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08 giugno, 2011

L’immarcescibile Abbado a casa di Muti



Ieri sera gran festa (dopo un anno esatto di attesa, seguito al malaugurato forfait del 2010) per Claudio Abbado all'inaugurazione del Ravenna Festival. Accoglienza a dir poco trionfale per questo autentico simbolo (magari non esente da contraddizioni) della civiltà musicale contemporanea. Ormai la gente lo segue in massa, dirigesse anche canzonette o musica metallara, invece che Mozart e Beethoven; e nemmeno i numerosi acquazzoni, che per tutta la giornata e fino all'inizio del concerto hanno immalinconito la Romagna, hanno dissuaso le moltitudini dal riempire fino all'inverosimile il PalaDeAndrè, per tributare clamorose manifestazioni di affetto al Maestro ancor prima che alzasse - per guidare una delle sue creature, la Mozart - la sua magica bacchetta.


Un Abbado in gran forma fisica, oltre che di spirito, che ha subito dettato il tempo ma anche lo spirito della mozartiana Haffner (K385). Sinfonia che si presta evidentemente a diversi usi e consumi. Lo scorso gennaio, all'Auditorium di Largo Mahler, Zhang Xian la impiegò come leggero e veloce antipasto prima di un piatto forte come il mahleriano Das Lied von der Erde. Qui invece Abbado - un po' come faceva Böhm - la tratta come una cosa seria e importante, una specie di piccola Jupiter, già a partire dalle cinque battute iniziali:

Anche in questa sinfonietta, come in alcune precedenti, Mozart si prende delle piccole libertà, rispetto alle forme codificate: non ripete l'esposizione nel primo movimento (che fra l'altro è sostanzialmente monotematico, RE e dominante LA) ma in compenso prescrive il ritornello in entrambe le sezioni del successivo Andante: la prima che espone i due temi (in SOL e dominante RE); e la seconda che introduce un terzo tema, ancora in RE, per poi riprendere i primi due, entrambi ora sul SOL. Abbado rispetta in pieno la prescrizione mozartiana, tenendo peraltro qui un tempo assai spedito.

Il Menuetto è assolutamente canonico: RE maggiore (con da-capo) e Trio (pure con ritornello) nella dominante LA. Così come il Presto finale, aperto dal celebre motivo discendente (RE-LA-LA-LA-FA#) che ricorda il simpatico Osmin del quasi contemporaneo Ratto: in RE e LA maggiore sono i due motivi che animano l'esposizione; nello sviluppo il secondo fa una fugace diversione a SI minore, poi la ripresa (come da canone della forma-sonata) li ripresenta entrambi nel RE maggiore di impianto. Abbado lo esegue ad alta velocità – ma qui Mozart lo impone – facendo fare ai ragazzi una inebriante volata.

Lucas Macias Navarro, primo oboe della Mozart (e non solo) interpreta poi il Concerto per Oboe (K314) in DO. Concerto di cui Mozart stese anche una versione per flauto, trasponendolo in RE.

Il Concerto richiede doti virtuosistiche fuori dal comune, costellato com'è, nei movimenti esterni, da continue volate di quartine di semicrome, spesso puntate, dove Navarro se la cava magnificamente. Dopo il languido e sognante Adagio in FA maggiore, Lucas è bravissimo nell'esporre il grazioso Rondò finale, col suo inconfondibile tema:
Meritatissimi applausi per lui, che dopo l'intervallo rientrerà a sedersi in mezzo ai compagni dell'Orchestra per dare il suo preziosissimo contributo a Beethoven.

Isabelle Faust, che avevamo ascoltato pochi giorni fa in un asciutto, ancorchè pregevole concerto di Brahms con Harding e la MCO alla Scala, ha qui proposto l'ultimo e più famoso Concerto per violino (K219) del sommo Teofilo.

Concerto dalla struttura singolare, per non dire bizzarra, già a partire dall'Allegro iniziale. La cui introduzione è sorprendentemente interrotta da un Adagio, che ha solo vaghissimi legami tematici con il resto, prima che venga esposto il tema principale, in LA maggiore, di una cui sezione forse si ricorderà Beethoven nella sua Leonore:
Il tema dell'introduzione (che include una vaga anticipazione dell'Allegro della celeberrima Sinfonia in SOL minore) ricompare poi come secondo tema (nella dominante MI) di questa strana forma-sonata, che presenta uno sviluppo comprendente un altro tema in minore e poi la ripresa, dove il secondo tema si riaccoda – nel rispetto dei sacri canoni - al LA di impianto, riprendendo quindi la forma con cui era comparso nell'introduzione. Ma l'anomalia più evidente è quella del terzo movimento, che invece di un canonico Allegro conclusivo, presenta un Menuetto, certo più adatto ad un tempo di sinfonia che non ad un concerto (qualcuno lo indica come Rondò, ma con argomenti discutibili). Poiché però non siamo in una sinfonia, non ci può essere alcun Trio, al cui posto troviamo invece un Allegro in cui par di sentire anche un po' del futuro Paganini:
Ma anche questo Allegro non diventa – come in un normale concerto o sinfonia – il finale, poiché è il Menuetto a ritornare per chiudere tutto, con un'esalazione piano, nel violino doppiato dai corni, della cadenza del solista, che riprende ciclicamente l'incipit del concerto. Sarà mica per tutte queste (mirabili!) stranezze che gli fu affibbiato l'epiteto di Turco?

