trump-zelensky

quattro chiacchiere al petrus-bar
Visualizzazione post con etichetta ceccato. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta ceccato. Mostra tutti i post

21 febbraio, 2014

Orchestraverdi – Concerto n°22

 

Aldo Ceccato, fresco-fresco di compleanno (sono 80 e davvero non li dimostra!) torna anche in questa stagione sul podio de laVerdi. Ma non per dirigervi il suo adorato Dvorak (chissà se finirà mai il ciclo delle sinfonie…) bensì l’altrettanto amato Ciajkovski.

Programma fin troppo corposo (qui si rischia davvero l’indigestione, anzi - per dirla con Hanslick - l’ubriacatura da vodka, smile!) con tre pezzi davvero impegnativi per tutti: suonatori, direttore e… pubblico.

Apre la serata Romeo e Giulietta, un pezzo che l’Orchestra conosce praticamente a memoria. Ovviamente (si fa per dire…) trattasi dell’ultima versione dell’opera, del 1880, licenziata dall’Autore 11 anni dopo la prima e 10 dopo la radicale revisione seguita alle critiche di Balakirev. In questa, dell’originale Ciajkovski tenne buoni i due temi principali: la guerra Montecchi-Capuleti e l’amore Giulietta-Romeo. Sostituì invece il corale di ingresso (che si può ricondurre a Frate Lorenzo) con un altro che vagamente si richiama al tema dell’amore (con il quale si… sposa proprio alla fine) e arricchì il brano di più contrappunto fra i temi principali. Nella versione del 1880 venne ristrutturato solo il finale.
___
A dispetto dell’indicazione del titolo (Fantasia) l’Ouverture si può (più o meno arbitrariamente) ricondurre ad uno schema di forma-sonata: una lunga introduzione, poi l’esposizione dei due temi principali (tonalità di SI minore e REb maggiore); un breve sviluppo, basato sul primo tema e su quello dell’introduzione; la ripresa, dove il secondo tema si adegua al primo (RE maggiore); e una coda che chiude sulla tonalità del primo tema. 

Come detto, una delle differenze sostanziali fra le due versioni è il corale introduttivo, come si può notare a prima vista:
Nello specchietto qui sotto ho (parecchio!) sintetizzato la struttura delle due versioni (1 e 3) indicando le rispettive battute musicali e la successione dei temi. Le colonne estreme rappresentano i tempi di esecuzione, come dedotti dalle interpretazioni di Geoffrey Simon e di ValeryGergiev, accessibili sul tubo.


Come si può notare (ovviamente più all’ascolto che dalla tabella!) a parte la maggior lunghezza (il che vuol dire poco e nulla) la versione definitiva mostra tutta la sua maturità rispetto alla sorella più anziana, opera di un Ciajkovski più acerbo, anche se forse più spontaneo (quindi anche… ingenuo?) ed esuberante.
___
Ceccato, accolto da un lungo applauso all’ingresso, e poi da un altro - seguito ad un auguri! emerso dalla platea quando già stava dando l’attacco – non ci ha fatto mancare proprio nulla delle preziosità di questa partitura, perfettamente assecondato dai ragazzi.
___     
A seguire la Mozartiana (ultima delle quattro Suite) già eseguita qui tempo fa dalla Xian. Pezzo quasi di circostanza (l’anniversario del Don) non è certo da catalogare fra le vette della produzione del russo, anche se non vi manca la maestrìa e la grazia. Però (parere mio) Mozart è meglio valorizzato da Ciajkovski nelle Rococò… 

In ogni caso è l’occasione per far fare un figurone alle prime parti dell’Orchestra, chiamate ad interventi solistici di gran pregio.
___   
Chiude questa interminabile kermesse ciajkovskiana quella che io considero essere la più insincera delle opere del russo: la Quarta sinfonia. Voglio spiegarmi: l’appellativo di insincera non va riferito tanto al compositore (che quando compone non è né sincero, né insincero, semplicemente – e più o meno felicemente – ispirato) quanto a tutto l’alone di cui quest’opera è stata circondata da un’agiografia da strapazzo: il Ciajkovski distrutto, nichilista e sull’orlo del suicidio, che avrebbe riversato tutte le sue turbe esistenziali nella sinfonia. Penso invece che si tratti più semplicemente di un’ispirazione pedantemente e velleitariamente tardo-romantica, per non dire decadente. Discorso analogo (per me, almeno) vale per la Sesta di Mahler, tanto per intenderci. E proprio come accadrà al boemo (sentire parecchi anni più tardi proprio nella carne i morsi della dura realtà immaginati in tempi di vacche grasse) anche per Ciajkovski il momento del vero redde-rationem con il destino che bussa alla porta arrivò ben 15 anni dopo, e la Patetica (quella sì, come la Nona di Mahler) fu testimone della ineluttabile chiamata.

Ceccato qui ha – lo dico con la più grande simpatia! – abbastanza gigioneggiato, calcando la mano su un materiale già di per sé zeppo di enfasi e di retorica. E proprio il primo movimento è stato quello più penalizzato (selon moi…) da un approccio francamente troppo ricco di prosopopea e di affettazione. Ci sono stati anche momenti pregevoli, soprattutto la resa delle parti più… intimiste dell’opera, ad esempio quelle dove sono protagonisti gli archi, inclusa la sezione in pizzicato del terzo tempo. Poi il travolgente finale ha come sempre trascinato il pubblico all’entusiasmo.

