allibratori all'opera

celestino o ugo?
Visualizzazione post con etichetta ellington. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta ellington. Mostra tutti i post

18 dicembre, 2015

Orchestraverdi 14-15 – Concerto n°64


Si conclude con questo triplice appuntamento la lunghissima stagione 14-15 de laVERDI, stagione che – EXPO imperante – si è estesa fino ad includere quella che tradizionalmente era la parte iniziale (settembre-dicembre) della stagione successiva.

Come la WWII, anche questa stagione si chiude in Giappone, grazie all’ultimo sforzo di Nicola Campogrande e ad opere delle due principali potenze vincitrici della guerra: USA e URSS Russia. Sul podio il sempre effervescente John Axelrod.

Dopo che Campogrande si è congedato con il suo sayonara è Rachel Kolly d'Alba (che torna in Auditorium a quasi quattro anni di distanza dalla sua precedente apparizione) a presentarci un particolare concerto per violino: la Serenade di Lenny Bernstein, che lei ha già inciso con l’Orchestra di cui Axelrod è Direttore musicale.

Composta su commissione della Fondazione Koussevitzky, esordì alla Fenice nel 1954 con il dedicatario Isaac Stern come solista e l’Autore alla testa della IPO; si ispira al Simposio di Platone, dove si celebrano le magnifiche e progressive sorti dell’Amore. È strutturata in cinque parti, che ripercorrono, senza rispettarne rigorosamente la sequenza, i lavori del Simposio (in realtà una prosaica mangiata&bevuta) evocando i principali interventi di sette dei convenuti, i cui nomi compaiono in testa a ciascun movimento del concerto (le frasi accanto ai nomi non sono di Bernstein, ma sintetizzano il senso dei diversi interventi):

I Lento – Allegro
Phaedrus: Amore è un dio potente, antichissimo e meraviglioso
Pausanias: Ci sono due tipi di amore, e solo uno è positivo (quello omosessuale)

II Allegretto
Aristophanes: Una volta i sessi umani erano tre (maschio, femmina e andrògino)

III Presto
 Eryximachus: Esiste un amore di vita ed un amore di morte

IV Adagio
    Agathon: Diamo una definizione dell'amore: esso è il più buono e il più bello degli dèi

V Molto tenuto - Allegro molto vivace
   Socrates: La meta finale è la contemplazione della Bellezza divina
   Alcibiades: Io non farò l'elogio dell'amore, ma quello di Socrate

Bisognerebbe entrare nella mente di Bernstein per cogliere le oscure sensazioni da lui provate alla lettura del Simposio e poi dalla sua penna tradotte in musica. Il compositore in effetti lasciò alcune note in proposito, che furono redatte però a-posteriori, e che chiariscono più che altro le relazioni di carattere musicale fra i diversi movimenti del concerto. Questa è comunque musica che si può apprezzare anche senza necessariamente rifarsi al platonico testo. E la bella rossocrociata-rossocrinuta Rachel non ci priva di un’esecuzione davvero ispirata, e ben supportata dagli archi e percussioni guidati da uno che il pezzo l’ha studiato nientemeno che con… l’Autore! Poi un impegnativo encore del prediletto Ysaÿe, del quale la nostra ha pure inciso un album.
___
Chiude il concerto un simpatico abbinamento di sapore natalizio: gli Schiaccianoci della premiata coppia Ellington-Ciajkovski. Abbinamento anche fra i due gruppi di esecutori: ai ragazzi de laVERDI (che stanno con Ciajkovski) si affiancano quelli della Tomellieri Jazz Band, che interpretano l’arrangiamento di Ellington.

Come ci aveva anticipato Axelrod nella presentazione del programma, le due versioni della Suite Op.71a vengono presentate in un geniale incastro: ciascun numero viene eseguito dall’Orchestra in versione originale e subito dopo dalla Band in versione Duke! Axelrod è bravissimo nell’esaltare i contrasti fra le due facce della medaglia: estrae dall’orchestra un suono sottile, etereo, leggerissimo, proprio come in un mendelssohniano sogno natalizio, che contrasta piacevolmente con il suono necessariamente corposo dei fiati della Band, dove Tomellieri&C si superano in strepitosi virtuosismi.

