Radio3,
fedele alla tradizione, irradia le prime del Festival, che quest’anno
sono quattro e non tre, in omaggio allo status di Capitale italiana
della cultura di cui gode Pesaro per il 2024.
Rompere
il ghiaccio, nel rinnovato Auditorium Scavolini, è toccato a Bianca&Falliero, alla quarta
presenza al ROF (dopo 1986-89 e 2005). A guidare dal podio la OSN-RAI era Roberto
Abbado; Giovanni Farina ha diretto il Coro del Teatro Ventidio
Basso.
Nei
quattro ruoli principali figurano due (ormai) vecchie glorie del ROF: le voci
acute di Bianca di Jessica Pratt e di Contareno (suo padre!) di Dmitry
Korchak; affiancate da quelle più gravi di due promesse già battezzate al
ROF in anni recenti: il(la) Falliero di Aya Wakizono e il Capellio di Giorgi
Manoshvili.
Premesso
che l’ascolto tecnologico ha sempre i suoi limiti, mi sento di giudicare
positivamente la prova di Abbado, almeno sul lato delle agogiche. Bene anche il
coro di Farina.
Quanto
alle voci, la Pratt ha subito approfittato delle opportunità di coloratura
offerte da Rossini per sciorinare i suoi proverbiali sovracuti (DO#, RE e
persino MI) chiudendo il rondò finale con uno stentoreo e lunghissimo MIb. La cantante aussie ormai di casa qui da noi mi è
parsa anche la voce più centrata sul personaggio.
Non
così le altre tre voci. Korchak più che discreto, ma forse questa parte di
bari-tenore non gli è proprio congeniale (ascoltare il Merritt del 1986…) così
lui se l’è cavata sopperendo con il mestiere. Per la Wakizono stesso discorso:
voce assai bella ed espressiva, ma non certo di contralto (ascoltare la Horne del 1986 ma anche la Barcellona
2005…) anzi di mezzo spinto (DO acuti come nulla fosse) che soprattutto nei
duetti con Pratt si faticava a distinguere dal soprano. Fin troppo grave e
cavernosa invece la voce di Manoshvili. Doveroso segnalare anche la Costanza di
Carmen Buendìa, il Doge di Nicolò Donini, e poi Claudio
Zazzaro e Dangelo Dìaz.
Accoglienza
per tutti più che calorosa, anche se… ristretta. Forse il pubblico era esausto
per l’autentica maratona durata dalle 20 fin quasi a mezzanotte! In effetti l’opera
mostra tutte le sue contrastanti caratteristiche: quelle di una summa di
tutto lo scibile del teatro musicale messa insieme da Rossini a partire dalla Camerata
dei Bardi per arrivare ai giorni suoi, Beethoven incluso! Lunghissime
scene, duetti, terzetti, quartetti e concertati con coro di splendida ma ipertrofica
fattura, alternate a recitativi accompagnati in declamato e pure a recitativi
secchi (ieri proprio nulla è stato tagliato!)
Insomma,
ci si spiega ancor oggi la reazione ammirata del pretenzioso pubblico della Scala del 1819, ma anche la contemporanea stroncatura degli spocchiosi critici di allora.
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2. L’equivoco stravagante.
Quarta
comparsa al ROF (dopo 2002-08-19) anche per La terza opera
di Rossini
(seconda ad essere rappresentata) che ha fatto riaprire i battenti al glorioso Teatro
intitolato al Maestro e rimesso in sesto dopo il terremoto del 2022 che ne
aveva compromesso la sicurezza.
Opera
che – causa bando dai teatri per divieti di censori-bacchettoni - ha
generosamente imprestato sue parti a parecchie sorelle arrivate dopo di
lei; citerò solo tre macroscopici esempi: il Coro introduttivo dell’Atto II, che verrà
reimpiegato in Ciro in
Babilonia
e poi in Tancredi; il quintetto
dell’atto II (Speme soave) ripreso nel
corrispondente Spera se vuoi (Pietra di paragone, a 21’55”); e l’aria
finale di Ernestina (qui a 43”) passata ancora
nella Pietra di paragone a Clarice (qui a 1’28”).