Beh, come compleanno credo che il buon Aldo se lo sia passato bene; e poi ha anche fatto lui un bel regalo all’Orchestra, dirigendo a-gratis!    

01 giugno, 2013

Orchestraverdi – concerto n.36


Aldo Ceccato continua la sua presentazione a ritroso delle Sinfonie di Dvorak: siamo arrivati al sesto appuntamento, quindi alla… Quarta.

Le prime quattro sinfonie erano state dall’Autore tenute nel cassetto e nemmeno destinate alla pubblicazione (avvenuta postuma) perché considerate poco più che degli studi, primi tentativi di affrontare un genere impegnativo come quello sinfonico. Probabilmente influì su questa decisione anche l’esempio di Brahms, che solo dopo infiniti tergiversare si era deciso al gran passo. E infatti ben quattro delle ultime cinque sinfonie di Dvorak verranno composte dopo l’esordio sulla scena sinfonica dell’amico e protettore amburghese. 

Questa Quarta però mostra ancora e chiaramente l’influsso wagneriano e bruckneriano (che poi si disperderà, proprio in conseguenza del rafforzarsi del sodalizio di Dvorak con l’anti-Wagner-Bruckner istituzionale) e anche un certo tasso di enfasi e di affettazione. Ne è prova lampante l’impiego dei timpani, una sorta di obbligato: salvo pochi momenti di quiete (soprattutto nel secondo movimento) non fanno che imperversare in modo invadente, tanto che lo strumentista addetto è probabilmente il più impegnato fra tutti i suoi colleghi!
___
L’iniziale Allegro in RE minore, in 3/4, è strettamente strutturato in forma-sonata. Su un sommesso pedale degli archi, sospeso fra tonica e sensibile, i legni espongono un’introduzione marziale (che dal RE minore fa una divagazione al FA maggiore) prima di dare spazio al tema principale (Grandioso) canonicamente di piglio maschio ed eroico:

Tema che sfocia in una conclusione simile a quella dell’introduzione, ma qui in LA maggiore Da dove si modula verso il secondo tema che, sempre nel rispetto delle regole codificate fin dai tempi di Haydn, è elegiaco e cantabile, in SIb maggiore:

Il tema svaria al FA maggiore, poi viene reiterato con maggiore cipiglio (e un’ottava più in alto, come da consuetudine!) in SIb e chiude modulando abbastanza arditamente sul MI, dominante di LA. A proposito di regole, l’esposizione prevede anche il segno di da-capo per il classico ritornello: in questo caso il LA serve a preparare il ritorno al RE minore per la ripetizione. Al secondo passaggio, inizio dello sviluppo, riudiamo l’inciso marziale dell’introduzione che dal MI si sposta a DO#, poi a FA#, per modulare ulteriormente al SI maggiore (!) dove ritroviamo direttamente il secondo tema, che nello sviluppo la fa da padrone, contrapponendosi, più che al primo tema, al motivo marziale dell’introduzione. Nella ricapitolazione riudiamo il primo tema assai sviluppato e modulante (soprattutto su LA) e il secondo che ricompare canonicamente trasposto nel modo maggiore della tonalità d’impianto. È ancora il primo tema a riprendere i sopravvento e a chiudere enfaticamente, dopo un ritorno dell’inciso marziale, il movimento.

L’Andante sostenuto e molto cantabile si apre con… Tannhäuser (contrappuntato da Bruckner!) È comunque il movimento più ispirato della sinfonia, con le sue atmosfere cullanti, che sfociano nella bellissima cadenza finale.

Lo Scherzo (Allegro feroce, RE minore) è il movimento che ha reso (relativamente famosa) la Sinfonia, ma è anche il più enfatico ed affettato: è il 6/4 ma dopo l’esposizione iniziale:

il tema torna in RE maggiore con un ritmo binario, marziale, e con gli schianti sul tempo debole, invero pacchiani.

Il Trio (DO maggiore, 2/4) ha un tema se possibile ancora più dozzinale e fracassone:


Poi ha un ripiegamento più intimistico, prima di sfociare nella ripresa dello Scherzo (RE minore) che sbocca poi in un crescendo fino alla Coda che è percorsa ancora enfaticamente dal tema del Trio, ora in RE maggiore, prima di incupirsi nuovamente fino allo schianto conclusivo in RE minore.

Il finale è un Allegro con brio (2/4) in RE minore, che si apre con un tema ancora duro e marziale. Il secondo, in RE maggiore, è invece assai cantabile e sereno:


La chiusa richiama vagamente quella della Fantastica di Berlioz.
___
Vibrante ma non pacchiana l’esecuzione di Ceccato, che mi pare aver smussato gli aspetti più… plateali dell’opera, mettendone in evidenza più i tratti boemi che quelli germanici. Bravi tutti i ragazzi, con la rediviva Viviana ai timpani giustamente chiamata per prima da Ceccato all'applauso singolo.

Adesso l’atmosfera trascolora lentamente da Dvorak (complice una variazione al programma originario, che prevedeva il suo concerto per violoncello, poi cancellato) a Brahms, del quale vengono eseguite otto Danze ungheresi: dapprima cinque (17-21) orchestrate da Dvorak e per chiudere le tre più famose (la 1 orchestrata dallo stesso Brahms e le 5 e 6 da Martin Schmeling). Qui una storica e trascinante esecuzione di Antal Dorati.