Applausi a scena aperta dopo ciascun numero. Quindi si ripete l’Ouverture, la cui versione-Duke viene accompagnata dal pubblico con battimani stile-Radetzky a Vienna! E ancora il pubblico (Auditorium letteralmente gremito!) non ne vuol sapere di andarsene, attaccando un applauso ritmato… così ecco un nuovo travolgente doppio-Trepak a chiudere una serata da incorniciare.
___
Ora aspettiamo, dopo una breve pausa natalizia, l’esordio della nuova stagione 2016 (che coprirà l’anno solare): apertura a fine dicembre con il tradizionale appuntamento con… l’inno europeo.   

28 ottobre, 2011

Orchestraverdi – concerto n 6


Il 6° concerto de laVerdi è – cosa piuttosto inconsueta – dedicato al Jazz. Per la verità non è proprio tutto jazz, anzi… ma va bene lo stesso.

Si inizia con la suite dall'Opera da tre soldi di Weill (Brecht), per orchestra senza archi, ma con saxofoni, banjo, fisarmonica, pianoforte e batteria . Consta di 8 numeri, dei quali soltanto il 4°, la Ballata della bella vita, ha un qualche vago tratto jazzistico:

1. Ouvertüre;
2. Die Morität von Mackie Messer (n°2, Atto I);
3. Der Annstat daß-Song (n°4, Atto I);
4. Die Ballade vom angenehmen Leben (n°14, Atto II);
5. Pollys Lied (n°11a, Atto II);
6. Tango-Ballade (Zuhälterballade, n°13, Atto II);
7. Der Kanonen-Song (n°7, Atto I);
8. Dreigroschen-Finale (n°21, Atto III).

Come si vede, l'ordine non rispetta la sequenza dei brani nell'opera, ma la cosa si spiega e giustifica proprio dal punto di vista sinfonico, a cui Weill evidentemente teneva molto. 

Abbiamo poi Shostakovich, e la sua Suite per orchestra di teatro di varietà. Si tratta di una composizione di metà anni '50, spesso citata – anche nel sottotitolo della locandina del concerto - come Jazz Suite n°2. In realtà esiste una Suite n°2 per orchestra jazz, in tre movimenti, composta nel 1938 su ordinazione dell'appena creata Orchestra Jazz di Stato dell'URSS, e prima di essa, anche una Suite n°1 del 1934, op. 38°, sempre in 3 movimenti. Gli originali di queste due Suite andarono persi durante l'ultimo conflitto mondiale e solo recentemente ne sono stati recuperati gli spartiti. Quindi, fra la Suite n°2 del 1938 e la Suite eseguita in questo concerto non vi è relazione alcuna, ma solo parecchia… confusione! A cominciare dal riferimento al jazz, che in quest'ultima Suite è veramente assai labile, e limitato all'impiego in un'orchestra sinfonica classica di strumenti tipici del jazz, come i saxofoni, chitarra, pianoforte (a 4 mani) e – singolarmente – la fisarmonica. (Le due Suite del '34 e '38 viceversa sono scritte propriamente per complessi jazzistici, dove gli strumentini sono assenti e gli archi… quasi.)

Anche questo brano è composto da 8 numeri, in gran parte imprestiti da opere precedenti di Shostakovich (il pezzo più noto è il secondo walzer, n°7, reso famoso da Kubrik, che ne portò l'esecuzione di Chailly col Concertgebow nel suo Eyes wide shut):

1. Marcia;
8. Finale.

Shostakovich lascia al Direttore piena libertà di scelta nella sequenza dei numeri, e Grazioli sceglie questo ordine: 1-5-2-6-4-7-3-8, in pratica intercalando i tre movimenti di walzer agli altri. Gran successo e bis – praticamente scontato - del secondo walzer.