La Faust è stata eccellente soprattutto nel porgere il bellissimo Adagio, in MI e SI maggiore, che è forse il momento più alto del concerto. Anche per lei un trionfo.

Dopo l'intervallo ecco Beethoven, un Beethoven forse - come dire - poco challenging per un tipo come Abbado, ma che il Maestro affronta come fosse alla prima lettura, con deferenza ed umiltà (mi verrebbe da dire…) La Pastorale è una sinfonia sbifida per sua natura, chè può essere presa troppo alla leggera (una scampagnata, in fin dei conti) oppure con eccessivo timore reverenziale e conseguente deriva enfatica. Ma Abbado sa alla perfezione come misurare gli ingredienti e come cucinarli in modo sopraffino e ne vien fuori un gioiello di equilibrio: anche il taglio del ritornello iniziale rientra in questa visione asciutta e rigorosa. Da incorniciare il Temporale, per forza e precisione insieme.

La Mozart mostra di essere una compagine ben assortita ed agguerrita in tutte le sezioni: dai corni, che Beethoven sollecita assai, ma che anche con Mozart hanno il loro bel da fare, agli strumentini e al pacchetto degli archi.

Interminabili e proprio da stadio – quale in effetti è il palazzone che ci ospita – le ovazioni finali al Maestro e ai suoi discepoli. Che ci regalano un marziale bis mozartiano, con finale suonato in piedi e i ragazzi che alla fine si abbracciano e complimentano (come si vede che suonano per passione!) per questa splendida serata.

Fuori – è quasi mezzanotte – pare che anche il cielo si sia fatto rasserenare dal fascino del grande Claudio.

Lo stesso programma, con gli stessi solisti, verrà ripetuto domani 9 giugno al Grande di Brescia, e il 12 giugno al redivivo Farnese di Parma.
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30 maggio, 2011

Harding e la MCO in una Scala semideserta



Ieri sera la Scala ospitava un concerto benefico della Mahler Chamber Orchestra, guidata dal suo Direttore Principale, Daniel Harding. Concerto a favore del Progetto Itaca. Certo, i prezzi erano politici (cioè alti, in questo caso, data la finalità) e anche Pappano con SantaCecilia ad aprile – in occasione analoga - non era stato accolto da un teatro esaurito, ma ieri sera si è davvero toccato il fondo: l'affluenza dei milanesi al Piermarini non deve aver superato quella registrata alle 22 per il ballottaggio Moratti-Pisapia! Cioè teatro letteralmente mezzo vuoto. Che differenza, per Harding e i bravissimi della MCO, rispetto all'accoglienza trionfale di pochi giorni fa alla Gewandhaus per il festival Mahler!

A parte la finalità benefica, l'occasione era davvero ghiotta per i musicomani, con un programma di alto livello e soprattutto con interpreti sopraffini. La MCO – una delle creature di Abbado - è una signora orchestra, ed è un piacere anche solo vederla suonare, perché si capisce che è gente che lo fa per passione e non solo per professione: alla fine del concerto vedere orchestrali che si abbracciano e che si complimentano a vicenda è cosa non proprio comune da queste parti.

Brahms e ancora Brahms nelle due parti della serata: dapprima il Concerto Op.77 che ci è stato magistralmente porto da Isabelle Faust. Harding lo attacca forse con eccessiva circospezione, ma poi si slancia da par suo nell'Allegro, dove la Faust fa cantare divinamente il suo Stradivari, eseguendo alla fine la cadenza di Busoni, caratterizzata dall'insolita presenza dei timpani. Splendido l'Adagio, dove la bravissima primo oboe Mizuho Yoshii ci delizia con l'esposizione del dolce tema in FA maggiore, prima che venga ripreso dalla Faust con grande nobiltà. Faust che poi si scatena nell'Allegro giocoso che chiude degnissimamente il concerto. Diverse chiamate per lei, ma nessun bis.

Chiude la Seconda sinfonia, la cosiddetta pastorale del burbero amburghese, scritta poco prima del concerto per violino e poco dopo l'impegnativa prima. Luminoso e leggero il suono che Harding trae dai suoi (disposti alla tedesca, con i bassi a sinistra) come ben si addice a quest'opera piena di serenità e pace. Fugacemente interrotte, prima della volata finale, da un Sempre più tranquillo in cui compare un motivo per quarte discendenti di cui si ricorderà Mahler al momento di comporre la sua prima:

Poi la cavalcata conclusiva, con i fiati (trombette in testa) in grande evidenza nelle quattro battute di crome staccate che fanno mozzare il fiato:

Lo scarso pubblico si fa in quattro per decretare un meritato e grandissimo trionfo ai ragazzi e ad Harding, che per farsi perdonare (smile!) il mancato ritornello dell'iniziale Allegro non troppo, ci regala come bis il finale della sinfonia.

Peggio per chi se n'è rimasto a casa…
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