Ceccato si permette (a quasi 80 anni tutto gli è concesso, soprattutto con musica come questa!) di fare il gigione: nella n°6 raggiunge l’apice con un’estremizzazione dei tempi (sostenuto-vivace) davvero al limite della macchietta, e dando gli attacchi con urletti da circo. Ma il pubblico va giustamente in delirio. Così la n°1 viene ripetuta come bis, prima che il Maestro gridi un viva la musica! che manda tutti a casa felici e contenti.      

Il penultimo concerto sarà diretto dal redivivo (e Direttore Principale Ospite di fresca nomina) Gaetano d’Espinosa.
___
Con l’occasione allego un paio di documenti riguardanti Dvorak, pubblicati tempo fa su Musica&Dossier:

- un corposo dossier di Paolo Maurizi, del settembre 1991 e

- Dvorak in USA di Aldo Nicastro, del marzo 1987.

01 febbraio, 2013

Orchestraverdi – concerto n.20


Riecco in Auditorium Aldo Ceccato, per riprendere dopo un po’ di tempo (e di acciacchi…) il ciclo dedicato all’intera produzione orchestrale di Antonin DvořàkLe quattro opere presentate in questa occasione (in un Auditorium tornato al suo affollamento… medio) si collocano in un decennio (1873-1883) più o meno baricentrico rispetto alla produzione del compositore boemo, le cui prime opere risalgono al 1856 e le ultime al 1893.

Nella prima parte del concerto ascoltiamo una Ouverture e due brani per violino e orchestra, interpretati dal Konzertmeister di casa, Luca SantanielloCeccato (per tutto il concerto) sposta i quattro corni alla sua destra, sotto i tromboni, facendo traslare a sinistra il pacchetto degli strumentini: scelta evidentemente meditata, e del resto una costante di Ceccato in questo repertorio.

L’Ouverture Husitskà è una composizione del 1883 di carattere commemorativo (l’epopea, risalente al Rinascimento, delle lotte civili e religiose degli adepti di Jan Hus) e come tale ha un tasso elevato di retorica ed enfasi, inversamente proporzionale a quello dell’ispirazione (non vorrei sembrare offensivo, paragonandola alla quasi coeva ciajkovskiana Ouverture 1812 - smile!) Dvořàk, ormai compositore maturo e famoso, la costruisce peraltro con perizia e mestiere, giustapponendo nelle tre sezioni i due temi: quello del Cristianesimo povero ma buono (di Venceslao, per intenderci) e quello degli Hussiti, riformatori-ribelli alla Chiesa romana del cristianesimo degenerato (cattivo e secolarizzato) che poi vengono a fondersi nel finale ottimistico.

Su questo tema patriottico, più profondo era stato l’approccio – pochi anni prima – di Smetana, che aveva costruito sul corale hussita l’intero quinto poema sinfonico (Tábor) e uno scorcio del sesto (Blaník) del ciclo Vlast:

L’interpretazione di Ceccato francamente mi è parsa di basso profilo, forse proprio per ridurre al minimo l’enfasi… però resta il fatto che quella è la partitura e non mi pare la si renda migliore attenuandone i contrasti. Un esempio per tutti, la cadenza finale, veramente moscia moscia.
___

Luca Santaniello (stasera rimpiazzato sulla sedia di spalla da Dellingshausen) si pone ora al centro dell’attenzione con i due brani successivi. Il primo dei quali è la Romanza per violino e orchestra in Fa minore. Opera composta nel 1873 per accompagnamento di pianoforte e pochi anni dopo ripresa per l’accompagnamento orchestrale. Opera piena di freschezza ed anche di una certa leziosità. Curioso che vi si trovi una cadenza del solista che ricomparirà molti anni più tardi nel finale del Concerto di Sibelius:


Segue a ruota la Mazurek in Mi minore per violino e orchestra. Pezzo brillante, à la Sarasate, di uno Dvořàk ormai avviato alla notorietà (1879).

Impeccabile la prestazione di Santaniello, che ci regala un bis bachiano, facendosi accompagnare in pizzicato dai colleghi della sezione archi.
___
Nel percorso a ritroso nel tempo lungo la strada delle sinfonie, siamo arrivati alla Quinta, secondo la moderna numerazione, stilata nel secolo scorso sulla base della cronologia delle composizioni di Dvořàk.

Simrock in realtà la pubblicò nel 1888 come Terza (dopo la 6 op. 60 e la 7 op.70) e con un numero d’opera (76) assai alto, per farla passare come fosse una primizia, mentre l’opera giaceva nei cassetti di Dvořàk da più di 13 anni ed era già stata anche eseguita a Praga quasi 10 anni prima! 

La poca chiarezza sulla numerazione delle sinfonie del boemo fu anche colpa dell’autore medesimo, che trattava così maldestramente le sue composizioni da perderle per strada (come accadde alla prima sinfonia, il cui manoscritto, inviato ad un concorso, non gli fu mai restituito) o da vederle confiscate dal rilegatore (la seconda) che Dvořàk non aveva i soldi per pagare (!) Così per anni e anni circolarono solo alcune delle nove sinfonie, nell’ordine la 6-7-5-8-9 che erano numerate da 1 a 5. Si sospetta che Dvořàk giocasse anche un po’ con la cabala, inventando trucchi pur di non arrivare al fatidico nove  
___ 
La Quinta è catalogata fra le sinfonie pastorali, non solo perché in FA maggiore come quella di Beethoven, ma anche perché intrisa di spunti e melodie popolari e di richiami alla natura. Ma è anche una costruzione ardita e complessa, che pur nel rispetto dei canoni classici, presenta interessanti innovazioni.