Dopo l'intervallo, la musica dal balletto Fancy free di Leonard Bernstein (trama e coreografie di Jerome Robbins) andato in scena il 18 aprile del 1944, in piena guerra, e poche settimane dopo che il ventiseienne Direttore era salito alla ribalta sostituendo all'ultimo minuto Bruno Walter in un concerto della NYPO. Vi sono rappresentati tre marinai in permesso, che arrivano nella grande mela e cercano… indovinate? Ne trovano un paio, ma non bastano, così i tre si sfidano fino ad azzuffarsi e le due… tagliano la corda. Passa per strada una terza gran gnocca, e i tre si danno all'inseguimento. Tutto qui, per circa mezz'ora di musica, suddivisa in 7 numeri:

1. I tre marinai;
2. Scena al bar;
3. Le due ragazze;
4. Passo a due;
5. Scena della sfida;
6. Tre variazioni di danza: Galop, Walzer, Danzon;
7. Finale.

Grazioli taglia il n°5 (che richiama tematicamente il n°1) ed è un peccato, poiché si tratta di un travolgente brano, che impegna tutta l'orchestra; invece sopperisce in qualche modo (con una voce baritonale che sembra provenire dall'aldilà…) alla musica introduttiva al balletto, che inizia con una canzone irradiata da un juke-box: si tratta di Big stuff, resa famosa dalla mitica Billie Holiday (ma cantata anche dallo stesso Bernstein, in un'incisione con la NYPO):
Il tema della canzone è ripreso però - in diversa tonalità - nel quarto brano (Pas de deux).

L'orchestra di Bernstein ha poco di jazzistico (mancano sax, banjo, xilofoni): è la classica orchestra sinfonica tardo-romantica, con pianoforte e qualche percussione esotica in più. Lo spirito del jazz si sente invece fin dalle prime battute:

Pochi mesi dopo l'esordio di Fancy Free, la sua trama (non la musica) fu riutilizzata nel musical di Broadway On the town.

Accoglienza un po' freddina, forse per via della chiusa che arriva improvvisa e imprevista. Poi però il pubblico dà il giusto riconoscimento ai ragazzi e al Direttore.

Chiude la kermesse Duke Ellington con la sua Creatura della notte, del 1956, già eseguita e incisa da laVerdi nel 1999. Comprende tre brani, di cui lo stesso Ellington spiegò il contenuto, più o meno in questi termini:


1. Blind Bug: Un insetto cieco esce fuori ogni notte per danzare, usando le sue antenne per schivare ostacoli e pericoli, per continuare il suo ballo sfrenato.

2. Stalking Monster: C'è un mostro immaginario che tutti noi temiamo di dover incontrare a mezzanotte. Quando lo incontrassimo davvero, di sicuro scopriremmo che anche lui fa il boogie-woogie.

3. Dazzling Creature: Le creature notturne, di notte, non appaiono, ma entrano in scena. Prima che la notte finisca, ciascuna di loro pensa che sarà una star. Con la loro carica erotica aspirano al riconoscimento da parte della regina, una donna splendente che regna sopra di loro. Ad un suo schioccar di dita, tutte si scatenano per mostrare la loro unicità.
Insomma, anche il Jazz è stato evidentemente contagiato dal poema sinfonico! Ma del resto Duke Ellington non esitò a cimentarsi nella direzione di importanti orchestre europee, inclusa quella della Scala, con cui il duca incise, alle 5 di un pomeriggio di febbraio del 1963, La Scala, She Too Pretty To Be Blue (lei troppo bella, per essere triste) composto alle 10 del mattino di quello stesso giorno!


In effetti l'orchestra di Night creature è l'insieme di un complesso classico, senza trombe e tromboni, integrato da un complesso jazz di sax, trombe, tromboni, pianoforte e batteria, più un contrabbasso che suona – tipico del jazz – solo in pizzicato. La tromba solista è chiamata, nel finale, ad autentici miracoli, con note in sovracuto da far scoppiar le tempie.

E siccome il successo è travolgente, la terza parte della suite viene ripetuta come bis! Una prova davvero entusiasmante che testimonia ancora una volta delle qualità della nostra orchestra.

Prossimamente si ritorna a programmi austeri, con Aldo Ceccato che si cimenterà nientemeno che col Requiem verdiano!
--