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16 marzo, 2012

Orchestraverdi – concerto n 24


Riecco sul podio dell'Auditorium la Direttora Zhang Xian, per proporci un concerto incentrato su Beethoven e Mahler.

L'antipasto però è di Weber, a incastonare così in un sandwich proto-tardo-romantico il più classico dei Beethoven: con l'Ouverture dell'Oberon, che è purtroppo l'unica porzione che ancora si ascolta di quest'opera, visto l'oblio in cui è caduta. È diventato ormai luogo comune definire il richiamo del corno in RE, proprio nella prima battuta, come il simbolo del romanticismo musicale (anche se Weber aveva già nel suo curriculum Euryanthe e Freischütz, mica noccioline):
Ed in effetti quelle tre piccole note rievocano da sole immagini ossianiche e visioni di boschi misteriosi e di arcane presenze (in Mahler di corni avremo un'indigestione!) Poi l'ouverture sciorina tutte le sue perle, in un susseguirsi di motivi – lenti e rapidissimi - uno più trascinante dell'altro. 

Bravissima la Xian, che forza assai i contrasti, fra i passaggi con le vertiginose semicrome e quelli, dolci, dove mette in gran risalto i risvolti più languidi e cantabili. Esecuzione davvero esemplare. 

Poi arriva un'altra cinesina (anzi, cinesona dovremmo dire, in confronto alla minuscola Zhang) Jin Ju, ad interpretare il Terzo Concerto del sommo Ludwig. Dico, fra due cinesi potrebbe mancare un'intesa men che perfetta? La simpatica Jin – in lungo scarlatto - dimostra di possedere una maturità e una serietà professionale invidiabili (al confronto di certi suoi colleghi connazionali, smile!) affrontando questo impervio Beethoven con sicurezza, ma anche con umiltà, senza strafare o cercare di imbonire il pubblico con la vuota retorica del gesto. Ne esce un'interpretazione magari non sbudellante, ma più che dignitosa, di quest'opera che rappresenta l'entrata di Beethoven nella sua piena maturità artistica. Particolarmente riuscito il centrale Largo, di cui la Ju ha saputo tirar fuori tutta la grande cantabilità. Bis patriottico strappa-applausi. 

Das Klagende Lied di Mahler è opera scarsamente conosciuta e più ancora scarsamente suonata, sovrastata com'è dalle inflazionate sinfonie ed anche dai Lieder del boemo. Che aveva solo 19 anni quando compose questa specie di cantata – costruendone personalmente il testo, da Ludwig Bechstein e altri racconti - presentata ad un concorso viennese (intitolato a Beethoven, appunto). Concorso che per sfortuna di Mahler vedeva fra i giudici la premiata coppia Brahms-Hanslick, che di fronte a questo velleitario intruglio pseudo-wagneriano (ciò pensava la coppia dei puristi…) non esitò ad esprimere un inappellabile pollice-verso. Ed effettivamente anche un fanatico di Mahler farà fatica a definirlo un capolavoro. Però ci si intravede chiaramente il DNA del compositore, che ritroveremo praticamente in tutta la sua successiva produzione, fino alle estreme opere scritte sulla soglia dell'aldilà. Solo a mo' di citazione a caso: l'incipit del Dies-irae, che troveremo nella Seconda, un inciso che tornerà nel finale della Prima; un motivo che anticipa i Fahrenden Gesellen (e da qui, ancora la Prima); una chiara anticipazione di O mensch, della Terza; motivi che troveremo nel Lied von der Erde e uno che aprirà nientemeno che la Nona!

Qui si esegue la versione cosiddetta definitiva, licenziata da Mahler a 10 anni di distanza dalla prima, che comprende le ultime due delle tre parti in cui la cantata era originariamente strutturata. In termini di durata, ciò significa: meno di 40 minuti, a fronte di più di 65! Effettivamente l'espunzione della Waldmärchen (la fiaba del bosco) si giustifica a causa della sua prolissità e della sua prevalente monotonia, anche se vi compaiono i principali temi che poi riudiamo nelle due parti rimaste (il menestrello e scena di nozze). Oggi anche la prima parte è tornata alla luce – un po' come è successo per il Blumine della Prima Sinfonia - ed è stata incisa varie volte, qui da Boulez

Una caratteristica tecnica della partitura risiede nella prescrizione di Mahler di affiancare all'orchestra principale una seconda orchestra, più ridotta, ma pur sempre consistente (15 fiati, più timpani, piatti e triangolo) disposta in lontananza, dovendo sottolineare – nella seconda parte della cantata - la festa di nozze che sta avendo luogo all'interno di un castello, e i cui suoni dovremmo sentire come attutiti. Ecco, Mahler, anziché usare gli strumenti in orchestra facendoli suonare piano (per simulare la distanza da cui provengono i suoni) richiede di disporre l'orchestrina in lontananza, facendola però suonare fortissimo, in modo da creare l'effetto più realistico possibile. Qui in auditorium la cosa è ottenuta dislocando questa orchestrina nell'atrio, proprio dietro la sala, e mettendola sotto la guida di Jader Bignamini. Mahler non è certo stato il primo ad inventare queste tecniche di esecuzione stereofonica (basti pensare alle tre orchestrine del DonGiovanni) ma ha fatto di esse uso anche in altre occasioni (Seconda e Ottava sinfonia, soprattutto, ma anche altrove). A testimonianza della natura fondamentalmente teatrale della sua musica. 

Anche se il contenuto della cantata presenta dei personaggi - il menestrello, la regina, il re - i tre solisti (qui Natalie Karl, soprano, Maria José Montiel, contralto e Dominik Vortig, tenore) cantano come voci narranti – col concorso anche del coro - la triste storia del giovane cavaliere ucciso dal fratello (che gli ha così soffiato la mano della bella regina per diventare re) e un osso del di cui scheletro, trovato da un menestrello e usato come zufolo, racconta la tragica storia. Il menestrello va alla festa di nozze, e il flauto suona la sua storia, così la verità viene a galla: il re resta scornato, la regina stramazza, gli invitati fuggono inorriditi, le mura del castello crollano, il buio inonda la sala… e così finisce il banchetto di nozze, su un tremendo accordo di LA minore! 

Era questo l'esordio de laVerdi con l'opera-prima di Mahler: forse qualcosa da mettere a punto c'è ancora, e sicuramente i prossimi due concerti saranno l'occasione per farlo. Comunque grande successo per tutti - Xian, Gambarini, Bignamini, i solisti, il coro e l'orchestra – e meritato davvero poiché trattasi di un lavoro per nulla facile.

Il prossimo appuntamento ripete gli stessi autori, e sempre con Zhang Xian.

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