Già l’iniziale Allegro ma non troppo è un classico tempo in forma-sonata, ma vi si possono scorgere diversi strappi alle regole, che denotano volontà innovatrice, ma insieme anche un certo velleitarismo. L’incipit del primo tema, di piglio effettivamente pastorale, esposto inizialmente dai clarinetti (con le seste e terze tipicamente boeme) sembrerebbe una reminiscenza da un inciso delle trombe nel Finale della Renana, di quello Schumann per il quale Dvořàk nutriva una grande ammirazione:











Il tema sfocia in una salita da tonica a mediante - contrappuntata da ondeggianti semicrome dei violini - che ricomparirà ciclicamente proprio verso la fine dell’intera Sinfonia (dove anche l’incipit del tema vi farà capolino!)

Poi, prima di presentarci il secondo tema, ecco che l’Autore si lascia, come dire, prendere la mano dalla smania di strafare: reiterando più volte negli archi l’incipit del tema, introduce un gran crescendo che sfocia in tre battute occupate da pesanti terzine di tutta l’orchestra dopo le quali si presenta, sempre nel FA maggiore di impianto, una seconda idea (grandioso) ancor più maschile della prima:
Ma non basta, perché a questa segue una transizione piuttosto corposa e articolata, che avvicina progressivamente – dopo il riapparire della seconda idea - l’entrata del secondo tema, assai contemplativo (e fin qui siamo nel pieno rispetto dei sacri canoni) che però è in RE maggiore, invece che sulla dominante (DO):
È un motivo che sembra quasi anticipare il Franck del finale della Sinfonia in RE minore (composta proprio mentre Simrock pubblicava questa di Dvořàk). Viene ripetuto, com’è consuetudine, un’ottava sopra, ma poi i corni lo ripetono ancora, stavolta in FA (? cosa canonicamente da ricapitolazione!)

E qui abbiamo un’altra strana novità: come detto, la tonalità si è spostata verso il FA, e sulle terzine per terze dei flauti e poi dei clarinetti ci fa presagire il termine dell’esposizione e la sua ripetizione col da-capo. Invece Dvořàk ci infila piuttosto gratuitamente un’altra lunga transizione che presenta in particolare il secondo tema, dapprima ancora in FA e poi tornando in RE, due presenze intervallate da pesanti accordi di tutta l’orchestra, quasi che si fosse già nello sviluppo; mentre per arrivarvi manca ancora la coda dell’esposizione e tutto il ritornello della stessa (!)

Lo sviluppo si basa principalmente su elaborazioni del tema principale, esposto in SOL maggiore (anche questa una scelta piuttosto bizzarra) e con successive virate a MI e a DO. Il secondo tema rientra in MIb e viene improvvisamente (e ancora una volta, abbastanza inverosimilmente) soppiantato dall’entrata in grandioso della seconda idea, sempre in MIb. Una modulazione ci riporta al FA, dove i corni preparano, esponendo il tema principale su un tappeto di terzine degli strumentini, il ritorno dei clarinetti che danno inizio alla ricapitolazione.

La quale è invece assai lineare, presentando il tema principale (anche qui seguito, in grandioso, dalla seconda idea) e poi il secondo tema che si allinea rispettosamente al FA maggiore di impianto. Una sua cadenza appoggiata sulla tonica porta direttamente alla Coda, interamente occupata dal primo tema, che passa da flauti a clarinetti e poi, morendo, risale da clarinetti a flauti e infine si assesta sui corni, che chiudono il movimento in un’atmosfera di quiete davvero pastorale

L’Andante con moto che segue è un movimento monotematico, in LA minore (3/8), che viene normalmente catalogato come una Dumka, genere di origine popolare ukraina, dal sapore tipicamente elegiaco e meditabondo; l’agogica infatti lo vuole espressivo e dolente:
Il movimento si suddivide in tre sezioni: le due estreme occupate dal tema principale; quella centrale da sue varianti e modulazioni.

Le prime 4 note sono le stesse che troviamo nell’apertura del Concerto in SIb minore di Ciajkovski, così come nel secondo tema della sua Polacca, composti quasi contemporaneamente alla Sinfonia di Dvořàk. Ne avevamo visto l’origine (più plausibile in Ciajkovski, forse meno in Dvořàk) dalla Reformation di Mendelssohn.

Nella prima sezione il tema è esposto per tre volte: inizialmente dai violoncelli, in forma ristretta; poi dai violini, che ne prolungano la durata; infine, in forma variata, dal flauto, che poi si alterna con gli archi per svilupparlo ancor più, sfiorando diverse tonalità, prima di chiudere sul LA minore.

La sezione centrale (Un pochettino più mosso) è in chiave di LA maggiore. Il motivo pare derivato per sottrazione dal tema principale (mancandovi la terza nota, la sopratonica): scende quindi da dominante a mediante a tonica, in tempo più dilatato. Poi si riavvicina alla struttura originaria, con le crome ascendenti che accelerando ci portano al DO maggiore. Qui il tempo torna tranquillo e il motivo della sezione centrale si sposta dal DO al FA maggiore, dove un poco a poco crescendo e stringendo avvia una pesante perorazione chiusa da tre battute di crome puntate in fortissimo che cadenzano sul MI, dominante del LA di impianto. Una lunga transizione caratterizzata dall’insistito pedale di MI degli archi bassi - su cui svolazzano le biscrome degli archi e sul quale compaiono come spettri gli incisi giambici degli strumentini – ci porta verso la sezione conclusiva del movimento.

