wagner farà nel Vorspiel dei Meistersinger!) Alla conclusione, ancora il motivo del Santo Spirito conduce adesso, sempre in LA maggiore, all'esposizione del tema che costituirà il cardine del resto dell'Ouverture. Viene dal finale secondo dell'opera, dopo che Rienzi ha perdonato i suoi attentatori, e Irene e Adriano ne tessono le lodi (Rienzi, dir sei Preis):
Dopo la prima sua doppia esposizione, orchestrata in modo leggero, cui segue il controsoggetto (ripetuto) e una ripresa assai enfatica del tema, ecco arrivare una specie di sviluppo del Santo Spirito. Ancora il triplice richiamo della tromba e – tornando a RE maggiore – la fanfara del Gegrüsst, che si conclude con caratteristiche quarte ascendenti (come quelle che risentiremo nell'Holländer) e porta alla perorazione del tema di Rienzi (che principia appunto con una quarta) che conduce alla retorica conclusione dell'Ouverture, lasciata peraltro al Santo Spirito Cavaliere.
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Grande la prestazione dell'Orchestra e… originale l'approccio di Xian, che certo è lontana da Thielemann (per dire) quanto Pechino dista da Berlino (smile!) Quindi grande sbrigatività (forse troppa), niente pesantezza né prosopopea, tutto ridotto all'essenziale… insomma un Wagner abbastanza smagrito.

Secondo piatto della serata il Primo concerto di Beethoven, suonato dal nostro Gianluca Cascioli, bravissimo ad esporre con grande sensibilità e tocco magistrale sia i temi marziali del primo movimento, che le parti più intimistiche del Largo e le nervose sferzate del Rondò. Come cadenza dell'iniziale Allegro con brio ha scelto – delle tre scritte da Beethoven – quella di gran lunga più difficile ed impegnativa, che principia così:
Chiude il concerto il ciclo di 5 Lieder mahleriani su testi di Friedrich Rückert, proposti dal 53enne mezzosoprano ungherese Ildikó Komlósi. La locandina giustamente sottotitola da Sette canti, poiché, in origine, a questi 5 (composti fra il 1901 e il 1902 con accompagnamento di pianoforte e successivamente orchestrati – salvo l'ultimo) erano stati aggregati, ai fini di pubblicazione, gli ultimi 2 Lieder composti in precedenza (1899-1900) da Mahler su testi del Wunderhorn (che abbiamo già ascoltato in Auditorium tempo fa). 
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In ordine cronologico di composizione, il primo è Blicke mir nicht in die Lieder! (giugno 1901) una breve canzone di due strofe, che ripetono un tema in FA maggiore seguito da una sezione in minore. Un inciso, sul verso wie ertappt auf böser Tat (e poi su schauen selbst auch nicht zu) richiama da vicino la seconda ricorrenza del verso Gib mir Brot, sonst sterbe ich!, in Das Irdische Leben dal Wunderhorn:
Come si vede, sono idee anche piccole che in Mahler riemergono a distanza di tempo e in contesti del tutto diversi: qui uno scenario piuttosto sereno, là uno di morte! 

Poi abbiamo Ich atmet' einen linden Duft! Forse il più bello del ciclo, con la sua atmosfera sognante, illanguidita dalla celesta e dall’arpa, sul pedale cullante delle crome dei violini. Straordinaria la modulazione dal RE maggiore al MIb, sui versi das Lindenreis brachts du gelinde! E anticipatrice del Lied von der Erde la chiusa, con il SI del flauto che si aggiunge alla triade di RE maggiore suonata da arpa, celesta e legni.  

