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10 febbraio, 2012

Orchestraverdi – concerto n 19



Riecco Aldo Ceccato, alle prese con l'integrale delle Sinfonie di Dvorak. Questa settimana tocca alla Settima, in un programma dal palinsesto tradizionale: una Ouverture, un Concerto solistico e la Sinfonia. Detto fra parentesi: va bene mettere in programma cicli su compositori importanti quali Dvorak, però questi concerti assomigliano maledettamente a quei pranzi a base di un solo prodotto, che so, tutti e solo formaggi o tutti e solo funghi… dove francamente si arriva al secondo con una certa sensazione (per dirla… dietetically-correct) di appagamento.

Karneval è il pezzo che apre la serata, proprio di quelli fatti apposta – con un attacco perentorio, cymbal-clash compreso - per richiamare all'ordine i soliti spettatori che si attardano in chiacchiericci anche dopo che il direttore è salito sul podio e si è girato verso i professori… Si tratta di un'ouverture (Op.92) che è parte di un trittico (con le op. 91 e 93) che il compositore aveva scritto nel 1891-92 (poco prima della parentesi americana) titolato Natura, vita, amore. In origine avrebbe dovuto essere un'unica opera suddivisa in tre parti, ma poi l'autore decise di pubblicare i tre pezzi disgiuntamente.

Ciò che comunque li accomuna è il motto musicale che ritroviamo, in diverse forme e posizioni, nelle tre ouverture, rappresentante, appunto, la Natura:
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Come dice il titolo, Karneval evoca un'allegra e movimentata festa paesana, in mezzo alla quale capita un solitario viaggiatore. Come detto, si entra subito in medias res, con il fiero tema principale – in LA maggiore - esposto da flauti e violini, con vigoroso accompagnamento di tutta l'orchestra:
Il tema viene subito ripetuto e poi sviluppato, fino a raggiungere un primo momento di calma, dove un nuovo motivo è esposto in RE maggiore, prima che il secondo tema (SOL maggiore – MI minore, poi sfociante in MI maggiore, dominante del LA di impianto) faccia la sua comparsa.

A questo punto troviamo nientemeno che una brevissima, ma illustre citazione dal baccanale del Tannhäuser (del resto a carnevale ci si deve divertire, altrimenti che festa sarebbe…)
Che introduce ad un intermezzo d'amore (sarà per caso il viandante che ha trovato compagnia…?) caratterizzato da una dolce melodia dell'oboe, in SOL maggiore, che prima il clarinetto e successivamente il corno inglese contrappuntano con il motto del trittico.

Ma presto la festa ricomincia più travolgente che mai. Siamo allo sviluppo, in tonalità SOL minore, che porta alla ripresa del tema principale, LA maggiore, sfociante in una coda quasi orgiastica. Chiudono il tutto tre colpi di smaccata fanfara dei tromboni.
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Ottima la prestazione dell'orchestra, che mette di buon umore il pubblico, anche ieri sera non proprio oceanico…

Segue poi il Concerto per violino, interpretato da una ragazza che pare uscita dall'ultimo concorso per veline. Per carità, questo non è certo un demerito, solo che lo spettatore è fatalmente portato a spostare l'attenzione, dalle quelle musicali, a doti di altro tipo (smile!)

Nella classifica dei tre concerti solistici di Dvorak, questo personalmente lo metterei al secondo posto, dopo quello per violoncello (di cui anticipa, nel centrale Adagio, alcune sognanti atmosfere) e decisamente prima del più astruso e deficitario concerto per pianoforte, udito qui di recente. Però anche questo non è che sia propriamente un capolavoro. Con una battuta di bassa lega potrei dire che, insieme agli analoghi concerti di Bruch, Wieniawski, Saint-Saens, Lalo e compagni… una volta che ne hai sentito uno, li hai sentiti tutti (ri-smile!)
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Dopo l'enfatico incipit (Allegro ma non troppo, 4/4) dell'orchestra, 5 battute che stabiliscono la tonalità di impianto (LA minore), il solista espone il tema principale, dal vago sapore gitano:
Il resto del movimento è di difficile catalogazione: forma-sonata, rondò, fantasia… anche i musicologi non sanno come prenderlo. Il difficile è stabilire se la cosa sia dovuta ad inventiva fin troppo sbrigliata, oppure ad una certa impotenza narrativa… Fatto sta che Dvorak pare volersene liberare al più presto, privandolo di una canonica ripresa e, dopo una sola battuta lunga di cadenza, scrive 13 battute (Quasi moderato) che di fatto introducono il movimento centrale.