Torna quindi il tema in LA minore, in flauti e oboi; poi nei violoncelli, ancora nei flauti e violini. Adesso l’atmosfera si surriscalda, violini secondi e viole, poi i fiati martellano biscrome insistenti sul povero tema, fino a sfociare in un’autentica tregenda, scandita da quattro battute di pesantissimi rintocchi (LA e MI) del timpano, al placarsi dei quali il tema ricompare nei flauti, dando inizio ad una cadenza – in cui riappare anche un simulacro del motivo centrale -  dove i suoni si disgregano, fino alla conclusiva esposizione del tema (flauti, oboi e violini) chiusa da un deciso accordo di LA minore, seguito da due crome puntate e dalla corona finale, nei fiati.   

È questo movimento una parentesi elegiaca e nobile, ma l’assenza di veri contrasti la rende anche piuttosto… stancante (non dico proprio noiosa).

Senza alcuna soluzione di continuità si passa ad nuovo Andante con moto, quasi l’istesso Tempo: si tratta di 16 battute introduttive, dove i fiati riprendono il LA, ma lo armonizzano come sensibile di SIb, sul quale i violoncelli, imitando la melodia del movimento precedente, preparano un’atmosfera sulla dominante, dalla quale tutti gli archi (contrabbassi esclusi) si distaccano percorrendo una salita cromatica, dal FA al LA e quindi al SIb, dove inizia il classico Scherzo con Trio.

Il quale è appunto in Allegro scherzando, sempre 3/8, in SIb maggiore. Il tema dello Scherzo è di una chiarezza e semplicità mirabili e fa quasi pensare a certo… Bruckner:
Vi si possono distinguere tre sezioni: la prima battuta, che stabilisce per così dire la mascolinità del tema; la seconda e terza battuta, caratterizzate da crome su intervalli di quarta e quinta; la quarta battuta, fatta prevalentemente di semicrome. Queste sezioni verranno impiegate anche separatamente nel seguito.

Il tema viene esposto una prima volta dagli strumentini, poi subito ripreso dagli archi; segue una risposta sulla sottodominante, nei fiati, pure ripresa dagli archi. Una transizione che manipola la seconda e terza sezione del tema ci riporta con ondeggianti semicrome dei violini al SIb, dove il tema principale viene sottoposto ad una sorta di sviluppo: dapprima riesposto da flauti e clarinetti, stavolta contrappuntato a canone stretto dai primi violini e quasi troncato sul nascere; poi, dopo una battuta vuota, viene appunto vivisezionato nelle sue tre parti e i frammenti sono sparsi tra strumentini (crome) e archi (semicrome). Questo sviluppo – prevalentemente in MI minore - culmina con un crescendo costellato da pesanti crome delle tombe sul secondo tempo della battuta, chiuso da un poderoso accordo di FA che introduce una nuova transizione, tutta in semicrome che percorrono onde discendenti e infine effettuano una risalita imperiosa al SIb, dove il tema viene esposto con la massima enfasi dall’intera orchestra.

Come all’inizio, c’è la ripetizione (piano) del soggetto e poi la risposta sulla sottodominante (forte – piano) dopodiché si avvia una cadenza che porta, su semicrome di clarinetti e poi di oboi e violini, all’ultima comparsa del tema nelle viole, contrappuntato da clarinetti e flauti, prima dei due secchi accordi di sensibile-tonica che chiudono lo Scherzo.

Qui undici misure di transizione, in cui primi violini e viole variano il tema dello scherzo, ci conducono in terreno di REb maggiore, dove si svolge il Trio. Scopertissimo nel ritmo il richiamo al Trio della Grande (Schubert era proprio venerato da Dvořàk):


Questo Trio si struttura con due sezioni (ripetute) e una coda: la prima sezione è piuttosto concisa (nell’incipit par quasi di vedere… Elsa!) mentre la seconda si sviluppa in maggiore ampiezza, compreso un enfatico passaggio centrale. Il ritmo schubertiano si alterna o mischia con l’esposizione – per terze soprattutto negli strumentini – di melodie di chiara derivazione popolare boema. La coda è assai corposa (48 battute) e include anche un nuovo motivo esposto dai flauti prima e dai violini poi, prima del ritorno verso il SIb per la ripresa dello Scherzo.  

Per me, questo movimento è un autentico gioiellino, il vero pezzo forte dell’opera, che si meriterebbe davvero di stare in tutt’altra compagnia!

Si chiude con il Finale, Allegro molto, 4/4, una specie piuttosto eterodossa di forma-sonata. La tonalità riprenderà il FA maggiore d’impianto dell’intera sinfonia, ma solo più avanti. Per ora abbiamo quella che si potrebbe chiamare una (lunga) Introduzione, dove viene presentato, come in anteprima, il tema principale, che si assesta – anche questa è un’idea che sta fra l’innovativo e il bizzarro – sul LA minore (cosa che peraltro ricorda l’ambientazione del secondo tempo). Ma vedremo che il tema principale toccherà anche altre tonalità, oltre a quella… giusta. Inizialmente è esposto dagli archi bassi:


Un tema assai ben scolpito, che vagamente - nell’atto di raggiungere la tonica passando per la mediante superiore e la sottostante sensibile – ci ricorda Bruch e il suo Concerto per violino, composto quasi 10 anni prima.