Quindi il famosissimo Ich bin der Welt abhanden gekommen (agosto 1901) che richiama da vicino l’Adagietto della quasi contemporanea Quinta Sinfonia (quello divenuto famoso in Morte a Venezia di Visconti) sia nella melodia che, soprattutto, nell’accompagnamento con terzine dell’arpa. In compenso qui c'è una parte significativa per il corno inglese (e altre di contorno per oboe, clarinetti, fagotti e corni) che è assente nell'Adagietto, dove tutti i fiati tacciono. Poco prima della conclusione, sull’ultimo verso (in meinem Lieben) spunta anche un inciso che viene chiaramente dal Ruhevoll della Quarta Sinfonia, completata precisamente un anno prima: 
Poi viene Um Mitternacht: qui Mahler prescrive l’oboe d’amore e (a doppiare l’arpa, nella seconda metà dell’ultima strofa) il pianoforte (tacciono invece del tutto gli archi!) È una canzone di cinque strofe, che per quattro e mezza si mantiene in tonalità di LA minore (eccetto una fugacissima apparizione del maggiore nella parte centrale della seconda strofa) presentandoci uno scenario quasi disperato, di buio nel cuore e nell’anima, che si aggiunge a quello profondo e materiale della mezzanotte. Il motivo che sostiene la ricorrente invocazione Um Mitternacht – anticipato già alla seconda battuta dal flauto e alla quarta dall’oboe d’amore - verrà ripreso da Mahler, ad esempio, all’inizio della seconda parte della sua Ottava Sinfonia, per descrivere lo scenario inizialmente cupo – che si aprirà poi verso l’alto – della scena finale del Faust:
L'atmosfera depressa è sottolineata da frequenti scale monotòne discendenti, un po' come quelle che riappariranno, non a caso, in Der Einsame im Herbst.

Poi, in una sola misura, ecco il repentino passaggio ad un luminosissimo LA maggiore, sulle parole (hab' ich die) Macht in deine Hand gegeben! nelle mani del Signore di morte e vita viene riposta la forza dell'Uomo: 
   
Arpa e pianoforte aggiungono un'aura celestiale allo sfarzo degli ottoni, che porta all'enfatica e positiva conclusione.

Infine Liebst du um Schönheit. Composto un anno dopo gli altri quattro (1902) non fu mai da Mahler orchestrato e la versione per orchestra si deve a tale Max Puttmann, uno che lavorava per l’editore Kahnt. Il che – secondo i musicologi - spiegherebbe certe bizzarrie che Mahler non avrebbe mai commesso. La giovane e bella Alma – allora era da pochi mesi divenuta sua moglie - narra nelle sue memorie che Mahler le fece trovare il manoscritto del Lied dentro la partitura del Siegfried, che lei era solita scorrere: si trattò davvero di una originale dichiarazione d’amore.

Anche qui è interessante la chiusa, con la voce che si ferma sulla sesta (il LA) proprio a creare una specie di sospensione... eterna (sull'avverbio immerdar, eternamente, appunto) anticipando un procedimento che Mahler impiegherà estensivamente in Das Lied von der Erde
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Non avendo Mahler imposto una sequenza precisa ai canti, ogni interprete (che può essere indifferentemente un mezzo, come qui, o anche un baritono) è autorizzato a sceglierne l'ordine di presentazione. La Komlósi invece li ha presentati precisamente nello stesso ordine in cui Mahler li compose. 

Purtroppo una prestazione vocale, la sua, insoddisfacente (a parer mio, s'intende): chiare difficoltà d'intonazione, voce poco udibile nell'ottava bassa e tendente all'urlo in alto. In più, una pronuncia che credo farà sorridere un crucco… Peccato, perché l'orchestra (in configurazione sempre diversa per ogni canzone) l'ha accompagnata al meglio. Comunque gli applausi non sono mancati. 

Prossimamente il venerabile sir Neville Marriner con un programma… scozzese.

19 marzo, 2012

Una Bolena “alternativa” al Maggio fiorentino


Oggi non vorrei proprio essere nei panni di un orchestrale del MMF. Perché mi sentirei di avere sulla coscienza, con lo sciopero per la seconda di Anna Bolena, almeno tre spettacolari risultati:

1. Aver certificato coram-populo la verticale spaccatura sindacale all'interno delle maestranze del Teatro, divise fra scioperanti (gli orchestrali, appunto) e krumiri (masse tecniche e coro);

2. Aver consegnato su un piatto d'argento alla Sovrintendente Colombo (presentatasi al pubblico prima dell'inizio ed accolta da pochi vergogna! e molti più applausi) l'occasione per trasformarsi, da principale responsabile del dissesto in cui versa il Teatro, a salvatrice della patria, essendo riuscita nonostante tutto a regalare, a centinaia e centinaia di persone venute da ogni dove, la rappresentazione della Bolena (non Anna, ma Mariella!);

3. Aver dato a tutto il mondo la dimostrazione pratica che il MMF è perfettamente in grado di allestire spettacoli dall'esito trionfale pur facendo a meno dell'orchestra!