L'Adagio ma non troppo, in FA maggiore, risolleva la reputazione di concerto e autore. Il solista espone subito il dolce tema che lo contraddistingue, contrappuntato dagli strumentini:
Qui, una volta tanto, è Dvorak ad anticipare qualcosa di Brahms, che udiremo nell'Andante in RE maggiore del Doppio concerto dell'amburghese, scritto di lì a qualche anno. Il brano si sviluppa con un altro delicato motivo:
Poi incontriamo un primo scossone, determinato da un energico motivo in FA minore, esposto dal solista e a cui risponde la calda sonorità del corno:
Divagazioni in MIb portano all'esposizione di un nuovo, dolcissimo motivo, in MI maggiore:
Altro intermezzo fosco, con l'orchestra, adesso, a riproporre il tema in FA minore, spalleggiato da fanfare delle trombe. Dal FA minore si passa alla relativa LAb maggiore, dove il solista si abbandona a lunghe peregrinazioni, prima di tornare… alla casa del FA maggiore, su cui prima l'orchestra, poi il solista, ripropongono (pesante) con grande enfasi pari alla nobiltà, il tema ascoltato poco prima in MI, che successivamente compie una divagazione a LA maggiore. Torna il FA con il secondo tema, prima che il violino, con i corni ancora a scortarlo, chiuda sul tranquillo accordo dell'orchestra.

Il Finale è un Rondò sui generis, la cui macro-struttura è A-B-A-C-A-B-A, ma si potrebbe dire con alcuna licenza. Il solista attacca subito con il tema principale A in LA maggiore (composto da due sezioni, domanda e risposta) dal piglio fiero e disinvolto (non per niente la danza popolare da cui prende spunto è chiamata furiant):
Il secondo tema (B) è un po' più contemplativo (ma sempre sul ritmo della furiant). Preceduto da un motivo di collegamento, è nella dominante MI:
Dopo la riapparsa del tema principale, in LA, ecco il motivo centrale (C) piuttosto dimesso, in RE minore. Anche questo è basato sugli stilemi di una danza (ucraina, tipicamente) la dumka:
Torna il tema principale, sempre in LA, esposto adesso dal solista due ottave più in basso.

Ancora il tema B con la sua introduzione, stavolta adagiato sul LA (anche se poi… svicola) prima che torni per l'ultima volta il tema A, ma ora singolarmente esposto dal flauto un semitono sotto (LAb). Tosto però si torna al LA maggiore per la conclusione in pompa magna, con 5 crome in armonici del solista, seguite dalla pesante chiusa dell'orchestra.
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Anna Tifu conferma di essere un personaggio in continua ascesa: sicurissima tecnicamente ed anche matura dal punto di vista dell'espressione, ha cavato, credo, tutto il buono che si possa da questo pezzo non eccelso. Grandi applausi, corrisposti da questo bis.

La Settima Sinfonia – infarcita di riferimenti e citazioni brahmsiane (ma non manca Beethoven) - l'abbiamo ascoltata più o meno un anno fa alla Scala, propinataci da Chailly. Ceccato evidentemente dà eccessivo credito all'epiteto di tragica affibbiato a quest'opera e ce ne propina un'interpretazione cupa e funebre. Passabili i primi due movimenti, ma poi lo Scherzo degrada a menuetto e l'Allegro finale si trasforma in una specie di mortorio, ai limiti dell'esasperante, mah… Quanto all'orchestra, bene in generale, ma con pecche evidenti nei corni, stasera un po' fuori fase, sia Amatulli nel concerto che Ceccarelli nella sinfonia. Insomma, una serata così-così.

Il concerto n°20 vedrà sul podio – per la prima volta in veste di Direttore Principale - John Axelrod, con un programma che avrà il suo apice nel Requiem mozartiano.
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