Dopo la presentazione in LA minore, lo riprendono gli strumentini in… SOL minore (!) poi gli archi lo scimmiottano sul FA (!) finchè sono violini e oboi a riesporlo, in fortissimo, sul LA, seguiti subito da viole e violoncelli. Ma poi si sbanda ancora di tonalità, passando per RE minore e quindi tornando al SOL minore, sul quale si avvia una transizione caratterizzata dal SOL acuto e poi sovracuto tenuto dai flauti, dopodiché una progressione negli archi ci porta, indovinate… al FA! 

Possiamo qui individuare l’inizio della canonica esposizione dei due temi. Il primo finalmente in FA maggiore, sembra uscire dai… binari, espandendosi a dismisura, sui colpi sincopati dei corni. Si rimane comunque per un po’ sul FA maggiore, dove il tema si sviluppa con una figurazione di cui si ricorderà nientemeno che Strauss nell’avvio del suo Rosenkavalier:


Per il secondo tema cambia ovviamente la tonalità: SOL bemolle. È una melodia che contrasta con quella nervosa del primo tema, e si muove per gradi contigui discendenti.

Ora abbiamo una transizione, dove uno scoppio dei corni sul FA ci riporta verso l’atmosfera irrequieta del primo tema, che dà inizio ad una specie di sviluppo, in tonalità di DO minore. Segue una parentesi idilliaca in LAb, prima di ritornare al protervo tema principale, ora in RE minore, nei violini, seguito da una nervosa sequenza di accordi che sfociano in un MI dei corni, dominante del LA sul quale l’oboe ripropone il tema principale in LA minore, ripreso dal clarinetto basso che chiude lo sviluppo.

I primi violini iniziano la ricapitolazione ancora in LA minore, proprio come nell’introduzione, seguiti dagli strumentini in MI minore, fino all’arrivo del tema principale in FA maggiore, che si sviluppa come nell’esposizione e poi fa spazio al secondo tema. Il quale non può non accettare, a questo punto, di accodarsi alla tonalità principale (FA) e lo fa trascinando poi una lunga cadenza che scende dalla mediante LA alla dominante DO (chiara reminiscenza del mendelssohn-iano Sogno) ripetuta da diversi strumenti, a canone largo, e che conduce alla coda.   

Qui ricompare negli strumentini il motivo ascendente (da tonica a sopratonica e mediante) che viene dalla coda del primo tema della Sinfonia. Esso porta una breve pausa di calma, presto rotta da un crescendo orchestrale che ha il culmine in due accordi che ricordano il climax della Leonore-3 e introduce la travolgente chiusa, dove frammenti del tema principale la fanno da padroni. 

Su un accordo pieno di FA maggiore, a partire da 13 battute prima della conclusione, e anticipando il consueto fracasso degli schianti finali, i tromboni ci fanno riascoltare, per due volte, anche l’incipit del primo tema dell’Allegro ma non troppo, che mette quindi il suo sigillo sull’intera Sinfonia.
___

In conclusione, una sinfonia che presenta una narrativa piuttosto articolata, magari anche un tantino contorta e discutibile, ma tutto sommato abbastanza… digeribile, se è vero che anche un tipo non proprio di bocca buona – perlomeno a giudicare dall’accoglienza riservata alla Totenfeier di Mahler! - come Hans von Bülow, dedicatario dell’opera, se ne dichiarò entusiasta. 

Come l’ho sentita ieri? Mah, il buon Ceccato neanche qui mi ha propriamente entusiasmato: passi per l’omissione del ritornello dell’esposizione (forse ha voluto togliere le castagne dal fuoco all’Autore, smile!) ma imperdonabile giudico il taglio del da-capo del Trio, che ha pesantemente compromesso l’equilibrio del terzo movimento. Per il resto un’esecuzione lodevole dal punto di vista tecnico (perdonabile un’incertezza delle trombette sugli accordi finali) da parte dei ragazzi, ma il complesso non è stato a mio modesto avviso del tutto convincente.

Finalmente rivedremo il Direttore principale John Axelrod in un programma di… quarte.

10 febbraio, 2012

Orchestraverdi – concerto n 19



Riecco Aldo Ceccato, alle prese con l'integrale delle Sinfonie di Dvorak. Questa settimana tocca alla Settima, in un programma dal palinsesto tradizionale: una Ouverture, un Concerto solistico e la Sinfonia. Detto fra parentesi: va bene mettere in programma cicli su compositori importanti quali Dvorak, però questi concerti assomigliano maledettamente a quei pranzi a base di un solo prodotto, che so, tutti e solo formaggi o tutti e solo funghi… dove francamente si arriva al secondo con una certa sensazione (per dirla… dietetically-correct) di appagamento.

Karneval è il pezzo che apre la serata, proprio di quelli fatti apposta – con un attacco perentorio, cymbal-clash compreso - per richiamare all'ordine i soliti spettatori che si attardano in chiacchiericci anche dopo che il direttore è salito sul podio e si è girato verso i professori… Si tratta di un'ouverture (Op.92) che è parte di un trittico (con le op. 91 e 93) che il compositore aveva scritto nel 1891-92 (poco prima della parentesi americana) titolato Natura, vita, amore. In origine avrebbe dovuto essere un'unica opera suddivisa in tre parti, ma poi l'autore decise di pubblicare i tre pezzi disgiuntamente.