Come masochismo, si son toccati davvero i vertici!

Per dare un'idea della voglia di opera (e di Devia) che animava il pubblico, basterà dire che era data a tutti la possibilità di assistere al primo atto e poi di andarsene a casa facendosi rimborsare il biglietto. Bene, non un solo spettatore ha deciso di approfittare di questa possibilità, almeno a giudicare dal pienone mantenutosi fino alla fine della recita.

Buca quasi deserta (sui leggii ancora le parti aperte sull'ultima pagina, da giovedi scorso, evidentemente) con il solo pianoforte di Andrea Severi impegnato nel massacrante lavoro di accompagnare il canto per più di tre ore filate. Sul podio un sostituto di Roberto Abbado, Andriy Yurkevych, a dare con buona efficacia gli attacchi a Severi e ai cantanti sul palco.

La regìa di Graham Vick è assolutamente tradizionale: sia nelle scene e costumi, che nei movimenti (o immobilità, smile!) dei personaggi. Solo qualche sesquipedale esagerazione, come i giganteschi cavalli che reggono le chiappe di Enrico e Anna nella scena della caccia, o l'enorme corona di spine che campeggia nel primo atto, o la durlindana di 10 metri che cala dall'alto, una copia in scala normale della quale viene consegnata da Enrico a tale Jean Rombaud, spadaccino francese specializzato in decollazioni a garanzia totale (soddisfatti o… ri-collati). 

Per difendere le sue scelte registiche, Vick non esita a pontificare, sul programma di sala: Non si può mica fare un Enrico VIII nazista! Come non concordare… ma verrebbe da chiedergli perché allora si possa invece fare un Mosè terrorista, come quello che lui medesimo ci ha propinato l'estate scorsa al ROF!

Che dire del Cast? La Sonia Ganassi ha i suoi limiti, ma è anche sufficientemente smaliziata per mascherarli al meglio. Per lei ovazioni dopo Ah! Pensate che rivolti terra e cielo, chiusa dal SI naturale.

Josè Maria Lo Monaco è uno Smeton appena discreto, con voce scarsina. Così pure Konstantin Gorny nei panni di Rochefort. 

Shalva Mukeria impersona un dignitoso Percy: voce leggera ma bene impostata e acuti squillanti, DO incluso.

Roberto Scandiuzzi se la cava alla bell'e meglio come Enrico, e più per la presenza scenica che per il canto.

Luca Casalin è un onesto Hervey.

Buona la prova del coro di Piero Monti.

Ma va da sé che la mattatrice è lei, Mariella Devia. Già dopo Non v'ha sguardo e il MIb sovracuto che la chiude ci sono per lei 10 minuti di applausi, che dico, di delirio, mentre in scena è rimasta solo la Ganassi, che si sbraccia per richiamarla fuori, finquando lei finalmente torna per un supplemento di ovazioni. Alla fine, dopo Al cospetto d'un Dio pietà (sul cui MIb sovracuto qui si chiude l'opera, tagliando i commenti finali degli astanti) il trionfo è davvero senza precedenti, una cosa proprio da stadio. E dopo innumerevoli chiamate per tutti, l'ultima levata di sipario è per lei sola, che saluta e scappa via – immagino – con le lacrime agli occhi.

16 marzo, 2012

Una questione di coscienza…


Premetto che parlo da egoista.

Ho da tempo (precisamente dal primo minuto secondo in cui sono state aperte le vendite online) acquistato un biglietto per questa Anna Bolena. Confesso, cospargendomi il capo di tutta la cenere del rogo del Wahlall: mai ancora l'ho ascoltata dal vivo. 

Avevo già da tempo in mente la mia domenica 18 aprile, 2012: preparativi a casa, metropolitana, poi treno (acquistato biglietto con settimane di anticipo, per sfruttare la tariffa mini, praticamente non rimborsabile) sbarco a SMN, passeggiata in centro, lampredotto di ordinanza, e poi… una comoda poltrona del comunale per godermi finalmente questo capolavoro (così dicono…) del mio quasi-conterraneo Gaetano.