Michele
Spotti
(al suo terzo impegno importante al Festival: Barbiere streaming 2020 e
Bruschino 2021) sta facendo grandi progressi e ha diretto da par suo la
Filarmonica Rossini, dando un taglio davvero mozartiano a questa partitura del todeschino,
che al Teofilo si ispirò assai nei suoi primi anni di carriera. Mirca
Rosciani ha guidato il Coro del Teatro della Fortuna ad una
prestazione più che apprezzabile.
Oltre
a orchestra e coro, anche il cast è totalmente rinnovato rispetto alla
stessa produzione del 2019 (allora ospitata nella smisurata Vitrifrigo Arena). Artisti
quasi tutti (Alaimo escluso) di recente frequentazione dell’Accademia. La
debuttante nel cartellone principale del ROF, Maria Barakova, veste i
panni della protagonista Ernestina, alla quale presta in modo convincente (cavatina,
duetti e rondò finale) la sua bella e calda voce di mezzosoprano lirico.
I
due buffi sono il navigato trascinatore Nicola Alaimo
(Gamberotto) e il quasi esordiente (dopo la Cambiale del 2018) Carles Pachòn
(Buralicchio): entrambi degni di elogio nelle rispettive cavatine/arie ma anche
nel duetto (con gag) del primo atto e nei concertati.
Pietro
Adaìni
(già nel Turco del 2018 e ne La Gazzetta del 2022) impersona il romantico Ermanno
e lo fa con buon profitto: voce squillante e acuti (incluso un DO#) senza
sbavature.
I
suoi due sodali per la conquista della cinica Ernestina (Rosalia e Frontino)
sono Patricia Calvache (praticamente all’esordio) e Matteo Macchioni,
già presente nella Gazza del 2015 e in Adina del 2018. Anche per loro (cui
Rossini riserva le classiche arie da sorbetto) note più che positive.
Da
ultimo sottolineo ancora il perfetto affiatamento di tutti nei pezzi d’insieme:
duetti, quartetto, quintetto e finali d’atto.
Insomma,
almeno all’ascolto radio, una riproposta più che positiva.
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3. Ermione.
Ermione rappresentò per
Rossini un (fugace) momento di rottura dei collaudati schemi (napoletani)
dell’opera seria, tanto che fu categoricamente bocciata dal pubblico e messa in
naftalina dallo stesso compositore, per essere poi dimenticata lì per decenni.
Questa fu – ante-litteram – un’operazione di tipo breakthrough (come
usano dire i moderni barbari…) che solo 30 anni dopo troverà il massimo epigono
in tale Wagner!
Se
oggi ne possiamo apprezzare tutta la straordinaria modernità, è soprattutto grazie
al recupero fattone dalla Fondazione Rossini e dal ROF, che lo mette in scena oggi
per la terza volta, dopo 1987 e 2008.
E
poi - ça va sans dire – il merito va anche riconosciuto a Direttori come Michele
Mariotti, che la concerta qui per la prima volta proprio a casa sua, sapendone
esaltare tutte le straordinarie qualità e la grande varietà di accenti, dal
dolente, al lirico, alle esplosioni degli animi esacerbati. In ciò assecondato
alla grande dalla OSN-RAI, davvero senza una sola sbavatura, e dal Coro del
Teatro Ventidio Basso di Giovanni Farina.
Ma
anche il cast ovviamente conta, e quello messo in campo in questa
produzione ha avuto la sua punta di diamante nella protagonista, la sempre più
convincente Anastasia Bartoli, già segnalatasi lo scorso anno come
Cristina: davvero torreggiante, soprattutto nelle due grandi scene del
second’atto.
Molto
bene anche l’appassionata Andromaca di Viktoria Yarovaya, anche lei
ormai veterana del ROF (esordio nel Demetrio del lontano 2010).
Praticamente
scontato il successo per il Direttore Artistico del Festival, tale J.D.F.
(Oreste) ormai ultra-decano del ROF (esordio 1996!) che ha sciorinato il meglio
del suo bagaglio virtuosistico.