Ciò che comunque li accomuna è il motto musicale che ritroviamo, in diverse forme e posizioni, nelle tre ouverture, rappresentante, appunto, la Natura:
___

Come dice il titolo, Karneval evoca un'allegra e movimentata festa paesana, in mezzo alla quale capita un solitario viaggiatore. Come detto, si entra subito in medias res, con il fiero tema principale – in LA maggiore - esposto da flauti e violini, con vigoroso accompagnamento di tutta l'orchestra:
Il tema viene subito ripetuto e poi sviluppato, fino a raggiungere un primo momento di calma, dove un nuovo motivo è esposto in RE maggiore, prima che il secondo tema (SOL maggiore – MI minore, poi sfociante in MI maggiore, dominante del LA di impianto) faccia la sua comparsa.

A questo punto troviamo nientemeno che una brevissima, ma illustre citazione dal baccanale del Tannhäuser (del resto a carnevale ci si deve divertire, altrimenti che festa sarebbe…)
Che introduce ad un intermezzo d'amore (sarà per caso il viandante che ha trovato compagnia…?) caratterizzato da una dolce melodia dell'oboe, in SOL maggiore, che prima il clarinetto e successivamente il corno inglese contrappuntano con il motto del trittico.

Ma presto la festa ricomincia più travolgente che mai. Siamo allo sviluppo, in tonalità SOL minore, che porta alla ripresa del tema principale, LA maggiore, sfociante in una coda quasi orgiastica. Chiudono il tutto tre colpi di smaccata fanfara dei tromboni.
___

Ottima la prestazione dell'orchestra, che mette di buon umore il pubblico, anche ieri sera non proprio oceanico…

Segue poi il Concerto per violino, interpretato da una ragazza che pare uscita dall'ultimo concorso per veline. Per carità, questo non è certo un demerito, solo che lo spettatore è fatalmente portato a spostare l'attenzione, dalle quelle musicali, a doti di altro tipo (smile!)

Nella classifica dei tre concerti solistici di Dvorak, questo personalmente lo metterei al secondo posto, dopo quello per violoncello (di cui anticipa, nel centrale Adagio, alcune sognanti atmosfere) e decisamente prima del più astruso e deficitario concerto per pianoforte, udito qui di recente. Però anche questo non è che sia propriamente un capolavoro. Con una battuta di bassa lega potrei dire che, insieme agli analoghi concerti di Bruch, Wieniawski, Saint-Saens, Lalo e compagni… una volta che ne hai sentito uno, li hai sentiti tutti (ri-smile!)
___
Dopo l'enfatico incipit (Allegro ma non troppo, 4/4) dell'orchestra, 5 battute che stabiliscono la tonalità di impianto (LA minore), il solista espone il tema principale, dal vago sapore gitano:
Il resto del movimento è di difficile catalogazione: forma-sonata, rondò, fantasia… anche i musicologi non sanno come prenderlo. Il difficile è stabilire se la cosa sia dovuta ad inventiva fin troppo sbrigliata, oppure ad una certa impotenza narrativa… Fatto sta che Dvorak pare volersene liberare al più presto, privandolo di una canonica ripresa e, dopo una sola battuta lunga di cadenza, scrive 13 battute (Quasi moderato) che di fatto introducono il movimento centrale.

L'Adagio ma non troppo, in FA maggiore, risolleva la reputazione di concerto e autore. Il solista espone subito il dolce tema che lo contraddistingue, contrappuntato dagli strumentini:
Qui, una volta tanto, è Dvorak ad anticipare qualcosa di Brahms, che udiremo nell'Andante in RE maggiore del Doppio concerto dell'amburghese, scritto di lì a qualche anno. Il brano si sviluppa con un altro delicato motivo:
Poi incontriamo un primo scossone, determinato da un energico motivo in FA minore, esposto dal solista e a cui risponde la calda sonorità del corno:
Divagazioni in MIb portano all'esposizione di un nuovo, dolcissimo motivo, in MI maggiore:
Altro intermezzo fosco, con l'orchestra, adesso, a riproporre il tema in FA minore, spalleggiato da fanfare delle trombe. Dal FA minore si passa alla relativa LAb maggiore, dove il solista si abbandona a lunghe peregrinazioni, prima di tornare… alla casa del FA maggiore, su cui prima l'orchestra, poi il solista, ripropongono (pesante) con grande enfasi pari alla nobiltà, il tema ascoltato poco prima in MI, che successivamente compie una divagazione a LA maggiore. Torna il FA con il secondo tema, prima che il violino, con i corni ancora a scortarlo, chiuda sul tranquillo accordo dell'orchestra.

Il Finale è un Rondò sui generis, la cui macro-struttura è A-B-A-C-A-B-A, ma si potrebbe dire con alcuna licenza. Il solista attacca subito con il tema principale A in LA maggiore (composto da due sezioni, domanda e risposta) dal piglio fiero e disinvolto (non per niente la danza popolare da cui prende spunto è chiamata furiant):
Il secondo tema (B) è un po' più contemplativo (ma sempre sul ritmo della furiant). Preceduto da un motivo di collegamento, è nella dominante MI:
Dopo la riapparsa del tema principale, in LA, ecco il motivo centrale (C) piuttosto dimesso, in RE minore. Anche questo è basato sugli stilemi di una danza (ucraina, tipicamente) la dumka:
Torna il tema principale, sempre in LA, esposto adesso dal solista due ottave più in basso.

Ancora il tema B con la sua introduzione, stavolta adagiato sul LA (anche se poi… svicola) prima che torni per l'ultima volta il tema A, ma ora singolarmente esposto dal flauto un semitono sotto (LAb). Tosto però si torna al LA maggiore per la conclusione in pompa magna, con 5 crome in armonici del solista, seguite dalla pesante chiusa dell'orchestra.
___

Anna Tifu conferma di essere un personaggio in continua ascesa: sicurissima tecnicamente ed anche matura dal punto di vista dell'espressione, ha cavato, credo, tutto il buono che si possa da questo pezzo non eccelso. Grandi applausi, corrisposti da questo bis.