In questo momento - sto per dare il click sul bottone publish della platform che mi ospita - tutto il mio castello di carte sembra stia per crollare miseramente al suolo. Perché? 

Perché agli uomini e alle donne che lavorano per rendere possibile questo - come tutti gli altri – spettacoli del Maggio viene prospettato un futuro di lacrime e sangue, o direttamente un non-futuro. E questi uomini e queste donne intendono far di tutto per scongiurarlo, ne va delle loro esistenze – hai detto nulla - prima ancora che della loro nobile professione.
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Mi verrebbe spontaneo obiettare con considerazioni fredde, asettiche, contabili, che uno sciopero ha senso solo se danneggia principalmente il padrone, e non se danneggia esclusivamente i clienti affezionati al prodotto che (tramite quel magari indegno padrone) viene messo sul mercato. E che invece questo sciopero colpisce esclusivamente proprio quegli uomini e quelle donne che più sono affezionati al prodotto e a chi lo confeziona con amore e fatica, avendo magari contemporaneamente in disprezzo i padroni che su quel lavoro si limitano a lucrare immeritati profitti. 
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Qualcuno ha già pubblicato altri appelli, a cui mi sento di aggiungere la mia modestissima voce. In gioco non è solo una recita, per quanto importante, ma il futuro di tutti coloro che traggono linfa vitale da questa straordinaria manifestazione della nostra cultura tout cour, prima ancora che della nostra civiltà.

Ma lo ripeto, scusatemi: sono solo un misero egoista.

Orchestraverdi – concerto n 24


Riecco sul podio dell'Auditorium la Direttora Zhang Xian, per proporci un concerto incentrato su Beethoven e Mahler.

L'antipasto però è di Weber, a incastonare così in un sandwich proto-tardo-romantico il più classico dei Beethoven: con l'Ouverture dell'Oberon, che è purtroppo l'unica porzione che ancora si ascolta di quest'opera, visto l'oblio in cui è caduta. È diventato ormai luogo comune definire il richiamo del corno in RE, proprio nella prima battuta, come il simbolo del romanticismo musicale (anche se Weber aveva già nel suo curriculum Euryanthe e Freischütz, mica noccioline):
Ed in effetti quelle tre piccole note rievocano da sole immagini ossianiche e visioni di boschi misteriosi e di arcane presenze (in Mahler di corni avremo un'indigestione!) Poi l'ouverture sciorina tutte le sue perle, in un susseguirsi di motivi – lenti e rapidissimi - uno più trascinante dell'altro. 

Bravissima la Xian, che forza assai i contrasti, fra i passaggi con le vertiginose semicrome e quelli, dolci, dove mette in gran risalto i risvolti più languidi e cantabili. Esecuzione davvero esemplare. 

Poi arriva un'altra cinesina (anzi, cinesona dovremmo dire, in confronto alla minuscola Zhang) Jin Ju, ad interpretare il Terzo Concerto del sommo Ludwig. Dico, fra due cinesi potrebbe mancare un'intesa men che perfetta? La simpatica Jin – in lungo scarlatto - dimostra di possedere una maturità e una serietà professionale invidiabili (al confronto di certi suoi colleghi connazionali, smile!) affrontando questo impervio Beethoven con sicurezza, ma anche con umiltà, senza strafare o cercare di imbonire il pubblico con la vuota retorica del gesto. Ne esce un'interpretazione magari non sbudellante, ma più che dignitosa, di quest'opera che rappresenta l'entrata di Beethoven nella sua piena maturità artistica. Particolarmente riuscito il centrale Largo, di cui la Ju ha saputo tirar fuori tutta la grande cantabilità. Bis patriottico strappa-applausi. 