Maluccio,
ahilui e ahinoi, il Pirro di Enea Scala. Al quale credo proprio manchi
il phisique-du-role per questo personaggio. Senza scomodare il sontuoso
Merritt, basterà aver presenti un Kunde o uno Spyres per fare confronti
impietosi. Ma poi, a parte la vocalità naturale, ier sera mi è parso anche
fuori forma, con difficoltà di intonazione, acuti gutturali e spesso ghermiti
dal semitono sottostante, oltre ai gravi quasi inudibili. Peccato davvero!
Buone
notizie invece per Antonio Mandrillo (Pilade) che ieri è stato, per
meriti sul campo, il secondo e non il terzo tenore del cast.
Più
che dignitose le prove di Michael Mofidian (Fenicio), Martiniana
Antonie (Cleone), Paola Leguizamòn (Cefisa) e Tianxuefei Sun (Attalo).
Comunque
accoglienza calorosissima per tutti, con punte per Mariotti, Florez e Bartoli.
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4. Il barbiere di Siviglia.
Da
quest’anno il Barbiere diventa recordman
in solitaria in fatto di presenze al ROF (7, senza contare lo streaming
dell’autunno 2020 in epoca Covid, contro le 6 della Scala).
Consideriamolo un doveroso tributo a quella che è indiscutibilmente ancora
l’opera più nota e gettonata del grande Gioachino.
E
per omaggiarla se ne omaggiano quest’anno alcuni iconici interpreti. A partire
da uno che calcò le scene del ROF, vestendo i panni di Assur, nel remoto 1992
(!!!) Michele Pertusi. Il quale ha cantato come DonBasilio nelle
ultime apparizioni. E anche ieri la sua Calunnia ha mandato il pubblico
in visibilio!
Un
altro navigatissimo del ROF (Siége del 2000 dopo presenza in una kermesse
del 1996) è Carlo Lepore, che impersona, come nello streaming del
2020, il mangiapane-a-tradimento Don Bartolo. Anche la sua è stata
un’interpretazione sontuosa, che ha avuto la punta di diamante nell’aria del
primo atto, caratterizzata da quella incredibile raffica di scioglilingua che
lascia sempre di stucco.
Ma a proposito di veterani, che dire di Patrizia Biccirè, che fu Giulia
ne La scala di seta del 1992! E che già fece Berta nel 1997! E anche ieri ha
raccolto ovazioni dopo a sua arietta del vecchiotto…
Dopo
i decani, ecco i promettenti giovani della nuova leva di cantanti rossiniani. Il
protagonista è Andrzej Filonkzyk, in terminologia goliardica un fagiolo,
essendo alla seconda apparizione al ROF, dopo il Raimbaud (Ory) del
2022. Il suo è un accattivante Figaro: voce potente, buon portamento, subito
esibiti nella celebre cavatina d’esordio. Certo, l’esperienza gli gioverà per
migliorare ancora.
Come
lui, viene dall’Ory di due anni fa anche la Rosina di Maria Kataeva. E
anche per lei vale lo stesso discorso: una prova superata con voto più che
discreto, voce dal timbro morbido, bene impostata su tutta l’ampia tessitura
mezzosopranile, oltre a buona sensibilità interpretativa.
Jack
Swanson
(già Florville nel Bruschino del 2021) è oggi il lezioso Conte/Lindoro, cui ha
prestato la sua bella voce chiara e dagli acuti squillanti. Anche per lui il
futuro si prospetta roseo, a patto di continuare a... studiare.
Alla
terza uscita (dopo 2018 e streaming 2020) come Fiorello/Ufficiale è William
Corrò, che ha dato il suo valido contributo al buon successo della serata.
Successo propiziato dall’energica direzione – tempi a volte persin troppo
parossistici - di Lorenzo Passerini, alla guida della solida Sinfonica
Rossini, ben coadiuvati dal Coro del Teatro Ventidio Basso di Giovanni
Farina.
Insomma,
un Barbiere più che positivo, un’esibizione che il pubblico ha giustamente
accolto con grandissimo calore.
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Ecco,
chiuso il ciclo radiofonico delle prime, ora non mi resta che assistere
dal vivo… dopo Ferragosto.
Ma
intanto, Ernesto Palacio ha già annunciato il cartellone del 2025:
· Zelmira (Sagripanti/Bieito)
· Italiana (Korchak/Cucchi)
· Turco (Ceretta/Livermore)
·
Messa per Rossini