La Settima Sinfonia – infarcita di riferimenti e citazioni brahmsiane (ma non manca Beethoven) - l'abbiamo ascoltata più o meno un anno fa alla Scala, propinataci da Chailly. Ceccato evidentemente dà eccessivo credito all'epiteto di tragica affibbiato a quest'opera e ce ne propina un'interpretazione cupa e funebre. Passabili i primi due movimenti, ma poi lo Scherzo degrada a menuetto e l'Allegro finale si trasforma in una specie di mortorio, ai limiti dell'esasperante, mah… Quanto all'orchestra, bene in generale, ma con pecche evidenti nei corni, stasera un po' fuori fase, sia Amatulli nel concerto che Ceccarelli nella sinfonia. Insomma, una serata così-così.

Il concerto n°20 vedrà sul podio – per la prima volta in veste di Direttore Principale - John Axelrod, con un programma che avrà il suo apice nel Requiem mozartiano.
--

20 gennaio, 2012

Orchestraverdi – concerto n 16


Torna Aldo Ceccato e torna il suo amato Dvorak.

Il primo dei tre brani in programma è lo Scherzo capriccioso, un pezzo di grande effetto, dove l'attenzione dell'ascoltatore viene subito catturata da due corni (disposti da Ceccato a destra, sotto gli altri ottoni) che espongono, a mo' di introduzione in SIb, il primo tema, che verrà poi presentato dagli archi nella tonalità di impianto, REb. La sincope che precede l'inconsueta chiusa del tema, sulla sottodominante, gli conferisce un che di altezzoso, quasi di sfrontato, o donchisciottesco:
Nell'esposizione negli archi, il tema è seguito da un motivo negli strumentini, che si appoggia alla dominante LAb (lo risentiremo ampiamente nello sviluppo, dopo il Trio).

Preceduto da un'atmosfera bruckneriana, entra poi Il secondo tema, che contrasta apertamente con il primo – secondo i canoni della forma-sonata – avendo natura più femminile e contemplativa, ed è scopertamente caratteristico di danza slava (Dvorak ne musicò espressamente 16) e la sua seconda parte anticipa chiaramente il Mahler del Wunderhorn. Sono i violini ad esporlo, inizialmente in SOL maggiore:
I due temi si ripetono, con divagazioni in diverse tonalità, fino all'ingresso del Trio (caratteristico degli Scherzi delle sinfonie) il cui primo tema, in RE maggiore, è esposto dal corno inglese:
Il secondo tema del Trio, più mosso, richiama vagamente il secondo tema principale. L'intero Trio andrebbe ripetuto (cosa che raramente avviene, e Ceccato non fa eccezione) prima del ritorno del tema principale, che subisce una specie di sviluppo tipo forma-sonata, contrappuntato dal motivo secondario, svolazzante negli strumentini. Torna il secondo tema e lo sviluppo termina con un rallentando (Poco meno mosso) che presenta i due temi (il primo nei corni, il secondo negli strumentini) in tempo moderato, che porta ad una cadenza dell'arpa, su un MI tenuto dei corni. Un crescendo, sfociante poi in Presto, conduce alla trionfante conclusione, sulle note del tema principale.

Arriva adesso Benedetto Lupo per interpretare il Concerto per pianoforte. Nonostante recenti e meno recenti sponsorizzazioni (si pensi a Richter) oltre che a rimaneggiamenti vari (primo fra i quali quello di Vilèm Kurz, che apportò una serie di modifiche alla parte solistica, più che altro rimpolpandone le sonorità con raddoppi all'ottava o accordi di tre invece che due note) questa è francamente un'opera esteticamente deficitaria… e forse Dvorak per primo se ne rendeva conto. (Anche Ceccato pare non averne eccessiva familiarità, visto che per l'occasione si fa portare il leggìo con la partitura ed inforca gli occhiali…) I temi non sarebbero neanche male, come già quello introduttivo:

Ma è il loro sviluppo, insomma: la narrativa che Dvorak ne ricava, a lasciare parecchio a desiderare. Si ha l'impressione di una composizione sforzata, dove l'ispirazione scarseggia, ed è sostituita da costrutti piuttosto stucchevoli e di scarso appeal. Doverosi comunque gli applausi al solista, che ha fatto del suo meglio per indorarci la pillola!

Dopo la pausa ecco l'Ottava sinfonia, pagina certamente accattivante, che molti considerano addirittura superiore alla famosissima Dal nuovo mondo. Ceccato la dirige ovviamente a memoria, sfoggiando quel tanto di gigionerìa che gli si può perdonare… data l'età (smile!) L'orchestra risponde bene e il risultato che ne esce è di ottima qualità. Da incorniciare l'Adagio, con la bellissima melodia esposta da flauto e oboi, ma anche l'Allegretto grazioso è stato di alta qualità. Senza voler essere troppo partigiano, mi pare che si stata un'esecuzione da preferire a quella offertaci dalla Filarmonica scaligera con Noseda l'anno scorso. Il pubblico, anche questa volta non foltissimo, ha mostrato di gradire con diverse chiamate per Ceccato e applausi per tutti.

Da tutto-Dvorak a tutto-Mozart la prossima settimana.
--