Das Klagende Lied di Mahler è opera scarsamente conosciuta e più ancora scarsamente suonata, sovrastata com'è dalle inflazionate sinfonie ed anche dai Lieder del boemo. Che aveva solo 19 anni quando compose questa specie di cantata – costruendone personalmente il testo, da Ludwig Bechstein e altri racconti - presentata ad un concorso viennese (intitolato a Beethoven, appunto). Concorso che per sfortuna di Mahler vedeva fra i giudici la premiata coppia Brahms-Hanslick, che di fronte a questo velleitario intruglio pseudo-wagneriano (ciò pensava la coppia dei puristi…) non esitò ad esprimere un inappellabile pollice-verso. Ed effettivamente anche un fanatico di Mahler farà fatica a definirlo un capolavoro. Però ci si intravede chiaramente il DNA del compositore, che ritroveremo praticamente in tutta la sua successiva produzione, fino alle estreme opere scritte sulla soglia dell'aldilà. Solo a mo' di citazione a caso: l'incipit del Dies-irae, che troveremo nella Seconda, un inciso che tornerà nel finale della Prima; un motivo che anticipa i Fahrenden Gesellen (e da qui, ancora la Prima); una chiara anticipazione di O mensch, della Terza; motivi che troveremo nel Lied von der Erde e uno che aprirà nientemeno che la Nona!

Qui si esegue la versione cosiddetta definitiva, licenziata da Mahler a 10 anni di distanza dalla prima, che comprende le ultime due delle tre parti in cui la cantata era originariamente strutturata. In termini di durata, ciò significa: meno di 40 minuti, a fronte di più di 65! Effettivamente l'espunzione della Waldmärchen (la fiaba del bosco) si giustifica a causa della sua prolissità e della sua prevalente monotonia, anche se vi compaiono i principali temi che poi riudiamo nelle due parti rimaste (il menestrello e scena di nozze). Oggi anche la prima parte è tornata alla luce – un po' come è successo per il Blumine della Prima Sinfonia - ed è stata incisa varie volte, qui da Boulez

Una caratteristica tecnica della partitura risiede nella prescrizione di Mahler di affiancare all'orchestra principale una seconda orchestra, più ridotta, ma pur sempre consistente (15 fiati, più timpani, piatti e triangolo) disposta in lontananza, dovendo sottolineare – nella seconda parte della cantata - la festa di nozze che sta avendo luogo all'interno di un castello, e i cui suoni dovremmo sentire come attutiti. Ecco, Mahler, anziché usare gli strumenti in orchestra facendoli suonare piano (per simulare la distanza da cui provengono i suoni) richiede di disporre l'orchestrina in lontananza, facendola però suonare fortissimo, in modo da creare l'effetto più realistico possibile. Qui in auditorium la cosa è ottenuta dislocando questa orchestrina nell'atrio, proprio dietro la sala, e mettendola sotto la guida di Jader Bignamini. Mahler non è certo stato il primo ad inventare queste tecniche di esecuzione stereofonica (basti pensare alle tre orchestrine del DonGiovanni) ma ha fatto di esse uso anche in altre occasioni (Seconda e Ottava sinfonia, soprattutto, ma anche altrove). A testimonianza della natura fondamentalmente teatrale della sua musica. 

Anche se il contenuto della cantata presenta dei personaggi - il menestrello, la regina, il re - i tre solisti (qui Natalie Karl, soprano, Maria José Montiel, contralto e Dominik Vortig, tenore) cantano come voci narranti – col concorso anche del coro - la triste storia del giovane cavaliere ucciso dal fratello (che gli ha così soffiato la mano della bella regina per diventare re) e un osso del di cui scheletro, trovato da un menestrello e usato come zufolo, racconta la tragica storia. Il menestrello va alla festa di nozze, e il flauto suona la sua storia, così la verità viene a galla: il re resta scornato, la regina stramazza, gli invitati fuggono inorriditi, le mura del castello crollano, il buio inonda la sala… e così finisce il banchetto di nozze, su un tremendo accordo di LA minore! 

Era questo l'esordio de laVerdi con l'opera-prima di Mahler: forse qualcosa da mettere a punto c'è ancora, e sicuramente i prossimi due concerti saranno l'occasione per farlo. Comunque grande successo per tutti - Xian, Gambarini, Bignamini, i solisti, il coro e l'orchestra – e meritato davvero poiché trattasi di un lavoro per nulla facile.

Il prossimo appuntamento ripete gli stessi autori, e sempre con Zhang Xian.